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I dati sui contagi da coronavirus in Italia del 14 marzo

Secondo i dati ufficiali della Protezione civile, sono 21.157 casi totali, di cui 17.750 gli "attivi", 1.441 i decessi e 1.966 i guariti.

Sono 17.750 i malati di coronavirus in Italia, 2.795 in più del 13 marzo, mentre il numero complessivo dei contagiati – comprese le vittime e i guariti – ha raggiunto i 21.157. Il dato è stato fornito dal commissario per l’emergenza Angelo Borrelli in conferenza stampa alla Protezione Civile. Che ha spiegato come il numero delle vittime sia salito a 1.441, 175 morti in più in un solo giorno, contro i 250 del 13 marzo. Sono invece 1.966 le persone guarite, 527 in più in 24 ore.

I DATI TERRITORIALI

Dai dati della Protezione Civile emerge che sono 9.059 i malati in Lombardia (1.327 in più rispetto al 13 marzo), 2.349 in Emilia Romagna (+338), 1.775 in Veneto (+322), 814 in Piemonte (+20), 863 nelle Marche (+165), 614 in Toscana (+159), 320 nel Lazio (+78), 243 in Campania (+30), 384 in Liguria (+80), 271 in Friuli Venezia Giulia (+35), 150 in Sicilia (+24), 156 in Puglia (+35), 199 in Trentino (+42), 106 in Abruzzo (+23), 103 in Umbria (+30), 17 in Molise (+0), 47 in Sardegna (+4), 41 in Valle d’Aosta (+14), 59 in Calabria (+22), 170 in Alto Adige (+47), 10 in Basilicata (+0).

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Quanto alle vittime, se ne registrano: 966 in Lombardia (+76), 241 in Emilia Romagna, (+40), 55 in Veneto (+13), 59 in Piemonte (+13), 36 nelle Marche (+9), 6 in Toscana (+1), 27 in Liguria (+10), 6 in Campania (+4), 13 Lazio (+2), 13 in Friuli Venezia Giulia (+3), 8 in Puglia (+3), 3 in provincia di Bolzano (+1), 2 in Sicilia (+0), 2 in Abruzzo (+0), uno in Umbria (+0) uno in Valle d’Aosta (+0), 2 in Trentino (+0). I tamponi complessivi sono 109.170, oltre 74 mila dei quali in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

IL BOLLETTINO DELLA LOMBARDIA

In Lombardia, invece, sono 11.685 i contagiati dal coronavirus, mentre 966 i morti, 732 le persone in terapiaintensiva (85 in più rispetto al 13 marzo).

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Quando sono attesi i picchi del coronavirus nelle regioni italiane

Fine marzo in Piemonte, Toscana, Liguria, Trentino e Friuli. Ad aprile in Emilia Romagna, Veneto e Marche. Ma i dati sono ancora troppo incompleti per fare previsioni precise.

L’epidemia di coronavirus viaggia a velocità diverse a seconda delle regioni: è quanto emerge dall’analisi fatta dal matematico Giovanni Sebastiani, dell’Istituto per le applicazioni del calcolo ‘Mauro Picone’ del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Iac Cnr). Utilizzando i dati pubblicati dalla Protezione civile, Sebastiani ha rilevato che fra il 10 e l’11 marzo si è registrato un aumento del tasso di crescita, dopo un precedente calo, in Sicilia e Lazio e meno marcatamente in Puglia, «forse causato dall’esodo dal Nord al Sud avvenuto in seguito al decreto che l’8 marzo istituiva la zona rossa in Lombardia».

IN EMILIA ROMAGNA IL PICCO POTREBBE ARRIVARE AD APRILE

Sulla base degli stessi dati, inoltre, il ricercatore ha elaborato le previsioni relative all’arrivo del picco in otto regioni, ossia ha calcolato il periodo «in cui si raggiunge il numero stabile dei contagiati e dopo i quali inizia la fase calante». Nelle otto regioni analizzate si distinguono due gruppi: uno comprende Piemonte, Toscana, Liguria, Trentino e Friuli, dove alla luce dei dati raccolti finora il picco dovrebbe arrivare a fine marzo; l’altro comprende Emilia Romagna, Veneto e Marche, dove il picco dovrebbe arrivare tra metà e fine aprile.

I DATI PERÒ SONO ANCORA INCOMPLETI

Tuttavia, secondo il direttore dello Iac Cnr, Roberto Natalini, allo stato attuale e sulla base dei dati a disposizione, ancora incompleti, «è impossibile per chiunque poter prevedere quando l’epidemia di Covid-19 raggiungerà il picco in Lombardia, e poi finirà». Natalini ha osservato inoltre che, sebbene i modelli matematici esistano, «questa è una situazione molto complicata perché non si hanno tutti i dati necessari per fare i calcoli. Non si sa infatti quanto siano gli infetti e quante persone esattamente siano morte per la Covid-19, perché in Italia se una persona con altre patologie e positiva al virus muore, viene classificata come deceduta per il coronavirus, mentre magari potrebbe essere morta per altre cause». Tra l’altro è ancora difficile avere i dati regione per regione.

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Le buone notizie del 14 marzo contro l’ansia da coronavirus

Zero contagi a Vo' Euganeo, nuovi casi che crollanno in Cina e Corea. Le donazioni dell'Inter e l'azienda che vuole produrre mascherine gratis nel Sannio. Pillole di ottimismo quotidiane per affrontare l'angoscia da pandemia.

L’emergenza coronavirus è reale ed è giusto affrontarla, così come è giusto rispondere alla domanda di informazioni riguardanti l’interesse pubblico per definizione: la salute. Ma il sovraccarico di notizie genera spesso un allarmismo controproducente. Per questo, abbiamo deciso di cercare di placare il senso di ansia generalizzata con i fatti positivi legati alla pandemia che ogni giorno avvengono, ma nessuno nota. Un piccolo calmante per affrontare la crisi (passeggera).

VO’ EUGANEO “SI È FERMATA”: NESSUN NUOVO POSITIVO

Da venerdì 13 marzo Vo’ Euganeo non ha nessuno caso nuovo di positività al coronavirus. È quanto emerso dai dati ufficiali della Regione Veneto. La cittadina padovana, prima zona rossa insieme alla lombarda Codogno, ha imboccato la strada della guarigione. Il sindaco Giuliano Martini ha raccontato all’Ansa: «Abbiamo applicato la quarantena con grande senso di responsabilità e fatto due screening a cui ha aderito il 95% della popolazione». La località euganea era uscita dall’isolamento domenica 8 marzo. Proprio a Vo’ era stata registrata la prima vittima veneta del coronavirus, il 67enne Adriano Trevisan.

CALO IN COREA DEL SUD, SOLO 107 CASI GIORNALIERI

La Corea del Sud ha registrato venerdì 107 nuovi casi d’infezione al virus, aggiornando i nuovi minimi da oltre due settimane: secondo il Korea Centers for Disease Control and Prevention (Kcdc) il totale supera le 8 mila unità, a 8.086. Il dato del 13 marzo, che segue i 110 casi di giovedì, sottolinea i segnali positivi dall’adozione delle misure di contenimento dell’infezione, anche se a Seul permangono alcune criticità. I decessi si sono portati a quota 72, cinque in più rispetto all’ultimo bollettino.

IN CINA QUATTRO CONTAGIATI A WUHAN, AI MINIMI ASSOLUTI

In Cina invece solo quattro i casi di infezioni al coronavirus registrati venerdì a Wuhan, capoluogo della provincia dell’Hubei e focolaio della pandemia. Secondo gli aggiornamenti forniti dalla Commissione sanitaria nazionale (Nhc) cinese, si tratta del livello più basso da quando da gennaio è iniziata la raccolta dei dati. Per la prima volta, inoltre, i casi importati di infezione hanno superato quelli locali: sugli 11 complessivi del 13 marzo, oltre ai quattro di Wuhan, gli altri sette sono “contagi di ritorno”, di cui quattro a Shanghai, due nel Gansu e uno a Pechino.

L’INTER LANCIA UNA CAMPAGNA GLOBAL DI CROWDFUNDING

Together as a team“, l’Inter ha lanciato una campagna global di crowdfunding, coinvolgendo il club ma anche i tifosi di tutto il mondo. Il ricavato sarà devoluto al dipartimento di Scienze biomediche e cliniche dell’ospedale Luigi Sacco di Milano. La società nerazzurra in una nota ha spiegato: «Alla campagna di raccolta fondi ha contribuito l’Inter nella sua totalità, dai giocatori della Prima squadra, allo staff tecnico e ai dipendenti del club che hanno donato in totale 500 mila euro».

NEL SANNIO UN’AZIENDA PRONTA A PRODURRE MASCHERINE GRATIS

I titolari di una piccola azienda hanno fatto un annuncio sul tema cruciale delle mascherine. D’accordo col sindaco di Limatola (Benevento) Domenico Parisi, hanno spiegato: «Siamo pronti a riconvertire provvisoriamente la nostra fabbrica di maglieria nella produzione gratuita di migliaia di mascherine al giorno da distribuire ai cittadini per fronteggiare l’emergenza da coronavirus, considerato che non se ne trovano, nemmeno a peso d’oro, in tutta la regione». Il sindaco ha spiegato: «Abbiamo segnalato questa nostra iniziativa anche alla Regione Campania, specie dopo l’appello del governatore De Luca che è alla ricerca di mascherine. In via sperimentale questa piccola fabbrica con le sue maestranze ha già realizzato con successo dei campioni, ma francamente non sappiamo se la burocrazia coi suoi tempi, specie in questo periodo di emergenza, ci consentirà di avviare al più presto la produzione totalmente gratuita di mascherine per essere distribuite ai cittadini di Limatola e a coloro che ne facessero richiesta».

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Per le vittime di violenza domestica il decreto #iorestoacasa è un problema

La convivenza forzata in alcuni casi significa dividere 24 ore su 24 gli spazi familiari con il proprio maltrattante. Ma i numeri d'aiuto, come spiega la presidente del Telefono Rosa, restano attivi: «Fra 1-2 settimane rischiamo un picco di chiamate».

«Restate a casa». Un imperativo necessario in un momento di emergenza come quello che stiamo vivendo in Italia a causa del Covid-19. Ognuno di noi ha stravolto le proprie abitudini, imparare a vivere dentro quattro mura è difficile, soprattutto nel gestire i rapporti e la solitudine. Ma alle donne vittime di violenza domestica chi pensa? Ai bambini spettatori delle liti tra i genitori che rischiano di aumentare drasticamente a causa della convivenza forzata, chi pensa?

LA COMPONENTE FEMMINILE SOVRACCARICATA

L’emergenza coronavirus, ha detto il presidente dell’associazione WeWorld Marco Chiesara, «sta mettendo alla prova molte famiglie» a causa della «convivenza forzata con bambini, mariti e spesso anziani da accudire», con un carico che «ricade quasi esclusivamente sulla componente femminile della coppia». Ma non solo: «Se questa è la situazione nella normalità, le donne in situazioni problematiche o vittime di violenza in ambito domestico, in questi giorni stanno vedendo un drastico peggioramento della propria situazione».

A TORINO L’ULTIMO FEMMINICIDIO

E per le donne vittime di violenza «restare a casa significa dividere 24 ore su 24 gli spazi familiari con il proprio maltrattante, significa essere isolate da tutti e tutte e vedere il proprio spazio personale assottigliarsi di ora in ora». L’appello #restateacasa, che è sacrosanto per contenere il contagio, per tante donne può significare pericolo e violenza. La mattina del 13 marzo un vigile urbano di 66 anni alle porte di Torino ha ucciso moglie e figlio e colpi di pistola prima di togliersi la vita. Casi simili accadono quasi quotidianamente, la differenza è che in un momento simile andarsene non è possibile. Chiedere aiuto tramite telefonate o servizi online però si può.

I NUMERI ANTI-VIOLENZA SONO ATTIVI

Maria Gabriella Moscatelli, presidente del Telefono rosa, ci ha ricordato che il servizio anti-violenza è sempre attivo. «Per ogni necessità passiamo le avvocate, per la consulenza legale. Le volontarie capiscono di che tipo di necessità ha bisogno la donna e le indica il numero apposito. Se serve una psicologa, vale lo stesso. Il telefono rosa continua». I Cavcentri antiviolenza – sono attivi, ma chiaramente tutto telefonicamente e online. Le persone purtroppo non possiamo riceverle. Le case-rifugio funzionano regolarmente come chiesto dal decreto del presidente del Consiglio».

Stare a #casa non ci ferma.Nonostante la situazione difficile che stiamo vivendo il Telefono Rosa è attivo e pronto a…

Posted by Telefono Rosa – Pagina Ufficiale on Friday, March 13, 2020

È PRESTO PER RISCONTRARE UN AUMENTO DEI CASI

Abbiamo chiesto alla presidente Moscatelli se in questi giorni avessero riscontrato un aumento delle richieste d’aiuto. «Non ancora», ci ha spiegato. «Ci sono stati tanti femminicidi nell’ultimo periodo, le donne continuano a chiedere aiuto come sempre. Semmai stanno telefonando perché si sentono sole, ma in questo momento l’andamento è il solito, non abbiamo avuto picchi soltanto perché siamo ancora in una prima fase. Riparliamone tra una o due settimane».

ORA PREVALE ANCORA LA PREOCCUPAZIONE DEL CONTAGIO

Sì, perché mentre la Lombardia è blindata già da un po’, nel resto d’Italia le misure restrittive sono valide da pochi giorni. «In questo momento le popolazione è preoccupata di non essere contagiata, di avere la spesa a casa, di assistere gli anziani, di gestire i bambini che non vanno a scuola. A lungo andare probabilmente scoppieranno le liti, si manifesteranno le criticità già presenti nelle coppie o nelle famiglie, ma è presto. Dovremmo fare un bilancio tra un po’ di giorni. Ricordiamoci che fino a tre giorni fa la gente andava in giro senza aver recepito il rischio reale di questa pandemia». Moscatelli ha ricordato che i femminicidi non si fermano. Quello di venerdì mattina come quello avvenuto due giorni prima a Trento. «Purtroppo continuiamo a tenere alta la media».

Il numero per chiedere aiuto è 06 37518282.

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I viceministri Sileri (M5s) e Ascani (Pd) positivi al coronavirus

Il medico grillino, n.2 al dicastero della Salute, era entrato in contatto con un caso sospetto: «Ho seguito i protocolli, mia moglie e mio figlio stanno bene». La dem (Istruzione) era già in isolamento a casa: «Ho febbre e un po' di tosse».

Il coronavirus sempre più dentro le istituzioni. In principio fu il segretario del Parito democratico e governatore del Lazio Nicola Zingaretti, risultato positivo il 7 marzo. Ora l’infezione ha colpito anche il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri, del Movimento 5 stelle, e la viceministra all’Istruzione Anna Ascani del Pd.

AMBIENTI SEPARATI IN CASA CON MOGLIE E FIGLIO

Sileri è uno di quei volti che il pubblico ha imparato a conoscere durante l’emergenza Covid-19. Medico e politico, 47 anni, è stato spesso ospite negli studi televisivi a dare indicazioni su come contenere l’infezione. È risultato positivo al test dopo esser stato in contatto con un “caso sospetto“. Lo ha reso noto lui stesso affermando di essersi messo in isolamento «appena mi sono accorto di avere dei sintomi». Poi ha spiegato: «Ho seguito da subito tutti i protocolli come indicato dal ministero. Mia moglie e il piccolo stanno ancora bene e, seppur nella stessa casa, abbiamo diviso gli ambienti».

ERA STATO ANCHE SULL’AEREO DA WUHAN

È da un paio di mesi che Sileri è in prima linea durante questa crisi sanitaria. A inizio febbraio era a bordo dell’aereo che riportava a casa gli italiani di Wuhan. Tanto che Forza Italia gli intimò di mettersi in quarantena, una volta tornato, per precauzione. Lui spiegò che non ce n’era il bisogno perché aveva seguito rigidamente tutte le regole.

INFORMATI SUBITO I SUOI COLLABORATORI

Ora però ha contratto davvero il virus. «Appena mi sono accorso di avere dei sintomi mi sono isolato e ho iniziato a lavorare a pieno ritmo da remoto», ha detto, informando della positività tutti i suoi collaboratori e le persone che sono state a contatto con lui. Al momento «tutti stanno bene».

«IL MIO IMPEGNO NON VIENE MENO»

Adesso continuerà a lavorare? «Il mio impegno non viene assolutamente meno e ancora una volta voglio ringraziare il Sistema sanitario nazionale, medici e infermieri che stanno dando orgoglio al nostro Paese. C’è una sola possibilità: essere responsabili, coraggiosi e solidali e ce la faremo tutti insieme».

Anna Ascani. (Ansa)

LA ASCANI ERA GIÀ IN ISOLAMENTO DA UNA SETTIMANA

Restando nell’area politica “giallorossa“, anche un’altra viceministra, in questo caso dell’Istruzione, si è ammalata: si tratta della 32enne Anna Ascani del Pd: «Da una settimana sono in isolamento domiciliare. Purtroppo, qualche ora fa, si sono manifestati i primi sintomi riconducibili al coronavirus. Per questo motivo ho effettuato il tampone che è risultato positivo. Questo dimostra quanto sia fondamentale rispettare le indicazioni sanitarie: se fossi uscita, avrei incontrato molte più persone. Restando a casa, ho certamente evitato possibili contagi».

«STO BENE, INSIEME CE LA FAREMO»

Le condizioni di salute sono buone: «Io sto bene, ho qualche linea di febbre e un po’ di tosse. Ci tengo a ringraziare, ancora una volta, il personale medico che sta lavorando assiduamente, con turni senza sosta, prendendosi cura di noi. Insieme ce la faremo, vinceremo questa battaglia, mettendocela tutta. Ne sono sicura, #andràtuttobene».

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Cosa si sta facendo per proteggere i senzatetto dal coronavirus

In Italia vivono oltre 50 mila clochard. In strada sono tra i più fragili di fronte alla pandemia. L'assistenza ora è ridotta, così i Comuni provano a prolungare i "piani freddo". Cercando di allestire mense e centri senza favorire gli assembramenti. Il problema spiegato (anche) con numeri e grafici.

Nella lotta per fermare il contagio da coronavirus c’è un paradosso. Alcune delle persone più fragili ed esposte sono anche quelle meno protette. È il caso dei senzatetto che vivono e si spostano nelle nostre città. Mentre il governo metteva in quarantena il Paese e sui social impazzava la campagna #iostoacasa, qualcuno ha ricordato che le migliaia di clochard d’Italia non hanno un posto dove andare.

IL 76% DEI CLOCHARD È DA SOLO

L’ultimo “censimento” che ha fotografato la situazione è stata una ricerca dell’Istat nel 2014. Secondo quella rilevazione le persone senza dimora in Italia sono 50.724. Di queste l’85% è uomo, il 58% straniero e la gran parte, il 76%, vive da solo.

L’ASSISTENZA VERSO DI LORO SI È RIDOTTA

Mario Furlan, fondatore e presidente dell’associazione di volontariato City Angels, spiega a Lettera43.it: «Oltre ai commercianti e agli imprenditori fra le categorie che più soffrono per questa situazione c’è sicuramente quella dei senza tetto, perché da quando è scoppiata la pandemia l’assistenza verso di loro si è ridotta».

NIENTE POSTI A SEDERE IN MENSA: UN SACCHETTO COL CIBO E VIA

Che la situazione sia molto delicata è dimostrato proprio da una stretta al sistema di assistenza: «Ci sono alcune mense che sono chiuse, perché bisogna evitare gli assembramenti e diventa difficile evitarlo in una struttura in cui la gente si mette in fila. Altre mense non sono state chiuse, ma non accolgono più con posti a sedere al tavolo: danno un sacchetto veloce e via. In generale ci sono meno associazioni di volontariato che assistono sulla strada i senza tetto perché alcuni volontari non se la sentono e hanno paura».

IL 60% VIVE NELLE AREE METROPOLITANE

Sempre secondo gli ultimi dati disponibili dell’Istat, il 38% dei senza dimora vive nelle regioni del Nord-Ovest. Seguite da quelle del Centro (23,7%), del Nord-Est (18%), poi Sud (11,1%) e Isole (9,2%). Di questi oltre il 60% vive nelle aree metropolitane, mentre il restante 28% vive in Comuni tra i 70 e 250 mila abitanti. Quindi i sistemi di supporto ai clochard si snodano soprattutto nelle città.

  • La distribuzione dei senza dimora da Nord a Sud.

Gli stessi City Angels, attivi in 21 città e presenti in nove centri della Lombardia, hanno dovuto ridurre le attivà sul campo. «Tutti gli inverni grazie all’Atm andavamo in giro con un autobus da 12 metri con l’autista che tutte le sere ci portava in vari punti della città», ha raccontato Furlan, «Facevamo salire i senzatetto e gli davamo da bere, da mangiare, vestiti, coperte, sacchi a pelo. Da quando c’è il coronavirus abbiamo dovuto rinunciarci».

VOLONTARI CON MASCHERINE E DISINFETTANTE

Le associazioni hanno dovuto ridisegnare l’assistenza intorno a un principio cardine: “evitare degli assembramenti”. «Oggi quello che facciamo è andare in giro in squadre di massimo tre volontari, con mascherine, guanti, e disinfettante stando bene attenti a evitare che ci siano gruppi di persone vicine». Una pratica non semplicissima, dato che spesso vivono in piccole comunità da 2-3-4-5 persone. «Dobbiamo andare andare da loro uno per uno singolarmente dicendo: “no, voi state là, non vi avvicinate”».

Il problema principale ora si concentra nella gestione dei centri, anche perché il 59% dei clochard intervistati dall’Istat raccontò che nel corso di un mese capitava spesso di appoggiarsi a strutture notturne per passare la notte e lavarsi.

MILANO PROLUNGA IL PIANO FREDDO

Per cercare di limitare il contagio tra i senza dimora il Comune di Milano ha deciso di prolungare il piano freddo tenendo attive quante più strutture possibile. «Noi», ha continuato il presidente degli Angels, «non possiamo buttare le persone sulla strada. A Milano abbiamo due centri di accoglienza, uno da 90 e uno da 10». Nel capoluogo meneghino i clochard sono circa 2.600 e nei mesi in cui è attivo il piano di Palazzo Marino le strutture sono in grado di ospitarli tutti. «Vista l’emergenza coronavirus il Comune ha deciso, giustamente, di tendere i senzatetto tutto il giorno lì, perché se a noi che stiamo in casa viene detto di stare in casa, i senzatetto non hanno una casa dove stanno?».

Il concetto alla base della decisione è quello di tenerli protetti e isolati evitando i movimenti in gruppo. Fuori dalle strutture, ha spiegato Furlan «è più difficile vedere come stanno, mentre nei centri c’è il medico e da noi se c’è qualcuno con tosse o febbre il medico lo tiene d’occhio». Nel 2014 gli intervistati avevano spiegato che in una settimana si appoggiavano almeno 3-4 volte a mense e dormitori. Questo implica un impegno quotidiano non indifferente. Nei centri gestiti da City Angels vengono prese tutte le precauzioni possibili: «Compatibilmente con gli spazi non riusciamo a farli stare a 2 metri l’uno dall’altro, ma mentre prima si dava da mangiare a tutti quanti insieme, adesso si fanno vari turni, il che vuol dire un lavoraccio, però cerchiamo di evitare che stiano a ridosso l’uno dell’altro».

CONSAPEVOLI E SPAVENTATI

Furlan ha raccontato a L43 che in generale tutti i clochard con cui sono in contatto hanno preso coscienza della situazione «molto bene». «I senzatetto», ha voluto chiarire, «non sono persone fuori dal mondo che non sanno cosa accade, loro sono informati esattamente quanto noi. Nei centri come il nostro c’è la televisione, quindi seguono i telegiornali e leggono i giornali gratuiti, sono perfettamente informati. Hanno paura anche loro del coronavirus. Alcuni di loro ci chiedono le mascherine e dunque capiscono molto bene la situazione».

PIANO ATTIVO ANCHE A BOLOGNA

A Bologna il piano freddo, che offre assistenza a circa 320 persone, resterà attivo almeno fino al 31 marzo. Ma, ha avvertito il presidente dell’associazione Piazza Grande, Francesco Carlo Salmaso, «bisogna farsi trovare pronti» se l’emergenza si prolungherà. Salmaso ha spiegato che in questa fase gli operatori si sono occupati di informare le persone più deboli: «Abbiamo puntato molto sull’informazione e sulle regole da seguire, chi passa la giornata in strada sa che deve evitare assembramenti e rispettare la distanza di almeno un metro con gli altri». Molti servizi, come le mense e i colloqui non urgenti con gli assistenti sociali sono stati sospesi. «Alcune mense stanno consegnando pranzo e cena da asporto», ha detto ancora il presidente, «e le persone aspettano il loro turno in fila, sono disciplinate. Nei dormitori sono state potenziate le misure igieniche e finora non ci sono stati contagi».

L’APPELLO DI AMNESTY PER TROVARE SOLUZIONI

Anche Amnesty International Italia ha lanciato un appello: «Come è stato recentemente messo in evidenza», ha sottolineato in una nota, «dalle associazioni di volontariato laiche e religiose e della Protezione civile, occorre garantire il diritto alla salute anche alle oltre 50 mila persone che in Italia vivono in strada, in situazioni di estrema precarietà, isolatamente o in quelli che potrebbero essere definiti assembramenti di necessità».

RISCHIANO PURE DI ESSERE DENUNCIATI

La loro salute, si legge ancora nella nota, «è a rischio, così come la salute di tutte le persone che incrociano. Le persone senza fissa dimora, infrangendo il divieto di rimanere in casa senza una valida giustificazione, rischiano per di più di essere denunciate per inosservanza di un provvedimento dell’autorità, che secondo l’articolo 650 del codice penale prevede l’arresto fino a tre mesi o un’ammenda fino a 206 euro. Un primo caso si è già verificato a Milano il 12 marzo e, anche se la questura ha fatto sapere che la denuncia non andrà avanti, è evidente che questa situazione di fragilità va affrontata senza ulteriore ritardo». Infine: «L’appello a rimanere in casa avrà pieno senso solo se, pur in questo difficile momento, le autorità competenti assicureranno un alloggio provvisorio ma adeguato e sicuro alle persone che non hanno una casa in cui restare».

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Il flashmob dell’Italia che applaude al balcone chi lavora contro il coronavirus

A mezzogiorno di sabato è partito il gesto di ringraziamento e incoraggiamento verso medici e infermieri in prima linea negli ospedali. I video dell'iniziativa nata sui social network.

Dopo le canzoni contro la paura, gli applausi a medici e infermieri. L’Italia chiusa in casa in quarantena per limitare la diffusione del coronavirus si sfoga come può sul balcone. Facendosi forza ed esprimendo solidarietà a chi è in prima linea nella lotta all’infezione.

APPELLO GIRATO SUI SOCIAL

Così è partito il flashmob fissato per mezzogiorno di sabato 14 marzo, un sabato spettrale senza persone in giro per le città. «Tutti alle finestre per un lungo applauso di ringraziamento a coloro che stanno lavorando per noi negli ospedali e di incoraggiamento», era l’appello girato in queste ore sui social network e condiviso da molti. «Un gesto semplice per unire le nostre mani», hanno spiegato i promotori. E gli applausi non sono mancati.

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Ho sognato il mondo post coronavirus che verrà

La pandemia ha proiettato il nostro ieri in un passato remoto. Le parole d'ordine ora sono resilienza e flessibilità. Senza dimenticare, in questo fermo biologico imposto, la riscoperta degli affetti profondi. Ma alla fine dell'emergenza, ci odieremo o ameremo di più?

«Ormai ho più paura della fine del mese che della fine del mondo» (Anonimo). In ogni passaggio d’epoca c’è un detonatore. Un’esplosione. Un’improvvisa accelerazione che pone fine a rivendicazioni, proteste, conflitti che si trascinavano da tempo. Ma che a certo punto, in un preciso momento si risolvono con un brusco, violento scoppio.

Negli ultimi due secoli è stata una grande guerra l’ante e il post di epocali rivolgimenti e trasformazioni. Ora invece è una pandemia, la prima nella storia, ad annunciare la nuova era. Che comunque vada e si risolva – sperando ovviamente bene – segna la fine del mondo e della società nei quali abbiamo sin qui vissuto.

Volendo indulgere nel vezzo del neo e del post, che di solito s’usa quando non si sa bene come classificare un nuovo corso sociale, un’inedita fase economica o culturale, azzarderemo una provvisoria società post coronavirus. Che ovviamente reca in sé fenomeni e processi che abbiamo già in parte visto e vissuto, coi quali, dunque ci siamo già confrontati. Ma che offre molto di inedito, anche nel portare a maturazione situazioni e tendenze da tempo in atto, ma sottotraccia. Oppure disinvoltamente lasciate passare. Perché ritenute mode effimere o fenomeni non in grado di incidere realmente sui vissuti individuali e sociali.

LA SOCIETÀ DELL’ECCESSO CHE SEGUÌ LA CRISI DEL 2008

«Nulla sarà più come prima». Si è detto all’indomani della Grande Depressione scatenatasi nel 2007-2008, e ripetuto allo sfinimento sino all’altro giorno. Ma in realtà appena la bufera è passata, abbiamo ripreso a fare quel che facevamo prima. Cambiando poco o niente, ma al contrario esasperando, stressando tutti gli ambiti, non solo di mercato e finanziari, che erano stati principali cause di quella Grande Crisi. Troppa finanza, troppi prodotti, troppi soldi, troppo mobili: ma nel momento in cui lo si denunciava e si mettevano in evidenza i grandi rischi sottesi a questa folle corsa, si proseguiva ancora più alacremente ad alimentare la società del troppo.

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IL COVID-19 FA APPARIRE IL NOSTRO IERI TERRIBILMENTE VECCHIO

Ora invece con il Covid-19, nel giro di un mese, è successo quel che non era accaduto negli ultimi 12-13 anni. Che l’intero modo di vita che abbiamo fatto tutti sino all’altro ieri ci apparisse e appaia terribilmente vecchio, obsoleto, insostenibile. Città chiuse, frontiere blindate, voli sospesi, turismo finito e tutti chiusi in casa, nemmeno fosse scoppiata la III Guerra mondiale: siamo messi così. Costretti a ripensare e a ripensarci in una società che improvvisamente scopre il senso vero e reale, dunque concreto di parole che abbiamo ripetuto sino allo sfinimento.

LA FLESSIBILITÀ ASSUME UN VALORE POSITIVO

Flessibilità e resilienza, riassumibili anche in sostenibilità, altro termine abusato, sono le parole da cui può partire un esercizio di immaginazione del futuro, che assuma la pandemia come momento di passaggio epocale. La flessibilità è da anni che viene di norma intesa negativamente e associata a precarietà. Ora però il Covid-19 ci dice che essere flessibili, veloci nell’adattarsi a nuove, impreviste condizioni è, e sarà sempre più, fondamentale, in una fase di lunga e forte transizione, quale è quella che ci aspetta. Essere resilienti, in tale prospettiva, diventa la prima regola per essere pronti e preparati all’emergenza. Chi è “resiliente”, da tempeste e sconquassi esce non indenne, certo ammaccato, ma non morto.

NELLA SOCIETÀ DIGITALE TUTTO SI PERDONA TRANNE L’INDECISIONE

Già: ma quanto è flessibile e resiliente il sistema Paese? Anche stavolta l’emergenza ha fatto e sta facendo uscire, con l’eccezione dei politici, il meglio degli italiani. Tuttavia come sistema Paese manca la consapevolezza che creatività e capacità di improvvisare sono qualità, dei plus. Ma se coniugati con strutture, anche di pensiero, solide. Con processi decisionali chiari, rapidi e capacità di mobilitazione massima. Il caso della Cina che è riuscita a sigillare 60 milioni di persone e in parte anche dell’Italia mostrano, appunto, che nella società digitale, mobile e virale tutto è concesso e perdonato, ma non l’indecisione e le risposte parziali, locali. Se c’era bisogno, ad esempio, di prova e controprova che una Sanità regionale, intesa in senso autonomistico, di fronte a flagelli sanitari globali potesse rivelarsi disastrosa, queste sono arrivate con il coronavirus.

OGGI BASTA POCO PER CAUSARE UN DEFAULT

La velocità – che non è fretta –  delle decisioni e dei provvedimenti, coordinati ai diversi livelli territoriali e istituzionali, è ormai fondamentale. Perché la società dell’istante, del momento non è solo un’immagine pubblicitaria. E il rischio che qualcosa o tanto vada storto, come ha scritto il sociologo Ulrich Beck più di 20 anni orsono, non è più una remota possibilità. Ma un’eventualità abbastanza probabile. Il classico incidente è quasi sempre dietro la porta. Per la semplice ragione che tutto, dal clima alle produzioni agricole, dalla finanza alle imprese, dalle organizzazioni urbane ai bilanci familiari e personali non ha più margini: è così tirato, stressato, portato al limite estremo, che basta poco per entrare in crisi, in default. Anche perché paracaduti, uscite di sicurezza e piani B sono quasi sempre teorici. Se il coronavirus ci ha gettati nel panico è perché viviamo in una società che è strutturalmente ansiogena.

IL GAP TRA TECNOLOGIA E IGNORANZA DIGITALE

Tuttavia nel disastro che si sta rivelando la pandemia, ci sono alcune ragioni di ottimismo. Per quanto in grande ritardo ci stiamo rendendo conto che quel che stiamo facendo ora in emergenza era da tempo nelle nostre possibilità. Scuole e università stanno infatti scoprendo che possono fare video-lezioni, e che la formazione a distanza è una soluzione praticabile anche in tempi normali. Cosi come lo smart working, lavoro agile o telelavoro, del quale si parla da 30 anni, ma nella sordità di aziende private e amministrazioni pubbliche. Siamo in coda all’Europa, anche come competenze digitali (solo il 20% degli italiani le ha). E così nell’epoca dell’home banking, ci troviamo di fronte a lunghe file di persone in strada, con mascherine e guanti, davanti agli sportelli delle banche. Ma anche nell’impossibilità di chiudere pratiche o atti amministrativi, perché l’ufficio comunale o statale, se non è stato chiuso, continua a chiedere documento e presenza personale, mentre potremmo risolvere da casa usando Skype e la firma digitale.

È GIUNTA L’ORA CHE LA SBUROCRATIZZAZIONE COMINCI DAVVERO

Ma perché #iorestoacasa sia una possibilità effettiva e non contingente, occorre che la tanto invocata sburocratizzazione cominci davvero. E contestualmente si dia avvio su larga scala a corsi e attività formative in ambito digitale rivolti a tutta la popolazione. Qualcosa di simile, nello spirito, al celebre programma tivù Non è mai troppo tardi che insegnò a leggere e scrivere a milioni di italiani. Evocazione questa che consente anche di segnalare un piccolo miracolo. «La Rai cambia i suoi palinsesti: più cultura e uno speciale per la scuola». Un titolo d’agenzia che riassume l’invito del ministro Dario Franceschini alla tivù di Stato di programmare musica, teatro, cinema, arte al fine di fare arrivare la cultura nelle case degli italianidurante questo periodo in cui sono chiusi cinema, teatri, concerti, musei.

TORNIAMO AGLI AFFETTI E ALLE RELAZIONI PROFONDE

Tuttavia l’opportunità più grande che ci offre la prima pandemia della storia non è solo il “fermo biologico” che ci viene imposto, ma soprattutto la riscoperta del “nucleo sociale primario”, ossia della famiglia. Dello spazio domestico come luogo di affetti e relazioni profonde ritrovate. Anche se non so prevedere, per mettere un po’ di veleno in conclusione, come questa stretta e costretta vicinanza a cui non eravamo abituati ci lascerà una volta finita l’emergenza. Ci ameremo o ci odieremo di più?

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Ci risiamo con l’esodo da Nord a Sud che espande il rischio contagio

Nella notte altri treni pieni di persone che fuggono dalla Lombardia e dalle zone più colpite dal coronavirus. Emiliano: «Ci state portando altri focolai». In Puglia già 158 positivi. La Regione Sicilia: «Il governo blocchi i collegamenti col Mezzogiorno».

Un nuovo e pericoloso esodo verso il Sud? Dopo il panico e la fuga dal Nord Italia in quarantena di sabato 7 marzo alle prime fughe di notizia sulla serrata della Lombardia, anche nel weekend successivo sono state segnalate “migrazioni” verso il Meridione. Nonostante i divieti e nonostante tutto il Paese sia stato dichiarato dal governo zona protetta per l’emergenza coronavirus.

EMILIANO: «CONTAGIO CHE AVREMMO POTUTO EVITARE»

Qualcuno però non sembra averlo capito. Tanto che su Facebook il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, con riferimento ai treni partiti nella notte, ha lanciato l’allarme: «Ci state portando tanti altri focolai di contagio che avremmo potuto evitare».

IN PUGLIA BALZO DI 50 NUOVI CASI IN UN GIORNO

In Puglia il 13 marzo si è registrato un balzo di 50 nuovi casi di pazienti positivi al Covid-19 che ha portato i contagiati a 158. «Di nuovo ondate di pugliesi che tornano in Puglia dal Nord. E con loro arrivano migliaia di possibilità di contagio in più», ha scritto il governatore.

«SPERO ABBIATE MASCHERINE E SIATE DISTANTI TRA VOI»

Ma come hanno fatto a muoversi? Emiliano l’ha spiegata così: «Avrete probabilmente esibito ai soldati alle stazioni le vostre legittime autocertificazioni sulla motivazione del vostro ritorno, spero che abbiate le mascherine e che teniate la distanza di un metro l’uno dall’altro in treno».

OBBLIGO DI QUARANTENA E DICHIARAZIONE DI PRESENZA

Poi ha ricordato: «In pochi giorni migliaia e migliaia di persone hanno fatto rientro in Puglia aggravando la nostra già drammatica situazione. Vi ricordo che appena arrivate dovete rinchiudervi in casa e che dovete stare lontani da genitori, fratelli, nipoti, amici, nonni e malati che rischiano di morire se contagiati». Le norme prevedono l’obbligo di quarantena domiciliare per 14 giorni e la dichiarazione della propria presenza sul sito della Regione Puglia.

LA SICILIA: «COSÌ VANIFICHIAMO I SACRIFICI»

Ma è tutto il Mezzogiorno a essere in fibrillazione. Anche l’assessore regionale alle Infrastrutture della Regione Sicilia, Marco Falcone, ha detto che «gli enormi sacrifici che gli italiani hanno accettato di compiere per fermare il coronavirus rischiano di essere vanificati dalle zone d’ombra del decreto #iorestoacasa come il mancato blocco dei treni. Nelle ultime ore, infatti, sembra che sia ripreso il flusso di viaggiatori che lasciano le Regioni del Nord per raggiungere via rotaia il Sud, un’emorragia che richiede divieti ancora più stringenti da Roma».

L’APPELLO PER IL BLOCCO DEI TRENI

Quindi l’appello lanciato al governo nazionale: «Si blocchino in giornata i treni per il Sud per chiudere così potenziali linee di contagio e garantire la tutela della salute della popolazione, dal personale viaggiante fino ai cittadini delle Regioni dove ancora il virus sembrerebbe darci il tempo di issare un argine. Da ieri in Sicilia il governo Musumeci ha dimezzato le corse degli autobus pubblici e privati e delle navi traghetto, sospendendo le linee non essenziali».

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Cosa cambia per i lavoratori con il protocollo firmato sul coronavirus

Al via la messa in sicurezza delle aziende. Prevista una sospensione delle attività, l'uso di ammortizzatori sociali e smart working, una diversa organizzazione. I punti chiave dell'intesa raggiunta tra sindacati e imprese sotto la supervisione del governo sul tema della salute di impiegati e operai esposti al contagio.

Sembrava che a loro nessuno pensasse: i lavoratori che, senza possibilità di smart working da casa, sono costretti ad andare in azienda rischiando il contagio in piena emergenza coronavirus. Invece ora è stata raggiunta un’intesa tra sindacati e imprese proprio sulla loro sicurezza: dopo un lungo confronto andato avanti nella notte, anche in videoconferenza con il governo, è stato firmato il «protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro».

REGOLE DA ATTUARE IN OGNI LUOGO DI LAVORO

In cosa consiste? Lo ha spiegato la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, dopo la firma del documento: «È un protocollo molto chiaro e dettagliato che ora va attuato in tutte le aziende e in tutti i luoghi di lavoro anche utilizzando un periodo di sospensione della produzione e delle attività». Insomma «si potranno usare gli ammortizzatori sociali, il lavoro agile, una diversa organizzazione, sino a quando gli interventi di messa in sicurezza del luogo di lavoro non saranno ultimati».

«IMPOSTA A TUTTI LA MASSIMA RESPONSABILITÀ»

Cgil, Cisl e Uil in una nota congiunta hanno parlato di «un risultato molto importante in una fase che impone a tutti massima responsabilità nel garantire, prima di ogni altra cosa, la sicurezza e la salute dei lavoratori e delle lavoratrici».

Poi i sindacati hanno aggiunto: «Sappiamo che il momento è difficile e sappiamo che i lavoratori e le lavoratrici italiane sapranno agire e contribuire, con la responsabilità che hanno sempre saputo dimostrare, nell’adeguare l’organizzazione aziendale e i ritmi produttivi per garantire la massima sicurezza possibile e la continuazione produttiva essenziale per non fermare il Paese». È stata poi sottolineata «l’importanza della sottoscrizione del testo da parte del governo che, per ciò che è di sua competenza, favorirà la piena attuazione del protocollo».

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Cortina non vuol fare da rifugio ai furbetti del virus

La Regina delle Dolomiti, ancora scottata dai blitz anti-evasori dell'epoca Monti, si rifiuta di passare come "buen retiro" per gli sfollati della noia in quarantena. Strade sbarrate ai turisti e via i non residenti. I carabinieri: «Controlli capillari, anche nelle malghe».

Eternamente in bilico fra ricchezza e cialtroneria, fra intellighentsja e cafonaggine, immensamente vanziniana “due giri di Rolex”, Cortina questa volta si rifiuta di valicare il confine, di finire additata al generale ludibrio come ai tempi del blitz anti-evasori di Mario Monti, che ne danneggiò il business per un lustro buono e la reputazione a tempo indefinito. Un’amica ampezzana che sta facendo sloggiare gli affittuari stagionali perché no, non vuole guai, ci gira su whatsapp l’ordinanza emanata dal sindaco di Cortina Giampietro Ghedina.

STRADE SBARRATE AI TURISTI

È lunga trenta righe, ve la riassumiamo in una: verranno sbarrate le strade agli sfollati della noia in quarantena. Seconde case di proprietà o meno, in questo momento Cortina è aperta solo per gli ampezzani, cioè per i residenti, insieme con le sue strutture ospedaliere che, certo, non potrebbero accogliere folle di gitanti eventualmente infettati dal coronavirus: «Nonostante la vocazione turistica della nostra città, il soggiorno e le escursioni per turismo e svago non sono contemplate», scrive il primo cittadino, «ci si vede costretti ad evidenziare a quanti non residenti avessero intenzione di raggiungerci, che ciò si porrebbe in contrasto con le disposizioni normative, potendo configurare un illecito penale».

I CARABINIERI PRONTI AD ANDARE CASA PER CASA

Segue la nota del Comando provinciale dei carabinieri di Belluno, che chiarisce la questione: andrà a prendere i furbetti casa per casa, fino nelle malghe. E nessuno creda di farla franca: «A partire dal 13 marzo e per tutto il week end, il Comando realizzerà un capillare servizio di controllo del territorio provinciale battendo a tappeto la viabilità primaria e secondaria, sfruttando anche l’ausilio degli elicotteri (…) Non verrà tralasciato nulla: disposte pattuglie di Carabinieri Rocciatori per il controllo di rifugi e malghe e luoghi più impervi, ove i più sfacciati potrebbero pensare di trascorrere il fine settimana, lontani dalle proprie abituali residenze (…) e in spregio al bene comune».

NON DIAMO CORDA ALLE ACCUSE DI FURBIZIA

Nelle grandi città desertificate dai provvedimenti per arginare l’epidemia di coronavirus, tanti hanno infatti pensato bene di rifare le valigie appena riposte dopo la settimana bianca e, interpretando a proprio comodo le disposizioni del governo, hanno riaperto in fretta persiane e scuri sotto le Tofane, ma a Cortina la rabbia contro chi tenta di aggirare le norme è palpabile. Non vorremmo finire per dar ragione al New York Times che, tre giorni fa, ha tacciato il Paese di «furbizia» (scritto in italiano) e di intolleranza alle regole: eppure la «sfacciataggine» che i carabinieri del Comando di Belluno evocano le assomiglia molto.

LA RICONVERSIONE DELLA MIROGLIO

Proprio per questo, speriamo che, fra le tante nequizie nazionali fatte filtrare ai media e all’opinione pubblica straniera, venga dato sufficiente risalto al bellissimo gesto della Miroglio che invece, come ai tempi della Seconda Guerra Mondiale quando le fabbriche di tessuti e abbigliamento confezionato vennero riconvertite nella fabbricazione di paracaduti, lenzuola e coperte, ha raggiunto un accordo con la Regione Piemonte per produrre mascherine a uso sanitario, azzerando la problematica sollevata dalla 3M e dai suoi «limiti alle esportazioni» imposta dalla Germania (nota a margine: l’Europa uscirà a pezzi e piena di rancori da questa emergenza), la Miroglio Group di Alba ha dichiarato di essere in grado di fornire le prime 15 mila mascherine già dal 14 marzo. A regime, dovrebbe produrre 25 mila mascherine al giorno, in esclusiva per il Piemonte, dopo aver messo al lavoro tutti i suoi façonisti su un modello con alta percentuale di elastan e una struttura speciale, molto aderente. Al momento, sono in corso le verifiche per la certificazione da parte dell’Istituto superiore di Sanità.

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L’Italia dei balconi che cantano contro la paura

Migliaia di persone, ciascuna nella propria, casa, riunite per un messaggio di speranza. E nei cieli rimbombano l'Inno di Mameli e Bella Ciao. Ma anche Rino Gaetano e Diodato.

“Canta che ti passa”. L’Italia dei social chiama e i quartieri deserti si accendono attraverso migliaia di persone che si danno appuntamento fuori dai balconi, per intonare in coro canzoni e condividere ore di socialità nonostante l’isolamento del Paese. Da Nord a Sud, tutti rigorosamente rinchiusi in casa, ma comunque insieme. E con la musica come terapia contro la paura del Covid-19. Quella dell’inno di Mameli prima di tutti. E ad Agropoli, nella citta balneare in provincia di Salerno, su proposta del sindaco un’auto della municipale gira per le strade diffondendo al megafono sulle note dell’inno di Mameli.

Un po’ ovunque, invece, sono comparse bandiere tricolore esposte dalle finestre o sulle ringhiere: non si vedevano dagli ultimi Mondiali di calcio, ma ora hanno un senso ben diverso. A innescare la serie di flash-mob sonori, diventati in diverse città un appuntamento fisso, è stata la città di Napoli.

Non a caso uno dei video più visti sui social è quello girato in un quartiere popolare partenopeo, dove la gente del rione si aggiunge al coro della canzone Abbracciame di Andrea Sannino: luci accese e famiglie affacciate che cantano romanticamente il ritornello “Abbracciami più forte”. Parole che parlano di un gesto proibito in questo momento, ma che non vieta di sognare in attesa che l’emergenza finisca presto.

E se da giorni gli spettacoli sono off limits, c’è un nuovo modo di assistere ai concerti. A Tusa, un piccolo borgo dei Nebrodi nel Messinese, la street band Fanfaroma ha lanciato l’idea suonando i brani affacciandosi alle finestre e ai balconi, eseguendo musica per un pubblico che ha ascoltato allungando la testa dietro le tendine. Il concerto ha avuto come protagonisti tutti quelli che avevano uno strumento in casa ed erano in grado di usarlo.

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Le Marche strette tra ricostruzione post-sisma ed emergenza coronavirus

Prima il terremoto poi i contagi. Eppure la piccola regione orgogliosa cerca di resistere facendo rete. Davvero.

C’è una regione che nella tregenda generale se la passa peggio delle altre anche se nessuno se ne accorge perché è una regione piccola, orgogliosa, abituata a ricevere niente e chiedere ancora meno.

Le Marche uniscono il Nord del Paese al Sud, ci passano tutti e da anni non vivono altro che emergenze.

PESANO ANCORA LE MACERIE DEL TERREMOTO

Prima un terremoto devastante che ha lasciato macerie persistenti, fuori e dentro, paesi uccisi, genti sfollate, migrate per sempre lungo la costa con in cuore la nostalgia del nulla perduto, ancora 51 chiese da aggiustare dopo tre anni e mezzo e i commissari straordinari alla ricostruzione si susseguono, come i tavoli, l’ultimo l’altro giorno ad Ancona: promesse rinnovate di interventi «non più procrastinabili» e semplificazioni burocratiche imminenti, quanto a dire che quel che si poteva fare non lo si è mai fatto per volontà del dio della Burocrazia che ha tanti figli ma nessun colpevole; e già pare un successo strepitoso aver rimosso più o meno tutte le macerie e sistemato più o meno tutti i profughi.

UN’EMERGENZA INFINITA

A tre anni e mezzo da una rovina che ha scavato un buco di sconfitta, per brevità chiamato cratere, nel quale trovano posto tutte le zone ferite: alla fine dello scorso agosto, 49 mila costruzioni inagibili, 30 mila marchigiani sfrattati, 2 mila soluzioni abitative di emergenza realizzate su 75 aree e un numero incalcolabile di interventi per la messa in sicurezza. Totale: circa un miliardo di spesa.

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Non c’è accordo neppure sul futuro: proroga dopo proroga, il governo di Roma ha fissato il 31 dicembre 2020 come termine ultimo dell’emergenza, ma il presidente regionale dell’Anci, Maurizio Mangialardi, pretende a nome di tutti, nessuno escluso che l’emergenza non finisca prima del 2024, il che la dice lunga nella fiducia corrente per la «ricostruzione non più procrastinabile» che nel frattempo non è neanche partita.

Adesso nella piccola regione, specie la sua parte meridionale, che chiamano affettuosamente «Marche sporche», non c’è più nessuno. Alle 10 di mattina non c’è più nessuno. Per le strade, lungo i mercati, sulla spiaggia del mare, non si vede nessuno

IL VIRUS NELLA REGIONE CUSCINETTO

Su questo scenario di guerra si è innestata l’altra calamità, quella del coronavirus. Curiosamente ma non troppo, le piccole Marche risultano la regione dove il contagio si va propagando a ritmi pesanti: al 10 marzo, 394 infetti con 13 decessi, sette solo nell’ultimo giorno, tutti della provincia di Pesaro e Urbino, con età fra gli 80 e i 94 anni, persone il cui già precario stato di salute è stato stroncato definitivamente dal virus. Nel solo capoluogo regionale, Ancona, i casi sono cresciuti di 18 unità in 24 ore, attestandosi a quota 81; 296 quelli di Pesaro (50 in più nelle 24 ore), che sconta la vicinanza a Rimini; 11 nel Maceratese, 6 nel Fermano. Nessuno, finora, nell’Ascolano dove, per non sbagliare, hanno dirottato alcuni rivoltosi del carcere modenese, uno dei quali subito stroncato da overdose di farmaci. Le Marche sono la regione-cuscinetto per i guai nazionali.

UN LAZZARETTO LUNGO E STRETTO

E la sua piccola pandemia nell’epidemia è curiosa ma fino a un certo punto: la regione, a forte vocazione calzaturiera, da tempo si rivolge all’estremo oriente per salvaguardare quel che resta del suo export. Rapporti privilegiati, sospettano in molti, continuati fino a poche settimane fa tra fiere di settore e viaggi di sponda, per scali agganciati, tanto più che si era ancora nella fase della minimizzazione del rischio, del semplice blocco dei voli diretti da e per la Cina.

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Ipotesi, niente di più, che testimoniano della disperata necessità di trovare una causa, una spiegazione, una luce, anche malata, che però tragga dal buio dell’ambiguità. Sta di fatto che adesso le Marche sembrano un lazzaretto lungo e stretto. E non si riesce a dire, cosa siano quei borghi selvaggi, quei villaggi meravigliosi, così disertati, ancora più derelitti.

PRENOTAZIONI IN FUMO

Già le prenotazioni per le vacanze di luglio, di agosto sono svanite, cancellate, rinnegate dalla prima all’ultima. Già troppi di quegli arrocchi di case stupendamente antiche erano abbandonati a loro stessi, spinti da una crisi endemica che ha fatto piazza pulita degli ultimi giovani, volati via come rondini d’autunno alla caccia di qualsiasi cosa ma lontano da lì. E già la processione di botteghe, di locali, di negozi languiva in un rosario di saracinesche decedute. Adesso nella piccola regione, specie la sua parte meridionale, che chiamano affettuosamente «Marche sporche», non c’è più nessuno. Alle 10 di mattina non c’è più nessuno. Per le strade, lungo i mercati, sulla spiaggia del mare, non si vede nessuno. C’è la morte in giro, solo lei.

LA DISPERAZIONE DIGNITOSA DI UN COMMERCIO CHE NON C’È PIÙ

Eppure questa gente. Che si rintana in casa ma non chiede niente. Che non smette di sorridere, perfino tristemente. Che aspetta un altro sole, certa che arriverà. E si adegua da sola, senza colpi di testa, senza assalti a forni e supermercati, infila le sue mascherine, fa la fila ordinata, evita litigi puerili e recupera la gentilezza. Altro che movida per viziati e capricci da influencer. Qui, nelle Marche, tutti fanno la loro parte anche se serve a poco, anche se poco resta da fare. Qui hanno fatto rete davvero: tra gli ospedali, e 400 posti letto tra già disponibili e nuovi dedicati, divisi per terapie intensive, semintensive, degenze specialistiche, post critici. E nessuno perde la testa e tutti accettano senza bestemmiare questo destino bastardo che stratifica tragedie. E già i negozi, quelli che sopravvivono, si colorano di cartoncini con gli sconti: -20%, -30%. Grida disperate, ma piene di dignità, a un commercio che non c’è più.

Qui hanno fatto rete davvero: tra gli ospedali, e 400 posti letto tra già disponibili e nuovi dedicati. Nessuno perde la testa e tutti accettano senza bestemmiare questo destino bastardo che stratifica tragedie

Chi scrive sabato ha trasgredito il coprifuoco di fatto, non ancora formalizzato. È andato a concedersi un piatto di paccheri allo scoglio nella trattoria che è seconda casa, è ufficio, è rifugio. C’è andato perché i gestori più che amici sono fratelli, perché riaprivano proprio quel giorno e tornare è il rituale di ogni anno che segna la fine dell’inverno, il princìpio di una stagione carica di allettanti promesse (e di paccheri, di spaghetti alle vongole, di strepitosi antipasti di mare). Non è che fossimo soli. Altri non s’erano rassegnati, insieme a noi, a questa punizione immeritata. Di spazio fra i tavoli ce n’era. Ma non avevamo mai vissuto una riapertura con tanta rassegnazione. La festa non c’era più, restava la disperata speranza. Abbiamo mangiato quasi con rabbia, scherzato con rabbia, poi una sigaretta sotto la luna quasi a chiederle: ma perché? Ma la luna non rispondeva. Siamo tornati a casa. In giro, neanche la morte. Siamo tornati a casa. E poi non siamo usciti più.

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Perché donare sangue ora più che mai è importante e sicuro

Ancor prima dell'emergenza coronavirus, a inizio marzo, mancavano 2 mila sacche. I timori successivi hanno contribuiti ad aumentare l'allarme. E ora si moltipliccano gli appelli.

Già nella prima settimana di marzo, quando ancora le misure contro l’epidemia di coronavirus non erano state varate, mancavano 2 mila sacche di sangue e il problema è peggiorato nei giorni successivi, con molte persone che non sono andate a donare, un po’ per la paura del virus un po’ perché non era chiaro se fosse possibile uscire per andare ai centri di raccolta. In queste ore, dopo che ieri ha affrontato il tema anche il commissario della Protezione civile Angelo Borrelli, il caso è rimbalzato anche sui social, con appelli a donare anche da parte di persone famose, oltre che di politici da Salvini a Di Maio.

ALL’APPELLO MANCA IL 10% DEL NECESSARIO

Nella settimana tra il 2 e l’8 marzo sono state raccolte 2 mila sacche di sangue in meno rispetto al fabbisogno, segnala Giancarlo Liumbruno, direttore generale del Centro Nazionale Sangue (Cns), circa il 10% in meno di quanto necessario. «Si è riusciti a mantenere il sistema in equilibrio grazie alla compensazione interregionale» – spiega – «alle scorte e al fatto che in molte aree sono stati rinviati gli interventi non urgenti, ma se il trend rimane sarà impossibile garantire il fabbisogno, che normalmente è di circa 48 mila sacche alla settimana consumate per circa 1.800 pazienti al giorno».

LE RIPERCUSSIONI DELL’ALLARME IN LOMBARDIA

Tra le regioni in rosso, ha ricordato il presidente di Avis Lombardia Oscar Bianchi, c’è anche quella ‘epicentro’ dell’epidemia. «In Lombardia la produzione è stata di 7.712 unità a fronte di un consumo di 8.275, quindi abbiamo utilizzato 563 sacche in più« – spiega – «dei 2 milioni di sacche di sangue e plasma prodotte ogni anno nel nostro Paese, 500 mila, ben un quarto, vengono dalla Lombardia. Non solo il territorio lombardo è autosufficiente in questo campo, ma contribuisce storicamente alle necessità di altre zone, in particolare Lazio e Sardegna. E in queste regioni, come pure in Campania e Sicilia, l’allarme è già scattato».

CHIAMARE IL PUNTO DI RACCOLTA PER EVITARE ASSEMBRAMENTI

Anche un’altra regione ‘virtuosa’, il Friuli Venezia Giulia, ha denunciato un calo del 20% nella raccolta, e diversi presidenti di regione, dalla Campania al Molise, hanno fatto appelli a donare, condivisi anche da personaggi famosi, dallo scrittore Gianrico Carofiglio, che ha postato una foto su Twitter mentre donava, alla presentatrice Victoria Cabello all’attrice Lodovica Comello a Carlo Verdone, che ha ricordato che il Lazio è una delle regioni con più problemi in questo senso. Anche diversi politici nazionali, da Di Maio a Salvini a Zingaretti a Meloni hanno fatto appelli in questo senso. Il consiglio per tutti, specifica il Cns, è di chiamare il punto di raccolta per prenotare la donazione ed evitare assembramenti.

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I dati sui contagi da coronavirus in Italia del 13 marzo

Secondo i dati ufficiali della Protezione civile, sono 17.660 casi totali, di cui 14.955 gli "attivi", 1.266 i decessi e 1.439 i guariti.

Sono 14.955 i malati di coronavirus in Italia, 2.116 in più di ieri, mentre il numero complessivo dei contagiati – comprese le vittime e i guariti – ha raggiunto i 17.660. Il dato è stato fornito dal commissario per l’emergenza Angelo Borrelli in conferenza stampa alla Protezione Civile. I morti, invece, 1.266, 250 in un solo giorno. Ieri l’aumento era stato di 189 decessi. I guariti salgono a 1.439, 181 in più di ieri.

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MILANO, PREFETTO SEQUESTRA PIÙ DI 20 MILA MASCHERINE

Il prefetto di Milano, Renato Saccone, ha firmato, su disposizione del capo della Protezione civile, due provvedimenti di requisizione di mascherine. In un caso si tratta di 420 mascherine inviate dagli Stati Uniti a una ditta del milanese, nel secondo di 19.980 mascherine sottoposte a fermo dall’Agenzia delle Dogane perché destinate ad essere inviate in Brasile senza l’autorizzazione della Protezione civile. Le mascherine verranno consegnate oggi stesso alla Regione Lombardia per le finalità indicate dal Capo Dipartimento di protezione civile

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La Cina ci aiuta (a pagamento) ma dovrebbe chiedere scusa

Venderci respiratori e mascherine è sicuramente un passo avanti, ma non basta. Pechino sta cercando di cancellare le sue responsabilità nell'esplosione della pandemia. E la verità.

La Cina adesso ci “aiuta”, mandandoci presidi sanitari e mascherine (e qualche medico), a pagamento, mentre dovrebbe chiederci scusa e pagare i danni “di guerra” da coronavirus.

Come dimenticare, infatti, gli errori e le responsabilità di Pechino, specialmente nella gestione iniziale dell’emergenza e nel tentativo di nascondere l’epidemia?

Tutto questo mentre la straordinaria macchina della propaganda del Partito Comunista Cinese, si sta dando un gran daffare per negare l’evidenza e cancellare la memoria collettiva sull’indiscutibile origine cinese del virus, aggiungendo così la beffa al danno. Con il beneplacito del nostro ministro degli Esteri Luigi di Maio, che con una mano stacca un consistente assegno ai cinesi e con l’altra si spertica in ringraziamenti ufficiali al grande cuore della Cina, twittando con insistenza: «non siamo soli».

I TENTATIVI DI FARE DIMENTCARE LA VERITÀ

Per carità, avere mascherine, macchinari per la ventilazione e aiuto medico, seppure pagandolo, è sempre meglio di quanto stia facendo l’Europa (niente) o la Bce, che addirittura ci danneggia. Ma il tentativo (quasi riuscito ormai) di rovesciare la verità portato avanti dal Pcc ha dell’incredibile, nella sua sfrontatezza. La Cina ha cominciato a lanciare una settimana fa un’aggressiva campagna diplomatica e mediatica allo scopo di cercare di occultare definitivamente al mondo la data esatta dell’inizio dell’epidemia. Cercando di far dimenticare che tacendo per mesi (ormai si sa che i primi casi erano già noti a novembre, mentre l’epidemia è stata resa pubblica solo il 20 gennaio) ha permesso che il virus si diffondesse sia al suo interno che nel resto del mondo, durante l’intero periodo festivo del Capodanno lunare.

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Ma non basta, perché per l’arrogante Partito Comunista Cinese ammettere di essere responsabile del disastro sanitario ed economico che sta affliggendo oggi il nostro Paese – e che presto colpirà molte altre nazioni – non è nemmeno pensabile. Non ce la fanno. Tutto ciò che collega la Cina al virus deve essere messo in discussione e scomparire per sempre dai libri di storia.

LA NEGAZIONE DELLA EVIDENZA

Tutti gli ambasciatori cinesi all’estero hanno ricevuto l’ordine di diffondere il seguente messaggio attraverso il loro account Twitter (social vietato in Cina) o di cercare di far sì che venga ripetuto dai media stranieri: «Se è vero che il coronavirus è stato debellato con successo da Wuhan, la sua vera origine rimane sconosciuta. Stiamo cercando di scoprire esattamente da dove proviene». Un gigantesco tentativo di negare l’evidenza dei fatti.

COSÌ IL VIRUS CAMBIA NAZIONALITÀ

Allo stesso modo, i media cinesi – controllati dal Partito – insistono sul fatto che il mercato degli animali di Wuhan, (oggi completamente ripulito e forse in procinto di venire raso al suolo, allo scopo di non lasciare alcuna traccia) che sappiamo essere all’origine dell’epidemia, non sarebbe più l’epicentro del contagio. La parola d’ordine è Instillare con ogni mezzo il dubbio nelle menti delle persone e dei media occidentali: il  primo passo per poi alimentare tutte le teorie complottistiche attualmente in circolazione, puntando in particolar modo su un’origine americana di questo virus. Così il virus cinese diventa americano, oppure “giapponese” e persino … virus italiano!

Secondo recenti indiscrezioni, infatti, l’’ambasciata cinese a Tokyo la scorsa settimana avrebbe inviato un messaggio a tutti i cittadini cinesi in Giappone circa le linee guida da seguire se si trovano di fronte al «coronavirus giapponese». Come se il virus una volta arrivato in Giappone avesse preso il passaporto nipponico. Una mossa sconcertane che non è passata inosservata al governo di Tokyo, che ha rinviato la visita ufficiale di Xi Jinping in Giappone, prevista per aprile, e ha vietato l’ingresso ai cittadini cinesi sul suo territorio.

NO, LA GOVERNANCE CINESE NON È MEGLIO DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA

Infine, beffa nella beffa, una martellante campagna di propaganda diffusa a tappeto su tutti i mezzi di comunicazione stranieri, compresi Facebook e Twitter, invitano il mondo a “ringraziare la Cina” per i sacrifici che ha fatto nella lotta contro il virus, esaltandone la disponibilità a condividere l’esperienza con i Paesi che ne avranno bisogno: «Continuando il nostro lavoro di prevenzione in Cina (…) forniremo supporto ai Paesi stranieri nei limiti delle nostre capacità», ha affermato il viceministro cinese per gli Affari esteri. Un tentativo molto furbo di far passare il messaggio che l’epidemia è sotto controllo grazie al Partito Comunista cinese, e che per i Paesi stranieri che adesso devono affrontarla, compreso il nostro, «sarebbe impossibile adottare le misure radicali che la Cina ha adottato», come ha scritto la scorsa settimana il quotidiano governativo Global Times, cercando di far passare a livello internazionale il messaggio che il controllo assoluto garantito dal sistema illiberale di governance cinese sia migliore di quello delle democrazie occidentali e l’unico in grado di garantire la gestione di questa come di qualsiasi altra emergenza. Le ultime misure di quarantena adottate dall’Italia, invece, dimostrano il contrario.

E di fronte a questa sfacciata propaganda cinese, il sinologo Steve Tsang, professore presso il Chinese Institute di Londra, ha spiegato che «il Pcc ha sempre avuto il monopolio della verità e della storia in Cina e continua a negare l’evidenza, rifiutandosi ostinatamente di ammettere qualsiasi insabbiamento delle notizie iniziali sull’epidemia. I funzionari del partito pensano di avere ragione anche quando ovviamente hanno torto». Aggiungendo: «Ma la loro falsa verità deve venire messa in discussione in Occidente. Spetta a noi, nel mondo democratico, denunciare la sfacciata operazione di propaganda del Pcc».

La verità insomma è che l’Italia è vicina la collasso totale (e altri Paesi seguiranno) come conseguenza delle enormi responsabilità del governo di Pechino, che non può pensare di cavarsela vendendoci il carico di un aereo pieno di mascherine, qualche apparato per la ventilazione assistita e alcuni medici, come quello atterrato ieri a Roma. La Cina deve chiederci scusa e dovrebbe pagare i “danni di guerra” del coronavirus. Con buona pace del nostro Ministro degli Esteri.

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Tutti gli eventi sportivi cancellati dal coronavirus

Champions ed Europa League sospese in attesa di una decisione definitiva. Stop ai principali campionati di calcio. Giro d'Italia rinviato. Nba interrotta fino a data da destinarsi. Euro 2020 e Olimpiadi appesi a un filo. La guida.

Prima o dopo, è solo questione di tempo. Il coronavirus che ha messo in ginocchio l’Italia e minaccia di fare lo stesso con gran parte dell’Europa in brevissimo tempo, sta facendo tabula rasa anche dello sport, arresosi all’eventualità che le porte chiuse non sono più sufficienti di fronte a una simile emergenza sanitaria. Ecco, di seguito, tutte le più importanti manifestazioni sportive cancellate o sospese in attesa di capire quale sarà lo sviluppio della pandemia. Col grande punto interrogativo sugli appuntamenti più importanti dell’estate, l’Europeo di calcio e le Olimpiadi, oggi più che maiappesi a un filo.

CALCIO: ANCHE LA UEFA DICE STOP

La Uefa ha impiegato tanto, troppo, tempo, ma alla fine si è arresa. Champions ed Europa League sono state sospese dopo l’iniziale rinvio dei soli due ottavi delle squadre attualmente in quarantena, Juventus e Real Madrid. Il 17 marzo è previsto un nuovo incontro per decidere delle sorti di entrambe le competizioni e dell’Europeo che dovrebbe partire il 12 giugno. Nel frattempo, tutti i campionati italiani sono stati congelati dal Coni fino al 3 aprile. La Liga spagnola è stata sospesa per due settimane, esattamente come la Ligue 1 francese. Anche la Bundesliga tedesca si ferma con effetto immediato a causa della pandemia. Dopo un lungo tira e molla e i primi casi di positività, infine, pure l’Inghilterra è stata costretta alla resa: niente Premier League fino al 4 aprile.

CICLISMO: IL GIRO D’ITALIA RINVIATO A DATA DA DESTINARSI

Dopo il rinvio a a data da destinarsi di Strade Bianche, Tirreno-Adriatico e Milano Sanremo, Rcs Sport ha confermato di aver preso la stessa decisione anche per il Giro d’Italia. Poche ore prima, su disposizione del governo di Viktor Orbán, erano state cancellate le prime tre tappe della corsa rosa, che si sarebbero dovute svolgere in Ungheria.

FORMULA 1: SALTANO I PRIMI TRE GP, IL VIA È UN’INCOGNITA

I casi di positività che hanno costretto la McLaren ad annunciare la mancata partecipazione al Gran Premio di Melbourne, prima tappa della nuova stagione, hanno messo il Circus spalle al muro. Così, seppur in ritardo la Fia, ha disposto la cancellazione della tappa australiana del Mondiale, dopo avere in precedenza già posticipato il Gp di Cina. A stretto giro è arrivato anche il rinvio con lo slittamento a data da destinarsi sia del Gp del Bahrain che di quello del Vietnam. L’ipotesi che il campionato possa cominciare il 3 maggio con il Gp di Zandvoort, in Olanda, viene meno per ora, perché la Fia hanno espressamente indicato fine maggio (o inizio giugno?) come il momento idoneo per il via del Mondiale.

MOTOCICLISMO: DOPO IL QATAR SALTA ANCHE LA TAPPA USA

Analogo destino incerto anche per il motomondiale. La MotoGp è stata costretta a rinunciare al Gp del Qatar che avrebbe dato il via alla stagione. A scendere in pista sono state soltanto Moto2 e Moto3, che da tempo si trovavano in loco. Il secondo appuntamento, a Austin, in Texas, è già stato posticipato al 15 novembre, dopo essere stato inizialmente programmato per il 5 aprile. In attesa di nuovi aggiornamenti, Per vedere la MotoGp in pista bisogneà aspettare fino al 19 aprile, quando sul tracciato di Termas de Rio Hondo dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, prendere il via il Gp d’Argentina, gara per ora confermata dagli organizzatori.

BASKET: NBA ED EUROLEGA PER LA SERRATA TOTALE

Se tutti i campionati italiani di basket sono stati congelati dalla decisione presa dal Coni che ha coinvolto tutto lo sport professionistico italiano, per l’Nba è stata la positività del centro francese degli Utah Jazz Rudy Gobert a fare optare per lo stop immediato della lega più ricca del pianeta. Eurolega ed Eurocup, le due massime competizioni continentali, hanno agito allo stesso modo.

TENNIS: TUTTO FERMO ALMENO FINO A MAGGIO

Il tennis si ferma fino al 20 aprile a causa del coronavirus. Il Consiglio direttivo dell’Atp, presieduto da Andrea Gaudenzi, ha infatti accettato la petizione firmata da un gruppo di giocatori, tra i quali Novak Djokovic e Rafael Nadal, in cui si chiedeva lo stop dell’attività, che non riprenderà prima di sei settimane. Dopo la cancellazione di Indian Wells, saltano inevitabilmente anche altri appuntamenti di lusso come i Masters 1000 di Miami e Montecarlo, oltre ai tornei di Marrakech, Houston, Barcellona e Budapest. In sospeso Monaco ed Estoril, dubbi anche su Madrid e soprattutto sugli Internazionali di Roma, in calendario dal 4 al 17 maggio.

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Cosa prevede la bozza provvisoria del nuovo decreto sul coronavirus

Tra i punti più importanti, lo slittamento del referendum sul taglio dei parlamentari (entro l'autunno) e la proroga di tre mesi al mandato delle giunte regionali di Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania e Puglia. Ma non solo. Il testo prevede anche la riduzione delle bollette per tutto il 2020, la sospensione delle imposte per i settori più colpiti e fondi per ammortizzatori sociali.

Il governo è al lavoro sulla bozza provvisoria del nuovo decreto sul coronavirus. Il testo è ancora un “cantiere aperto” e si basa sulle proposte arrivate la sera del 12 marzo dai vari ministeri. Tra i punti più importanti, lo slittamento del referendum sul taglio dei parlamentari (entro l’autunno) e la proroga di tre mesi al mandato delle giunte regionali di Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania e Puglia. Ma non solo. Il documento prevede anche la riduzione delle bollette per tutto il 2020, la sospensione delle imposte per i settori più colpiti e fondi per ammortizzatori sociali.

REFERENDUM SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI ENTRO L’AUTUNNO

Il termine entro il quale è indetto il referendum per il taglio dei parlamentari «è fissato in 240 giorni». L’ordinanza che ha ammesso il referendum risale a fine gennaio dunque i 240 giorni scadrebbero a fine settembre. La data potrebbe essere fissata tra i 50 e i 70 giorni successivi e quindi la consultazione può slittare fino all’autunno.

PROROGA DI TRE MESI AL MANDATO DELLE GIUNTE REGIONALI DI VENETO, LIGURIA, TOSCANA, MARCHE, CAMPANIA E PUGLIA

Il mandato delle giunte regionali a statuto ordinario in scadenza viene prorogato di tre mesi rispetto alla durata prevista fino ad ora dalla legge. «Gli organi elettivi delle Regioni a statuto ordinario il cui mandato scade entro il 31 luglio 2020, durano in carica 5 anni e 3 mesi», si legge nel testo che interviene su Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania e Puglia. Le Giunte potranno essere operative nella pienezza dei poteri loro attribuiti.

SLITTANO LE ELEZIONI COMUNALI PREVISTE NEL 2020

Slittano le elezioni comunali previste nel 2020. «In deroga a quanto previsto dall’articolo 1, comma 1, della legge 7 giugno 1991, n. 182, limitatamente all’anno 2020, le elezioni dei consigli comunali, previste per il turno annuale ordinario, si tengono in una domenica compresa tra il 15 ottobre e il 15 dicembre 2020», si legge nel testo provvisorio.

STOP A VERSAMENTI DI RITENUTE E CONTRIBUTI E AGLI AFFITTI DEGLI IMPIANTI SPORTIVI

Sospesi anche i versamenti di ritenute e contributi e gli affitti degli impianti sportivi. Le misure valgono sia per le società professionistiche sia per associazioni e società dilettantistiche e sospendono i versamenti fino a fine maggio e i canoni di locazione fino a giugno. Si chiede anche di istituire un fondo speciale al Credito sportivo per stornare gli interessi sui mutui.

LEGGI ANCHE: Il governo valuta una riduzione delle bollette per tutto il 2020

RIDUZIONE DELLE BOLLETTE, SOSPENSIONE DELLE IMPOSTE E FONDI PER AMMORTIZZATORI SOCIALI

Un altro punto del testo provvisorio riguarda la riduzione delle bollette per tutto il 2020. Ma non solo. Sono previsti anche fondi per gli ammortizzatori sociali e la sospensione delle imposte per i settori più colpiti, a partire da turismo e spettacolo.

PROROGA DEL VOTO PER AGCOM E GARANTE DELLA PRIVACY

Il voto delle commissioni parlamentari e delle Camere sulle Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e del Garante per la protezione dei dati personali slitterà ad una data fino a 60 giorni dalla cessazione dell’emergenza coronavirus. Il rinvio, si legge nella bozza provvisoria, si limita a prorogare la durata in carica degli attuali componenti delle due Authority senza ulteriori spese.

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Come i cinema sono stati messi in crisi dal coronavirus

Già 70 i titoli fermi, che potrebbero diventare un centinaio con l'estensione del blocco. Tutta la filiera costretta alla paralisi. Ma l'Anica progetta il rilancio. Confidando che arrivi già in estate.

Non c’è un settore non contagiato dall’emergenza coronavirus, ma il cinema è tra quelli che potranno venir fuori alla grande, quando tutto sarà finito, proprio per la sua funzione sociale, di arricchimento culturale, di aggregazione, indispensabile per tutti come già si vede in questi giorni di fame di contenuti tra social e tivù, pur a sale vuote. Per questo, «quando verremo fuori dalle catacombe ci sarà una bella riscossa e anzi con tutta la filiera a bordo» – ossia con le piattaforme dentro l’Anica ndr – «non solo ci stiamo preparando al dopo, ma avremo alla fine un sistema più moderno».

SONO GIÀ 70 I TITOLI FERMI

È realista ma anche determinato a immaginare un futuro positivo il presidente dell’Anica Francesco Rutelli. Questa mattina in una conference call con i presidenti di distributori (Mario Lonigro), produttori (Francesca Cima), esercenti (Mario Lorini) ha fatto un quadro, evidentemente parziale, della situazione che è drammatica come ovunque. «Impossibile quantificare il danno economico», ha detto. «Ci sono 70 titoli fermi – da Si vive una volta sola di Carlo Verdone ai Miserabili premiato a Cannes – «solo dalla settimana antecedente lo stop e fino ai primi di aprile secondo il Dpcm, potrebbero diventare 100 se si proseguirà con il blocco: il loro destino sarà complicato, alcuni andranno direttamente sulle piattaforme».

SI SPERA NELL’ESTATE PER UN’OCCASIONE DI RILANCIO

«Ogni azienda» – ha detto Lonigro – «sta cercando di rivedere il proprio «listino in una situazione in fieri e complicatissima che si va aggrovigliando anche a livello globale vista la pandemia che ad esempio, per citare l’ultimo caso, ha fermato Mulan della Disney. Non sappiamo quando finirà, ma è chiaro che ci sarà un sovraffollamento di proposte da coordinare e l’estate, se ci sarà la riapertura, potrebbe essere storica per il rilancio». «Una stagione di supermoviement« – ha sottolineato Rutelli – «un momento fondamentale per riappropriarci del cinema. E anche i David, ora costretti allo stop, saranno un’occasione pubblica di grande rilancio del settore». Quanto a Volevo nascondermi, il film di Giorgio Diritti con Elio Germano Orso d’argento a Berlino e ultimo a uscire in sala, «uscirà di nuovo, guiderà la ripartenza e considereremo quattro giorni di anteprima l’uscita scorsa», ha aggiunto Lonigro.

TUTTA LA FILIERA MESSA ALLE STRETTE

Se il destino dei cosiddetti ‘pending’, ossia in gergo i titoli senza data di uscita, è complicato non sta meglio il resto della filiera: i set sono fermi, una quarantina, ha detto Cima, riservandosi di comunicare successivamente dati precisi delle produzioni costrette allo stop, tra film internazionali (come Mission Impossible 7 con Tom Cruise bloccato a Venezia proprio all’inizio dell’emergenza a febbraio), italiani ma anche pubblicità e tivù. E anche la post produzione va necessariamente a rilento visto che, per ovvie ragioni di distanza, le sale doppiaggio ad esempio sono chiuse mentre procedono da remoto le attività in solitario.

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