Il telescopio spaziale James Webb ha ottenuto un risultato straordinario, confermandosi fondamentale per la ricerca nello Spazio. Ha individuato un buco nero super massiccio all’interno della galassia UHZ1, segnando un altro importante record. Combinando i dati dell’Osservatorio Chandra a raggi X, è stato possibile determinare che la formazione di questo buco nero è iniziata all’incirca 470 milioni di anni dopo il Big Bang, un numero relativamente piccolo rispetto a quelli del cosmo. Si tratta del buco nero più lontano mai individuato e, facendo dei calcoli, si può affermare che l’Universo in qual momento avesse appena il 3 per cento circa della sua età attuale.
La scoperta di questo buco nero super massiccio è estremamente rilevante per la comprensione dei processi che portano alla formazione di tali entità. Una parte della comunità scientifica si chiede se essi si originino direttamente dal collasso di enormi nubi di gas, formando buchi neri con masse comprese tra 10 mila e 100 mila volte quella del Sole, oppure se derivino dalle esplosioni delle prime stelle. Questa scoperta conferma le previsioni teoriche proposte nel 2017 riguardo a ciò che era stato definito un «buco nero fuori misura». Si ipotizzava che si formasse come risultato diretto del collasso di una massiccia nube di gas.
Plutone potrebbe nascondere un oceano di acqua liquida sotto la sua superficie, e detto così potrebbe essere una sensazionale scoperta. Il pianeta nano oggetto di innumerevoli ricerche scientifiche conserverebbe al suo interno più calore di quanto si possa pensare per alimentare l’attività vulcanica e mantenere allo stato liquido l’acqua presente nel sottosuolo. Lo indica uno studio pubblicato sulla piattaforma arXiv che ospita ricerche non ancora passate al vaglio della comunità scientifica ed è guidato dall’Università americana della Florida Centrale.
Scoperta lava ghiacciata eruttata
Da cosa è nata l’intuizione secondo cui Plutone potrebbe nascondere un oceano di acqua liquida sotto la superficie? Il suggerimento arriva dalla scoperta di lava ghiacciata eruttata da un super vulcano pochi milioni di anni fa, un tempo recente in ambito cosmico. Il team di ricerca, guidato da Dale Cruikshank e utilizzando i dati della sonda New Horizons della Nasa, ha analizzato attentamente le immagini del cratere Kiladze. Inizialmente, il cratere sembrava simile a quelli formati dall’impatto di meteoriti, ma uno studio più approfondito ha rivelato la presenza inusuale del ghiaccio d’acqua rispetto al metano e azoto congelati che dominano la superficie di Plutone. Il cratere Kiladze, largo circa 44 chilometri, potrebbe dunque essere un super vulcano che, a differenza di quelli terrestri che eruttano rocce fuse, erutta lava ghiacciata in un fenomeno noto come criovulcanismo, che si può vedere anche su alcune lune di giganti gassosi come Giove e Saturno.
Chi siamo? Da dove veniamo? In attesa di una risposta definitiva sui massimi quesiti dell’esistenza, la Nasa è un passo più vicina a spiegare le origini della vita nel cosmo e soprattutto sul nostro pianeta. Gli scienziati dell’agenzia spaziale americana hanno infatti trovato carbonio e acqua sui campioni dell’asteroide Bennu, formatosi 4,5 miliardi di anni fa, giunti sulla Terra grazie alla missione Osiris-Rex. Elementi cruciali per la nascita di specie animali e vegetali, potrebbero rappresentare una nuova pietra miliare della scienza per le generazioni future. «È esattamente quello che volevamo trovare», ha spiegato il numero uno della Nasa Bill Nelson dal Johnson Space Center di Houston. «C’è ancora tanto da scoprire, si tratta del più grande campione di asteroide ricco di carbonio mai giunto sul nostro pianeta».
Tomografia e scansione ai raggi X, così la Nasa ha analizzato l’asteroide Bennu
Atterrati il 24 settembre nel deserto dello Utah, i campioni dell’asteroide sono stati oggetto di studio per due settimane nei laboratori della Nasa. All’interno di speciali camere bianche, come testimoniano alcuni video pubblicati dall’agenzia spaziale, gli esperti hanno trascorso 10 giorni per smontare l’hardware di trasporto e accedere al materiale. Una volta aperto il contenitore, hanno trovato molto più materiale di quanto si aspettavano in partenza. «Eravamo pronti per qualsiasi cosa Bennu avesse in serbo per noi», ha spiegato in un comunicato Vanessa Wyche, direttrice del Nasa Johnson Space Center. «Per anni abbiamo sviluppato abbigliamento protettivo adatto a conservare i campioni anche per le generazioni future».
.@NASA’s #OSIRISREx's mission wasn't just about the rocks! The initial analysis of these samples is nothing short of astounding. They contain abundant water in the form of hydrated clay minerals and are rich in carbon, both as minerals & organic molecules. Incredible work, team! pic.twitter.com/sklBv9fWn6
Gli scienziati della Nasa hanno analizzato i campioni con un microscopio elettronico a scansione, prima di passare a misurazioni a infrarossi, diffrazione dei raggi X e studio degli elementi chimici. Sfruttando poi la tomografia computerizzata a raggi X è stato possibile ricreare un modello in tre dimensioni di una delle particelle, evidenziandone anche le caratteristiche interne. Si è dunque scoperto che presentava tracce di carbonio e acqua, i due elementi chiave per la vita. «Stiamo sbloccando una capsula del tempo che ci può offrire profonde intuizioni sulle nostre origini», ha sottolineato Dante Lauretta, ricercatore senior per la missione Osiris-Rex. «Siamo solo alla punta dell’iceberg cosmico. Siamo in partenza per un viaggio non solo nel nostro vicinato celeste, ma anche verso la conoscenza dell’inizio della vita».
I campioni viaggeranno nelle università del mondo, anche in Italia
Il team continuerà a condurre analisi per altri due anni. La Nasa conserverà il 70 per cento dei campioni a Houston per ulteriori studi, ma consegnerà le parti rimanenti alle università di tutto il mondo. I frammenti dell’asteroide Bennu saranno a disposizione di oltre 200 istituti di ricerca, tra cui l’Istituto Nazionale di Astrofisica di Padova, Roma e Arcetri, nel fiorentino. Ulteriori campioni dell’asteroide verranno prestati invece nel corso dell’autunno allo Smithsonian Institution, allo Space Center di Houston e all’Università dell’Arizona per essere esposti al pubblico. «Grazie a queste scoperte, ci avviciniamo sempre di più a svelare i misteri della nostra eredità cosmica», ha concluso Lauretta. «Un traguardo reso possibile da anni di lavoro e collaborazione fra studosi e appassionati di tutto il mondo».
Dal suo lancio nel Natale 2021, il telescopio spaziale James Webb ha fornito immagini incredibilmente dettagliate agli astronomi di Nasa ed Esa. Sfruttando le sue telecamere a infrarossi, ha catturato dettagli finora mai visti sulla Terra, dando vita a scoperte sempre più dettagliate sul cosmo. L’ultima arriva dalla Nebulosa di Orione o Messier 42, ammasso di stelle distante circa 1400 anni luce dalla Terra. Al suo interno, distanti da qualsiasi astro, vagano circa 40 pianeti le cui dimensioni sono simili a quelle di Giove. Curiosamente si muovono sempre in coppia, ma gli scienziati non hanno ancora una giustificazione certa per il fenomeno. «Non sappiamo cosa dire», ha spiegato alla Bbc l’astronomo dell’Esa Mark McCaughrean. «Possiamo solo avanzare alcune ipotesi».
Pianeti senza una stella, la nuova scoperta del telescopio James Webb
I pianeti individuati dal telescopio della Nasa James Webb hanno dimensioni enormi. Grandi quanto Giove, hanno dunque un raggio di quasi 70 mila chilometri e una massa oltre 300 volte superiore alla Terra. Come hanno spiegato gli scienziati, ciascuno di essi potrebbe contenere nel suo volume circa 1300 volte il nostro pianeta. Data la loro grandezza, la Nasa ha deciso di rinominare i nuovi corpi celesti Jupiter Mass Binary Objects, abbreviati nell’acronimo Jumbo. Come visibile nelle immagini pubblicate sull’account Instagram dell’agenzia spaziale europea, si muovono sempre in coppia e non orbitano attorno ad alcuna stella. «Le leggi della fisica ci suggeriscono che pianeti di tali dimensioni non dovrebbero trovarsi da soli», ha spiegato McCaughrean. «Eppure ora li possiamo vedere. Non sappiamo cosa dire».
Stando a quanto riportato dalla Bbc, al momento gli astronomi stanno valutando due potenziali alternative. La prima ipotesi suggerisce che i pianeti siano nati in regioni della Nebulosa di Orione in cui era impossibile si formassero delle nuove stelle. La seconda invece, nonché la più attendibile, suggerisce che siano stati generati da un ammasso di astri e soltanto dopo espulsi nel cosmo attraverso una serie di eventi di enorme portata. «Siamo di fronte a una pura teoria», ha precisato McCaughrean. «Non possiamo dare una risposta concreta». Gli ha fatto eco l’astronoma Heidi Hammel, che nel 1989 partecipò alla missione della sonda Voyager 2 su Nettuno. «È davvero strano», ha detto ai media britannici. «Forse un giorno avremo tutti gli strumenti per vedere con chiarezza».
Nebulosa di Orione, dove si trovano i pianeti scoperti dal telescopio
L’ammasso Messier 42, noto anche come Nebulosa di Orione, è la grande regione di formazione stellare più vicina al nostro pianeta. Con un’ampiezza di circa quattro anni luce, si sviluppa attorno a un quartetto di soli luminosi chiamato Trapezio, visibile anche a occhio nudo nel cielo. Per trovarlo, infatti, è sufficiente guardare poco più in basso rispetto alla cintura di Orione, il gruppo di tre stelle quasi in linea retta nell’omonima costellazione che porta il nome di un cacciatore greco. La Nebulosa si trova laddove gli astronomi hanno indicato la spada del protagonista del mito classico. L’immagine del James Webb è frutto di un mosaico di 700 scatti della NIRCam, telecamera a infrarossi, nel corso di una settimana di ricerca. La fotografia ha dimensioni incredibili, dato che conta a grandezza naturale 21 mila pixel per oltre 14 mila.
Uno dei momenti storici dell’India e delle missioni spaziali del pianeta rischia di finire molto prima di quanto previsto. Dopo l’allunaggio del 23 agosto sul Polo Sud del satellite, presentato al mondo come l’inizio di una nuova fase della ricerca, e le prime passeggiate lunari, la sonda Chandrayaan-3 dell’agenzia spaziale Isro non si avvia più. Dal 22 settembre, gli scienziati stanno provando senza sosta a entrare in contatto con la navicella Vikram e il rover Pragyan al suo interno, ma non ricevono alcun segnale. In modalità sleep per 20 giorni, sono rimasti fermi durante la gelida notte lunare in attesa del ritorno del Sole, fonte essenziale per alimentare l’intera strumentazione. «Gli sforzi per un riavvio continueranno fino al 30 settembre», hanno spiegato gli esperti su X. Allora infatti la luce abbandonerà nuovamente il Polo Sud, facendo tramontare assieme al Sole anche le ultime speranze rimaste per riprendere la ricerca.
Chandrayaan-3 Mission: Efforts have been made to establish communication with the Vikram lander and Pragyan rover to ascertain their wake-up condition.
As of now, no signals have been received from them.
L’ex capo dell’Isro Kumar: «Le speranze si affievoliscono ogni ora che passa»
Sin dal suo arrivo sulla superficie della Luna, il rover Pragyan della missione Chandrayaan-3 ha percorso una distanza di circa 100 metri dalla navicella. Trasmettendo immagini e dati alla sede centrale dell’Isro, ha potuto documentare la presenza di vari materiali tra cui zolfo, ferro e ossigeno sul nostro satellite, dando un importante sviluppo alla ricerca spaziale. Il 2 settembre, con il tramonto del Sole, gli scienziati avevano avviato la modalità dormiente, sperando di riaccendere la strumentazione con la nuova alba. Qualcosa però sembra essere andato storto. «Le speranze si affievoliscono ogni ora che passa», ha spiegato alla Bbc l’ex capo dell’agenzia Kiran Kumar. «Diverse componenti potrebbero non aver superato le temperature gelide della Luna (fino a 250 gradi sotto zero, ndr.)».
Kumar ha spiegato anche che non sarà possibile confermare lo stato di conservazione fino a nuovi contatti. «Il trasmettitore sul lander non si accende», ha proseguito l’ex capo dell’Isro. «Non abbiamo connettività, deve dirci che è vivo. Anche se tutto il resto dovesse funzionare, non abbiamo modo di saperlo». Già prima di sospendere la missione Chandrayaan-3, gli scienziati avevano decretato il successo della ricerca indiana sulla Luna. «Se Vikram e Pragyan non dovessero svegliarsi, rimarranno in qualità di ambasciatori lunari dell’India», avevano spiegato in una nota riportata dal Guardian. «Hanno raggiunto gli obiettivi principali». Ancora nessun commento da parte del primo ministro Narendra Modi che, il giorno dell’allunaggio, aveva parlato di «un grido di vittoria di una nuova India».
Quali erano gli obiettivi della missione Chandrayaan-3 dell’India?
Secondo tentativo dell’India di sbarcare sulla Luna, la missione Chandrayaan-3 ha scritto una nuova pagina di storia per l’intero pianeta. Si tratta infatti della prima navicella ad approdare sul Polo Sud del satellite, finora impervio per qualsiasi altra spedizione, come testimoniato dal fallimento di quella russa Luna-25, che si è schiantata due giorni prima dell’arrivo della versione di New Delhi. Nel corso della sua missione, il rover Pragyan avrebbe dovuto continuare la sua passeggiata sulla superficie per analizzare il terreno e prelevare campioni da riportare sulla Terra al termine della missione. Gli scienziati dell’Isro speravano potesse infatti trovare tracce di acqua, verosimilmente allo stato ghiacciato, fra i crateri lunari. Un’eventualità ormai molto remota, dato l’improvviso malfunzionamento.
«Spero di vedere un giorno la prima donna africana nello spazio». A parlare in un’intervista al Guardian è Susan Murabana, astronoma che in Kenya aiuta la gente povera e i bambini a osservare le stelle e i pianeti. Assieme al marito e fotografo Daniel Chu Owen viaggia fino alle zone rurali più remote del Paese con il suo fuoristrada, portando con sé il telescopio personale da mettere a disposizione della popolazione. «C’è qualcosa di speciale nel cielo che ti fa venir voglia di sperimentarlo con altre persone», ha raccontato la scienziata. «Desidero dare ai bambini e soprattutto alle ragazze l’opportunità che io da piccola non ho mai avuto». Nel 2014 ha fondato la sua società Traveling Telescope, che in quasi 10 anni di attività ha raggiunto circa 400 mila persone.
Chi è Susan Murabana e come insegna l’astronomia ai bambini del Kenya
Durante i suoi viaggi in giro per il Paese, Murabana arriva a percorrere oltre 400 chilometri al giorno con il suo fuoristrada 4×4. A bordo, c’è sempre il personale SkyWatcher Flextube, telescopio lungo oltre un metro e mezzo dal peso di circa 50 chilogrammi, che permette di ammirare da vicino le costellazioni, tutti i pianeti del Sistema solare e asteroidi di passaggio. Sfruttando lo scarso inquinamento luminoso, si riescono infatti a individuare dettagli incredibili del cosmo, impercettibili nel cuore delle grandi città. Non manca infine un planetario gonfiabile, per far divertire i più piccoli durante l’apprendimento. «Cerchiamo di sensibilizzare la gente e insegnare loro le basi dell’astrofisica», ha spiegato l’astronoma. «La maggior parte dei bambini non ha mai avuto la possibilità di farlo, noi vogliamo cambiare la situazione».
Susan Murabana si è appassionata all’astronomia a 20 anni grazie a suo zio, che l’ha accompagnata in un evento di sensibilizzazione a Mumias, zona rurale del Kenya occidentale. «Fu un punto di svolta», ha oggi ricordato la scienziata. «Ho studiato sociologia ed economia, ma se avessi avuto questa possibilità da più piccola probabilmente avrei direttamente seguito un corso sul cosmo». La sua attività non sfrutta finanziamenti pubblici, destinati a questioni più urgenti come assistenza sanitaria e fabbisogno idrico. Oltre il 90 per cento dei costi infatti è autofinanziato. «Quando ho iniziato, non vedevo nessuno come me», ha proseguito Murabana. «Ero una specie di ranger solitaria che voleva cambiare il mondo». Fondamentale l’incontro con l’attuale marito, conosciuto nel 2013 durante uno Star Safari, che ha deciso di seguirla ovunque.
Durante la pandemia ha creato canzoni e attività per ispirare la gente
Spinta ogni giorno dalla sua passione per la scienza, Murabana non si è mai fermata dal lancio della sua società nel 2014, nemmeno durante la pandemia. Nonostante le difficoltà della popolazione, che non ha accesso alla rete Internet né possiede gli strumenti per navigare online, ha coinvolto le scuole con lezioni su Zoom per aiutare i bambini. «Cerchiamo di utilizzare metodi divertenti e coinvolgenti», aveva raccontato ad African News nel 2021. «Per esempio abbiamo creato alcune canzoni su asteroidi ed eclissi con la partecipazione di tanti ragazzi». Su YouTube è infatti possibile ascoltare, tra le altre, The Annular Eclipse Song, nel cui video i bambini suonano e cantano mentre guardano il cielo. «L’astronomia ci ricorda quanto siamo unici e intelligenti», ha detto al Guardian Murabana, che si ispira a Mae Jemison, la prima donna nera nello spazio grazie alla Nasa. «È il mio modello, spero un giorno di essere come lei».
La sonda della Nasa Osiris-Rex sta per lasciare sulla Terra un raro campione di asteroide. Se tutto dovesse andare come previsto, la navicella dovrà sganciare il frammento di roccia domenica 24 settembre alle 10 del mattino americane (le 16 italiane). Con il suo peso di 250 grammi, è il più grande dai tempi delle missioni sulla Luna ed è stato prelevato dalla superficie di Bennu, corpo celeste del gruppo Apollo che orbita non lontano dal nostro pianeta. Dopo aver rilasciato il campione, Osiris-Rex riprenderà il suo viaggio per dirigersi verso un altro asteroide di nome Apophis. «Ci aiuterà a capire perché la Terra è abitabile», ha spiegato alla Cnn Dante Lauretta, ricercatore principale della missione. «Analizzeremo quelli che riteniamo essere i semi della vita che questi corpi celesti hanno portato alla genesi della biosfera». Il rilascio del campione sarà trasmesso in diretta streaming sul sito della Nasa.
Our #OSIRISREx spacecraft is set to deliver NASA's first pristine asteroid sample on Sunday, Sept. 24. Watch live coverage of reentry and landing starting at 10am ET (1400 UTC): https://t.co/Z9XCBlYOJ0
Osiris-Rex, i passaggi chiave della missione della Nasa sull’asteroide Bennu
Decollata da Cape Canaveral, nel 2016, Osiris-Rex ha intrapreso un viaggio di due anni prima di raggiungere il suo obiettivo nel dicembre 2018. Bennu, formato da un insieme di macerie che ricordano la forma di una trottola, è lungo circa 500 metri. Sulla superficie, gli scienziati della Nasa hanno rilevato tracce di carbonio e acqua allo stato ghiacciato. La raccolta del campione è stata possibile tuttavia solto dopo ulteriori 24 mesi di analisi dello spazio, portando all’atterraggio del 20 ottobre 2020. Toccando la superficie dell’asteroide, la sonda ha già effettuato un’importante scoperta per quanto riguarda la sua composizione. Affondando per circa mezzo metro, ha infatti confermato come non si tratti di un corpo compatto, ma piccole particelle che ricordano una piscina di palline di plastica. L’evento di raccolta, compresi avvicinamento e ripartenza, è poi stato documentato con numerose fotografie pubblicate dalla Nasa.
La sonda Osiris-Rex ha lasciato l’orbita di Bennu nel maggio 2021, intraprendendo una nuova traversata spaziale verso la Terra. Ha poi dovuto effettuare due giri attorno al Sole, cercando il momento esatto in cui poter rilasciare il campione nei pressi dell’atmosfera. La Nasa ha precisato che la navicella abbandonerà il frammento roccioso a circa 102 mila chilometri dal nostro pianeta, che attratto dalla gravità finirà per cadere sulla superficie. L’atterraggio è previsto nel deserto dello Utah, all’interno di un’area di 58 chilometri per 14 del Test and Training Range del Dipartimento della Difesa. Per facilitare le manovre di atterraggio, alcuni paracadute si apriranno durante la discesa prima che le squadre di recupero si avvicinino al sito. «Toccherà il suolo a una velocità di appena 17 chilometri orari», ha sottolineato Sandra Freund che ha collaborato alla realizzazione della sonda.
I dettagli della missione saranno svelati in una conferenza a ottobre
La Nasa annuncerà gli esiti delle prime analisi sul campione di asteroide il prossimo 11 ottobre durante una conferenza stampa. Gli scienziati studieranno le rocce per altri due anni nel Johnson Space Center di Houston, cercando di capire di più su composizione e movimenti dei corpi celesti. Il 70 per cento resterà negli States per la conservazione, mentre il restante 30 per cento sarà diviso fra Canada e Giappone, che contribuiranno agli studi. Sebbene si parli di una possibilità su 2700, è probabile che Bennu infine colpisca la Terra entro il 2300. Un eventuale impatto risulterebbe devastante, dato che darebbe vita a un cratere ampio dai cinque ai 10 chilometri che distruggerebbe un’area 100 volte più grande. «Dobbiamo monitorarlo con attenzione», ha concluso Kelly Fast della Nasa. «Le missioni Osiris rappresentano un importante tassello della ricerca».
L’Apollo 17, abbandonato sulla Luna nel 1972, potrebbe essere la causa di piccoli terremoti sul satellite sin dal suo arrivo. Analizzando con un software IA i dati registrati dai sismografi fra il 1976 e il 1977, un team della Caltech di Pasadena ha rilevato lievi scosse provenire a ritmo regolare dal rover della Nasa. Secondo una prima teoria, sarebbero frutto della contrazione e dell’espansione del materiale a seguito dei costanti e ingenti sbalzi di temperatura fra il giorno e la notte. Per gli esperti si tratta di una scoperta molto importante per programmare al meglio le prossime missioni, tra cui il progetto Artemis per il nostro ritorno sulla Luna. Ulteriori approfondimenti giungeranno grazie alla sonda indiana Chandrayaan-3, atterrata e già operativa al Polo Sud. La ricerca è disponibile sulla rivista Journal of Geophysical Research: Planets.
Come avvengono i terremoti sulla Luna e l’influenza di Apollo 17
Prima di analizzare l’impatto di Apollo 17 sulla superficie della Luna, occorre precisare come avvengono i terremoti sul nostro satellite. Come ha spiegato la Cnn, a differenza della Terra non esistono delle placche tettoniche in movimento in grado di causare eventi catastrofici. Presente però un’attività interna che potrebbe generare scosse improvvise in qualsiasi momento o luogo. Altra causa dei sismi possono essere i meteoriti, che cadono a grande velocità poiché privi del contrasto dell’atmosfera. In parallelo, esistono però quelli che gli scienziati chiamano terremoti termici, ossia frutto delle escursioni di temperatura che caratterizzano giorno e notte. La colonnina di mercurio può infatti salire fino a 121 gradi sotto i raggi del Sole, ma scendere anche oltre 130 gradi sotto lo zero nel momento di buio, provocando un movimento continuo dell’intera superficie che si contrae o si espande. Lo stesso avviene per le strutture artificiali, come Apollo 17.
«Ogni mattina, quando il Sole colpisce il lander, partono piccole scosse», ha ricordato alla Cnn Allen Husker, autore dello studio e ricercatore di geofisica alla Caltech. «Avvengono ogni cinque o sei minuti seguendo un ritmo regolare e ripetitivo per sei o sette ore». Impossibile per l’uomo tuttavia percepirli, anche se fosse in piedi sulla Luna. Il sisma infatti è talmente lieve da non comportare alcun allarme e da non provocare danni alla strumentazione. La ricerca, come ha spiegato lo scienziato della Nasa Francesco Civilini, sarà però importante per capire come l’attività sul satellite impatta sui macchinari umani. «Quanto sono robusti i nostri rover e quali rischi potrebbero affrontare?», ha inoltre aggiunto la dottoressa Angela Marusiak dell’Arizona. «Comprenderlo ci aiuterebbe a migliorare le missioni future».
L’importanza della missione indiana Chandrayaan-3 al Polo Sud
Lo studio della Caltech non conduce a una conclusione definitiva, ma rappresenta solo il primo passo di una ricerca che proseguirà nel prossimo futuro. Fondamentale, come ha confermato Marusiak, saranno anche i dati della sonda indiana Chandrayaan-3. «Possiede un sismografo che già dopo il suo allunaggio ha potuto rilevare un piccolo terremoto», ha precisato la dottoressa. Attualmente in pausa, il rover riprenderà la sua attività venerdì 22 settembre, non appena la luce del Sole arriverà sul sito di atterraggio. Sin dal suo arrivo, infatti, la navicella dell’Isro non ha potuto lavorare durante la fredda e lunga notte lunare in quanto il sistema necessita di energia solare. «Spero che anche le missioni Artemis saranno dotate di sismografi», ha concluso Husker. «Sono vitali per comprendere un corpo celeste di cui ancora sappiamo molto poco».
Aditya-L1 Mission: Aditya-L1 has commenced collecting scientific data.
The sensors of the STEPS instrument have begun measuring supra-thermal and energetic ions and electrons at distances greater than 50,000 km from Earth.
Nella scienza ci sono dei riconoscimenti che «fanno prima ridere e poi pensare». Si tratta degli IgNobel, i premi dedicati alle 10 ricerche e scoperte più stravaganti e più bizzarre assegnati dalla rivista Annals of Improbable Research. L’edizione 2023 si è svolta, come le precedenti tre dallo scoppio della pandemia, interamente online alla presenza di studiosi vincitori dei più celebri e acclamati Nobel. Numerosi i campi sotto osservazione, dalla letteratura alla chimica, passando per l’ingegneria meccanica e la salute pubblica. Spiccano indubbiamente un’analisi sul perché gli esperti amino leccare rocce e fossili, ricerche sul sesso delle alici e la rianimazione dei ragni o l’invenzione di toilette intelligenti. Tra i vincitori però non c’è nessun italiano.
Dalla chimica all’ingegneria meccanica, tutti gli IgNobel 2023
Impossibile non iniziare dal curioso riconoscimento per la chimica, assegnato al polacco Jan Zalasiewicz per la sua ricerca sul perché gli scienziati leccano fossili e rocce. Ha rivelato infatti che nel XVIII secolo, l’italiano Giovanni Arduino utilizzava il gusto per distinguere i minerali. Oggi però la ragione è diversa. «Lo facciamo per aiutare la vista, dato che una superficie bagnata mostra le sue proprietà meglio di una asciutta», ha spiegato nel ritirare il premio. Quanto alla nutrizione, l’IgNobel 2023 è invece andato ai giapponesi Homei Miyashita dell’Università Meiji e Hiromi Nakamura dell’Università di Tokyo per uno studio sulle bacchette da sushi elettrificate. «Possono cambiare il gusto del cibo immediatamente con la stimolazione elettrica», hanno detto gli esperti. «Un’azione impossibile con i condimenti convenzionali».
Passando alla salute pubblica, ha trionfato il sudcoreano Seung-min Park grazie all’invenzione della Stanford Toilette, un bagno smart in grado di effettuare analisi in poco tempo. Permette infatti di controllare le urine e le feci tramite numerosi sensori posti all’interno del water. È possibile, secondo il suo studio, restringere nettamente i tempi e migliorare la prevenzione per eventuali malattie. Quanto all’ingegneria meccanica, l’IgNobel 2023 è andato a cinque scienziati provenienti da India, Malesia, Usa e Cina. Encomio speciale infatti per la ricerca sulla rianimazione dei ragni, al fine di utilizzarli come strumenti da presa. «L’idea è nata quando nel laboratorio ne abbiamo visto uno rannicchiato in un angolo», ha raccontato Te Faye Yap, principale autore dello studio. «Le zampe funzionano come un pugno chiuso grazie a forti muscoli flessori. Con un approccio necrobiotico abbiamo creato una pinza che potrebbe anche afferrare oggetti irregolari».
Insegnanti noiosi e peli nel naso, i premi per medicina e letteratura
Il premio per la fisica è andato invece a un team spagnolo che ha analizzato per mesi il sesso delle acciughe. Si è infatti scoperto che si radunano di notte al largo delle coste galiziane per deporre le uova, creando così dei piccoli vortici che mescolano l’acqua. «Non avrei mai pensato di poter attirare così tanta attenzione», ha raccontato Bieito Fernandez Castro nel ricevere il premio. Nell’educazione hanno vinto otto scienziati che hanno spiegato perché alcuni insegnanti, annoiati del proprio lavoro, a lezione trasmettano il loro stato emotivo agli studenti. «La noia genera noia», si legge nella ricerca. L’IgNobel 2023 per la psicologia è andato a Stanley Milgram, Leonard Bickman e Lawrence Berkowitz per aver condotto un esperimento in una strada cittadina per vedere quanti passanti si fermano a guardare in alto quando vedono degli estranei fare la stessa cosa.
Un estudo sobre bioturbulencia na costa de Bueu, coa participación do IIM e publicado en @NatureGeosci, fíxose co @IgNobel de Física 2023!
Un xeito de achegar ao público ciencia de calidade que fai rir… e tamén pensar. Parabéns ao equipo!
— Instituto de Investigacións Mariñas – CSIC (@IIM_CSIC) September 15, 2023
L’Ignobel 2023 per la medicina è invece stato assegnato a un team di otto scienziati che ha analizzato vari cadaveri per scoprire se le narici di un soggetto contengono un uguale numero di peli. Passando al campo della letteratura, l’Annals of Improbable Research ha voluto premiare una peculiare ricerca sulle sensazioni che si percepiscono quando si scrive ripetutamente la stessa parola. Ne deriva un fenomeno altrimenti noto come Jemais vu, ossia quando le persone non reputano familiare qualcosa che in realtà dovrebbe esserlo. Nella comunicazione ha vinto un’equipe sudamericana che ha analizzato le attività mentali di un soggetto esperto nel parlare al contrario.
La Nasa ha pubblicato i risultati del tanto atteso studio sugli Ufo. In un rapporto di 33 pagine, dal proprio quartier generale di Cape Canaveral l’agenzia spaziale ha analizzato per un anno centinaia di avvistamenti potenziali di Uap, fenomeni volanti non identificati. Costato 100 mila dollari, tuttavia, non sembra poter aggiungere molto a quanto già noto in precedenza. «Non abbiamo prove conclusive», hanno affermato gli esperti. «Tuttavia, non c’è motivo per dire che i rapporti esistenti abbiano fonte extraterrestre». Sebbene gli attuali dati siano negativi, la Nasa «non è nella condizione di escludere l’esistenza di vita aliena». Alcuni avvistamenti infatti, provenienti da fonti attendibili, appaiono ancora senza spiegazione. A tal proposito, si impegnerà a proseguire la ricerca in futuro, sfruttando le potenzialità delle nuove frontiere tecnologiche tra cui l’intelligenza artificiale.
The full report by the unidentified anomalous phenomena report (UAP) independent study team can be found here: https://t.co/RoY8p9ce5l
Based on the team's recommendations, NASA will appoint a director of UAP research. At 10am ET (1400 UTC), we'll livestream a briefing from…
La Nasa e il report sugli Ufo: «Qualche avvistamento è ancora inspiegabile»
«Molte delle missioni scientifiche della Nasa sono, almeno in parte, focalizzate sulla risposta alla domanda se esista vita oltre la Terra», si legge nel rapporto dell’agenzia. «La ricerca di segni di tecnologia aliena è un’estensione naturale di tali indagini». Un team di 16 esperti ha analizzato Ufo e Uap, per la maggior parte spiegabili come aerei, palloni aerostatici o velivoli militari. Sfatato, fra i tanti, il celebre video GoFast girato nel 2014 da un aviatore della Marina americana della USS Theodore Roosevelt. Il filmato infatti sembrava mostrare un oggetto muoversi a pelo d’acqua, prima di svanire nel nulla. Si è scoperto che l’oggetto si muoveva ad appena 64 chilometri orari, tipica velocità del vento a circa 4 mila metri di quota. A ingannare l’occhio umano è stato il rapido spostamento del jet che ha effettuato le riprese e l’angolazione della telecamera.
In alcuni casi, però, non è stato possibile trarre una spiegazione definitiva. «Molti testimoni credibili hanno riferito di aver visto oggetti che non riconoscevano nello spazio aereo», si legge nel rapporto della Nasa. «Una piccola manciata non può essere spiegata con certezza per carenza di dati». La mancanza di sufficienti fonti cui attingere rappresenta, come ha spiegato l’agenzia spaziale, il più grande ostacolo alla ricerca sugli Ufo. «Spesso mancano le prove che potrebbero far giungere a una conclusione definitiva». Sperando di poterne ottenere in futuro, la Nasa ha promosso un «approccio basato sull’evidenza e la trasparenza», pianificando collaborazioni e un utilizzo sapiente e condiviso delle risorse.
Dall’intelligenza artificiale ai satelliti di Elon Musk, gli strumenti del futuro
Al fine di potenziare la ricerca sugli Ufo e gli Uap, la Nasa promette di utilizzare nel prossimo futuro anche l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico. «App open source e altri metadati per smartphone provenienti da osservatori di tutto il mondo saranno fondamentali», si denota nel report. «Sarà necessario creare un sistema standardizzato per aggregare e organizzare le rilevazioni civili». I cittadini potranno, nel loro piccolo, giocare un ruolo cruciale nella ricerca, colmando le lacune degli strumenti scientifici. «Il loro contributo non può essere sottovalutato», ha spiegato lo scienziato David Spergels. «Per questo avvieremo varie attività di crowdsourcing». Probabile anche una collaborazione con la rete di satelliti Starlink di Elon Musk. «Tali costellazioni commerciali potrebbero fornire un potente complemento alle nostre fonti».
Infine, spazio anche per la recente rivelazione di “cadaveri alieni” in Messico. «Non possiamo fare alcuna congettura», ha spiegato la Nasa. «Chiediamo alle autorità locali di rendere pubblici i campioni disponibili per vedere cosa c’è di vero». In definitiva, dunque, non è ancora possibile rispondere alla domanda se siamo soli o meno nell’Universo. Per farlo, occorreranno verosimilmente molti altri anni di studio e forse tecnologie ancora non a disposizione degli scienziati. «Continueremo a cercare», ha detto Bill Nelson, amministratore della Nasa. «C’è ancora molto da imparare». In arrivo infatti un nuovo direttore per gli Uap, incaricato di studiare esclusivamente tali fenomeni.
L’8 settembre scorso in Marocco, poco prima che un violento terremoto devastasse il Paese, nei cieli di varie città sono comparsi dei misteriosi e improvvisi bagliori. Potrebbe trattarsi, come documentato da decine di video sui social, di quelle che gli scienziati definiscono luci telluriche, ossia un fenomeno ottico che può verificarsi nelle aree ad elevato stress tettonico. Sebbene se ne abbia notizia da secoli, non è ancora stata elaborata una teoria comune che ne definisca con certezza origine e composizione. «Per vederle occorrono l’oscurità e altri fattori favorevoli», ha spiegato alla CnnJohn Derr, ex geofisico dell’Us Geological Survey in pensione. Data l’imprevedibilità dei sismi, studiarle è molto difficile: impossibile infatti preparare per tempo tutta la strumentazione necessaria per una ricerca approfondita sul luogo di interesse.
This clip is from a surveillance camera in the city of Agadir,Morocco, at the moment the earthquake occurred…
Those Mysterious blue flashes of light appeared again on the horizon and no one knew what they were. pic.twitter.com/TEZrkpeNcr
Luci telluriche, forma e posizione dei bagliori poco prima di un terremoto
Oltre ai video girati in Marocco, in Rete è possibile trovare numerose testimonianze delle luci telluriche in tutto il mondo. Si intravedono per esempio durante il sisma di Pisco, in Perù, del 2007 e in quello cinese di Sichuan dell’anno successivo. Comparando i due filmati si nota però come i bagliori assumano delle forme differenti in entrambi i casi. Il dottor Derr ha provato a descriverli in uno studio del 2019 sull’Enciclopedia della geofisica della terra solida. A volte, le luci telluriche possono presentarsi come normali fulmini oppure come una lunga fascia luminosa nell’atmosfera, ricordando l’aurora boreale. In altri casi, come per il sisma in Cina del 2008, appaiono sotto forma di nubi luminose che fluttuano in cielo. Possono infine assumere la sembianza di piccole o grandi fiamme che si sprigionano dalla crosta terrestre.
Update: Morocco Quake Death Toll Exceeds 2,900, 300,000 homeless and one third are children.
Già nel 2014, Derr e alcuni suoi colleghi avevano analizzato 65 terremoti fra Stati Uniti ed Europa associati a rapporti affidabili di luci telluriche dal XVII secolo fino ai giorni nostri. Si è scoperto, come dimostra il report disponibile su Seismological Research Letters, che l’80 per cento dei bagliori si è verificato in un terremoto superiore ai cinque gradi di magnitudo. Molto spesso il fenomeno è avvenuto poco prima delle scosse ed è stato visibile fino a 600 chilometri di distanza dall’epicentro. Si è notato che, sebbene i sismi più violenti si verifichino per l’incontro di due placche tettoniche, le luci telluriche hanno luogo spesso in quelli registrati al loro interno. Spesso, infine, si presentano laddove anticamente la crosta terrestre si è lacerata, creando una regione piana tra due blocchi di terra più alti.
Dal campo elettrico al magnetismo, le probabili origini del fenomeno
Quanto all’origine delle luci telluriche, gli scienziati hanno avanzato varie teorie. Alcuni ritengono derivino dalla perturbazione del campo magnetico terrestre indotta dalle scosse. Altri, come il fisico della San José State University e della Nasa Friedemann Freud, dall’effetto piezoelettrico. Si tratta di quel fenomeno per cui le rocce contenenti cristalli di quarzo, se deformate in un certo modo, possono produrre un forte campo elettrico. «È come se si accendesse una batteria», ha spiegato l’esperto in un articolo per The Conversation. «Il terremoto facilita il rilascio delle cariche, che si combinano in uno stato simile al plasma e possono così viaggiare a velocità elevate, divampando in superficie fino a formare scariche elettriche nell’aria». Un’altra ipotesi, meno suggestiva, ritiene che le luci telluriche siano di origine artificiale, prodotte dalla nostra rete durante le scosse. Infine, c’è chi pensa si tratti di una mera coincidenza.
L’India ce l’ha fatta. La sonda Chandrayaan-3 ha ultimato con successo le operazioni di allunaggio ed è atterrata in perfette condizioni sulla Luna. Alle 14.33 italiane la navicella dell’Isro, l’Agenzia indiana per la ricerca spaziale, ha toccato la superficie del satellite, scrivendo una nuova pagina della storia umana. È la prima volta che un team riesce a raggiungere il polo Sud, finora inesplorato per via di un terreno molto impervio e condizioni atmosferiche difficili. Enorme gioia nella sala di controllo, con il direttore della missione Veeramuthuvel che parlato di «grande soddisfazione». È arrivato anche un messaggio di congratulazioni da parte del presidente Narendra Modi, impegnato in Sudafrica per il vertice dei Brics. «L’India ora è sulla Luna», ha affermato raggiante il primo ministro. «Il cielo non rappresenta un limite. Il mondo si ricorderà di noi».
Chandrayaan-3 Mission: 'India, I reached my destination and you too!' : Chandrayaan-3
Chandrayaan-3 has successfully soft-landed on the moon !.
Chandrayaan-3 è sulla Luna, cosa accadrà ora: i prossimi passi
La discesa era iniziata alle 14.15 italiane, dando avvio ai «15 minuti di massimo terrore», come hanno spiegato gli scienziati. Il lander infatti si è dovuto fare strada all’interno di un’area «molto irregolare, piena di crateri e di massi». Complicato anche l’atterraggio, non potendo contare sul freno naturale garantito invece sulla Terra dall’atmosfera. Fortunatamente, a differenza di quanto avvenuto con la sonda Luna-25 della Russia, tutti i processi sono stati ultimati senza intoppi e la sonda ha completato le operazioni. Cosa succederà ora? Come ha spiegato anche la Bbc, il lander resterà immobile per alcune ore per permettere che la polvere lunare sollevata all’atterraggio si depositi completamente. Successivamente, si apriranno alcuni pannelli su uno dei due lati, da cui verrà dispiegata una rampa. Da qui uscirà Pragyaan, il rover che si occuperà di effettuare monitoraggio e campionamento sulla superficie.
Il rover dell’India si muoverà fra le rocce e i crateri del polo Sud della Luna, raccogliendo dati e soprattutto immagini cruciali per la ricerca scientifica. Grazie a cinque strumenti all’avanguardia, tra cui spettrometri a raggi X e spettroscopi laser, studierà le caratteristiche fisiche della superficie, l’atmosfera in prossimità del terreno e l’attività tettonica per studiare cosa avviene nel sottosuolo. Non casuale la data dell’allunaggio, che coincide con l’inizio del giorno lunare, equivalente a 28 giorni sulla Terra. Per funzionare al meglio, il rover Pragyaan infatti necessita della luce solare per poter caricare costantemente le batterie e alimentare la sua strumentazione. «È straordinario, un risultato enorme», ha spiegato alla Bbc la dottoressa Maggie Leu dell’Esa. «Il peggio è passato, ora potremo iniziare a vedere i risultati di questo grande traguardo».
Preghiere nei templi e gente in strada, l’India è in festa
L’intera popolazione ha seguito con estasi e apprensione lo sbarco di Chandrayaan-3 sulla Luna. Secondo Sky News, circa 1 miliardo di persone ha assistito alle operazioni in televisione oppure collegandosi sul web da smartphone o tablet. Ora invece, sui social network impazzano gli hashtag legati alla missione dell’Isro e al futuro della ricerca spaziale indiana. In tanti si sono riversati in strada con cartelloni e striscioni di giubilo e complimenti all’Isro. Enorme anche la partecipazione degli studenti. Come ha riportato Reuters, migliaia di ragazzi già dalla notte hanno scritto messaggi per augurare buona fortuna all’agenzia. Nello stato dell’Uttar Pradesh, il governo ha ordinato alle scuole di organizzare proiezioni speciali poiché la riuscita dell’allunaggio «incoraggerà la curiosità e instillerà nei giovani la passione per la ricerca».
A Calcutta è invece in programma una festa della scienza per celebrare la missione Chandrayaan-3 che sarà trasmessa in diretta televisiva e streaming. «Voglio anche ringraziare ogni persona che ha pregato che la missione fosse un successo», ha dichiarato Sreedhara Panicker Somnath, il capo di Isro. «Si compie così il lavoro di un’intera generazione di scienziati». Nella giornata del 22 agosto infatti, soprattutto a Mumbai e Varanasi, migliaia di fedeli hanno affollato templi e moschee dell’India per invocare l’aiuto delle divinità.
La Nasa recluta gli influencer per coprire in diretta sui social il lancio di una nuova missione spaziale. Fino a 35 creator digitali, infatti, il prossimo 5 ottobre potranno assistere dal vivo al decollo di Psyche, la navicella che volerà fino a un asteroide fra Marte e Giove per analizzarne la composizione metallica. La registrazione è aperta a tutti gli appassionati di spazio che condividono sui profili personali Instagram, TikTok o YouTube video o articoli di natura scientifica. È possibile registrarsi sul sito ufficiale della Nasa o tramite l’account di Twitter (X) Nasa Social fino a lunedì 28 agosto. Possono partecipare i maggiorenni di tutto il mondo e non ci sono requisiti minimi di follower o interazioni. In parallelo, l’agenzia spaziale americana ha diramato i nomi dei geologi che parteciperanno al progetto Artemis 3 che mira a riportare l’uomo sulla Luna.
Nasa, i dettagli della missione Psyche e del progetto per gli influencer
I 35 fortunati influencer selezionati dalla Nasa avranno il privilegio di entrare nel Kennedy Space Center in Florida. Da qui il 5 ottobre partirà, grazie a un razzo SpaceX Falcon Heavy, la missione Psyche che punta a un omonimo asteroide che orbita fra Marte e Giove. È composto esclusivamente di metallo, così come il nucleo della Terra, irraggiungibile però in quanto troppo in profondità sotto la crosta e mantelli rocciosi. Sarà dunque come «aprire una finestra sulla formazione dei pianeti», ha spiegato la Nasa, parlando di «un’occasione unica per vedere un mondo ancora inesplorato». Al momento, la missione Psyche si trova nella quarta di sei fasi totali, in cui la squadra sta lavorando per assemblare e testare strumenti e veicoli.
Metalheads, digital creators, and people who just rock: Apply by Monday, Aug. 28, for a chance to snap photos and video at @NASAKennedy of the launch of our #MissionToPsyche, set to lift off on a @SpaceX Falcon Heavy rocket on Oct. 5. https://t.co/YXgMRWknuw
Gli influencer, oltre ad assistere al lancio, avranno accesso a diverse strutture del Kennedy Space Center per una visita con gli esperti. Incontreranno astrofisici e astronauti della Nasa, con cui interagiranno al fine di comprendere dettagli sulla missione attuale e su quelle future. In parallelo, dovranno creare contenuti da pubblicare sui social, dalle stories ai post, utilizzando gli hashtag #NasaSocial e #MissiontoPsyche. Sebbene non siano presenti requisiti minimi di partecipazione, a differenza di quanto fatto di recente dalla Bbc, il programma è riservato a coloro che vantano un corposo seguito online. La Nasa ha spiegato che potranno registrarsi gli influencer che «producono regolarmente contenuti» e «hanno il potenziale per raggiungere un’ampia fetta di pubblico». Fondamentale infatti avere un database di pubblicazioni vasto e dettagliato, con attenzione alla qualità e alla precisione. In caso di annullamento del lancio di Psyche, nessuna paura: si potrà accedere anche nella nuova data.
Non solo Psyche, è ufficiale il team di geologi per il ritorno sulla Luna
La Nasa ha anche diramato i nomi dei geologi che lavoreranno per il progetto Artemis 3, che mira al ritorno sulla Luna dell’uomo dopo oltre 50 anni. «È un importante passo per ottimizzare la missione», ha spiegato in una nota ufficiale il dottor Joel Kearns della Nasa. «Stiamo assicurando un futuro alla ricerca». Sotto la guida di Brett Denevi, fisico della John Hopkins University, 11 scienziati pianificheranno le attività che gli astronauti effettueranno sulla Luna. Dovranno programmare le passeggiate sulla superficie, la raccolta dei campioni e la selezione delle immagini. «Analizzeranno per primi le rocce del polo Sud», ha sottolineato la Nasa. «Scopriremo nuove importanti informazioni sulla formazione del nostro Sistema solare». Nel team figurano geologi di Londra e Manchester, ma anche El Paso e New Jersey.
The future astronauts of the @NASAArtemis III mission to the Moon will perform geology tasks designed by a newly-announced team of 12 lunar scientists led by @JHUAPL: https://t.co/G7RzgUkoUy
The team will plan moonwalk activities including sampling, imagery, and taking… pic.twitter.com/I7UFiXUZj9
La sonda lunare indiana Chandrayaan-3 è pronta per l’allunaggio. L’agenzia spaziale Isro ha annunciato che il lander è entrato con successo nell’orbita del satellite e ha raggiunto la posizione ideale per l’atterraggio. Come hanno confermato gli stessi scienziati su Twitter, dovrebbe toccare la superficie alle 18.04 locali, circa le 14.30 italiane. Complice il fallimento della missione russa Luna-25, il cui velivolo si è schiantato prima di raggiungere il suolo, l’evento risulta ancor più cruciale per la corsa allo spazio. In caso di successo, l’India sarebbe infatti la prima a esplorare il polo Sud del satellite, battendo giganti come Cina e Stati Uniti. Tante però le preoccupazioni, in quanto le insidie sono molteplici. Le manovre sono infatti estremamente difficili, dato che non si può contare sul freno naturale dell’atmosfera, assente sulla Luna.
Chandrayaan-3 Mission:
Chandrayaan-3 is set to land on the moon on August 23, 2023, around 18:04 Hrs. IST.
La sonda dell’India Chandrayaan-3 ha scattato diverse foto della Luna
Lunedì 21 agosto l’agenzia spaziale Isro ha anche pubblicato su Twitter quattro fotografie della superficie lunare scattate da Chandrayaan-3. A realizzarle la Lander Hazard Detection and Avoidance Camera, che gli scienziati hanno progettato per scandagliare il suolo e trovare così il posto ideale per l’atterraggio. Nelle immagini è possibile vedere in modo nitido i crateri della faccia nascosta della Luna e le irregolarità del terreno. In caso di successo, dal lander uscirà un rover dotato di strumentazione all’avanguardia per poter raccogliere campioni di roccia da studiare in futuro. Le sue esplorazioni in una regione così sconosciuta come il polo Sud lunare saranno utili anche per andare alla ricerca di acqua, verosimilmente sotto forma di ghiaccio. «Se tutto va bene, segnerà un passo significativo per scienza, tecnologia, ingegneria e industria dell’India», ha spiegato in una nota ufficiale l’Isro. «Simboleggerà il nostro progresso».
Chandrayaan-3 Mission:
Here are the images of Lunar far side area captured by the Lander Hazard Detection and Avoidance Camera (LHDAC).
This camera that assists in locating a safe landing area — without boulders or deep trenches — during the descent is developed by ISRO… pic.twitter.com/rwWhrNFhHB
In passato, anche Giappone, Emirati Arabi Uniti e Israele avevano tentato di atterrare sul polo Sud della Luna, senza successo. La stessa agenzia dell’India con la missione Chandrayaan-2 del 2019 tentò le medesime operazioni, terminate con lo schianto della sonda. Oltre alla mancanza di attrito dell’atmosfera, infatti, come ha riportato il Guardian, il suolo lunare presenta troppe irregolarità che possono mettere in difficoltà qualsiasi mezzo in più situazioni. Come testimonia quanto accaduto alla sonda del Roscosmos russo, con cui si sono persi improvvisamente i contatti prima dello schianto. «Ci riproveremo», ha però rassicurato in un comunicato ufficiale l’agenzia spaziale di Mosca. «Dimostreremo di essere in grado di sbarcare sulla Luna».
Nuovi importanti dettagli sulla mummia di Ötzi, uomo di 5300 anni fa rinvenuto nel 1991 in una gola delle Alpi tirolesi, fra Austria e Italia. Analizzando il suo Dna, un gruppo di ricerca internazionale ha scoperto che la sua pelle era più scura di quanto si pensasse finora e che aveva una calvizie già molto pronunciata. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cell Genomics, ha inoltre suggerito che discendeva da una popolazione di agricoltori giunta dall’Anatolia, l’odierna Turchia, aggiungendo interessanti elementi per comprendere l’origine delle persone europee. «Ötzi è un dono incredibile per la scienza», ha spiegato alla Cnn il dottor Lars Holger Pilø, archeologo che ha studiato per diversi anni la mummia. «Può ancora dare molto grazie alle nuove tecnologie». L’analisi genetica ha poi permesso di identificarne la dieta, fatta principalmente di carne di cervo e stambecco.
Ötzi aveva pelle scura e pochi capelli: i dettagli dello studio scientifico
Per quanto rivoluzionaria, secondo i suoi autori la scoperta non è del tutto sorprendente. «Direi che basta guardare la mummia», ha affermato Johannes Krause, genetista del Max Plank Institute. «Probabilmente rappresenta il colore della pelle di Ötzi piuttosto bene. È relativamente scura, anche più scura dei toni di pelle comuni nel sud dell’Europa odierno, come quelli riscontrabili in Sicilia e in Andalusia. Meno di quella delle persone originarie delle regioni a sud del Sahara». La scoperta dunque spiega l’attuale colore della mummia, che in passato si pensava fosse scaturito dal processo di conservazione nel ghiaccio alpino. «I primi agricoltori europei avevano la pelle piuttosto scura, poi schiaritasi come adattamento al nuovo clima e alla dieta», ha aggiunto Albert Zink dell’Eurac Research di Bolzano. «Consumavano meno vitamina D rispetto ai cacciatori-raccoglitori».
Del tutto errata dunque la rappresentazione di Ötzi presente al Museo Archeologico di Bolzano, dove la mummia è attualmente conservata. Realizzata dopo le prime analisi genomiche, lo dipinge come un uomo sui 45 anni dalla carnagione bianca e con folti capelli e una lunga barba. «I suoi geni dimostrano che aveva una predisposizione genetica per la calvizie», ha proseguito Pilø. «Gran parte dei capelli però credo gli siano caduti post mortem, durante la decomposizione dell’epidermide». L’analisi del Dna ha poi permesso di comprendere la dieta di Ötzi, costituita prettamente di carne. «Nel suo stomaco abbiamo trovato tracce di stambecco e cervo», ha dichiarato Zink. «Pensiamo che fossero tra le sue principali fonti di nutrimento». Uno studio approfondito sulle sue armi – un arco e un’ascia – hanno confermato che era destrorso.
La storia dell’uomo e la morte tragica sulle Alpi
Noto anche come uomo del ghiaccio o uomo di Similaun, Ötzi prende il nome da Ötztal, la regione dove fu rinvenuto da alcuni escursionisti nel 1991. I primi studi suggerirono che fosse morto per assideramento, ma già nel 2001 si scoprì una punta di freccia nella schiena, probabilmente fatale. Gli scienziati hanno anche individuato tracce di un trauma cranico e di una ferita sulla mano destra. «La sua storia è davvero intrigante e tragica», ha concluso Zink. «Compreso il mistero sulla sua morte violenta: perché si trovava lassù? E quali motivi hanno spinto il suo aggressore?». L’esperto ha suggerito che, grazie alle moderne tecnologie, nuovi studi faranno luce anche su dettagli ancora oscuri di Ötzi, ad oggi la più antica mummia umana naturale mai trovata in Europa.
Secondo le leggi della fisica, l’intero universo è governato da quattro forze della natura. Ogni elemento o particella infatti interagisce con le altre grazie a gravità, elettromagnetismo e forze nucleari forte e debole. Si tratta di quello che gli scienziati chiamano modello standard, che dalla fine degli Anni 60 ha consentito di spiegare il comportamento del cosmo senza errori o falle. Un recente studio del Fermilab di Chicago, però, potrebbe essere vicino a una scoperta in grado di rivoluzionare tutto quello che sappiamo. Analizzando le particelle subatomiche dette muoni, gli esperti hanno notato un comportamento anomalo apparentemente inspiegabile. Potrebbe essere frutto di una quinta forza, finora solo ipotizzata e fantasticata. «Siamo vicini a qualcosa di nuovo, un terreno inesplorato», ha detto alla Bbc Brendan Casey, coautore del progetto. Se confermata, sarebbe la scoperta più importante dalla teoria della relatività di Albert Einstein.
Muons act as a window into the subatomic world because information from every particle and force is encoded in #gminus2. If g-2 deviates from the Standard Model, it could be evidence of undiscovered particles or forces, opening the door to exciting new realms of science! pic.twitter.com/HH5Xrd6cjD
Cos’è la quinta forza della natura e perché è rivoluzionaria
La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Physical Review Letters, è opera di un team del Fermi National Accelerator Laboratory (Fermilab), alle porte di Chicago. Gli scienziati hanno studiato il comportamento dei muoni, particelle elementari a carica negativa con massa 200 volte superiore agli elettroni che si formano per esempio quando i raggi cosmici incrociano l’atmosfera terrestre. Li hanno “lanciati” in un acceleratore di particelle circolare dal diametro di 15 metri fino a far raggiungere loro una velocità simile a quella della luce. Dopo circa 1000 giri, hanno iniziato a oscillare in modo anomalo, mostrando una proprietà non riscontrabile nelle quattro forze della natura. Il loro movimento magnetico sarebbe guidato da un’energia ancora sconosciuta, probabilmente la quinta forza. «I muoni possono essere analizzati in modo preciso nel modello standard», ha detto il professor Jon Butterworth dello University College di Londra. «Stavolta però i risultati sono diversi».
What's next? The Muon g-2 experiment is already analyzing data for their final result. Meanwhile, the Muon g-2 Theory Initiative is shoring up the predicted value. Both groups aim to have new results by 2025. It will be a very exciting showdown! #gminus2https://t.co/hoH7oIuuwspic.twitter.com/oSlkDGIRsZ
«Questa discrepanza tra risultato e previsione potrebbe essere il Sacro Graal della fisica», ha precisato al GuardianMitesh Patel dell’Imperial College londinese. «Siamo al punto di partenza di una rivoluzione di quanto sappiamo sull’universo». Prima di appuntare una nuova teoria, però, i ricercatori avranno bisogno di ulteriori conferme attese entro il 2025. «Il prossimo passo sarà la resa dei conti», ha spiegato Patel. Gli ha fatto eco anche il fisico italiano Graziano Venanzoni, docente all’università di Liverpool che ha parlato alla Bbc di «qualcosa di importante che ancora non sappiamo descrivere». Oltre al Fermilab di Chicago, alcuni scienziati del Large Hadron Collider del Cern sono al lavoro per confermare la teoria della quinta forza. Con esperimenti diversi hanno raggiunto simili conclusioni, in attesa di conferma da ulteriori analisi.
Dal Big Bang alla materia oscura, cosa potrebbe cambiare nella fisica
Da tempo gli scienziati ipotizzavano la presenza di una quinta forza della natura capace di muoversi nel cosmo. La sua esistenza, se confermata, potrebbe infatti aiutare la comprensione sulle galassie, capendo perché continuano ad accelerare anche dopo il Big Bang o perché ruotano troppo velocemente rispetto a quanto dovrebbero in base alla materia che contengono. Forse, la quinta forza potrebbe persino svelare il segreto della materia oscura, ipotetica componente che non emetterebbe radiazioni elettromagnetiche. «Aprirebbe una nuova finestra sul mondo della fisica», hanno chiosato entusiasti gli scienziati del Fermilab.
Nei fondali del Canale di Sicilia sono stati scoperti tre vulcani sottomarini. È il risultato di una spedizione scientifica, la M191 SUAVE, coordinata dall’Università di Malta e dall’Istituto di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste, l’Ogs. I tre coni vulcanici sono stati individuati nell’area tra Mazara del Vallo e Sciacca. E con loro anche il relitto di una nave, a metà strada tra l’isola vulcanica di Linosa e la stessa Sicilia. Lo studio sulla Meteor, imbarcazione tedesca, ha permesso di chiarire anche alcuni fenomeni di idrotermalismo.
Tre vulcani sottomarini, vari fenomeni di idrotermalismo e il relitto di una nave: sono le scoperte fatte nel corso della spedizione scientifica internazionale M191 SUAVE a cui ha preso parte anche l'OGS. https://t.co/YEBR3XDeWEpic.twitter.com/u1070lXrDD
L’Ogs aveva scoperto altri coni vulcani nella stessa area nel 2019. Questi tre misurano circa sei chilometri in larghezza e sono alti oltre 150 metri rispetto al fondo del mare circostante. Per esplorare i fondali in varie zone del Canale di Sicilia, i ricercatori hanno utilizzato un ecoscandaglio Multibeam, che permette di ricostruire la morfologia del terreno sommerso. Sono stati usati anche un magnetometro per cercare anomalie associate a strutture vulcaniche sottomarine e un sistema di sismica ad alta risoluzione, per le caratteristiche geologiche della parte più in superficie. Anche così è stata ritrovata la nave. Il relitto è lungo 100 metri e largo 17 e si trova a 110 metri di profondità sul Banco Senza Nome.
L’Ogs: «Scoperta fondamentale per ricostruire la storia del Mediterraneo»
A spiegare l’entità della scoperta è stata Giulia Matilde Ferrante, ricercatrice della sezione di Geofisica dell’Ogs: «Queste informazioni saranno fondamentali per ricostruire la storia geologica di una delle regioni più complesse del Mediterraneo centrale dove, a partire da circa 4-5 milioni di anni fa, si è sviluppato un sistema di profonde fosse legato a tetto di tipo estensionale, che tecnicamente chiamiamo “rift”, che non hanno portato però alla formazione di crosta oceanica». Durante la ricerca, sono stati raccolti diversi campioni di roccia e saranno analizzati nei prossimi mesi per ricavare l’età dei vulcani.
L’India ha compiuto un altro piccolo passo verso la sua personale conquista della Luna. La sonda della missione Chandrayaan-3, partita il 14 luglio dall’Andra Pradesh, ha infatti registrato un breve filmato del suo avvicinamento al satellite, confermando il suo ingresso nell’orbita. Il video, composto da una serie di fotogrammi, è solo un piccolo antipasto di quanto verrà pubblicato nel mese di agosto, in attesa del vero e proprio allunaggio previsto fra martedì 22 e mercoledì 23. Gli scienziati dell’Isro, l’Agenzia di ricerca spaziale indiana, hanno spiegato che ogni manovra è stata completata con successo e che la sonda sembra «in ottima salute». Qualora la missione avesse successo, l’India diventerebbe la quarta nazione a effettuare un atterraggio sulla superficie della Luna dopo Stati Uniti, Russia e Cina.
Chandrayaan-3, i prossimi passi per il primo allunaggio dell’India
«Abbiamo pianificato una serie di manovre per ridurre gradualmente l’orbita del veicolo spaziale», ha detto alla Bbc il capo dell’Isro Sreedhara Panicker Somanath. «Lo posizioneremo in seguito sopra i poli». Per farlo, gli scienziati separeranno la sonda dal lander durante le fasi di discesa, prima di avviare la frenata e favorire così un «allunaggio morbido e controllato» sulla superficie. Se l’operazione avrà successo, nelle successive settimane il rover Pragyaan (termine indiano che significa saggezza) eseguirà una serie di perlustrazioni del suolo. Il suo compito sarà esplorare il polo sud, fra le zone meno conosciute della Luna, e prelevare alcuni campioni di terreno e materiale roccioso. «Si concentrerà sulle caratteristiche fisiche del satellite», ha sottolineato Somanath. «Studierà l’atmosfera e l’attività tettonica, per capire cosa accade nel sottosuolo». Non è esclusa nemmeno la presenza di acqua, in quanto la regione è permanentemente in ombra.
Costata 6,1 miliardi di rupie (circa 68 milioni di euro), la sonda Chandrayaan-3 è frutto di quattro anni di lavoro e numerosi test. La precedente missione risale al luglio 2019, quando un malfunzionamento nelle fasi di atterraggio causò lo schianto e la distruzione del lander. Un eventuale successo potrebbe aprire la strada all’India, ancora molto indietro rispetto all’Occidente e alla Cina, nella corsa allo spazio. Entro la fine del decennio, gli scienziati dell’Isro sperano di lanciare una stazione spaziale indipendente per competere con l’ISS e la cinese Tiangong. Entro il 2030, inoltre, un orbiter potrebbe partire alla volta di Venere.
Il James Webb non smette di stupire. Il telescopio spaziale della Nasa, lanciato nel cosmo nel Natale 2021, sta aiutando gli astronomi di tutto il mondo a comprendere sempre più a fondo il meccanismo che anima l’universo grazie a immagini ricche di dettagli finora impossibili da ottenere. L’ultima fotografia mostra le fasi finali della vita di una stella, nello specifico la Nebulosa Anello situata nella costellazione della Lira a 2600 anni luce dalla Terra. Si tratta di un immenso ammasso di gas incandescenti che si formano quando un astro esaurisce tutto il suo combustibile per la fusione nucleare, portando al collasso del nucleo. «È quanto accadrà al nostro Sole», hanno spiegato gli scienziati, aggiungendo che il fenomeno non si verificherà prima di altri 5 miliardi di anni. Intanto arrivano anche i primi scatti di Euclid, il nuovo telescopio dell’Esa.
James Webb, cos’è la nebulosa planetaria che si vede nello scatto
Nella foto del telescopio James Webb, la Nebulosa Anello appare come un grande occhio di colore verde all’interno e viola sulla circonferenza esterna. Al suo centro, sebbene sia un piccolo puntino impercettibile senza un apposito ingrandimento, si trova la nana bianca, ciò che rimane del nucleo ormai estinto. «Non si vedono solo i dettagli del guscio in espansione della nebulosa», ha dichiarato al GuardianMike Barlow, docente di astrofisica allo University College di Londra. «Rivelano anche la regione interna con una squisita chiarezza». Proprio come avviene per i fuochi d’artificio, dopo l’esplosione i diversi elementi chimici della stella emettono una luce con particolari tonalità cromatiche che permettono agli studiosi di riconoscerne la composizione e studiarla con più attenzione. «Siamo stupiti dalla qualità delle immagini», ha spiegato Albert Zijlstra, professore all’università di Manchester. «Quello che vediamo è spettacolare».
NASA's James Webb Space Telescope #JWST has recorded breath-taking new images of the iconic Ring Nebula, also known as Messier 57.
Sebbene non abbiano alcun legame con i pianeti, i fenomeni come quello immortalato dal James Webb hanno il nome di nebulose planetarie. Si tratta di un retaggio del XVIII secolo quando l’astronomo William Herschel scambiò le loro forme curve per quelle di un corpo celeste simile alla Terra. Come spiega il sito Space.com, si formano quando la fusione nucleare cessa, portando al collasso. Tuttavia, nello strato esterno dell’astro, la combustione continua per diverso tempo facendo “gonfiare” la stella. Quando il guscio poi si raffredda, tende a disperdersi nel cosmo in nuvole sottili, bolle in espansione e anelli gassosi, come nel caso in esame. La forma dipende esclusivamente dai processi fisico-chimici e dalla composizione materiale della stella.
L’Esa ha lanciato il telescopio Euclid: mapperà miliardi di galassie
Intanto l’Agenzia spaziale europea (Esa) ha rivelato le prime immagini del suo telescopio Euclid. Dopo un viaggio di 1,5 milioni di chilometri, è infatti giunto al punto di Lagrange 2, posto su un’immaginaria retta che unisce il Sole e la Terra e considerato dagli scienziati un osservatorio privilegiato sul cosmo. Prodotto con il contributo dell’Istituto nazionale di Astrofisica (Inaf) e dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare italiani, è in fase di calibrazione ma ha già fornito «scatti ipnotici» secondo gli esperti. «Dopo 11 anni di progettazione, è esaltante ed emozionante guardare il risultato», ha spiegato Giuseppe Racca, project manager di Euclid per l’Esa, sul sito dell’Inaf. «Una volta calibrato, osserverà miliardi di galassie per creare la più grande mappa del cosmo in tre dimensioni mai vista prima». La vera sfida sarò capire però come le galassie si muovono nello spazio-tempo, andando indietro fino a 10 miliardi di anni.
L’Esa è pronta a mandare definitivamente in pensione il satellite Aeolus. Il “cacciatore dei venti”, in orbita dall’agosto 2018, ha lavorato per migliorare il sistema di previsione meteo grazie allo strumento Aladin, acronimo di Atmospheric LAser Doppler INstrument, costruito negli stabilimenti italiani di Leonardo. Ora è quasi privo di carburante e il suo tempo nello spazio è finito. In corso le manovre per farlo schiantare nel cuore dell’Oceano Atlantico, con impatto previsto per venerdì 28 luglio. È la prima volta che l’Esa tenta di guidare il ritorno sulla Terra di un suo satellite, non progettato per il rientro controllato. Oltre che limitare la dispersione di detriti, l’iniziativa intende studiare nuovi sistemi per il futuro al fine di rendere sempre meno difficoltoso il processo di recupero. Sul sito ufficiale dell’Esa è possibile seguire in diretta tutte le fasi dell’operazione.
Satellite Aeolus, le quattro fasi di manovra previste dell’Esa
Per il rientro sulla Terra, gli scienziati dell’Esa stanno comunicando di continuo con la sonda, dirigendone passo dopo passo la traiettoria. Lunedì 24 luglio ha avuto luogo la prima fase della manovra, ossia l’accensione dei propulsori a 280 chilometri di altezza. Bruciando circa sei chilogrammi di carburante, attingendo alle poche riserve rimaste disponibili, per circa 40 minuti, il satellite è sceso fino alla quota di 250 chilometri. Al rientro nell’atmosfera, come riporta anche il Guardian, circa l’80 per cento del satellite brucerà e finirà in pezzi, ma il 20 per cento dovrebbe sopravvivere fino all’impatto sulla superficie. «È il nostro obiettivo», hanno spiegato gli esperti. «È importante però che rimanga funzionante abbastanza a lungo affinché possiamo guidarne la traiettoria». Dopo altre quattro manovre, in programma per il 27 luglio, Aeolus scenderà fino all’altitudine di 150 chilometri.
Le manovre di rientro sono state pensate per ridurre i rischi – già molto bassi – mentre #Aeolus scende; i 'posti di controllo' sono necessari per valutare se continuare o abbandonare il rientro assistito e ritornare nell'ordine naturale delle cose, con un rientro incontrollato. https://t.co/zpCsVShSCm
La terza fase della manovra di rientro controllato, prevista per venerdì 28 luglio, abbasserà di altri 30 mila metri l’altitudine del satellite, portandolo a 120 chilometri. La fase finale, poi, sarà quella più breve, quando Aelous si frantumerà per il calore dell’atmosfera, fino a ridursi in tanti detriti. Dopo l’invio degli ultimi comandi, l’Esa procederà con la «passivazione del satellite», ossia la rimozione di qualsiasi energia dal velivolo spaziale come propellente e batterie per evitare esplosioni e frammentazioni indesiderate. «Si tratta di una manovra pensata finora per missili, navicelle o navi mercantili», ha precisato al GuardianHolger Karg, capo del programma di sicurezza spaziale dell’Esa. «Stiamo dimostrando che possiamo raggiungere simili obiettivi anche con mezzi che non sono stati progettati per questo».