«Se rimangono questi prezzi» sui mercati «è certo che ci sarà un aumento sulla prossima bolletta dell’elettricità. Dal primo ottobre ci sarà un balzo fra il 7 e il 10 per cento delle tariffe elettriche per l’ultimo trimestre, il primo aumento, un po’ pesante, del 2023». Lo ha detto il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, commentando l’impennata del prezzo dell’elettricità in Borsa, con un rialzo del 30 per cento a 138 euro nell’ultima settimana.
«C’è stato un rincaro dei prezzi del gas»
Tabarelli ha spiegato che c’è stato «un rincaro dei prezzi del gas» nelle ultime settimane con un ritorno sopra i 30 euro per megawattora e «automaticamente quelli dell’elettricità salgono» e «metà della produzione italiana dell’elettricità si fa col gas». Il presidente di Nomisma ha aggiunto che a inizio settembre l’Arera «determinerà il prezzo di agosto del gas e si avrà solo un leggero aumento sotto il 2 per cento». Tuttavia, «le indicazioni per il prossimo inverno danno prezzi internazionali superiori del 40 per cento rispetto a quelli attuali e se si dovessero verificare le tariffe del gas di quest’inverno sarebbero superiori anche del 20 per cento rispetto alle attuali».
John Elkann ha lasciato la presidenza della Giovanni Agnelli Bv, la cassaforte che controlla il 52 per cento della holding Exor. Come riportato da Milano Finanza, la nuova composizione emerge dalle carte che ufficializzano l’acquisizione del 15 per cento della Philips. A succedergli una persona esterna alla famiglia: Jeroen Preller, avvocato olandese, partner dello studio legale NautaDutilh.
Parla John Elkann: l'investimento di 2,6 miliardi di euro nel capitale di Philips da parte di Exor fa parte di una naturale evoluzione per la holding. $EXO.AS
Nella Giovanni Agnelli Bv restano presenti sei esponenti dei tre rami della famiglia Agnelli. Questa la nuova composizione della società formata da Jeroen Preller, chairman and board member; Andrea Agnelli board member; John Brouwer board member; Niccolò Camerana board Member; Benedetto Della Chiesa board member; Luca Ferrero de Gubernatis Ventigmiglia board Member; Alexandre von Furstenberg board member e Filippo Scognamiglio board Member.
Il Consiglio dei ministri ha approvato due provvedimenti su Tim. Si tratta di un decreto legge per assicurare le risorse finanziarie e un Dpcm che autorizza il ministero dell’Economia a entrare nella Netco con una quota di minoranza. Il Dpcm rende operativo il memorandum d’intesa firmato il 10 agosto tra il ministero dell’Economia e il fondo americano Kkr per presentare un’offerta vincolante al consiglio di amministrazione di Tim per rilevare fino al 20 per cento della Necto, società della rete fissa.
Conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri n.48 Diretta https://t.co/oLBkFmLkIx
«Dopo aver trovato una soluzione seria per Ita con un accordo con Lufthansa, Commissione Ue permettendo, e che a volte solleva problemi che difficilmente capiamo, ora è venuto il momento di dare una prospettiva a quello che è stato uno dei campioni internazionali delle telecomunicazioni», ha detto in Consiglio dei ministri la premier Giorgia Meloni parlando del Dpcm su Tim: «La direzione intrapresa dal governo è quella che il centrodestra ha sempre auspicato e sostenuto: assumere il controllo strategico della rete di telecomunicazioni e salvaguardare i posti di lavoro».
Giorgetti: «Nei prossimi mesi una soluzione definitiva»
«Speriamo che con questa azione si possa in qualche modo dare un quadro stabile e definitivo ad una vicenda che da molto tempo vive una situazione impasse e nei prossimi mesi potrebbe avere una soluzione definitiva», ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in conferenza stampa dopo il cdm, illustrando i decreti approvati su Tim. La partecipazione del Mef alla Netco di Tim «sarà di minoranza per un importo massimo di 2 miliardo e 200 milioni», ha specificato Giorgetti.
Si accresce nel Regno Unito il divario salariale tra i top manager delle maggiori società quotate in Borsa, che hanno goduto di aumenti del 16 per cento nel 2022, e i dipendenti alle prese con la peggiore crisi del costo della vita in una generazione. Secondo infatti uno studio del think tank indipendente High Pay Centre, un amministratore delegato di una compagnia dell’indice Ftse 100 nel 2022 è stato pagato in media 118 volte più di un lavoratore a tempo pieno, rispetto alle 108 volte del 2021.
Il manager più ricco? Pascal Soriot di Astrazeneca
Il boss meglio retribuito è Pascal Soriot, amministratore delegato del colosso farmaceutico AstraZeneca, con 16,85 milioni di sterline, seguito da Charles Woodburn del gigante degli armamenti Bae Systems, che ha guadagnato 10,69 milioni di sterline. Sempre secondo la ricerca, la retribuzione media per un ceo del Ftse 100 è aumentata da 3,38 milioni di sterline nel 2021 a 3,91 milioni nel 2022. Mentre i salari dei lavoratori sono stati fortemente erosi dal caro vita. Critici i sindacati secondo cui i risultati mostrano come la Gran Bretagna sia diventata «una terra di estremi grotteschi». «Mentre milioni di famiglie hanno visto i loro bilanci devastati dalla crisi del costo della vita, i top manager hanno goduto di aumenti salariali eccezionali», ha affermato Paul Nowak, segretario generale di Tuc, massima organizzazione di coordinamento sindacale del Regno Unito.
È aumentata del 28 per cento in sette anni l’età media del parco auto italiano, con sensibili incrementi di prezzo per le polizze assicurative. Questo è quanto emerge da un’indagine del comparatore di prezzi Facile.it su un campione di oltre 2,5 milioni di preventivi raccolti tra il 2016 e il 2023.
Auto più vecchie e prezzi delle assicurazioni più alte
Nei primi sei mesi dell’anno – rivela Facile.it – l’età media delle auto italiane è risultata essere pari a 11 anni e sette mesi: il sette per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2022, il 16 per cento in più sul 2021 e il 28 per cento rispetto al primo semestre del 2016. Da Facile.it dichiarano che si tratta di vetture che «di anno in anno diventano sempre più vecchie e, inevitabilmente, meno sicure e più dispendiose dal punto di vista dei consumi». Ma non solo, secondo il sito web comparatore di prezzi infatti, c’è una relazione tra costo della polizza Rc auto e l’anzianità della vettura. A parità di condizioni, un veicolo con un’età media di 10 anni paga circa 201 euro, che salgono a 251 euro se gli anni sono 11 e raggiunge i 306 euro se ha 14 anni.
Marco Hannappel, presidente e amministratore delegato di Philip Morris Italia, ha fornito i dati sul contributo del gruppo al paese, nel corso del panel Accettare la sfida del cambiamento per crescere del meeting di Rimini. «Trentottomila posti di lavoro e mezzo punto di pil del paese in 6 anni e mezzo».
Philip Morris in Italia: «Non c’è un investimento più grande»
Hannappel, che ricopre anche la carica di presidente Europa Sud-Occidentale di Philip Morris International, ha sottolineato come l’azienda abbia costituito «nel nostro Paese non una fabbrica, ma una filiera integrata che è il più grande investimento realizzato in questo secolo in Italia». Si tratta infatti di «1,2 di investimento con un importantissimo profilo, che è la creazione di un prodotto che non esiste, con macchinari che non esistono per essere esportato in tutto il modo a tempo record».
L’Italia è centrale per la nostra trasformazione. Qui abbiamo attivato negli anni una catena di investimenti e contribuito allo sviluppo di un impianto industriale che conta oltre 7000 imprese e 38.000 persone – Marco Hannappel #PhilipMorrisIT@MeetingRimini#meeting2023
Il presidente e ad ha spiegato: «Questo impianto da solo esporta più di tutto l’olio di oliva e dei motorini italiani» aggiungendo che «fino a 6 anni fa era un prato di sterpaglie». Hannappel ha specificato il coinvolgimento dell’agricoltura italiana: «Acquistiamo tutto il prodotto Coldiretti. Abbiamo creato un impianto industriale che sviluppa non solo un prodotto fisico, ma anche nuove fabbriche». E ancora: «In Italia operiamo con 7.500 imprese» soffermandosi sul come «le pmi italiane necessitano del capofila».
A partire dagli anni 2000 Philip Morris, grazie agli accordi con il Ministero dell’agricoltura e Coldiretti, inizia ad investire nell’agricoltura italiana, rendendo così la filiera sempre più sostenibile e competitiva (cont) https://t.co/ZKjSDsWRVJpic.twitter.com/jwuf3B47lN
«Abbiamo spostato l’asticella in alto. Il nostro lavoro sarà valutato anche e soprattutto sull’incremento dei servizi telematici, sulla accelerazione dei rimborsi, sul contenzioso». Così ha dichiarato al Corriere della Sera il direttore dell’agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini. «All’obiettivo di recuperare 2,8 miliardi dall’evasione», spiega, si è arrivati «recuperando capacità operativa, grazie a un ambizioso piano di reclutamento di 11 mila funzionari».
Ernesto Maria Ruffini, direttore Agenzia delle Entrate (Imagoeconomica).
Obiettivi affidati dal Pnrr: «Invio di oltre 3 milioni di lettere»
«La riduzione del tax gap» – dice ancora – «è un obiettivo condizionato da tanti fattori, non solo fiscali. Per quanto riguarda gli obiettivi affidati dal Pnrr all’Agenzia abbiamo ancora entro fine 2024 l’invio di oltre 3 milioni di lettere di compliance, per un incasso di 2,77 miliardi. La buona notizia è che li raggiungeremo interamente già a ottobre, con più di un anno di anticipo, avendo già realizzato il 99 per cento degli incassi». Rispetto a chi parla di «pizzo di Stato», Ruffini commenta: «L’Agenzia si limita ad applicare la legge. Oltre l’80 per cento del totale dell’evasione riguarda chi non presenta la dichiarazione dei redditi o la presenta in modo infedele; meno del 20 per cento, la cosiddetta evasione da versamento, cioè di chi presenta la dichiarazione, ma poi non salda quanto deve».
Ernesto Maria Ruffini, direttore Agenzia delle Entrate (Imagoeconomica).
Controlli incrociati e conti correnti: «Presto i primi risultati»
Parlando dei controlli incrociati con l’anagrafe finanziaria, prosegue Ruffini, «È presto per fare previsioni, anche perché solo a maggio abbiamo completato le attività richieste dal Garante per la privacy. L’Archivio dei conti correnti è una risorsa fondamentale perché consente di intercettare, ad esempio, i soggetti con residenza fittizia all’estero ma che hanno conti correnti nel nostro Paese. Stiamo già partendo. E presto avremo i primi risultati». Per il direttore il fisco «non può essere amico del contribuente» e aggiunge: «Gli amici ce li scegliamo, non me li può dare la legge, gli amici stanno altrove. Il fisco può essere un corretto equo interlocutore, deve essere questo. Io non vorrei avere un fisco amico ma un fisco con cui interloquire in modo corretto».
Nel 2021 aveva dichiarato di avere debiti per 300 miliardi di dollari. Ora Evergrande, seconda azienda di sviluppo immobiliare in Cina e simbolo della crisi del settore nel Dragone, ha presentato istanza di fallimento in un tribunale a Manhattan. La società ha invocato il Chapter 15 del codice fallimentare Usa (simile all’amministrazione straordinaria italiana), che protegge le società non statunitensi in fase di ristrutturazione dai creditori che sperano di farle causa o di bloccarle beni nel Paese. Il passo compiuto da Evergrande, che spera in questo modo di limitare i danni, rischia di aver pesanti ripercussioni in Cina. E non solo.
Cina in ansia per il crac di Evergrande (Getty).
La bancarotta di Evergrande non è un fulmine a ciel sereno
All’inizio del 2023, Evergrande ha presentato il suo atteso piano di ristrutturazione del debito, il più grande mai realizzato in Cina. Nello specifico, a New York ha chiesto il riconoscimento dei colloqui di ristrutturazione in corso a Hong Kong, nelle Isole Cayman e nelle Isole Vergini britanniche. L’iniziativa di Evergrande rappresenta una svolta, ma non è esattamente un fulmine a ciel sereno: era infatti andata in insolvenza nel 2021 a causa del forte indebitamento (più di 300 miliardi di dollari), scatenando un’enorme crisi nel settore immobiliare cinese, a lungo considerato un motore di crescita vitale per la seconda economia mondiale, di cui ha rappresentato fino al 30 per cento del Pil.
Evergrande Centre, Hong Kong (Getty Images).
Il fondatore Xu Jiayin era l’uomo più ricco della Cina
Fondata da Xu Jiayin nel 1996, Evergrande una dozzina di anni dopo aveva raccolto 722 milioni in un’offerta pubblica iniziale alla Borsa di Hong Kong, per poi avventurarsi in una serie di operazioni rischiose in altri settori come industria agroalimentare, automotive (nell’elettrico) e calcio, investendo pesantemente nel Guangzhou (ribattezzato appunto “Guangzhou Evergrande”), capace di vincere otto campionati cinesi e due Champions League asiatiche. Nel 2017 le azioni di Evergrande erano salite di quattro volte il loro valore, rendendo il fondatore Xu Jiayin l’uomo più ricco della Repubblica popolare.
Il fondatore di Evergrande Xu Jiayn (Imagoeconomica).
Negli ultimi due anni aveva perso 81 miliardi di dollari
Ma non era tutto oro quello che luccicava. La crisi di Evergrande è iniziata (o meglio è venuta a galla) nella seconda metà del 2021, quando la società ha mancato il pagamento dei suoi bond in dollari. Pechino aveva chiesto – cioè ordinato – a Xu Jiayin di pagare di tasca sua gli interessi sulle obbligazioni: sul colosso cinese pesava un debito monstre di 300 miliardi di dollari, pari al 2 per cento del Pil della Cina. A fine luglio del 2023, dunque pochi giorni fa, la società ha rivelato di aver perso in totale 81 miliardi di dollari negli ultimi due anni. Sul gruppo, finito nella stretta ai prestiti bancari decisa dalla leadership comunista, è caduta anche la tegola della controllata al 63 per cento Hengda Real Estate, il suo core business immobiliare: la compagnia è finita nel mirino della China Securities Regulatory Commission per la sospetta manipolazione dei dati finanziari. Pur non essendo quotata, Hengda ha continuato a emettere bond e a raccogliere finanziamenti a dispetto delle difficoltà della holding. Il tracollo di Evergrande, il maggiore gruppo immobiliare sull’orlo del fallimento, potrebbe diventare la nuova Lehman Brothers della Cina.
Un complesso residenziale costruito da Evergrande a Pechino (Getty Images).
L’altro colosso Country Garden rischia il default a settembre
Evergrande, si legge sul sito ufficiale, ha oltre 1.300 progetti immobiliari in più di 280 città. Ma metà sono bloccati da tempo per mancanza di liquidità. L’azienda occupa 200 mila persone, tuttavia migliaia di compagnie tra fornitori e clienti dipendono di fatto da Evergrande: ora ci sono circa 4 milioni di posti di lavoro a rischio e le ripercussioni del tracollo potrebbero essere persino più ampie. Basta guardarsi indietro per capire il pericolo: dall’inizio della crisi del debito del settore a metà del 2021, le società che rappresentano il 40 per cento delle vendite di case cinesi sono andate in default, da Kasia a Fantasia fio a Shimao. Adesso a tremare è Country Garden, il più grande promotore immobiliare privato della Cina, che questo mese non è stato in grado di rimborsare due rate di interessi sui prestiti e rischia formalmente il default a settembre se non paga. Come altri grandi sviluppatori privati, Country Garden ha continuato a prendere prestiti per ripagare i prestiti già ottenuti, operando sul presupposto che avrebbe continuato a espandersi. Ma così non è stato.
Un progetto immobiliare di Country Garden a Pechino (Getty Images).
L’economia cinese, già in frenata, adesso teme l’effetto domino
L’attività immobiliare cinese è stata penalizzata dal calo della fiducia dei consumatori e dal rallentamento dell’economia globale, che sta pesando sulla domanda di beni cinesi e quindi sull’economia del Dragone. La Cina teme ora l’effetto domino: banche, privati e istituzioni pubbliche che vantano crediti con Evergrande rischiano di non vedersi restituiti i soldi, cosa che potrebbe portare a ulteriori fallimenti. Il tutto nel quadro di un’economia in frenata. Per sostenere la crescita, la Banca popolare cinese ha iniettato la più grande quantità di liquidità da febbraio e tagliato il tasso di interesse praticato sui finanziamenti a medio termine di 15 punti base (il più ampio dal 2020) portandolo al 2,5 per cento. Intanto, le grandi banche d’affari, da Morgan Stanley a JP Morgan, fino a Barclays e Nomura, continuano a tagliare le previsioni di crescita della Cina, ritenendo poco probabile il conseguimento del target del 5 per cento fissato per quest’anno dal governo di Pechino.
Nomura abbassa le stime di crescita al 4,6 per cento
Nomura, riferisce l’agenzia Bloomberg, ha tagliato le stime di crescita dal 5,1 per cento al 4,6 per cento dopo i dati macro sotto le attese di luglio e la persistente «spirale al ribasso» dell’economia. «Nei prossimi mesi la crescita subirà ulteriori pressioni mentre la domanda repressa post-pandemica per i viaggi fa il suo corso», ha affermato la banca giapponese secondo cui è più probabile che Pechino manchi l’obiettivo di crescita al 5 per cento.
Il taglio segue quelli di Morgan Stanley, Jp Morgan e Barclays
Il taglio di Nomura segue quello di Morgan Stanley che mercoledì 16 agosto 2023 ha ridotto le sue stime di crescita per il 2023 dal 5 al 4,7 per cento alla luce di un «più ripido rallentamento degli investimenti nell’ambito di un delevereging nel settore immobiliare e da parte dei veicoli di finanziamento dei governi locali, con effetti a catena sui consumi». In precedenza erano state Jp Morgan e Barclays a ridurre le proprie previsioni, rispettivamente, dal 5 al 4,8 per cento e dal 4,9 per cento al 4,5 per cento, spinte dalle difficoltà in cui si dibatte il settore immobiliare e dai dati deludenti di luglio su consumi, esportazioni, credito e mercato immobiliare residenziale.
Il governo di Pechino ha sospeso la pubblicazione dei dati sulla disoccupazione giovanile, che a giugno tra i 16 e i 24 anni, nelle aree urbane, ha raggiunto il 21,3 per cento. Una cifra decisamente alta per gli standard locali. L’istituto di statistica ha motivato lo stop con il fatto che il metodo di raccolta ed elaborazione di questi dati è da migliorare. Secondo molti esperti, invece, si tratta di un tentativo da parte della Cina di nascondere le debolezze dell’economia della Repubblica popolare. Che, a dispetto delle previsioni, non è cresciuta a ritmi vigorosi dopo la fine delle restrizioni anti-Covid. Anzi.
Operaia tessile di Haian (Getty Images).
La crisi del settore immobiliare, molto importante per l’economia cinese
In Cina il Pil sta crescendo meno delle attese e da luglio la Repubblica popolare è persino entrata in deflazione. Debole l’andamento dei consumi, mentre il settore immobiliare (molto importante per l’economia di Pechino) non si è ancora ripreso dalla crisi degli ultimi anni: i prezzi delle nuove case in Cina sono scesi a luglio dello 0,2 per cento mensile, per prima volta nel 2023. Secondo l’Ufficio nazionale di statistica, i prezzi hanno segnato un calo annuo dello 0,1 per cento. La nuova frenata è maturata nel mezzo del peggioramento della crisi del debito, che sta interessando i principali sviluppatori immobiliari. Zhongrong International Trust, per esempio, ha mancato i pagamenti dovuti su dozzine di prodotti e non ha piani immediati per onorare gli impegni, indicando problemi più profondi di quanto emerso finora. E il colosso del settore Country Gardner Holdings, che in borsa ha perso il 41 per cento nell’ultimo mese, non è stato in grado di pagare due rimborsi di interessi sui prestiti ed è a rischio di insolvenza. In generale gli investimenti nel settore si sono attestati a gennaio-luglio a 6.770 miliardi di yuan (927 miliardi di euro), in calo annuo dell’8,5 per cento (-7,6 per cento la parte residenziale). La valuta cinese, peraltro, è ai minimi da 16 anni sul dollaro.
Lo yuan è ai minimi da 16 anni sul dollaro (Getty Images).
Gli analisti si aspettavano una frenata dell’economia, ma più moderata
Il tasso di disoccupazione, che in Cina viene calcolato solo per le aree urbane, è tra l’altro in grado di fornire solo un quadro parziale della situazione. E lo stesso vale per il dato generale della popolazione attiva, che esclude le zone rurali del Paese (anch’esso aumentato fino al 5,3 per cento). «Se non c’è nessun annuncio, allora non c’è neanche nessun disoccupato», ha ironizzato un utente di Weibo. In questo contesto le vendite al dettaglio, principale indicatore dei consumi delle famiglie – che in generale in Cina hanno una scarsa propensione alla spesa – sono salite solo del 2,5 per cento su base annua a luglio. Anche la produzione industriale ha rallentato: +3,7 per cento, dopo il 4,4 per cento del mese precedente. Gli analisti si aspettavano una frenata, ma più moderata.
L’economia cinese non sta crescendo come previsto (Getty Images).
La Banca popolare cinese corre ai ripari: basterà per nascondere i problemi?
Per sostenere la crescita economica, la Banca popolare cinese ha iniettato la più grande quantità di liquidità dal febbraio 2023 e tagliato il tasso di interesse praticato sui finanziamenti a un anno (medio termine) di 15 punti base, il più ampio dal 2020, portandolo al 2,5 per cento: una mossa che abbassa i costi di finanziamento delle banche per incoraggiarle a concedere più credito e a condizioni più favorevoli. L’economia del Paese con il secondo Pil del Pianeta che e secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale dovrebbe essere il maggiore contribuente alla crescita mondiale fino al 2028, si è inceppata. E Pechino, pare, sta facendo di tutto per nasconderlo, soprattutto per evitare la fuga delle aziende che potrebbero pensare di spostare altrove le proprie produzioni e filiali.
Dopo avere subito una caduta libera nelle ultime settimane, il rublo ha toccato il 14 agosto i livelli più bassi da marzo 2022, poco dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Il dollaro ha sfondato la barriera psicologica dei 100 rubli e l’euro quella dei 110 rubli: dopo l’annuncio la valuta americana è scesa sotto i 99 rubli e quella europea sotto i 108. Ma non si può certo dire che l’allarme sia cessato. Per arginare il crollo, la Banca centrale della Federazione russa è corsa ai ripari aumentando i tassi di interesse, mentre nel Paese è scattata la (criticata) sperimentazione del rublo digitale.
Russia, continua la svalutazione del rublo (Getty Images).
Riduzione delle esportazioni e aumento delle importazioni: i motivi del crollo
Nei giorni successivi all’invasione dell’Ucraina, il rublo si era fortemente svalutato, toccando un picco di 140 per un dollaro. Poi aveva registrato un periodo di performance positivo di circa sei mesi, nel corso dei quali aveva raddoppiato il suo valore raggiungendo il range dei 50-60 rubli per dollaro. Nel corso del 2023 ha però perso oltre il 30 per cento. Il Cremlino, da parte sua, ha attribuito la caduta libera alla «politica monetaria accomodante» della Banca di Russia. Nella riunione di emergenza del 15 agosto, la direttrice Elvira Nabiullina ha spiegato invece che l’indebolimento della moneta nazionale è provocato dalla forte riduzione del surplus delle partite correnti: in particolare a pesare è (causa sanzioni) la riduzione delle esportazioni di petrolio e gas, principali fonti di guadagno dall’estero per il Paese, e l’aumento delle importazioni dovuto allo sforzo bellico.
Elvira Nabiullina (Getty Images).
La mossa della Banca Centrale di Russia: su i tassi di interesse
Vladimir Milov, ex viceministro attualmente in esilio, ha detto che Mosca si trova ad affrontare sorta di «carestia valutaria», poiché è sempre meno – appunto – la valuta che entra nel Paese. Nabiullina, salutata nel 2022 come l’artefice del salvataggio delle finanze russe di fronte alle sanzioni senza precedenti imposte dai Paesi occidentali, ha annunciato l’innalzamento dei tassi di interesse dall’8,5 al 12 per cento, provando a convincere tutti che l’economia di Mosca non è comunque in crisi. L’obiettivo è riportare l’inflazione al 4 per cento nel 2024, per poi stabilizzarla in futuro.
Crollo del rublo, il Cremlino corre ai ripari (Getty Images).
Le elezioni si avvicinano, Putin teme il malcontento dei cittadini
Di tutto pur di arginare il crollo del rublo, che sta provocando un aumento dell’inflazione, con forte rialzo dei prezzi e abbassamento del tenore di vita dei cittadini russi. È già sceso molto e potrebbe scendere ancora. Molto banalmente, un rublo più debole significa cittadini più poveri. E questo è qualcosa che Vladimir Putin vuole evitare, in vista delle elezioni del 2024. Le sicurezze politiche dello zar non possono vacillare. Per proteggere il rublo dagli effetti delle sanzioni, la Russia ha cercato di sviluppare rapidamente alternative al sistema di pagamenti globali Swift – da cui le sue banche sono state in gran parte bandite – dedollarizzando le sue transazioni. Da qui il lancio del rublo digitale.
Russia, avviata la sperimentazione del rublo digitale (Getty Images).
Al via la sperimentazione del rublo digitale
Mosca ha appena avviato la fase di prova di una versione digitale della sua valuta basata sulla tecnologia blockchain. La sperimentazione coinvolge con 13 banche russe e 600 cittadini volontari, con pagamenti possibili in 30 punti vendita dislocati in 11 città del Paese. «Vtb è stata la prima banca a condurre con successo transazioni con rubli digitali nella sua applicazione mobile», ha annunciato il secondo istituto bancario di Russia. «Le operazioni saranno gratuite per i cittadini e con una commissione minima per le imprese», ha detto la Bcr. A differenza delle criptovalute, anch’esse basate sulla blockchain (tecnologia che consente transazioni dirette da un libro mastro decentralizzato), il rublo digitale fa parte della Cbdc (“Central bank digital currency”), ampiamente controllata. Viene emesso direttamente dalla Banca centrale russa e conservato in portafogli elettronici. A supervisionare la sicurezza del sistema è direttamente l’Fsb e questo è un aspetto fortemente criticato: se le autorità dicono di volere un rublo digitale per rendere i pagamenti più sicuri, in molti ritengono invece che l’introduzione di una tale forma di moneta consentirà al governo di controllare ancora di più i cittadini. Fatto sta che la Russia è diventato il 21esimo Paese al mondo ad aver avviato la sperimentazione di una moneta digitale (11 quelli che hanno già introdotto una Cbdc): Mosca spera di estendere il rublo digitale a tutti i russi che lo desiderano «entro il 2025-2027», ha fatto sapere la Banca centrale.
A giugno 2023 il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di 27,8 miliardi rispetto al mese precedente, risultando pari a 2.843,1 miliardi. Lo ha reso noto la Banca d’Italia.
Crescono le disponibilità liquide del Tesoro e il fabbisogno delle amministrazioni
Da Palazzo Koch fanno sapere che: «L’incremento riflette la crescita delle disponibilità liquide del Tesoro (14,2 miliardi, a 41,8), il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (12,3 miliardi), nonché l’effetto degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione dei tassi di cambio (1,3 miliardi)».
Exor ha raggiunto un accordo con Philips, in base al quale la holding della famiglia Agnelli ha acquisito una partecipazione del 15 per cento della società leader mondiale nella tecnologia per il settore della salute e un tempo colosso dell’elettronica di consumo. L’operazione, interamente finanziata con cassa, vale circa 2,6 miliardi di euro ai valori attuali dell’azienda olandese, che capitalizza più di 17 miliardi di euro. L’accordo prevede l’impegno di Exor a essere un investitore di minoranza di lungo termine, con il diritto di proporre un componente del Consiglio di sorveglianza di Philips.
John Elkann (Getty Images).
Exor potrà aumentare la sua quota fino al 20 per cento
«Il percorso di cambiamento intrapreso da Philips negli ultimi anni ha creato un’azienda che unisce due aree, sanità e tecnologia, in cui siamo impegnati», ha commentato John Elkann, ceo di Exor. A novembre 2022, la holding degli Agnelli ha annunciato una spesa da 6,5 miliardi in acquisizioni e investimenti: l’operazione rientra nella strategia di Exor di puntare sulla tecnologia per la salute, settore nel quale nel 2022 ha già speso un miliardo di euro. Sebbene per il momento non preveda di acquistare ulteriori azioni Philips, in base all’accordo Exor potrà aumentare la propria partecipazione fino a un limite massimo del 20 per cento del capitale azionario ordinario.
La sede di Philips ad Amsterdam (Getty Images).
Philips, dall’elettronica alla tecnologia per la salute
«La strategia e il piano di creazione di valore con impatto sostenibile di Philips si basano sull’obiettivo di migliorare la salute e il benessere delle persone attraverso un’innovazione utile e efficace. L’azienda detiene posizioni di leadership in rilevanti segmenti di mercato nel settore della tecnologia per la salute, grazie a un portafoglio prodotti innovativo e a una solida base di clienti», spiega una nota di Exor. Dopo essere stata per più di 120 anni tra le maggiori aziende al mondo nel settore dell’elettronica, Philips ha scorporato e venduto tali attività a partire dal 2011, per concentrarsi sempre di più nel settore delle nuove tecnologie per la salute.
Continua l’indebolimento del rublo contro le principali valute estere. La valuta russa scambia a 101,498 sul dollaro (+1,96 per cento) e a 111,127 sull’euro (+1,80 per cento), alle 12.30 ore italiane, toccando un nuovo minimo da marzo 2022, quando il conflitto in Ucraina era appena iniziato.
Nel 2023 il rublo ha perso il 30 per cento del suo valore rispetto al dollaro
Nei giorni successivi all’invasione Russa in Ucraina del 24 febbraio 2022, il rublo si era fortemente svalutato, toccando un picco di 140 per un dollaro. Poi la moneta aveva registrato un periodo di performance positivo di circa sei mesi, nel corso dei quali aveva raddoppiato il proprio valore raggiungendo il range dei 50-60 rubli per dollaro. Nel corso dell’anno, il rublo ha poi perso circa il 30 per cento del suo valore rispetto al dollaro Usa e all’euro. Ad alimentare la caduta verticale del rublo è stata una combinazione di fattori: sanzioni internazionali, riduzione delle entrate a causa del taglio alle esportazioni di petrolio, flussi valutari squilibrati, fuga di capitali, crisi della forza lavoro, con la sola industria bellica – in pratica – a sostenere l’economia di Mosca.
Rublo a picco, ma così giù da marzo 2022 (Getty Images).
Le accuse del Cremlino alla Banca centrale della Federazione Russa
Maxim Oreshkin, consigliere economico di Vladimir Putin, ha dichiarato che il Cremlino vuole un rublo forte, attribuendo il crollo del 30 per cento registrato da inizio 2023 a una politica monetaria accomodante da parte della Banca centrale della Federazione Russa, che avrebbe «tutti gli strumenti per normalizzare la situazione nel prossimo futuro e garantire che i tassi sui prestiti siano ridotti a livelli sostenibili».
È stato siglato il memorandum of understanding tra Kkr e il ministero dell’Economia. L’accordo prevede un’offerta vincolante che stabilisce tra l’altro l’ingresso del Mef con una quota fino al 20 per cento nella Netco, la società della rete di Tim.
Governo, ruolo «decisivo nelle scelte strategiche»
Nel memorandum di intesa tra il fondo americano Kkr e il ministero dell’Economia e delle finanze inoltre, fa sapere il Mef, «i termini dell’offerta dal punto di vista dei rapporti tra le parti prevedono un ruolo decisivo del governo nella definizione delle scelte strategiche» della Netco, la rete di Tim. I prossimi passaggi «saranno relativi all’adozione di un Dpcm per completare l’iter procedurale».
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha risposto a Ryanair durante un’intervista a Tgcom24. L’ad della compagnia low cost, Eddie Wilson, interpellato da Ansa, ha definito «ridicolo e illegale» il decreto del governo in cui sono inserite le norme contro il caro voli e l’algoritmo sulle tariffe. Oggi Urso replica a muso duro: «Ryanair ha bisogno di buoni consiglieri di diritto commerciale, di qualcuno che si intende di mercato e diritti dei cittadini perché negli anni ha manifestato una certa insofferenza alle regole di mercato».
Urso ha poi proseguito: «Ryanair è stata sanzionata 11 volte negli ultimi anni dall’autorità per la concorrenza e il mercato. Siamo intervenuti con un decreto che tutela il mercato e i consumatori. Il mercato non è il far west dove speculatori approfittano, viene regolato dallo Stato, dalle leggi, dalle autorità e dalla Ue». Ieri mattina l’incontro con l’ad Wilson, «poi abbiamo avuto un confronto con Ita perché è nostra intenzione aprire un tavolo per potenziare il traffico aereo anche a fronte di eventi come il Giubileo e le Olimpiadi di Cortina-Milano e poi il Giubileo del 2033».
Un velivolo di Ryanair (Getty).
Il ministro sull’algoritmo
Il ministro ha poi parlato anche dell’algoritmo: «Non è una invenzione sovietica perché non esisteva ai tempi del soviet. Nasce nella patria dei diritti, gli Stati Uniti». E insiste parlando di un meccanismo «che a seconda della capacità di spesa dell’utente propone prezzi diversi, o a seconda delle esigenze del momento libera dei posti, una sorta di asta dei voli, una profilazione degli utenti che non è ammissibile. Noi siamo intervenuti secondo le regole europee e siamo disponibili a fornire tutti i chiarimenti. Lo stato ha il dovere di intervenire quando il cittadino è sottoposto a un’azione che non risponde alle regole di mercato».
Secondo gli analisti di Moody’s, la nuova tassa sugli extra profitti «è credit negative» per il settore. Secondo i calcoli proforma su cinque banche che rappresentano oltre il 60 per cento del margine di interesse del sistema bancario italiano a fine 2022 (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Bper, Banco Bpm e Mps), «la nuova imposta ridurrà sensibilmente il loro reddito netto» con un peso di «circa il 15 per cento dell’utile netto 2022 del sistema». L’imposta va inoltre «ad aggiungersi a una serie di altri vincoli alla redditività delle banche italiane come la modesta attività di prestito o l’aumento delle spese operative». Eppure per il 2023, sottolineano gli analisti, «al netto dell’imposta sugli extra profitti la redditività rimarrebbe al di sopra dell’utile netto del 2022». Gli esperti hanno infatti dichiarato che il report «non annuncia un’azione di valutazione del credito».
L’Italia ha seguito l’esempio di altri paesi europei
Sull’extra tassa sulle banche, l’Italia sta seguendo altri paesi europei che hanno imposto tasse simili sui loro sistemi bancari come la Spagna, l’Ungheria e la Repubblica Ceca. Ma gli analisti hanno precisato che, «a differenza del regime italiano che si applica a tutte le banche del Paese, il prelievo spagnolo si applica solo alle banche che hanno generato più di 800 milioni di euro di reddito imponibile nel 2019 o che sono vigilati dalla Banca Centrale Europea».
Intanto nella mattinata di giovedì 10 agosto, secondo quanto si apprende, si è tenuta la riunione del comitato di presidenza dell’Abi (si sarebbe svolta da remoto), decisa per fare il punto sulla decisione del governo di tassare gli extraprofitti delle banche. Una mossa che ha colto di sorpresa gli istituti di credito, i cui titoli a Piazza Affari sono stati protagonisti di un tonfo prima del rimbalzo del giorno precedente. Al momento non è stata diffusa alcuna comunicazione.
Francesco Beccali, attualmente responsabile finanza di Terna, assumerà il ruolo di direttore amministrazione, finanza e controllo (chief financial officer) del gruppo a partire dal primo settembre. Lo rende noto la società. Il consiglio di amministrazione ha quindi attribuito a Beccali la carica di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari.
Giuseppina Di Foggia, amministratore delegato di Terna. (Imagoeconomica).
Chi è Francesco Beccali
Nato a Roma nel 1973 e laureato in economia e commercio, Francesco Beccali ha una lunga esperienza nel gruppo Terna dove è entrato nel 2011 con il ruolo di responsabile finanza. In precedenza, ha lavorato in Bnp Paribas, in Bnl e in Cofiri, dove ha ricoperto incarichi di responsabilità crescenti. In Terna è stato anche consigliere di amministrazione di Crnogorski Elektroprenosni System (Cges), la società che gestisce la rete di trasmissione elettrica del Montenegro.
Assoutenti non ha dubbi: la tassa sugli extraprofitti delle banche «è una ottima misura per reperire risorse da destinare alla collettività, ma potrebbe spingere le banche a reagire attraverso un aumento dei costi di conti correnti e carte». L’associazione no profit per la tutela dei consumatori ricorda come già Bankitalia sia scesa in campo contro l’incremento dei conti correnti. Se si considera che in Italia i correntisti sono 47,7 milioni, la stangata potrebbe raggiungere i 491,3 milioni annui a causa dei possibili rincari di carte e conti correnti. Assoutenti si dice quindi pronta a denunciare ad Antitrust le banche che decidessero rincari a danno degli utenti.
Giorgia Meloni: «Le risorse ricavate andranno a sostegno di famiglie e imprese»
Sul tema è intervenuta anche Giorgia Meloni, durante il suo collegamento social Gli appunti di Giorgia. La premier ha spiegato che durante l’ultimo Consiglio dei ministri «abbiamo approvato diverse misure importanti. La più importante è quella che riguarda la tassazione dei margini ingiusti delle banche». E poi ha sottolineato che le risorse che arriveranno tassando i «margini ingiusti delle banche» saranno utilizzate per «finanziare le misure a sostegno delle famiglie e delle imprese» che vivono ogni giorno «momenti di difficoltà per l’alto costo del denaro».
Giorgia Meloni (Imagoeconomica).
La premier sul salario minimo: «Rischia di peggiorare le retribuzioni»
La presidente del Consiglio ha poi continuato, parlando di un altro tema centrale in questi giorni, il salario minimo. Giorgia Meloni ha spiegato: «Perché non ho accolto la proposta sul salario minimo così come viene presentata? Perché se io stabilissi per legge una cifra minima oraria di retribuzione per tutti, che inevitabilmente si collocherebbe nel mezzo. E allora il salario minimo potrebbe rischiare di essere più basso del minimo contrattuale previsto e rischierebbe di diventare un parametro sostitutivo e non aggiuntivo peggiorando molto di più i salari rispetto a chi li migliora».
«Ridicolo, illegale, interferisce con le leggi del libero mercato secondo le norme Ue. Deve essere cancellato». Lo ha detto l’amministratore delegato di Ryanair, Eddie Wilson, in una intervista all’Ansa, parlando della parte sul caro voli del decreto del governo che interviene sulle tariffe da e per Sicilia e Sardegna dagli altri aeroporti italiani, mettendo in guardia che «se non verrà cancellato ci sarà un impatto sull’operatività di Ryanair in Italia».
Ho incontrato stamattina il Ceo di @Ryanair, Eddie Wilson, con cui abbiamo stabilito, all’indomani della presentazione delle misure contro il caro-voli, di avviare un costruttivo confronto per raggiungere soluzioni equilibrate per passeggeri e compagnie. Al centro del nostro… pic.twitter.com/HGn4Kd3JdV
«Non siamo parte di un cartello, non mi lascio insultare», ha continuato Wilson. «Ryanair ha raggiunto oltre 185 milioni di passeggeri perché abbiamo abbassato i prezzi e diamo valore, non abbiamo bisogno di parlare con compagnie incompetenti. Non ho mai parlato con nessuno, mai parlato con qualcuno in Ita». Su chi dice che Ryanair abbia fatto cartello sui voli per Sicilia e Sardegna, come per esempio il presidente della Regione siciliana Renato Schifani, ha replicato: «Dice spazzatura, nient’altro che spazzatura».
Adolfo Urso dopo l’incontro con il ceo di Ryanair
Il ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che nella mattinata di mercoledì 9 agosto ha incontrato Wilson, ha scritto su X (ex Twitter): «Ho incontrato stamattina il ceo di Ryanair, Eddie Wilson, con cui abbiamo stabilito, all’indomani della presentazione delle misure contro il caro-voli, di avviare un costruttivo confronto per raggiungere soluzioni equilibrate per passeggeri e compagnie. Al centro del nostro incontro anche i piani di sviluppo e investimento che Ryanair è pronta a realizzare nel nostro Paese alla luce delle grandi potenzialità di crescita del turismo e del trasporto aereo in occasione di manifestazioni come il Giubileo del 2025, i giochi olimpici Milano-Cortina del 2026 e il Giubileo straordinario del 2033».