Lo 'ndranghetista arrestato per aver violato le norme sul virus. I risultati incoraggianti del farmaco Tolicizumab a Napoli. L'iniziativa "L'Italia Chiamò" del Mibact. In Cina solo otto nuovi casi in un giorno. Pillole di ottimismo per affrontare l'angoscia da pandemia.
L’emergenza coronavirus è reale ed è giusto affrontarla, così come è giusto rispondere alla domanda di informazioni riguardanti l’interesse pubblico per definizione: la salute. Ma il sovraccarico di notizie genera spesso un allarmismo controproducente. Per questo, abbiamo deciso di cercare di placare il senso di ansia generalizzata con i fatti positivi legati alla pandemia che ogni giorno avvengono, ma nessuno nota. Un piccolo calmante per affrontare la crisi (passeggera).
LO ‘NDRANGHETISTA ARRESTATO PER AVER VIOLATO LE NORME SUL CORONAVIRUS
Arrestato a BruzzanoZeffirio, in provincia di ReggioCalabria, il latitante CesareAntonioCordì, 42enne esponente di spicco della ‘ndrangheta di Locri, in una operazione messa a segno dai carabinieri. L’uomo si nascondeva nel centro del reggino ed è stato individuato grazie alla violazione delle norme emergenziali in atto per il contenimento del contagio da coronavirus.
BUONI RISULTATI DAL FARMACO ANTI-ARTRITE
«Da sabato abbiamo trattato sei pazienti tutti intubati. Di questi, tre hanno avuto un miglioramentoimportante. Il primo paziente ha evidenziato segni di miglioramenti alla Tac di controllo effettuata ieri sera», ha detto Paolo Ascierto, direttore dell’unità di immunologia clinica del Pascale, sull’uso all’ospedale Cotugno di Napoli del Tolicizumab, l’anticorpo monoclonale utilizzato per il trattamento dell’artrite reumatoide sulla polmonite indotta dal coronavirus. Si ipotizza di stubare il paziente se rimarrà stabile.
IL FORMAT L’ITALIA CHIAMÒ DEL MIBACT
Il ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il turismo ha aderito a L’Italia Chiamò, la campagna nata spontaneamente sulla rete che vede molti artisti, giornalisti, musei e istituzioni culturali impegnati in un grande evento finalizzato alla raccolta fondi per la Protezione civile. Il canale YouTube del Mibact ospiterà fino a mezzanotte il live streaming solidale al quale stanno partecipando centinaia di protagonisti del mondo dell’informazione, della cultura, della musica e dello spettacolo.
IN CINA OTTO NUOVI CASI IN UN GIORNO
La Cina ha annunciato un bollettino relativo alla giornata di ieri con nuovi minimi assoluti: appena otto nuovi casi registrati e 7 decessi, che portano il totale a 3.176. La Commissione sanitaria nazionale (Nhc) ha riferito anche che 6 morti fanno capo alla provincia dell’Hubei, l’epicentro dell’epidemia, e uno a quella dello Shandong. Sono 1.318 i pazienti dimessi dagli ospedali che portano le guarigioni complessive a 64.111, pari a quasi l’80% (79,33%) degli 80.813 contagi finora accertati.
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Secondo alcuni rapporti pubblicati dal South China Morning Post il primo malato è stato registrato il 17 novembre. Si tratta di un 55enne dell'Hubei. Ma ci potrebbero essere casi di Covid-19 ancora precedenti. Mentre una dottoressa di Wuhan accusa Pechino: «Ho denunciato l'esistenza di un nuovo virus a dicembre ma le autorità mi hanno imposto il silenzio».
«Ho denunciato l’esistenza di un nuovo virus anche a dicembre ma le autorità mi hanno imposto il silenzio». Ai Fen, dottoressaa capo del dipartimento per le emergenze dell’ospedale centrale di Wuhan, ha raccontato in una lunga intervista al South China Morning Post, come le venne ordinato di tacere per non diffondere il panico. «Se il Partito avesse ascoltato la mia denuncia, forse ora l’epidemia di coronavirus non sarebbe così diffusa».
L’IDENTIFICAZIONE DEL PRIMO INFETTO
Un’autentica bomba che rischia di mettere seriamente in crisi Pechino, proprio mentre alcuni registri del governo cinese, pubblicati il 13 marzo in esclusiva dal quotidiano in lingua inglese, individuano la prima persona infettata (anche se ufficialmente non è ancora stata identificata come paziente zero globale). Si tratterebbe di un cittadino della provincia dell’Hubei di 55 anni. Data del contagio: 17 novembre 2019. Ben prima di fine dicembre quando fu resa nota l’esistenza del nuovo virus. Ma ci potrebbero essere altri casi precedenti non registrati.
Le rivelazioni pubblicate dal Scmp riguardano anche alcuni rapporti medici che dimostrerebbero come i dottori di Wuhan, malgrado avessero raccolto campioni di casi sospetti, non furono in grado di confermare i loro risultati perché rimasti impantanati nelle maglie della burocrazia e obbligati a ottenere l’approvazione dal Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie prima di divulgare le notizie: un’autorizzazione che poteva richiedere molti giorni e a volte settimane. Nel frattempo venne loro ordinato di non diffondere al pubblico alcuna informazione sulla nuova malattia.
L’ALLARME LANCIATO SU WECHAT
Lo confermano anche le parole della dottoressa Fen che ha raccontato di avere passato in un primo tempo al magazine cinese People la foto della diagnosi di un paziente che aveva in cura, affetto da una polmonite causata da un coronavirus simile alla Sars. Il magazine prima ha postato la foto sul suo profilo Wechat (social cinese), ma subito dopo l’ha cancellata, spingendo gli utenti, infuriati, a ripubblicare l’articolo su altre piattaforme. Wechat è gestito dalla People’s Publishing House, un’azienda di Stato e la scomparsa del post ha coinciso con la prima visita del presidente Xi Jinping a Wuhan dall’inizio della crisi, durante la quale ha elogiato i residenti per il loro duro lavoro e i sacrifici compiuti: il messaggio della dottoressa di Wuhan avrebbe rischiato di offuscare l’immagine trionfalistica ripetuta in modo martellante dalla propaganda di Pechino. L’oftalmologo Li Wenliang, il medico divenuto “eroe” per avere a sua volta cercato di diffondere queste notizie ed essere poi morto in corsia curando i malati, era tra i medici che avevano condiviso la sua foto.
IL SILENZIO PER «NON DIFFONDERE IL PANICO»
La dirigente ha anche raccontato di avere immediatamente avvisato i servizi sanitari e il dipartimento di controllo delle malattie infettive. «Ho letteralmente “afferrato” il direttore di pneumologia dell’ospedale, che stava passando per il mio ufficio, e gli ho detto che uno dei suoi pazienti era stato infettato da un virus simile a Sars», ha ricordato. La risposta del superiore fu però di tacere. Come ha ricostruito la dottoressa, la commissione sanitaria di Wuhan aveva emesso una direttiva secondo cui gli operatori non dovevano rivelare nulla sul virus o sulla malattia che causava, per evitare di scatenare il panico. Poco dopo, l’ospedale vietò a tutto il personale la divulgazione di qualsiasi informazione. Due giorni dopo, un funzionario accusò esplicitamente Fen di «diffondere voci e seminare panico», riferendosi alla fotografia che aveva pubblicato online. «Ho visto tutto nero», ha ammesso la dottoressa. «Non mi stava criticando per non aver lavorato duramente… mi ha fatto sentire una persona orribile, che stava rovinando il futuro di Wuhan. Ero disperata». Hu Ziwei, un’infermiera dello stesso ospedale che si è infettata circa una settimana dopo dalla denuncia di Fen, ha confermato questa versione. «L’ospedale in un primo momento ha annotato sulla mia cartella clinica che soffrivo di “polmonite virale”», ha detto, «ma in seguito ha cambiato la descrizione in generiche “infezioni”».
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Via libera della presidente Ursula Von der Leyen, che promette «massima flessibilità» nell'applicazione del Patto di stabilità e per soccorrere le aziende in difficoltà.
Per contrastare la pandemia da coronavirus e le sue ricadute economiche servono misure eccezionali. Ecco perché la Commissione europea è pronta a mettere da parte uno dei capisaldi delle politiche comunitarie: il divieto di aiuti di Stato per le imprese. Il via libera non è ancora ufficiale, ma la presidente Ursula Von der Leyen è stata chiarissima: «Massima flessibilità» nell’applicazione del Patto di stabilità e per soccorrere le imprese in difficoltà.
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La pandemia ha colpito oltre 100 Stati in tutto il mondo, con quasi 5 mila morti. Il 20% in Italia. Che è al secondo posto tra i più colpiti dopo la Cina. In tutto 135 mila casi, 69 mila persone guarite. La mappa del Covid-19.
Il coronavirus galoppa in Italia, mentre tutti siamo impegnati nelle misure di contenimento del contagio. La pandemia ha colpito oltre 110 Paesi nel mondo, facendo registrare a livello globale oltre 4.900 vittime, mentre i contagi hanno superato i 135 mila casi, a fronte di 69 mila persone che sono guarite dal Covid-19. Ecco una scheda riepilogativa dei principali Paesi colpiti con il maggior numero di morti, secondo i dati della Johns Hopkins integrati con gli aggiornamenti delle autorità nazionali dei vari Stati.
CINA
Il Paese da cui è partito il virus registra, secondo i dati della Commissione sanitaria nazionale, 80 mila contagi e 3 mila morti.
ITALIA
Siamo il secondo Paese più colpito nel mondo, con oltre mille morti e 15 mila casi.
IRAN
È il terzo Stato per numero di morti, 514. Il numero dei casi registrati è salito a 11.364, con 1.289 nuovi contagi confermati. Le persone guarite sono invece 3.529. Lo ha riferito il ministero della Salute di Teheran.
COREA DEL SUD
Nell’altro Paese asiatico duramente colpito i morti finora resi noti sono 66 mentre i contagiati 7.869
SPAGNA
Il secondo Paese europeo con il maggior numero di contagi, saliti a quasi 4 mila, e numero di decessi (90).
FRANCIA
Finora accertati 61 morti e 2.879 persone contagiate.
STATI UNITI
Cresce la paura anche in America con 37 decessi e oltre 1.700 casi.
GIAPPONE
I dati parlando di 16 morti a fronte di 639 contagiati.
REGNO UNITO
Oltremanica 10 i morti mentre i contagi sono 593.
IRAQ
Il Paese mediorientale ha registrato finora 8 decessi a fronte di 79 casi segnalati.
SVIZZERA
Otto morti finora registrati a fronte di 858 casi.
GERMANIA
Aumentano i casi di contagio, che hanno superato quota 3 mila, mentre i morti sono 6.
PAESI BASSI
Cinque i decessi a fronte di 614 contagiati.
OLTRE IL 20% DEI DECESSI GLOBALI È AVVENUTO IN ITALIA
Di fatto a livello globale due decessi su 10 collegati al coronavirus sono avvenuti in Italia: gli oltre mille morti del nostro Paese rappresentano infatti il 21% delle circa 5 mila persone decedute a livello mondiale con diagnosi di Covid-19. È quanto si legge nell’aggiornamento “Coronavirus: quello che c’è da sapere”, pubblicato dall’Istituto malattie infettive Spallanzani il 12 marzo, e basato su dati dello European centre for disease prevention and control e della Protezione civile. La nostra percentuale, in continua crescita, ci rende secondi solo alla Cina, che conta il 66% dei decessi (percentuale in continua diminuzione). Dopo di noi l’Iran con il 7,4% di decessi e la Corea del Sud con l’1,4%. In quest’ultimo caso si nota un numero particolarmente basso di decessi rispetto agli oltre 7 mila casi registrati.
IN CINA LE GUARIGIONI ALL’80%
Intanto la Cina ha annunciato un bollettino da coronavirus relativo alla giornata del 12 marzo con nuovi minimi assoluti: appena 8 nuovi casi registrati e sette 7 decessi, che portano il totale a 3.176. La Commissione sanitaria nazionale (Nhc) ha riferito anche che 6 morti fanno capo alla provincia dell’Hubei, l’epicentro dell’epidemia, e uno a quella dello Shandong. Sono 1.318 i pazienti dimessi dagli ospedali che portano le guarigioni complessive a 64.111, pari a quasi l’80% (79,33%) degli 80.813 contagi finora accertati.
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La misura è nella bozza del nuovo decreto che contiene gli interventi economici per fronteggiare gli effetti della pandemia. Ci sono anche gli ammortizzatori sociali e la sospensione delle imposte per i settori più colpiti.
Una riduzione delle bollette per tutto il 2020, da attuare attraverso un intervento sugli oneri di sistema. È una delle ipotesi che il governo sta valutando per dare un sostegno a famiglie e imprese, con una norma da inserire nel nuovo decreto con le misure economiche per fronteggiare la pandemia da coronavirus. Nella bozza ci son anche i fondi per gli ammortizzatori sociali e la sospensione delle imposte per i settori più colpiti, a partire da turismo e spettacolo.
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Martedì 17 marzo la confederazione decide sul futuro delle competizioni.
Dopo il rinvio delle partite di Real Madrid e Juventus, la Uefa ha ufficializzato lo stop a tutte le partite di Champions ed EuropaLeague valide per gli ottavidifinale previste la prossima settimana. La decisione, sottolinea la Bbc, è stata presa dopo una riunione in conference call con i rappresentanti delle 55federazioni e delle leghenazionali. La riunione è stata aggiornata al 17 marzo per valutare ulterioriprovvedimenti.
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Sul settimanale Al Naba le norme "religiose" per prevenire il contagio. Lavarsi le mani, evitare viaggi nelle zone più colpite (niente attentati per un po' in Italia?) e... affidarsi ad Allah.
L’Organizzazione mondiale della sanità lo aveva detto a inizio febbraio: il coronavirus è una minaccia peggiore del terrorismo. E in effetti anche i terroristi sono preoccupati dal contagio. Tanto da essersi attrezzati.
VIRUS NON NOMINATO DIRETTAMENTE
Un articolo pubblicato sul settimanale di Daesh, Al Naba, ha fornito «le direttive religiose» per proteggersi dall’infezione. Nel pezzo il virus non viene nominato direttamente, si parla in generale di epidemia (che nel frattempo si è diffusa in tutto il mondo, diventando pandemia), ma le indicazioni dello Stato islamico non discostano molto da quelle dell’Oms.
EVITARE VIAGGI IN PAESI COME L’ITALIA
Prima fra tutte «stare lontano dalle persone malate ed evitare viaggi nelle zone colpite dall’infezione». Quindi almeno per un po’ l’Italia sarà protetta dagli attentati. Poi coprirsi la bocca quando si tossisce o si sbadiglia e lavarsi le mani prima di mangiare e bere. Infine, «affidarsi ad Allah e cercare protezione in lui».
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Fcp, la federazione delle concessionarie, stima perdite complessive per oltre 500 milioni. A risentirne maggiormente sarà la carta stampata, con un calo del 25%. Seguono televisione e digitale con un -15%. Ma anche le radio. Drammatico il crollo nei cinema.
I numeri (e le prospettive) sono da incubo. A elaborali Fcp, ovvero la Federazione che raggruppa le 41 concessionarie di pubblicità italiane, che sentiti i suoi associati ha fatto una previsione di quello che potrebbe essere l’andamento del mercato nel primo semestre del 2020.
E se già si intuiva che i riflessi del coronavirus sarebbero stati devastanti, le cifre danno concretezza a quello che sarà un drammatico calo. Con le aziende che taglieranno drasticamente i budget, si calcola che sarà di oltre 500 milioni di euro la perdita complessiva dei ricavi da pubblicità.
PER LA CARTA STAMPATA ATTESO UN -25%
Una perdita che colpirà duramente tutti i settori. In testa la carta stampata, con quotidiani e periodici accreditati di un calo del 25% (era a meno 4,4% il loro andamento a gennaio). Segue la televisione con il 15%, della stessa entità il calo dell’advertising digitale, in crescita a gennaio del 4,9%. Nel dato scomposto fa specie anche il crollo delle radio, settore sin qui considerato trainante e tra i più redditizi. Le previsioni parlano di una perdita di fatturato del 18%. E pensare che lo scorso gennaio l’indice di crescita segnava un più 11,8% rispetto all’analogo periodo del 2019.
DRAMMATICO IL CROLLO NEI CINEMA
Drammatico, ma facilmente prevedibile visto che i decreti del governo ne prevedono la chiusura delle sale, il crollo della pubblicità nei cinema, che una stima prudenziale indica non inferiore al 50%. Insomma, una Caporetto che viene a colpire un settore che già in tempi normali è affetto da profonda crisi, e che ovviamente costringerà gli editori a rendere ancora più severi i piani di ridimensionamento e riduzione dei costi.
Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.
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Quali misure per evitare il crac di migliaia di aziende? Rivedere gli accantonamenti obbligatori delle banche basati su rating che di sicuro ora peggioreranno. Vietare la richiesta di integrazione del valori dei titoli dati in pegno come garanzia per i prestiti. Sospendere l'ammortamento del capitale sui finanziamenti rateali. Accordare a tutti un extra fido.
Non è il momento delle polemiche e delle chiacchiere. È il momento dei fatti, il momento in cui tutti devono scendere in campo. Siamo in trincea e la guerra contro il coronavirus non la devono combattere sempre gli stessi soldati. Il governo, la commissione bicamerale banche (e la sua presidente Carla Ruocco) e le banche (tramite l’Abi, l’Associazione bancaria italiana) si siedano a un tavolo e affrontino immediatamente il problema delle imprese, soprattutto le piccole imprese che, ricordiamo, rappresentano il 90% del tessuto produttivo del nostro Paese e hanno una forte dipendenza, quasi sudditanza, nei confronti del credito bancario.
IMPRESE E FABBRICHE, FOCOLAI DEL VIRUS
Generalmente solo il 10% del fabbisogno finanziario di una Pmi viene coperto con capitale proprio (di rischio). Le imprese sono focolai potenziali più degli ospedali. Negli uffici, nei reparti, nei cantieri il rischio contagio è quasi certezza. La Cina ha fermato tutte le fabbriche nei primi sette giorni del contagio. Se lo Stato non interviene con misure straordinarie, tra poche settimane avremo decine di migliaia di contagiati o decine di migliaia di persone senza stipendio.
LE BANCHE DEVONO RESTITUIRE IL FAVORE
Le vendite di tutti stanno crollando a picco, restare aperti in certi casi costa più della chiusura. Per conservare la tenuta dei conti privati e consentire il pagamento dei salari netti occorre coinvolgere subito il sistema bancario. Negli ultimi 12 anni, al verificarsi della grave crisi finanziaria e il crac di tanti istituti di credito a livello mondiale, le imprese (e le loro famiglie) hanno aiutato, spesso involontariamente e a loro danno, con i loro sacrifici e il loro risparmio le banche a non fallire e a risalire la china. Ora, in giorni di improvvisa difficoltà per le imprese (e le loro famiglie), gli istituti di credito potrebbero restituire il favore ricordando al governo che il coronavirus è trasversale e indifferente alle pressioni delle lobby. Colpisce tutti. Ma non lo faranno.
IL GOVERNO IMPONGA UN SACRIFICIO AGLI ISTITUTI DI CREDITO
Il governo deve, quindi, imporre “un sacrificio” al sistema bancario accordandosi anche con Bruxelles in merito ad alcune misure necessarie per evitare il default di migliaia di piccole imprese e offendo in contropartita alle banche, anche esse imprese, una detassazione di alcuni asset che producono reddito. Faccio quattro proposte.
1. RIVEDERE LE REGOLE DI BASILEA
Revisione immediata delle regole di Basilea in merito agli accantonamenti obbligatori che le banche devono effettuare in base alla “rischiosità” delle imprese a cui sono stati concessi finanziamenti. Semplificando gli accordi interbancari di Basilea stabiliscono di “valutare” le aziende tenendo conto sostanzialmente di tre parametri: i “numeri” che esprime l’azienda (il suo bilancio in pratica); il cosiddetto “andamentale bancario”, ossia: “Come si comporta l’azienda con la banca? È regolare nei pagamenti? Oltrepassa mai il limite di fido? I suoi clienti la pagano regolarmente?”; e infine gli aspetti qualitativi, cioè informazioni di natura qualitativa, come etica della “governance”, rischiosità del settore di appartenenza, saturazione del mercato di operatività, previsioni economico-finanziaria di settore.
Il rating esprime “la probabilità di default”, cioè il rischio che in 3-5 anni l’azienda non possa più restituire i soldi alla banca
Sulla base di questi tre parametri, inseriti in un algoritmo, ogni banca tira fuori un “voto” per l’azienda che ha richiesto o ha ottenuto il finanziamento, il cosiddetto rating, che, così come a scuola, varia su una scala che va da 1 (il voto migliore) a 12 (il voto peggiore) e che esprime “la probabilità di default”, cioè la probabilità (il rischio) che in 3-5 anni l’azienda non possa più restituire i soldi alla banca.
I rating delle piccole imprese peggioreranno sicuramente a seguito della crisi da Covid-19
La disciplina di Basilea sull’esercizio del credito, al fine di tutelare il risparmio e la sostenibilità del business bancario, impone alle banche obblighi di accantonamenti per sostenere la probabilità di default della aziende affidate. E l’accantonamento è un costo per le banche. In altri termini le banche devono accantonare quote di capitale (che non possono quindi utilizzare per fare altri affari) proporzionate al rischio assunto che viene appunto valutato con lo strumento del rating. Siccome è certo che i rating delle piccole imprese peggioreranno sicuramente a seguito della crisi da Covid-19, è necessario rivedere immediatamente le percentuali di accantonamento altrimenti, così come già raccontato qui su Lettera43.it, alle banche rimane la strada della stretta creditizia.
2. VIETATO CHIEDERE INTEGRAZIONE DEI TITOLI DATI IN PEGNO
Imporre al sistema bancario il divieto di richiedere una integrazione del valore dei titoli dati in pegno come garanzia per la concessione di prestiti. A seguito del crollo delle quotazioni dei titoli azionari e obbligazionari, è ovvio che quei finanziamenti saranno “meno garantiti”. In altri momenti storici simili a quello attuale le banche hanno richiesto immediatamente il ripristino dello “scarto”, cioè quella differenza tra il valore dell’oggetto del pegno e il credito accordato che serve a cautelare l’istituto di credito contro una eventuale diminuzione di detto valore. E i piccoli imprenditori, a maggior ragione in questa fase, non hanno disponibilità per integrare la garanzia. E quindi, in alternativa, le banche deliberano una riduzione del fido proporzionalmente con l’aumento dello scarto.
3. SOSPENDERE PER UN ANNO L’AMMORTAMENTO DEL CAPITALE
Sospensione per almeno un anno dell’ammortamento del capitale (non solo degli interessi) sui finanziamenti rateali (ipotecari e chirografari). Chi non ha i soldi per pagare le rate, non ce li ha né per sostenere il costo degli interessi né per rimborsare il capitale preso a prestito. Ma soprattutto introdurre modalità di richiesta e ottenimento della “moratoria” molto più snelle e agevoli di quelle prescritte negli anni precedenti.
4. ACCORDARE UN EXTRA FIDO: IL 20% DI QUANTO GIÀ CONCESSO
Accordare massivamente a tutte le imprese un extra fido pari almeno al 20% di quanto già concesso sotto forma di prestito a breve termine (scoperto di conto, anticipo crediti, anticipo fornitori, eccetera). Tale misura consentirebbe alle imprese in crisi di fatturato (e di incassi) di sostenere il finanziamento del capitale circolante (stipendi, fornitori, utenze, fitti, tributi) e dovrebbe essere sostenuta unitamente alla abolizione per almeno due trimestri di quei balzelli che rispondono al nome di Dif (disponibilità immediata fondi) e Civ (commissione di istruttoria veloce) e che hanno preso il posto della illegittima commisione di massimo scoperto. Ai conti pubblici penseremo tutti dal 30 settembre 2020. Altrimenti sarà difficile trovare imprese vive in grado di pagare tributi e banche al primo di ottobre.
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Il delitto contro l’Europa che stanno consumando alcune élite di stupidi e stupide leader del Vecchio continente e del nostro Paese i è incalcolabile. Bisogna trattarli male. Il presidente della Repubblica è stato bravo, ma troppo educato.
Date una calmata a Matteo Salvini (non è difficile, basta un bicchierone di quella cosa estiva che gli ha fatto fare tante cazzate), non si può ogni giorno invocare misure sempre più estreme. Siamo al limite del coprifuoco e non escludo che possa arrivare il momento che dovrà essere dichiarato. Intanto sono state prese decisioni severe che la maggioranza della popolazione sta rispettando e abbiamo il dovere di attendere gli effetti.
Si è capito che il coronavirus non si abbatte dalla sera alla mattina né con una piccola pillola. Persino il farmaco proposto con successo dai valorosi medici di Napoli richiede il suo tempo per agire. Né serve che ci siano degli inguaribili presuntuosi che vadano in giro per il mondo a citare il proprio Paese come il luogo in cui si sono fatti solo errori. Bugiardi/o.
Alcuni errori sono stati fatti e condannati: comunicare per esempio è stato un limite del governo. Perdere troppo tempo con chi diceva che eravamo di fronte a una banale influenza e oggi, sempre di Salvini si tratta, immagina la guerra totale contro le mosche, pure.
I PESSIMI ESEMPI DI RENZI E SALVINI
Tuttavia questo Paese, ditelo a Matteo Renzi, sta dando esempio di serietà, di avere un nerbo fondato su una classe medico-infermieristica di primo ordine, su ospedali smantellati da coglioni liberisti, su una burocrazia che fa il suo dovere, su una classe politica che, a parte i soliti chiacchieroni, si è messa in disparte e non infastidisce il guidatore. L’impressione che quasi tutti sentono che è arrivato il momento del dovere fa venire con più nettezza allo scoperto quelli che non lo hanno capito o i vanesi. Che cosa ha da insegnare Teresa Bellanova al professor Roberto Burioni o Luigi Marattin al medico Raffaele Bruno. Siete miracolati della politica, state zitti.
Se Salvini fosse stato al governo, dato una prova pessima di sé e sarebbe stato una rovina per il Paese
L’opposizione sembra essere tornata distinta. La focosa Giorgia Meloni ogni tanto ritrova la via del dialogo. Salvini è perso per sempre. D’altra parte un uomo che ha trascorso metà della sua vita a insultare i meridionali e poi con la faccia come quella parte del corpo lì si presenta al Sud, è capace di tutto. Io detesto i meridionali che lo votano. Non vorrei mai veder tornare Salvini al governo perché ho in mente le sue frasi e i suoi cori contro di noi. Poi è uno inaffidabile che avrebbe, se fosse stato al governo, dato una prova pessima di sé e sarebbe stato una rovina per il Paese.
IL DANNO DI MOLTI LEADER EUROPEI È INCALCOLABILE
Meglio Giuseppe Conte, meglio Roberto Gualtieri, meglio Roberto Speranza e altri/e. Persino Luigi Di Maio sembra aver trovato la sua strada. Personaggi che sanno anche assumere decisioni serie e difficili. Meglio su tutti Sergio Mattarella a cui spetta il compito quasi impossibile di giustificare il nostro europeismo che dopo le ultime settimane e le dichiarazioni della Christine Lagarde sento in pericolo. Il delitto contro l’Europa che stanno consumando alcune élite di stupidi e stupide leader europee è incalcolabile. Bisogna trattarli male. Mattarella è stato bravo ma troppo educato. Se vogliamo che non riparta il solito antieuropeismo sovranista il “vaffa” presidenziale deve essere a tutto tondo.
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La pandemia si allarga anche negli Stati Uniti. Ma il sistema sanitario davanti a un incremento dei contagi rischia di implodere. Dai milioni di cittadini non assicurati alla carenza di posti letto: una radiografia che spaventa.
Alla fine anche negli Stati Uniti è stata superata la soglia psicologica dei mille contagiati. Secondo gli ultimi aggiornamenti i casi positivi al coronavirus sono 1.312, con focolai in California, a New York e Seattle. L’approdo del Covid-19 in America ha aperto nuove questioni sulla tenuta del sistema sanitario a stelle e strisce.
Il 10 marzo, arrivando a Capitol Hill per un incontro coi senatori repubblicani, Donald Trump ha continuato a minimizzare: «State calmi, il coronavirus se ne andrà», salvo poi disporre il blocco dei voli dall’Europa. Il riferimento del tycoon è ai milioni di americani preoccupati per la diffusione del contagio. Preoccupazione non del tutto infondata.
Mentre l’Italia, con Cina, Iran e Corea del Sud si trovano al centro della pandemia, gli Usa temono l’aumento repentino dei casi e dei decessi, arrivati già a 38, 30 dei quali nello stato di Washington. Il rischio è che il sistema sanitario Usa, vista la sua stessa struttura e l’organizzazione del lavoro, non riesca a reggere la pressione di una diffusione massiccia del Sars-CoV-2.
La mappa dei contagi aggiornata all’11 marzo (Fonte: Johns Hopkins university)
IL COMPLICATO RAPPORTO TRA AMERICANI E SISTEMA SANITARIO
Nel 2018 l’Università di Chicago e il West Health Institutehanno realizzato uno studio sul rapporto tra i cittadini americani e la salute. Fra le varie cose nel sondaggio emerse che nel corso dell’anno circa il 40% degli americani normalmente aveva saltato esami o trattamenti medici raccomandati e che il 44% non era mai andato dal medico se malato. La motivazione principale data dagli interpellati è stata sempre la stessa: paura dei costi. David Blumenthal, presidente del think tank Commonwealth Fund, ha spiegato al Guardian che le persone con malattie gravi di ogni tipo rimandano le cure se non hanno l’assicurazione o hanno franchigie elevate.
OGGI QUASI 28 MLN DI CITTADINI NON HANNO L’ASSICURAZIONE
Attualmente 27,9 milioni di americani sono sprovvisti di assicurazione, circa il 10,4% della popolazione sotto i 65 anni. Questo aspetto rappresenta uno dei primi fattori di rischio nel caso di un allargamento dell’epidemia. I cittadini senza assicurazione hanno maggiori possibilità di appoggiarsi al Pronto soccorso di fatto creando le condizioni per aumentare le infezioni. Ma il sistema delle assicurazioni non è il solo a mettere a rischio la tenuta complessiva. Uno studio del Commonwealth Fund del 2017 ha mostrato come gli Usa siano uno dei Paesi più inefficienti nella capacità di fornire assistenza primaria. Da un lato, si legge nel dossier del think tank, gli Stati Uniti sono ai primi posti per le misure che coinvolgono il rapporto medico-paziente sul piano della prevenzione e dei comportamenti, ma molto carenti quando si parla di coordinamento e gestione dei flussi di informazioni tra chi si occupa di fornire le cure, gli specialisti e gli operatori dei servizi sociali. Non solo. Gli Usa sono anche uno dei Paesi con il più alto tasso di ricoveri ospedalieri evitabili.
IL RISCHIO DI LAVORATORI MALATI
C’è però un altro aspetto molto importante da tenere presente. Secondo il Bureau of Labor Statistics circa un quarto degli americani non ha forme di congedo pagato per malattia. Una cifra che sale al 41% in alcuni settori come l’edilizia, l’agricoltura e la pesca. Secondo un rapporto dell‘Istitute for Women’s Policy Research, nel 2009 almeno tre lavoratori su 10 hanno continuato a lavorare pur avendo contratto l’influenza suinaH1N1. Un fenomeno che potrebbe essere stato alla base di oltre 7 milioni di infezioni. Una situazione che potrebbe ripresentarsi con il Covid-19.
Per tutti i lavoratori con il salario minimo a 10 dollari l’ora restare a casa per arginare il contagio non è un opzione praticabile. Secondo un rapporto del Center for American Progress del 2012 il 38% dei lavoratori nel settore privato non aveva giorni pagati di malattia, percentuale che supera il 70% per chi ha lavori part-time.
Impieghi nel settore privato senza giorni di malattia pagati.
A rendere tutto ancora più ingarbugliato è il fatto che questa massa di lavoratori include molte categorie a contatto con il pubblico: autisti, camerieri, persone che assistono gli anziani o impiegati nella gig economy. Tutti lavori scoperti dal telelavoro. Un dato su tutti: nel 2014 il Centers for Disease Control and Prevention ha rilevato che un lavoratore su cinque nel settore della ristorazione si è presentato a lavoro malato con sintomi che andavano dalla diarrea al vomito, spiegando di averlo fatto per paura di perdere il lavoro.
Non va però meglio per chi ha i permessi malattia. Secondo l’ufficio di statistica statunitense nel settore privato i giorni massimi che un lavoratore può chiedere per malattia, indipendentemente dall’anzianità, sono sette e salgono a otto per chi lavora in azienda da almeno 20 anni. Numeri ridottissimi che rappresentano solo la metà del tempo previsto per una quarantena.
LE FRAGILITÀ DEL SISTEMA OSPEDALIERO
Il mix tra sistema delle assicurazioni e cultura del lavoro si abbatte su un sistema ospedaliero che soffre di alcune carenze. In particolare per quanto riguarda la capacità di avere forze e posti di riserva in caso di crisi. Secondo i dati dell’Ocse nel 2016 il numero di ospedali ogni milione di abitanti era di 17,1, in calo di tre punti e mezzo dal 2000. In 16 anni sono state chiuse 276 strutture.
Per l’Italia invece il tonfo è stato più forte: nel 2000 gli ospedali per milione di abitanti erano 23,2, oggi sono 17,56.
LA CARENZA DI POSTI LETTO
Il vero problema per gli americani è dato però dal numero dei posti letto. Secondo gli ultimi dati disponibili nel 2016 erano solo 2,77 ogni mille abitanti, mentre nel nostro Paese sono leggermente più alti a 3,18. Non solo. Gli ospedali americani hanno un altro problema che riguarda il tasso di occupazione dei letti disponibili. Secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention nel 2017 almeno il 65,9% dei posti era occupato. Questo significa che dei circa 894 mila posti letto quelli liberi sono poco meno di 305 mila. Ora tutto dipende da quanto l’epidemia si possa allargare. Secondo un report del Johns Hopkins University Center for Health Securitypubblicato verso la fine di febbraio i dati non sono incoraggianti.
Gli scenari delineati sono due: uno basato sull’epidemia di influenza del 1968, e l’altro sulla spagnola che colpì milioni di persone in tutto il mondo nel 1918. Nel primo caso almeno 38 milioni di americani avrebbero bisogno di cure mediche, 1 milione di essere ricoverati e 200 mila di andare in terapia intensiva. Nello scenario peggiore gli americani da ricoverare sarebbero 9,6 milioni mentre 2,9 potrebbero finire in terapia intensiva. Entrambe le evenienze rischiano però di mandare ko il sistema dato che i posti letto in terapia intensiva sono a malapena 46.500, numero che in caso di emergenza potrebbe al massimo raddoppiare.
Liz Specht, giornalista della rivista specializzata Stat News, ha provato a fare un calcolo dei tempi di saturazione degli ospedali tenendo conto, ad esempio, della differenza di età tra la popolazione americana e quella italiana. Con un tasso di ricovero intorno al 20% gli ospedali sarebbero pieni intorno al 4 maggio. Dimezzandolo, la saturazione si avrebbe intorno al 10 del mese. Se solo il 5% dei pazienti richiedesse l’ospedalizzazione il calendario scivolerebbe al 16 mentre con il 2,5% dei casi si arriverebbe al 22 maggio. La valutazione, ha però ribadito Specht, presuppone che non vi sia una domanda di letti per altre patologie, scenario molto difficile da prevedere.
Possibile proiezione di una saturazione degli ospedali a maggio 2020
LA CARENZA DI MEDICI E MASCHERINE
A preoccupare non sono solo le strutture ma anche il personale medico. Sempre secondo i dati dell’Ocse, nel 2017 il numero di medici disponibili per ogni paziente non superava i 2,6, anche se negli ultimi 15 anni i numeri sono andati aumentando. In Italia sono quasi il doppio: 3,99. Unico dato in controtendenza è l’età. Negli Usa il 17,2% dei medici ha meno di 35 anni, mentre in Italia la soglia non supera l’8,6%. L’altro grande problema che potrebbe presentarsi riguarda le mascherine. Attualmente le riserve sono di 12 milioni di maschere N95 e 30 milioni di maschere chirurgiche che servono a una forza lavoro sanitaria complessiva di 18 milioni di unità. Se, ha scritto ancora Specht, solo 6 milioni di medici e infermieri lavorassero un giorno e usassero una sola mascherina usa e getta, finirebbero per consumare le scorte in circa due giorni.
LA CORSA SU CINA E RUSSIA
Restando al piano medico e degli ospedali il confronto con gli altri Paesi lascia un po’ di amaro in bocca ai pazienti americani. Prendiamo ad esempio il numero di letti. Se in Usa siamo intorno i 2,77 ogni mille abitanti, in Cina quasi raddoppiano a 4,3, la media europea invece si attesta intorno a 4,9 (tra il picco della Germania a 8, e la Svezia a 2,2). Peggio ancora il confronto con la Russia che si attesta a circa 8 posti ogni mille abitanti.
Qualche segnale arriva invece dai medici. In Cina sono a malapena due ogni mille, mentre in Europa sono circa 3,5. Ancora avanti invece la la Russia a 4,04.
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Non verranno contate le spese per sanità, imprese, regioni e lavoratori. Stop alle raccomandazioni. Pronto l'ultilizzo di una clausola anti-crisi. Così Bruxelles vuole allentare la morsa sui Paesi colpiti dal Covid-19.
L’Unione europea è pronta a chiudere un occhio. Dopo la crisi sanitaria, per riemergere dalla crisi economica che avrà portato il coronavirus servono meno paletti. E così da Bruxelles arrivano aperture: come l’esclusione dal calcolo del deficit di tutte le misure per contenere e contrastare la pandemia di Covid-19, per il sistema sanitario, per sostenere imprese, regioni e lavoratori.
LINEE GUIDA CHE L’UE PRESENTERÀ
E in caso di crescita negativa o crollo delle attività, gli sforzi di bilancio richiesti ai Paesi si adatteranno alla situazione specifica dell’economia che si è creata in conseguenza del coronavirus. Queste, salvo modifiche, sono le principali linee guida del Patto di stabilità che l’Ue ha deciso di presentare venerdì 13 marzo, secondo quanto anticipato dall’Ansa.
SOSPESI GLI AGGIUSTAMENTI DI BILANCIO
La Commissione Ue, tra l’altro, è pronta a utilizzare la clausola anti-crisi del Regolamento 1466/97 sulla sorveglianza dei bilanci, che di fatto sospende gli aggiustamenti di bilancio in caso contrazione severa dell’economia.
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Nuova circolare: si può uscire per esigenze non rinviabili come fare la spesa, portare fuori il cane, svolgere attività motoria e sportiva.
Il grande caos sulle passeggiate è uno dei punti più oscuri per gli italiani chiusi in casa per limitare la diffusione del coronavirus. Si può uscire all’aperto oppure no?
FUORI PER «ESIGENZE PRIMARIE NON RINVIABILI»
Ha provato a fare chiarezza la nuova circolare del Viminale firmata dal capo di gabinetto Matteo Piantedosi, che fornisce l’interpretazione dell’ultimo decreto del presidente del Consiglio dei ministri firmato da Giuseppe Conte. Gli spostamenti sono consentiti per «comprovate esigenze primarie non rinviabili» tra le quali: «approvvigionamento alimentare, gestione quotidiana degli animali domestici» e «per svolgere attività motoria e sportiva all’aperto, rispettando la distanza interpersonale di almeno un metro».
IL MINISTRO BOCCIA: «PIÙ STIAMO A CASA MEGLIO È»
Il ministro Francesco Boccia a La vita in diretta sulla Rai ha però precisato: «Faccio un appello, in questi 15 giorni diamo una spinta forte al contenimento del contagio. Più stiamo in casa e meglio è. Non si poteva fare una norma che vietasse di uscire per un giro del palazzo, per la spesa, per portare fuori il cane, ma andare a cena da amici è assolutamente sconsigliabile. La passeggiata al parco si può fare, ma già a correre si mettono in difficoltà gli altri. Meglio se restiamo in casa».
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Di questi, 35 hanno indicato motivi non veri per gli spostamenti. Solo l'11 marzo controllate 106.659 persone.
Sono 2.162 le persone che sono state denunciate fino ad ora per violazione delle restrizioni disposte dai provvedimenti per l’emergenza coronavirus. Il bilancio è stato pubblicato dal Viminale sul sito delministero. Le persone complessivamente controllate sono state 106.659 mentre le verifiche negli esercizicommerciali sono state 18.994. Tra i denunciati ci sono anche 113 titolari di esercizi commerciali mentre 35 sono le persone denunciate per aver indicato nell’autocertificazione motivi non veri per gli spostamenti.
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Secondo la protezione civile, i casi totali di Covid-19 nel nostro Paese sono 15.113, di cui 12.839 "attivi", 1.016 le vittime e 1.258 le persone guarite.
Sono 12.839 i malati di coronavirus in Italia, 2.249 in più di ieri, mentre il numero complessivo dei contagiati – comprese le vittime e i guariti – ha raggiunto i 15.113. Il dato è stato fornito dal commissario per l’emergenza Angelo Borrelli in conferenza stampa alla Protezione Civile. Le persone guarite, invece, sono 1.258, 213 in più di ieri. Superate le mille vittime per il Covid-19. A oggi, secondo i dati ufficiali, sono 1.016 le vittime, 189 in più rispetto a ieri.
In Lombardia i positivi al coronavirus sono 8.725, 1.445 più di ieri, e i decessi sono in totale 744, 127 in più. Lo ha detto l’assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera, aggiungendo che le persone dimesse sono 1.085. «C’è un numero crescente di ospedali in difficoltà estrema», ha detto Gallera, spiegando che «ogni giorno ci sono 400ricoveri che si continuano a sommare» alle persone già ospedalizzate.
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Un’udienza generale come non si era mai vista quella di mercoledì 11 febbraio: il papa collegato in streaming dalla biblioteca..
Un’udienza generale come non si era mai vista quella di mercoledì 11 febbraio: il papa collegato in streaming dalla biblioteca del Palazzo apostolico parla a una folla virtuale di fedeli; un’udienza-video insomma, con il vescovo di Roma lontano da piazza San Pietro, ossia dal simbolo mondiale della cattolicità e di Roma. E lontano dalla gente, da quella fisicità che caratterizza ormai la figura e il ruolo del pontefice in epoca moderna.
Lo stesso era già avvenuto per l’Angelus di domenica scorsa, in quell’ occasione Francesco aveva esordito così: «È un po’ strana questa preghiera dell’Angelus di oggi, con il papa ‘ingabbiato’ nella biblioteca, ma io vi vedo, vi sono vicino». La modalità degli appuntamenti pubblici a distanza diventerà, almeno per qualche tempo, un’abitudine, anche Oltretevere. Il Vaticano si è adattato alle indicazioni del governo italiano come già aveva fatto la conferenza episcopale.
Allo stesso tempo va sottolineato come l’interruzione per decreto governativo di tutte le celebrazioni religiose è un fatto senza precedenti che, pur motivato da una crisi sanitaria eccezionale come quella che stiamo attraversando, costituisce un inedito nei rapporti Chiesa-Stato; un fatto che riequilibra a favore del primato dello Stato le relazioni bilaterali dopo vari decenni in cui la Chiesa – con indubbia abilità politica – aveva guadagnato terreno rispetto all’ambito laico in vari settori: da quello fiscale a quello educativo-scolastico, da quello sanitario fino alla sfera dei provvedimenti bioetici.
CAMBIANO LE MODALITÀ DI PARTECIPARE ALLA VITA RELIGIOSA
L’evento coronavirus, autentico tsunami globale, influirà probabilmente in modo significativo su aspetti rilevanti della vita economica e sociale, dei rapporti fra gli Stati e quindi pure sulla relazione fra istituzioni e tradizioni religiose. La Conferenza episcopale ha aderito alle richieste provenienti dal governo senza esitare e con spirito di servizio; il divieto di celebrare messe, ha fatto sapere la Cei, «crea rammarico e disorientamento nei pastori, nei sacerdoti, nelle comunità religiose e nell’intero popolo di Dio» tuttavia «è stata accettata in forza della tutela della salute pubblica». Per questo le chiese restano aperte, ritrova spazio la preghiera, i momenti di raccoglimento, e il sacerdote si può dedicare all’ascolto dei fedeli. Sarà un tempo di rinnovamento spirituale? Si vedrà, intanto le modalità di partecipazione alla vita religiosa cambiano.
TANTE CRITICHE CONTRO IL DIVIETO DI CELEBRARE LA MESSA
Tuttavia ‘l’ordine’ del governo ha trovato anche voci dissenzienti. Per lo storico Alberto Melloni, con i provvedimenti presi dall’esecutivo sono entrate in gioco «la libertà religiosa e la liberà di culto», fatto che non va sottovalutato, mentre per un altro studioso cattolico di primo piano come Andrea Riccardi si è chiesto: «Non sono un epidemiologo, ma ci troviamo davvero di fronte a rischi così grandi da rinunciare alla nostra vita religiosa comunitaria?». Più o meno sulle stesse posizioni il priore di Bose Enzo Bianchi. E bisogna dire che in questo caso le preoccupazioni di esponenti progressisti come quelli appena citati, coincidono con alcuni allarmi del fronte tradizionalista. Si tratta di punti di vista che però non sono stati fatti propri, fon ad ora, dalla Santa Sede.
L’APPELLO A NON DIMENTICARE I PROFUGHI SIRIANI
Da parte sua Francesco, nel corso dell’udienza generale del mercoledì, ha avuto parole di forte incoraggiamento per medici e infermieri impegnati nel contrasto al coronavirus quindi ha aggiunto: «Non vorrei che questo dolore, questa epidemia tanto forte ci faccia dimenticare i poveri siriani, che stanno soffrendo al confine tra Grecia e Turchia: un popolo sofferente da anni». Gente in fuga – ha ricordato – dalla guerra, dalla fame, dalle malattie. Il papa, insomma, ha chiesto di non dimenticare quanto sta avvenendo ai confini d’Europa. Infine, attraverso il Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, la Santa Sede ha rivolto un appello alla comunità internazionale affinché i Paesi più deboli economicamente e con le strutture sanitarie più fragili, vengano sostenuti nell’emergenza Covid-19; non solo: i governi – secondo il Vaticano – sono chiamati ora anche a fare fronte, in una logica di solidarietà e aiuto reciproco, alla nuova crisi economica che si sta delineando a causa della diffusione del virus.
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Il Pd sale al 22,5%. Mentre la Lega scende al 27%. Lieve calo anche per M5s, Italia viva e Forza Italia. Stabile Fratelli d'Italia al 13,4%.
Nei giorni caratterizzati dall’acuirsi dell’emergenza coronavirus, i sondaggi politici continuano a evidenziare un rafforzamento del Pd. Dopo una settimana di tregua, la Lega torna a scendere nelle intenzioni di voto degli italiani, calando al 27% dal 27,2%. Mentre i dem passano al 22,5% dal 22%.
La rilevazione è stata fatta dell’istitutoIxè per Rai – Cartabianca tra il 9 e il 10 marzo. Scendono lievemente, nell’area di governo, il M5s (al 15,5% dal 15,7%) e Italia viva (al 2,6% dal 2,8%). Tra le opposizioni, invece, stabile Fratelli d’Italia al 13,4%. Mentre Forza Italia scende al 6,1% dal 6,2%.
Metodologia: indagine quantitativa campionaria metodo di raccolta dati: telefono fisso (cati), mobile (cami) e via web (cawi); universo: popolazione italiana maggiorenne; campione intervistato: rappresentativo (quote campionarie e ponderazione) in base a: genere, età, zona di residenza, ampiezza comune, votato 2018/2019; dimensione campionaria: 1.000 casi (margine d’errore massimo ±3,10%); periodo di rilevazione: dal 9 al 10 marzo 2020.
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Ora tutta la comunità di 20 religiosi è in isolamento fiduciario. Subito è partito un appello ai fedeli che avevano fatto la confessione nella chiesa di Sant'Agata il 7 marzo.
Quattro frati del convento francescano di Lendinara (Rovigo) sono risultati positivi al tampone per il coronavirus, e ora tutta la comunità di 20 religiosi è in isolamentofiduciario. Lo conferma all’Ansa il padreguardiano. Appreso l’esito del test, i frati hanno subito lanciato un appelloaifedeli che avevano fatto la confessione nella chiesa di Sant’Agata il giorno 7 marzo – prima i religiosi erano altrove – perché contattino velocemente autoritàsanitarie.
Si tratta in tutto, spiegano dal convento, di una decina di persone, di Lendinara e altri paesi vicini, che sono già state individuate, e i cui recapiti sono stati comunicati dai frati all’Ulss 5 polesana. Dei quattro frati, solo uno, un 40enne, è ricoverato nel reparto malattieinfettive di Rovigo. Gli altri tre, tutti asintomatici, sono in isolamento fiduciario in convento, al pari degli altri componenti la comunità. Prima di scoprire d’essere stati contagiati dal SarsCov2 i francescani di Lendinara si era recati in trasferta per una settimana a Camposampiero, nel padovano, per prendere parte alla riunionecapitolare chiamata a votare per il rinnovo del ministroprovinciale.
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Rischiano di saltare entrambi i match che vedevano impegnate le italiane nella seconda competizione europea. I giallorossi non partono per Siviglia e il Getafe non vuole venire a Milano. Mentre la LIga valuta lo stop.
L’immobilismo dell’Uefa nel fronteggiare il coronavirus rischia di compromettere definitivamente il regolare andamento delle competizioni europee. Alla vigilia degli ottavi di Europa League, infatti, la Roma ha comunicato che non partirà per Siviglia, sede del match col club andaluso. Il club giallorosso lo ha comunicato via Twitter, spiegando che lo stop è arrivato «dopo che l’aereo dall’Italia non è stato autorizzato ad atterrare in Spagna da parte delle autorità locali».
IL GETAFE NON VUOLE VENIRE IN ITALIA
Un colpo di scena che segue di poche ora l’irremovibile decisione presa dal Getafe, che ha comunicato come per nessuna ragione partirà alla volta di Milano, dove avrebbe dovuto incontrare l’Inter nell’altro incontro che vede coinvolta una squadra italiana. Il tutto a sole 24 ore dalla trasferta dell’Atalanta a Valencia per gli ottavi di Champions League, incontro disputato a porte chiuse, ma coi tifosi spagnoli assiepati davanti allo stadio lungo tutto l’arco dei 90 minuti.
LA LIGA VERSO LO STOP
Ora, invece, proprio la Spagna valuta l’ipotesi di fermare il campionato. Dopo che la federazione iberica ha decretato lo stop completo a tutti i campionati, esclusi Primera e Segunda, per l’esplosione di casi di coronavirus, una riunione urgente è attesa nel pomeriggio per valutare se fermare anche le due serie principali. Alla riunione sono attesi federazione, lega e assocalciatori, in attesa delle indicazioni delle autorità sanitarie. Ieri la Lega aveva decretato le porte chiuse per la Liga, e i giocatori avevano rivolto un appello all’Uefa per non giocare le partite delle coppe.
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Da settimane lo abbiamo sentito ripetere. Ma il prof Pregliasco spiega a L43 che «oggi c'è un'equidistribuzione dei casi». E le gravidanze? «Solo qualche intoppo». Mentre non esistono prove di trasmissione madre-feto.
Ma è vero che il coronavirus colpisce molto più gli uomini che le donne? I dati di un’analisi dell’Istituto superiore di sanità dicono che l’età media dei pazienti deceduti dopo aver contratto il Covid-19 è 81 anni: sono in maggioranza uomini e in più di due terzi dei casi hanno tre o più patologie preesistenti.
IL MOMENTO DI SFATARE QUALCHE FALSO MITO
L’Italia ormai in quarantena al 20esimo giorno dell’era del virus ha superato la quota simbolo di 10 mila contagiati, 1.004 dei quali guariti. Ed è il momento si sfatare qualche falso mito: anche le donne e i giovani si possono ammalare facilmente. Secondo i dati aggiornati al 9 marzo «ci sono circa il 5-7%» di persone che si sono infettate e hanno «meno di 30 anni». Il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro ha sottolineato che «che queste fasce di età sono meno suscettibili, ma significa anche che il loro comportamento è fondamentale per evitare contagio».
MASCHI ADULTI “SESSO DEBOLE”? NON È COSÌ
E sulla questione di genereLettera43.it ha interpellato il professore Fabrizio Pregliasco, ricercatore in Igiene generale e applicata all’Università degli Studi di Milano. Da settimane ci viene detto che il coronavirus colpisce soprattutto i maschi adulti, che sono loro il “sesso debole“, quello preferito dal contagio. Ma non è proprio così. O almeno, non più.
Fabrizio Pregliasco. (Ansa)
DOMANDA. Professor Pregliasco, è vero oppure no che le donne sono meno colpite degli uomini dal Covid-19? RISPOSTA. La casistica secondo la quale il coronavirus contagiava prevalentemente i maschi è nata all’inizio dell’epidemia, in quel famoso mercato del pesce a Wuhan, l’elemento facilitante del virus, la nostra Lodi. Lì avevamo constatato che i maschi erano i più colpiti, ora la situazione evidenzia invece un’equidistribuzione.
Quindi il contagio non fa differenze di genere? Presumibilmente in alcune situazioni sono più colpiti percentualmente gli uomini rispetto a un’esposizione e un tipo di rischio professionale. Però non c’è più questa distinzione di sesso, così come adesso che aumentano i casi stiamo vedendo anche i giovani ammalarsi, alcuni purtroppo anche gravi.
Il dato che riportava il tasso di mortalità degli uomini al 2,8% contro quello delle donne all’1,7% non è più attendibile? Va detto che è una variabilità su una casistica piccola. Oltretutto noi abbiamo sempre un problema di denominatore sulla letalità in generale, perché la mortalità si calcola con il numero di morti su numero di casi. E il numero dei casi è impreciso perché c’è sempre una sottonotifica. Di certo non possiamo dire che il virus colpisce di più gli uomini adulti, anche se la quota di comorbidità è percentualmente un po’ più alta nei maschi.
Con la Sars il tasso di mortalità fu il 50% più alto negli uomini che nelle donne. C’entravano anche fattori come il fumo? Certamente sì.
Parliamo di gravidanza e Covid-19? La casistica per fortuna non è ampia, abbiamo il caso della moglie del paziente 1 che, incinta, ha fatto un decorso tranquillo, è guarita ed è tornata a casa. Quello che si può vedere rispetto alle esperienze di altri virus, salvo Zika, un virus carogna, è che normalmente l’influenza nella donna gravida è un po’ più pesante, i parti possono diventare più impegnativi. Probabilmente sarà una una gravidanza che subisce qualche intoppo, questo sì.
Domenica a Massa Carrara è nata una bimba. La madre è risultata positiva dopo il parto, la neonata è per ora negativa e in isolamento. Ci sono prove di trasmissione madre-feto? No, non ne abbiamo, la casistica è piccolissima. Attualmente non ci sono alterazioni dimostrate rispetto al feto.
Lei ha affermato che il picco di Covid-19 in Lombardia arriverà a fine aprile. Sì, diciamo che se non facciamo nulla per evitarlo sarà un picco enorme. È probabile che serva ancora un bel po’ di tempo prima di arrivare a un calo della diffusione.
Cosa ne pensa delle misure forti prese dal governo? È l’unica possibilità che abbiamo.
Sono provvedimenti sufficienti? Beh, dal punto di vista medico più stringenti sono meglio è, si tratta di una scelta politica di realizzabilità, fattibilità e anche di mantenimento nel tempo. Perché l’importante è che l’azione sia prolungata.
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