Dopo la tregua, l'incerto sentiero della pace
L'intesa è sul cessate il fuoco e lo scambio di prigionieri. Ma restano nodi su cui le posizioni sono lontane: il disarmo di Hamas, il ritiro di Israele, la Cisgiordania, lo Stato palestinese
L'accordo di tregua tra Israele e Hamas ha riacceso le speranze globali, ma la sua sostenibilità dipende dalla risoluzione di nodi politici e operativi complessi: si tratta solo della prima fase del cosiddetto “piano Trump” per il futuro di Gaza.
Le prospettive di “pace duratura”, come l'ha chiamata il presidente americano, si scontrano con le resistenze interne in Israele e con profonde divisioni internazionali sul futuro della regione: in particolare sul disarmo di Hamas, il futuro governo del territorio palestinese e il principio "due Popoli, due Stati."

Le divisioni sul futuro: sicurezza e sovranità
Le divergenze più profonde riguardano il modo in cui dovrà essere gestita Gaza. Nodi cruciali sono quelli della sicurezza a lungo termine e della sovranità palestinese. L'obiettivo di un disarmo completo di Hamas e della distruzione delle sue infrastrutture militari è una priorità irrinunciabile per Israele e gli Stati Uniti, ma è un tema da affrontare nelle fasi successive del piano. La reale attuabilità di un disarmo completo e verificabile è complessa e richiede una cooperazione che Hamas per ora non garantisce.
Simmetricamente, il ritiro completo delle truppe israeliane dai territori occupati è una richiesta fondamentale non solo di Hamas ma anche dell'ANP e dell'ONU. L'accordo iniziale, però, prevede solo un ritiro graduale sulla "linea gialla" (zona cuscinetto), mentre Israele manterrà il controllo del 53% di Gaza con l'obiettivo comunque di assicurare militarmente la sicurezza della Striscia a lungo termine.
La soluzione due Popoli, due Stati
Questo principio fondamentale divide apertamente tanto gli schieramenti politici che la comunità Internazionale.
Onu, Ue e Paesi arabi sostengono la soluzione due popoli, due Stati. L'UE e l'ANP spingono per il riconoscimento dello Stato di Palestina. Il fronte europeo è comunque frammentato. Sebbene sia comune la volontà di riconoscere un futuro Stato palestinese, per alcuni, tra cui l’Italia, questo non può avvenire se nella governance della Palestina fosse coinvolto anche Hamas. Radicalmente contrario allo Stato palestinese è il governo Netanyahu.
Associato al precedente è il tema della riunificazione Gaza-Cisgiordania. Obiettivo di Abu Mazen a Ramallah è una unificazione politica e amministrativa sotto l'egida dell'ANP o un suo equivalente riformato. Resta un percorso molto remoto, perché Israele - al netto delle prospettive di colonizzazione e annessione invocate dalla destra - vede nella frammentazione del territorio palestinese un modo per esercitare un controllo di sicurezza efficace.

La ricostruzione di Gaza e territori: chi paga?
Anche il tema della ricostruzione, che richiederà miliardi di dollari (l'ONU stima 53 miliardi di dollari per Gaza e Cisgiordania) si lega alla governance temporanea che, nel piano Trump, prevede la presenza americana con un ruolo per lo stesso presidente, per Tony Blair e per l’Anp. Ma non per Hamas.
L'Unione Europea conta di avere un ruolo attivo nel finanziamento. Sosterrà la ricostruzione di Gaza ed è pronta già una prima tranche di 120 milioni di euro, a sottolineare l'impegno finanziario e politico di Bruxelles a sostegno della ripresa e dello sviluppo della Striscia. Ovviamente sulla ricostruzione di Gaza e Cisgiordania, che potrebbe essere il cantiere più grande del mondo (almeno fino a quando non si dovrà “ricostruire” anche l’Ucraina), si intrecciano molteplici appetiti. Se c'è chi finanzia c'è anche poi chi costruisce e, come in tutte le guerre, la ricostruzione diventa un business.
Trump assicura che i Paesi arabi (inclusi Arabia Saudita, Qatar ed Egitto) si "faranno avanti" per finanziare la maggior parte della ricostruzione.

Fonte: www.rainews.it