Con una lettera inviata a governo e sindacati, Alitalia ha comunicato «l’avvio di una procedura che determina, suo malgrado, licenziamenti per riduzione di personale». Il provvedimento riguarda 2.668 dipendenti di Alitalia e altri 55 dipendenti di Alitalia Cityliner, compagnia regionale satellite, che erano in cassa integrazione a zero ore (e lo saranno fino al 31 ottobre 2024), dunque 2.723 dipendenti. Rimangono escluse 172 persone impiegate nell’attività liquidatoria. «La scrivente è impossibilitata al reimpiego dei lavoratori attualmente sospesi in cassa integrazione», si legge nella lettera, che ha la data del primo dicembre 2023, in quanto si è «determinata una situazione di eccedenza di personale».
Ita-Lufthansa all’esame Ue, passo avanti verso le nozze
Tutto questo mentre, dopo lunghi mesi di colloqui serrati sull’asse Roma-Berlino-Bruxelles, è arrivata la notifica alla Commissione europea del progetto di nozze tra Ita Airways e Lufthansa. In base all’accordo, confermato dal ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, la compagnia di bandiera tedesca acquisterà il 41 per cento del capitale di Ita Airways, per un valore di 325 milioni di euro. «Era una operazione auspicata da tutti, se pensiamo a quanti soldi hanno speso gli italiani per mantenere l’ex Alitalia nel corso degli anni: cifre che fanno impressione. Sia io che il mio collega della Bdi, la Confindustria tedesca, avevamo fatto proprio un intervento congiunto sulla Commissione europea affinché si sbloccasse questa situazione e si permettesse finalmente la partenza del piano industriale della nuova compagna aerea», ha detto ai microfoni di RaiNews24 Carlo Bonomi, presidente di Confindustria.
Alla Cop28, la conferenza Onu sui cambiamenti climatici in corso a Dubai, Giorgia Meloni ha affermato che occorre «perseguire una transizione ecologica e non ideologica”, promuovendo «un approccio tecnologicamente neutro, libero da inutili radicalismi». Nel corso del suo intervento, la premier italiana ha detto: «La mia idea è che se vogliamo essere efficaci, se vogliamo una sostenibilità ambientale che non comprometta la sfera economica e sociale».
Cop28, stretta di mano tra Giorgia Meloni e il segretario di Stato Usa Antony Blinken (Getty Images).
«L’Italia sta facendo la sua parte nel processo di decarbonizzazione in modo pragmatico»
La presidente del Consiglio ha poi evidenziato che l’Italia «sta facendo la sua parte nel processo di decarbonizzazione in modo pragmatico» e che si è «impegnata a garantire, attraverso il programma Ue Fit for 55, un approccio multisettoriale che rafforzi i mercati del lavoro e mitighi l’impatto» sui cittadini. «Questo è un punto essenziale, perché se pensiamo che la transizione verde possa comportare costi insostenibili, soprattutto per i più vulnerabili, la condanniamo al fallimento».
Giorgia Meloni scherza con il primo ministro indiano Narendra Modi alla Cop28 (Getty Images).
«L’obiettivo di contenere le temperature entro 1,5 gradi è lontano, la Cop28 deve essere una svolta»
«È un momento chiave del nostro sforzo di contenere le temperature entro 1,5 gradi: anche se ci sono ragioni per essere ottimisti l’obiettivo è lontano, la Cop28 deve essere una svolta», ha aggiunto Meloni. «L’Italia ha deciso di investire sul biocombustibile globale: abbiamo tracciato la strada di neutralità al carbonio entro il 2050», ha affermato la presidente del Consiglio dei ministri.
È nata a Marsala, provincia di Trapani, un’associazione denominata “Centro uomini maltrattati” dalle donne. Promotore l’imprenditore Giuseppe Arangio, 38 anni, che opera nel settore della produzione dei mezzi industriali per l’ambiente. «Siamo stanchi di essere oggetto di pregiudizi. È incredibile come la violenza sugli uomini sia fonte solo di sberleffi e atteggiamenti canzonatori. Troppe volte la violenza psicologica che subiamo noi uomini non prevede alcuna forma di tutela da parte dello Stato e dell’opinione pubblica», ha spiegato. «Per questo motivo abbiamo deciso di dire basta a questa discriminazione che vede noi uomini essere sempre descritti come dei carnefici e le donne sempre e solo come vittime».
Manifestazione contro la violenza sulle donne (Imagoeconomica).
Il promotore: «Nascere uomini è una nuova forma di peccato originale»
Il Centro uomini maltrattati (per ora solo un’associazione di fatto, ma con l’intenzione a breve di formalizzare) ha comunicato di aver già raccolto adesioni, oltre che in Sicilia, anche in Lombardia, Toscana, Lazio e Sardegna. «Il passaparola è stato così spontaneamente intenso che abbiamo raggiunto, in sole 48 ore, 530 iscritti in tutta Italia», ha affermato il promotore dell’iniziativa. «Il nostro obiettivo è non solo quello di fornire un aiuto reale e concreto agli uomini, che sempre più frequentemente, dopo il divorzio, si trovano a vivere sotto i ponti o nelle proprie auto, ma contrastare l’orientamento attuale che, pregno d’ipocrisia, pretende che gli uomini siano tutti colpevoli, a prescindere dalle proprie azioni, e che dovrebbero chiedere, comunque, scusa alle donne per avere la sola colpa di essere vivi. È una nuova forma di peccato originale».
L’associazione mira a «concordare un’azione comune con i centri antiviolenza sulle donne»
«Io sono stato più volte oggetto di violenza fisica e psicologica da parte delle mie compagne, nonché di stalking e calunnie. Per fortuna, la giustizia ha funzionato così bene che quelle che si definivano vittime hanno finito per essere imputate», ha spiegato Arangio. I membri del “Centro uomini maltrattati” dicono, comunque, di voler «concordare un’azione comune con i centri antiviolenza sulle donne», auspicando «una maggiore apertura al dialogo e l’adozione di punti di vista alternativi capaci di relativizzare la contraddizione esistente fra i due sessi in un’ottica di mutua comprensione».
Dopo il lancio da parte di Pyongyang della sua prima sonda militare, la Corea del Sud intensifica la corsa allo spazio nella penisola coreana con il lancio di un satellite spia, trasportato da un razzo Falcon 9 di SpaceX, l’azienda di Elon Musk, decollato dalla base spaziale americana di Vandenberg, in California. «Sul razzo c’era una scritta con la parola “Korea”. Se verrà messo in orbita con successo, Seul avrà acquisito il suo primo satellite spia costruito a livello nazionale per monitorare la Corea del Nord dotata di armi nucleari», ha dichiarato un portavoce di SpaceX.
Seul vuole lanciare altri quattro sonde entro il 2025: serviranno a monitorare le attività di Pyongyang
Seul prevede di lanciare altri quattro satelliti spia entro la fine del 2025 per rafforzare la sua capacità di ricognizione della Corea del Nord. Impostato in orbita tra i 400 e i 600 chilometri dalla Terra, il satellite sudcoreano è in grado di rilevare un oggetto fino ai 30 centimetri, riferisce l’agenzia di stampa Yonhap. Il lancio è avvenuto a meno di due settimane da quando Pyongyang ha messo in orbita con successo il proprio satellite spia che avrebbe fornito, secondo le autorità, immagini dei principali siti militari statunitensi (tra cui il Pentagono e la Casa Bianca) e sudcoreani, nonché foto di Roma, tutte messe a disposizione del leader Kim Jong-un.
Le celebrazioni per il lancio del Malligyong-1 su un maxischermo in Giappone (Getty Images).
La Corea del Nord ha minacciato di abbattere i satelliti spia Usa in risposta a «qualsiasi attacco» contro il suo
Il lancio del Malligyong-1 da parte della Nord Corea è stato il terzo tentativo – questa volta riuscito – di mettere in orbita un satellite del genere, dopo due fallimenti a maggio e agosto. Secondo Seul, Pyongyang avrebbe ricevuto aiuto tecnico da Mosca, in cambio della fornitura di armi da utilizzare nella guerra in Ucraina. La Corea del Nord ha reso noto, tramite una dichiarazione ufficiale del ministero della Difesa diramata dall’agenzia di stampa statale Kcna, che considererà i tentativi degli Usa di neutralizzare la sua prima sonda da ricognizione in orbita terrestre come una dichiarazione di guerra e che, nel caso, «prenderà in considerazione l’adozione di misure di autodifesa per indebolire o distruggere la vitalità dei satelliti spia americani».
Il lancio del primo satellite spia sudcoreano (Ansa).
Ai numeri da record è abituato. Ma di cifre come questa Cristiano Ronaldo avrebbe fatto a meno: 1 miliardo di dollari a titolo di possibile risarcimento. Pagato da lui, se la richiesta dei promotori della class action dovesse essere accolta. C’è un esercito di piccoli investitori che si ritengono gabbati dalle sue prestazioni. Non quelle del campo, ma quelle della sua versione avatar sublimata in formato non fungible token (Nft). Tutti ci hanno perso, mentre lui guadagna. Mica può funzionare così. Sta di fatto che, abituato a frantumare cifre canoniche come quelle dei gol segnati o delle presenze in nazionale, Cr7 non si sarebbe aspettato di fare i conti pure con questa del miliardo tondo di dollari. Spropositata abbastanza da far tremare anche un soggetto con smanie da superomismo come lui, sempre pronto ad accettare lo schema “uno contro tutti”. Il fatto è che stavolta i “tutti” sono troppi. Soprattutto, è esorbitante ciò che quei tutti pretendono. Ma non è questo il vero punto della questione. L’aspetto davvero interessante che si ricava dalla vicenda è la possibilità che si introduca un inedito rischio-testimonial, qualcosa di inimmaginabile fin qui. E certo, va tenuto conto delle specificità del caso e dei suoi tratti di business estremamente originali. Cionondimeno, le ripercussioni potrebbero avere portata generale.
Non funge il token: altro che momenti iconici di Cristiano Ronaldo
Tutto parte dalla collezione di Nft che Cristiano Ronaldo ha lanciato nel 2022 con Binance. Momenti iconici, come viene spiegato nella campagna pubblicitaria che non può non prevedere l’uso di uno fra i più stucchevoli aggettivi della contemporaneità. Il fatto è che al momento, di davvero iconico, ci sono soltanto lo schianto di Binance e le perdite degli investitori che hanno creduto in chissà quale capitalizzazione da criptovaluta.
Una delle campagne pubblicitarie di Ronaldo con Binance.
Il 21 novembre la Security and Exchange Commission (Sec) statunitense ha riconosciuto Binance e il suo amministratore delegato, Changpeng Zhao, colpevoli di riciclaggio e violazione delle sanzioni. Ne è scaturita una multa da 4 miliardi di dollari. Accompagnata dalla condivisa opinione che da qui in poi il mercato delle criptovalute dovrà essere tirato fuori dal Far West e sottoposto a controllo e regolazione maggiori. Ma le disavventure di Binance non potevano non avere effetti collaterali. E il principale fra questi ha riguardato proprio il testimonial più illustre del colosso globale delle criptovalute: Cristiano Ronaldo, appunto. Che ha messo tutto il peso della sua immagine nella promozione della sua linea di Nft, ciò che è cosa ovvia. Ma che altrettanto ovviamente ha fatto di quell’immagine personale un elemento di legittimazione per Binance e un’esca per una classe di investitori in criptovalute, un po’ troppo propensi a lasciarsi incantare dall’aura del fuoriclasse calcistico globale ma molto meno accorti nel decidere i loro investimenti.
Changpeng Zhao con Ciro Immobile: Binance è stato anche sponsor della Lazio (Getty).
Cr7 doveva sapere della rischiosità dell’investimento
Se Cr7 non fosse stato parte dell’operazione, se non avesse prestato faccia e fama, loro non avrebbero investito. Ergo, adesso deve assumersi anche lui la responsabilità del pessimo esito cui è andato incontro il loro investimento. Tanto più che, come viene sostenuto dai promotori della class action, un soggetto che come lui ha possibilità di circondarsi dei migliori consulenti legali e finanziari non poteva non essere avvertito della rischiosità dell’investimento. Ma nonostante ne fosse consapevole, continua la linea di ragionamento, è andato avanti. Dunque adesso se ne assuma la responsabilità.
Anche al testimonial si possono imputare i costi sociali
Premesso che è da vedere se la cosa avrà un seguito. Dunque è bene mantenersi nell’ambito delle ipotesi di scuola. Dentro questo ambito si apre la prospettiva del rischio-testimonial che fin qui non pareva ipotizzabile: imputare anche al testimonial di una campagna pubblicitaria i costi sociali della pessima resa del prodotto messo sul mercato. E per quanto vada ribadito che si sta parlando di un settore merceologico molto particolare (che sfugge alla materialità stessa del concetto di merce), rimane il potenziale rivoluzionario della controversia. Il carisma del testimonial non può essere per lui soltanto un vantaggio, ma necessita di essere anche una responsabilità sociale. Che presto si tramuta in responsabilità civile.
Cristiano Ronaldo sponsor di Binance.
Il prestigio strumento di monetizzazione? Sì, ma anche in negativo
Un’arma a doppio taglio, quando fin qui è stata esclusivamente un privilegio. E se davvero il prestigio personale del testimonial è uno strumento di monetizzazione, rischia di diventarlo anche in negativo e a suo danno. Ciò determinerebbe, da quel momento in poi, l’esigenza di una maggiore accortezza nella decisione di prestare faccia e fama a una campagna pubblicitaria. Tutto questo potrebbe entrare in ballo nella class action da un miliardo di dollari contro Cristiano Ronaldo. Ma forse lui è l’ultimo a rendersene conto.
Reduce da una serie di bianchi con Ofelia alla Terra Trema esco dal Leoncavallo con le Air Pods ficcate nelle orecchie che sono quasi le cinque del pomeriggio e sopra la mia testa il cielo è già nero. Mi dirigo con passo svelto, stretto nel mia giacca blu da marinaio con il bavero alzato, verso la fermata del bus e in sottofondo suona in digitale un pezzo tratto da The Complete Obscure Records Collection, la poderosa raccolta recentemente ristampata, che comprende tutti i dischi prodotti da Brian Eno per la sua mitologica etichetta Obscure Records, che ho ricevuto qualche giorno fa grazie a un ex collega di Radio Pop, che mi ha inviato tutti i 10 album via mail scrivendo nell’oggetto la semplice parola IMPRESCINDIBILE a caratteri cubitali.
[In due parole, per chi non la conoscesse, la Obscure Records, etichetta d’avanguardia di musica sperimentale fondata da Brian Eno nel 1975 con lo scopo di «iniettare nuove aree nel rock», è stata attiva fino al 1978. Ha in catalogo solo 10 dischi, mai più ristampati, che nel tempo sono diventati autentici oggetti di culto. Il gioiello Music for Airports dello stesso Eno, datato 1978, doveva essere l’11esimo album della serie, come testimoniato dalla scritta in copertina della prima stampa Uk OBS-11, ma poi l’etichetta venne chiusa e il disco aprì una nuova collana della Ambient Records, mettendo fine di fatto alla Obscure].
Ascolto con attenzione, isolandomi completamente durante il tragitto verso lo stadio, riflettendo sul fatto che la sensazione principale che questi album mi restituiscono è avere intorno un infinito senso di spazio; una roba simile a quella che solitamente provo ascoltando della roba di Nicolas Jaar o alcuni lavori di Miles Davis, di Alabaster De Plume o vecchi pezzi dei Boards of Canada. E penso tutto questo anche mentre cambio linea del metro in Piazzale Lotto sfogliando mentre aspetto il treno l’ultimo libro pubblicato da Minimum Fax di Mark Fisher, intitolato Non siamo qui per intrattenervi, che raccoglie una serie di considerazioni che il giornalista inglese aveva scritto sul suo blog K-Punk riguardo alla letteratura, prima di impiccarsi nel 2017 a soli 48 anni, devastato dalla depressione.
Murales a San Siro.
È strano tornare allo stadio dopo quasi 10 anni di assenza con Fisher arrotolato nella tasca dei jeans e i dischi della Obscure Records nelle orecchie, ma il tempo passa per tutti e le cose cambiano, tranne l’amore per il Millan, in effetti. Così eccomi qui, che esco dal bocchettone della metropolitana nel piazzale davanti a San Siro, cercando il fido Baj e i suoi due figli, Giorgio & Coco, con i quali ho appuntamento per assistere alla partita con la Fiorentina. Un vecchio numero di Rivista 11 sul “tifo”, uscito un paio d’anni fa, a cui avevo dedicato anche una puntata di PopUp, rifletteva sul fatto che il nuovo tifoso digitale viene considerato dai frequentatori dello stadio in generale e più in particolare da quelli delle cosiddette curve, una sorta di tifoso minore. «Se non ci sei non puoi capire», recitava un vecchio adagio ultras, tradotto in tutte le lingue del mondo, e posso dire che un tempo la pensavo anch’io così.
La prima volta che sono stato allo stadio avevo all’incirca 11 anni e avevo ossessionato mio padre a tal punto che alla fine lo avevo convinto a portarmici. Era una fredda giornata di marzo del 1991 e a San Siro scendeva in campo un Milan condotto da Arrigo Sacchi ormai alla fine del suo ciclo. Senza Ancelotti, Donadoni e Gullit, che all’epoca era il mio eroe assoluto, perdemmo una partita giocata male contro l’Atalanta, puniti da una capocciata del brasiliano Evair, che spedì in rete la palla che si infilò beffarda dietro le spalle di Pazzagli, dopo una cinquantina di minuti di gioco. Non bastarono nemmeno le prodezze di Marco Van Basten per risollevare quella squadra, campione d’Europa in carica, quel pomeriggio di marzo. Squadra che da lì a pochi giorni si sarebbe giocata tutto al Velodrome di Marsiglia, in Coppa dei Campioni, in una notte tragica che passò alla storia come “la notte dei lampioni”. Nonostante la sconfitta ricordo però che rimasi completamente rapito dall’atmosfera di San Siro, seduto di fianco a mio padre sulle poltroncine rosse della tribuna, con lo sguardo ebete di chi vede per la prima volta un luogo che nella sua mente fino a quel momento aveva idealizzato come mitologico.
La prima volta che sono stato allo stadio avevo all’incirca 11 anni e avevo ossessionato mio padre a tal punto che alla fine lo avevo convinto a portarmici. Era una fredda giornata di marzo del 1991 e a San Siro scendeva in campo un Milan condotto da Arrigo Sacchi ormai alla fine del suo ciclo. Senza Ancelotti, Donadoni e Gullit, che all’epoca era il mio eroe assoluto, perdemmo una partita giocata male contro l’Atalanta
Passarono gli anni delle medie e finalmente arrivò il periodo disturbato del liceo, quando San Siro, piano piano, divenne quasi un appuntamento fisso, sia al primo anello arancio, di fianco a DFA, quando suo padre (abbonatissimo da anni) disertava qualche partita, sia in Fossa, dove più che per vedere la gara si andava per drogarsi, saltando e cantando ininterrottamente per 90 minuti. Non sono mai stato un ultras perché in fondo l’atmosfera della curva non l’ho mai amata particolarmente, troppa tensione e troppi delinquenti tutti assieme, anche se devo ammettere che mi ci sono divertito parecchio per il periodo in cui l’ho frequentata. C’era chi si divertiva a costruire velieri in bottiglia, chi a caricare cilum a raffica, tutti uguali, democraticamente uno di fianco all’altro; il figlio dell’avvocato spalla a spalla con il tabbozzo delle case popolari, il plazaro con il giubbotto costoso di fianco al figlio del macellaio. Ogni tanto qualche malcapitato cadeva sotto le mire di qualche gruppuscolo particolarmente violento e così vedevi calci e cinghiate che volavano senza alcun motivo, così per il gusto di darle, anche tra sostenitori della stessa squadra. Non ho mai avuto un abbonamento, spesso compravo il biglietto, altre volte quando ci girava, aspettavamo che la celere si distraesse e con i regaZ scavalcavamo i cancelli dello stadio e poi correvamo a 300 all’ora verso le entrate del terzo anello, dove i controlli erano più flebili. Oggi con tornelli e steward disseminati ovunque sarebbe impossibile.
L’inizio del lavoro al bar la sera, in concomitanza con l’inizio della cosiddetta “banter era” rossonera mi ha nel tempo allontanato dallo stadio. Fino a oggi, quando, come un vecchio signore con il cappotto, di fianco a due ragazzini di 12 e 13 anni, mi sorprendo a esultare come un pazzo tra bandiere e fumogeni, per il gol del Milan
Il periodo migliore a San Siro fu però quello poco dopo i 20 anni, fissi al primo anello blu. Con il fido Baj arrivavamo allo stadio in vespa pochi minuti prima dell’inizio della partita ed entravamo gratis grazie a un amico che lavorava alle biglietterie e ci faceva passare, sia che fosse campionato che Champions. Una dopo l’altra, in quegli anni, seguimmo tutte le gare del Milan di Ancelotti, che all’epoca vinse uno scudetto e coppe a profusione. L’inizio del lavoro al bar la sera, in concomitanza con l’inizio della cosiddetta “banter era” rossonera mi ha nel tempo allontanato dallo stadio. Fino a oggi, quando, come un vecchio signore con il cappotto, di fianco a due ragazzini di 12 e 13 anni, mi sorprendo a esultare come un pazzo tra bandiere e fumogeni, per il gol del Milan.
Un uomo di 52 anni è stato arrestato dalla polizia in provincia di Monza, con l’accusa di maltrattamenti e stalking nei confronti della ex moglie e della loro figlia minorenne. La donna, che si era separata dall’uomo da tempo, ha subito atti persecutori e minacce per anni: ma ha sempre denunciato gli episodi di stalking, tanto che l’ormai ex marito era stato già condannato due volte. Uscito l’ultima volta dal carcere nel 2022, ha ripreso a tormentare l’ex moglie, anche tramite la figlia che hanno avuto insieme.
Le minacce e gli appostamenti, infine il tentativo di entrare in casa dell’ex moglie con la forza
Appena scarcerato, l’uomo ha iniziato a contattare l’ex moglie in maniera ossessiva, così come a rivolgerle minacce sia direttamente, sia attraverso la figlia minorenne, alla quale inviava numerosi messaggi vocali con le stesse minacce di morte rivolte alla madre. Per impedire all’ex moglie di rifarsi una vita, il 52enne si faceva trovare sotto l’abitazione di madre e figlia per terrorizzarle. Le due erano state costrette a modificare le loro abitudini di vita per cercare di sentirsi più al sicuro: la donna, ormai, viveva con la costante convinzione di essere presto uccisa. A inizio novembre infine, l’uomo si è ripresentato sotto casa della ex e della figlia, ha inviato loro audio con minacce di morte e ha cercato di entrare in casa con la forza. La donna a quel punto ha telefonato al 112 e gli agenti della Squadra Mobile, d’intesa con la Procura di Monza, hanno ottenuto a ottenere dal gip un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per maltrattamenti e stalking.
Nel 2019 il presidente francese Emmanuel Macron aveva definito la Nato clinicamente morta. Poi è arrivato Vladimir Putin con l’invasione dell’Ucraina a far resuscitare l’Alleanza, che è addirittura diventata più numerosa. La Finlandia è già entrata, sulla Svezia pende ancora il giudizio della Turchia, ma in sostanza è cosa fatta. La questione dell’Ucraina è un altro paio di maniche, visto che tutto dipende dall’andamento della guerra in corso: se, quando e come Kyiv farà il suo ingresso è ancora tutto da decidere. Anche perché dopo quasi due anni di conflitto, arrivato ormai alla boa dei 650 giorni, la stanchezza nei confronti della guerra nell’ex repubblica sovietica si manifesta anche all’interno della Nato. Sul fatto che l’Alleanza, gli Stati Uniti e i Paesi europei siano a fianco di Kyiv contro l’aggressione russa non ci sono dubbi. Nessuno tra Washington e Bruxelles manca mai di ricordare a ogni occasione che il sostegno occidentale continuerà sino a quando sarà necessario. Anche se in realtà non si è mai capito quale sia la necessità: quella di vincere la guerra? Di ricacciare i russi via dal Donbass e dalla Crimea? O di difendersi cercando di non lacerare ulteriormente il Paese? Di evitare quindi che la Russia fagociti mezza Ucraina da sud a est sino alla linea del Dnipro? Domande a cui finora gli alleati non hanno dato risposte. Almeno esplicite.
Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina (Getty Images).
Per Kyiv niente ingresso nella Nato a guerra in corso
Il segretario dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg, il capo della diplomazia statunitense Antony Blinken, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, i leader dei Paesi europei, baltici e polacchi in in primis, lo hanno ripetuto senza sosta in questi giorni e la promessa dell’entrata dell’Ucraina nella Nato è stata ribadita anche al recente vertice di Bruxelles, ma lo stesso Stoltenberg ha precisato che non se ne parla finché è in corso la guerra. E questo per la leadership ucraina è un problema, ormai conosciuto, tanto che il presidente Volodymyr Zelensky lo ha anche ammesso pubblicamente. Ma al di là del fatto che la strada verso l’ammissione sia in salita, al momento Kyiv deve confrontarsi con problemi molto più concreti che riguardano proprio la piega che sta prendendo il conflitto. Al summit in Belgio il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba si è sentito dire che nemmeno i tanto desiderati caccia da combattimento F16 potranno cambiare la situazione sul campo. Dovrebbero volare nei cieli ucraini già nella prima metà del prossimo anno, ma le operazioni di addestramento vanno a rilento e i piloti in training si contano col contagocce. Sistemi missilistici a lunga gittata sono da sempre richiesti, ma mai arrivati. L’Occidente sembra essere dunque d’accordo con il capo delle forze armate ucraine, il generale Valery Zaluzhny che ha affermato che da questa guerra di posizione è difficile uscire. Soprattutto a queste condizioni.
Il segretario di Stato Usa Antony Blinken e il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg al meeting dei ministri degli Esteri dell’Alleanza atlantica a Bruxelles del 29 novembre 2023 (Getty Images).
Le voci di un possibile accordo tra Berlino e Washington per un compromesso con Mosca, sebbene smentite, agitano Kyiv
Zelensky deve dunque fare buon viso a cattivo gioco e accontentarsi di quello che la Nato e gli altri gli passano. Gli aiuti militari e finanziari si sono ridotti in questo semestre in maniera evidente, parte di ciò che è stato assicurato non è addirittura stato consegnato, tanto che dalla Germania è arrivata la voce di un accordo tra Berlino e Washington proprio in tal senso: ridurre il sostegno all’Ucraina per facilitare un compromesso con Mosca. Anche se i diretti interessati hanno subito smentito, il dubbio resta, alla luce dei fatti, almeno per ora. C’è quindi chi sembra tirare i remi in barca, e se lo fanno gli Usa non ci si dovrà sorprendere se questa sarà la linea tutti gli altri seguiranno. Tra chi ha già smesso di stracciarsi le vesti per Kyiv, dall’Ungheria alla Slovacchia passando per l’Olanda, Paesi dove i nazionalpopulisti hanno manifestato apertamente scetticismo nei confronti degli aiuti militari, e chi invece vorrebbe ancora la sconfitta totale della Russia, vale dire le repubbliche baltiche e la Polonia. Senza dimenticare la Turchia di Erdogan, sempre buon amico di Putin e dopo lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas ancora più distante dalle posizioni dei colleghi occidentali. La Nato insomma è resuscitata, ma in grande difficoltà di equilibrio per trovare una risposta davvero unitaria alla sfida lanciata dal Cremlino.
Tre imbarcazioni, cinque auto tra cui due Porsche Cayenne, otto orologi Rolex e otto penne Montblanc, insieme a quote societarie del valore di quasi 14 mila euro e disponibilità finanziarie per circa 120 mila euro, sono i beni confiscati a tre imprenditori di Cagliari – marito, moglie e sorella dell’uomo – attualmente indagati per l’indebita percezione di erogazioni pubbliche legate all’emergenza Covid, l’uso di denaro, beni o utilità di origine illecita e auto-riciclaggio.
Frode da 6 milioni legata ai sostegni economici per la pandemia
Già coinvolti in passato in reati simili, i tre avrebbero ideato una vasta truffa legata ai ristori per la pandemia, generando e successivamente cedendo crediti d’imposta inesistenti per oltre 6 milioni di euro. I militari della Guardia di finanza del 2° Nucleo operativo metropolitano di Cagliari hanno condotto indagini approfondite sugli imprenditori, scoprendo che falsificavano dichiarazioni di canoni di locazione di abitazioni e negozi per ottenere i finanziamenti legati all’emergenza Covid. Secondo le fiamme gialle, gli indagati avrebbero «utilizzato più volte gli stessi contratti di locazione indicando importi di fantasia riuscendo in tal modo a truffare l’Agenzia delle Entrate che erogava le risorse finanziarie». I tre sono stati formalmente indagati e la Guardia di finanza ha eseguito il sequestro preventivo per l’equivalente dei loro beni.
Truffa sulle agevolazioni Covid anche a Torino
Non è la prima volta che la Guardia di finanza scopre truffe di questo tipo. A Torino, le fiamme gialle hanno scoperto una truffa sulle agevolazioni Covid destinate al sostegno della ripresa economica delle aziende. L’operazione ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di otto persone accusate di avere emesso fatture per operazioni inesistenti, per truffa aggravata, esercizio abusivo di una professione e falsità materiale.
Sul corpo di Giulia Cecchettin sono state trovate tantissime ferite profonde per le coltellate ricevute. A rivelarlo è stata l’autopsia condotta sul cadavere della 22enne, uccisa a Vigonovo, in provincia di Venezia, prima di essere abbandonata sulle sponde del lago di Barcis. E qui, secondo quanto riscontrato dai medici della Uoc di Anatomia Patologica dell’università di Padova, è arrivata già morta. Giulia, secondo i medici, la causa del decesso è stato il dissanguamento dovuto alla recisione dell’aorta per una delle coltellate subite. I consulenti medico legali nominati dalla procura di Venezia e dalla famiglia della vittima e gli specialisti effettueranno altri controlli più approfonditi nella giornata di sabato 2 dicembre. L’esame è durato 7 ore.
I medici vogliono stabilire l’ora del decesso
L’obiettivo è quello di capire con precisione a che ora è morta Giulia Cecchettin, per il cui omicidio è accusato l’ex fidanzato Filippo Turetta, reo confesso. Tra i consulenti presenti c’è anche Stefano Vanin, entomologo forense, che ha affiancato il medico legale incaricato dalla procura, Guido Viel. Vanin ha il compito di datare la morte in base alle ferite presenti sul corpo e a ciò che è stato ritrovato all’interno.
Originariamente sembrava che i funerali di Giulia potessero essere organizzati per sabato 2 dicembre. Ma in virtù dell’autopsia così ravvicinata e nell’eventualità, poi avveratasi, dell’esigenza di ulteriori controlli, sono stati rinviati di qualche giorno. Non appena saranno conclusi gli esami, il padre della 22enne, Gino Cecchettin, deciderà quando saranno celebrati. L’avvocato della famiglia della studentessa ha ipotizzato, nei giorni precedenti all’autopsia, che possano essere fatti tra lunedì 4 e martedì 5 dicembre. Nelle stesse ore del rinvio, è saltato l’incontro tra Filippo Turetta e i propri genitori in carcere, per l’esigenza di un adeguato supporto psicologico.
A Genova i carabinieri hanno arrestato un barbiere. L’uomo, di 55 anni, all’interno del suo salone spacciava sostanze stupefacenti. E gli agenti lo hanno capito grazie alla sua clientela. Dopo giorni di appostamenti, infatti, i militari si sono insospettiti quando hanno osservato un via vai costante di clienti di ogni età e professione, spesso calvi. Una particolarità non indifferente, visto che si trattava di un locale in cui, teoricamente, bisognava tagliarsi i capelli. E ancora più sospetto è stato l’atteggiamento di molte persone. Non appena entrate, infatti, salutavano e uscivano dopo qualche minuto senza alcun trattamento.
100 grammi di cocaina nel soppalco della barberia
I carabinieri hanno quindi deciso di perquisire la casa del barbiere. Gli investigatori hanno così trovato vari grammi di hashish. Dopo di che, si sono diretti alla barberia e all’interno di un soppalco sono stati rinvenuti 100 grammi di cocaina. A questi si sono aggiunti quattro bilancini di precisione e materiale per il confezionamento della sostanza.
Per fare fronte alle destre in Italia, dopo le elezioni Europee del 2024, al centrosinistra servirà un federatore come Romano Prodi in grado di riunire le opposizioni in una coalizione eterogenea. A sostenerlo è l’ex deputato del Pd Pierluigi Castagnetti: «Servirà favorire una iniziativa federatrice delle opposizioni come avvenne a metà degli Anni 90 con Prodi, la frammentazione era la stessa di oggi. E la frammentazione è causa della sconfitta e bisogna risolverla», ha detto Castagnetti all’assemblea annuale dei Popolari, l’associazioni degli ex Ppi confluiti nella Margherita e nel Pd, tenutasi venerdì 1 dicembre.
Castagnetti: «Pd e M5s si contendono lo 0,1 per cento e ci portano a un brutto esito»
L’urgenza della nascita di questa colazione, secondo Castagnetti, nasce dal fatto che tra Pd e M5s sia «in atto una competizione non destinata a concludersi a breve, senza un contributo esterno che ora non immaginiamo». Queste forze, ha insistito l’ex deputato, «sono in competizione per guadagnare lo 0,1 per cento e poter guidare l’opposizione, ci portano a un brutto esito. E giusto dirlo ora affinché l’esito delle europee non infici questa proposta» di un federatore. «Questo è il senso del convegno di oggi, tirare fuori delle idee per sbloccare la situazione», ha concluso.
La segretaria del Pd Elly Schlein insieme al leader del M5s Giuseppe Conte (Imagoeconomica).
Schlein: «Mia candidatura alle Europee? Ultima cosa che affronteremo»
E a proposito delle elezioni che si terranno a giugno, in casa Dem è ancora tutto da decidere. La segretaria del Pd Elly Schlein, alla domanda dei cronisti sulla sua possibile candidatura alle Europee, ha risposto: «È l’ultima questione che affronteremo, non abbiamo ancora iniziato a discutere delle liste», ha dichiarato la leader ai giornalisti a Napoli, nel corso di Casa Corriere.
La polizia tedesca ha arrestato un 20enne iracheno con l’accusa di aver pianificato un attacco terroristico. L’obiettivo sarebbe stato un mercatino di Natale della Bassa Sassonia, forse nella città di Hannover. Secondo quanto riscontrato dagli investigatori, il ragazzo si stava preparando ad attaccare i visitatori con un coltello. Il 20enne si trovava in Germania da un anno. Si tratta del secondo caso in pochi giorni, dopo che in Nord Reno-Westafalia e a Brandeburgo, a fine novembre, sono stati arrestati due ragazzi di 15 e 16 anni con accuse simili.
Gli attacchi pianificati contro mercatini e sinagoghe
Il caso dei due ragazzi arrestati a fine novembre ha scosso la Germania, che ora fa i conti con un terzo arresto. I due ragazzini sono stati presi in due zone diverse. Il 15enne, fermato nel Nord Reno-Westfalia, stava preparando un attacco a un mercatino di natale. Su Telegram ha postato un video in cui evocava una «guerra santa» contro l’Occidente e ha parlato di un attentato che avrebbe portato a termine l’1 dicembre. Il secondo, invece, ha 16 anni ed è stato preso nello Stato di Brandeburgo. Il suo obiettivo sarebbe stato una sinagoga. Ora le autorità hanno alzato la soglia d’allerta.
Il capo dell’ufficio federale: «Attacco possibile ogni giorno»
Thomas Haldenwang, capo dell’Ufficio federale per la Protezione della Costituzione, ha dichiarato: «Ho sottolineato più volte come un attacco islamista potrebbe avere luogo in Germania ogni giorno». Già dal 7 ottobre, data dell’assalto di Hamas a Israele da cui è partita la guerra nella Striscia di Gaza, la polizia locale ha aumentato i presidi di sicurezza soprattutto nei centri ebraici. Il 18 ottobre a Berlino sono state lanciate due bombe molotov contro una sinagoga e alcuni edifici in un centro ebraico. Per fortuna non si sono registrati né danni alle strutture né feriti.
La polizia sui luoghi del lancio delle bombe molotov il 18 ottobre (Getty Images).
A Buckingham Palace la Royal Family si sta interrogando da ore su come procedere dopo le rivelazioni fatte dall’edizione olandese di Endgame, il nuovo libro di Omid Scobie. Nella versione pubblicata in Olanda e già ritirata dal mercato, l’autore ha svelato i nomi di chi, all’interno della famiglia reale, avrebbe fatto commenti razzisti su Archie, il primo figlio di Harry e Meghan, prima ancora che nascesse. Si tratterebbe di Re Carlo e di sua nuora Kate Middleton, principessa di Galles.
Re Carlo III insieme a Kate e William (Getty Images).
Il racconto di Meghan da Oprah Winfrey
A parlare per prima della vicenda è stata nel marzo del 2021 la stessa Meghan Markle. Ospite da Oprah Winfrey, la moglie del principe Harry ha raccontato che almeno un membro della famiglia avrebbe chiesto di che colore sarebbe stata la pelle del piccolo Archie dopo la nascita. Meghan, all’epoca, si è rifiutata di rivelare i nomi e l’unico dettaglio reso noto è stato che non si trattava della Regina Elisabetta. L’accusa di razzismo ha infastidito la famiglia reale già due anni fa, ma ora è diventata un caso. I giornalisti della Bbc hanno chiesto ai portavoce di Buckingham Palace se ci siano in procinto azioni legali. La risposta è stata: «Stiamo esplorando tutte le possibilità».
Meghan ed Harry (Getty Images).
Scobie si è difeso: «Solo un errore»
La prima edizione di Endgame pubblicata in Olanda ha fatto il resto. La casa editrice l’ha ritirata dal mercato, ma centinaia di copie sono state vendute prima che l’errore venisse scoperto. E così il giornalista televisivo Piers Morgan ha rivelato i nomi in diretta nel Regno Unito: «Vi dirò i nomi dei due importanti reali citati nella versione olandese del libro perché, francamente, se un lettore olandese può entrare in una libreria e vedere questi nomi, anche i britannici, che pagano per la famiglia reale, hanno il diritto di saperli». Scobie è stato accusato di aver utilizzato questo espediente per incrementare le vendite. L’autore, però, si è difeso e ha dichiarato di non sapere come sia stato possibile. Si sarebbe trattato di «un errore». Avviata anche un’indagine interna alla casa editrice.
Tornano i cartelli con i prezzi medi dei carburanti. Il Consiglio di Stato ha accolto l’istanza cautelare presentata dal ministero delle Imprese e del Made in Italy, sospendendo l’esecutività della sentenza del Tar del Lazio che ha annullato il decreto ministeriale sull’obbligo di esposizione e di aggiornamento del prezzo medio da parte dei benzinai. È stato ritenuto necessario «un più approfondito esame», da svolgersi durante l’udienza pubblica fissata per l’8 febbraio 2024.
Le motivazioni del ricorso presentato da Fegica e Figisc
La sentenza del Tar che è stata sospesa aveva accolto, in primo grado, il ricorso presentato dalla Federazione gestori impianti carburanti e affini (Fegica) e dalla Federazione italiana gestori impianti stradali carburanti (Figisc). I ricorrenti sostenevano che il decreto che imponeva l’obbligo di esposizione e di aggiornamento del prezzo medio fosse «sproporzionato, ingiustamente afflittivo ed irragionevole», determinando «una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento a danno di una sola categoria di operatori in regime di libera concorrenza rispetto ad altri soggetti economici nelle medesime condizioni». Il Tar del Lazio annullò il decreto ministeriale dichiarandolo illegittimo per l’assenza della prevista e preventiva comunicazione alla presidente del Consiglio e del parere del Consiglio di Stato.
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso (Imagoeconomica).
L’Agcm smentisce il ministero delle Imprese sull’efficacia dell’obbligo di esposizione
Secondo il ministero delle Imprese «l’esposizione del cartello sul prezzo medio dei carburanti in questi mesi ha riscontrato piena efficacia, come dimostrano la sensibile riduzione del margine di distribuzione in Italia, nonché la progressiva contrazione dei prezzi alla pompa dei carburanti». Tuttavia, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha condotto un’analisi dei dati dei prezzi medi dei carburanti pubblicati dal Mise nel periodo successivo all’entrata in vigore dell’obbligo di esposizione dei cartelli, rilevando che i prezzi e il margine di distribuzione della benzina e del gasolio sono rimasti sostanzialmente stabili nel periodo successivo all’entrata in vigore dell’obbligo, che risale al 31 marzo.
Andrea Delmastro rischia un nuovo rinvio a giudizio, stavolta per diffamazione. A denunciarlo è stato, a inizio 2023, il procuratore generale della Corte dei Conti di Torino, Quirino Lorelli. La vicenda si è protratta per mesi, tra richieste di archiviazione e fascicoli a rimbalzare tra Roma e Torino. Finché Teresa Angela Camelio, procuratore di Biella, non ha deciso di approfondire e presentare un ricorso in Cassazione contro l’archiviazione preventiva per cui aveva optato il gip. Il ricorso è stato accolto con formula piena, ha spiegato La Stampa, ripercorrendo la notizia. Mentre è stata respinta la richiesta di rigettarlo presentata da Erica Vasta, legale del sottosegretario alla Giustizia Delmastro. Ora il fascicolo tornerà a Biella e poi a Roma, dove sarà la Giunta per le Autorizzazioni a decidere se bloccarlo o se si procederà con una nuova udienza di rinvio a giudizio.
Delmastro aveva attaccato Lorelli in un video
L’episodio per cui Lorelli ha denunciato Delmastro risale al 2021. Il sottosegretario, allora solo esponente di Fratelli d’Italia, lo ha attaccato in video per aver aperto un fascicolo sull’assessore regionale di FdI, Elena Chiorino. Quest’ultima aveva deliberato di acquistare alcuni volumi sulla storia di un martire delle Foibe, da donare poi alle scuole. Ma l’acquisto non ha avuto luogo a causa della pandemia di Covid. Tra le frasi incriminate, come ricorda Open, Delmastro ha definito Lorelli «Capitan Fracassa» e in un post ha scritto che «per la sinistra giudiziaria è vietato ricordare le Foibe». Da qui la denuncia per diffamazione aggravata.
Elena Chiorino durante un consiglio regionale nel 2021 (Imagoeconomica).
Delmastro alle prese con il caso Cospito
Intanto il sottosegretario ha ribadito che non si dimetterà, nonostante il rinvio a giudizio con l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio. Alla notizia ha risposto: «Resto orgoglioso di quello che ho fatto. Non ho passato alcuna carta. Ho risposto alla domanda di Donzelli, cosa che è mio dovere fare e faccio con qualsiasi parlamentare. Sono orgoglioso di aver fronteggiato l’attacco frontale al 4.1 bis di terroristi e anarchici in combutta con la criminalità organizzata e della mafia». E sulla richiesta di dimissioni da parte delle opposizioni risponde: «Intendo continuare a esercitare il mio ruolo, al meglio, all’interno del ministero della Giustizia».
Svolta nel caso dell’omicidio di Primavalle, quartiere di Roma. Il presunto killer di Michelle Maria Causo andrà a giudizioimmediato. Il gip del Tribunale per i minorenni ha accolto la richiesta del pm e ha fissato il processo per il 6 febbraio 2024. Il giovane, cittadino cingalese di 17 anni, è accusato di aver ucciso la ragazza e di aver tentato di disfarsi del corpo lasciandolo su un carrello della spesa a bordo strada. I reati contestati all’imputato sono omicidio aggravato dalla premeditazione, dall’occultamento e dal vilipendio del cadavere. Gli avvocati Antonio Nebuloso e Claudia Di Brigida sono i legali della famiglia della vittima.
Le parole del ragazzo dopo il fermo: «Ho fatto una ca….a»
Il corpo della ragazza è stato ritrovato il 29 giugno 2023 mentre l’1 luglio, tre giorni dopo, è stato convalidato il fermo del 17enne. Subito smentita l’ipotesi di una relazione tra i due giovani. Il presunto killer, sia agli agenti della Squadra Mobile sia a quelli del commissariato Primavalle, ha dichiarato più volte: ««Ho fatto una ca….a». Davanti al pubblico ministero della procura minorile di Roma, Anna Di Stasio, avrebbe invece affermato: «Michelle era infuriata perché non avevo i soldi che le dovevo. Ha iniziato a offendermi e urlare, ho visto il coltello davanti a me e l’ho preso. Non ho capito più nulla. Abbiamo avuto una lite per 30-40 euro, poi la discussione è degenerata perché io ero fatto».
L’annuncio più atteso nel mondo del tennis è finalmente arrivato: Rafael Nadal tornerà in campo. «Dopo un anno è arrivato il momento di tornare. Giocherò a Brisbane nella prima settimana di gennaio. Ci vediamo in Australia», ha detto il campione spagnolo in un video pubblicato su Instagram. Il torneo di Brisbane apre la stagione e sarà la prova del nove prima degli Australian Open, il primo dei quattro tornei del Grande Slam in programma dal 14 al 28 gennaio.
Nadal si era infortunato alla gamba sinistra
Nadal, che si allena regolarmente da ottobre, non gioca una partita ufficiale da quando ha perso il 18 gennaio al secondo turno degli Australian Open, dove partecipava da campione in carica, contro Mackenzie McDonald. Ma l’infortunio che lo ha tenuto lontano dalle competizioni per quasi un anno, la lesione all’ileopsoas della gamba sinistra, sembra essere acqua passata. «Ho lavorato così tanto per tutta la mia carriera sportiva e non merita di concludersi con un’infortunio», aveva detto il maiorchino in conferenza stampa dopo la sconfitta a inizio anno. Il 22 volte vincitore dello slam, a gennaio era testa di serie n.1 agli Australian Open, ora è precipitato a numero 663 nel ranking mondiale Atp, e per partecipare al primo major della stagione avrebbe bisogno di una wild card.
I servizi di sicurezza di Mosca hanno arrestato un uomo, un cittadino italo-russo. È accusato di aver commesso «atti di sabotaggio e attiterroristici presso infrastrutture militari e siti di trasporto nella regione di Rjazan». Si tratta di un’area a 200 chilometri da Mosca e gli attentati sarebbero stati organizzati per conto dell’Ucraina. A comunicarlo è stato l’Fsb, cioè l’ex Kgb russo. L’uomo, di cui ancora non sono state confermate le generalità, sembra essere Ruslan Sidiki, 35enne residente a Rjazan e con doppio passaporto, italiano e russo. La notizia è stata rilanciata da diversi media russi secondo cui Sidiki, sul proprio profilo di Vkontakte, il Facebook della Russia, pubblicava aggiornamenti periodici su visite in zone vicino Cernobyl.
Sidiki indagato per terrorismo
Adesso l’italo-russo è indagato per «atto terroristico» e «acquisizione, trasferimento, deposito, trasporto, spedizione o trasporto illegale di esplosivi o ordigni esplosivi». Rischia fino a 32 anni di reclusione. L’Fsb ha anche sottolineato che Ruslan Sidiki ha ammesso la sua colpevolezza durante il primo interrogatorio. E ha raccontato di essere stato reclutato a Istanbul, nel febbraio 2023, da un ufficiale ucraino. Poi l’uomo è stato addestrato al sabotaggio in Lettonia, prima di tornare in Russia. Sidiki, il 20 luglio 2023, sarebbe poi stato protagonista dell’attacco all’aeroporto militare Djaghilevo a Rjazan. Con quattro droni imbottiti di esplosivo, avrebbe provocato un cratere nel parcheggio dello scalo.
Fumo nero dopo un attentato intorno alla bandiera russa (Getty Images).
L’uomo accusato di aver fatto deragliare un treno
Ma l’accusa più grave riguarda l’11 novembre, quando con diversi ordigni avrebbe fatto deragliare un treno merci. 19 vagoni sono usciti dai binari. 15 di essi si sono addirittura ribaltati. Adesso l’Fsb ha accusato Sidiki anche di questo attentato e ha comunicato che durante le perquisizioni in casa dell’italo-russo sono stati trovati componenti di esplosivi, foto e video che rappresentano prove della sua attività. Aleksandr Kots, corrispondente militare di Komsomolskaja Pravda, su Telegram ha commentato: «È un altro esempio di come i servizi speciali ucraini formino agenti non solo tra gli stessi ucraini, ma anche tra cittadini russi che esprimono il loro disaccordo con l’attuale corso politico».
Sicché, domenica 3 dicembre, Matteo Salvini riunisce i suoi alleati preferiti a Firenze. Fortezza da Basso, sede prestigiosa, laddove una volta, quando il Partito democratico aveva i quattrini, venivano organizzate le feste dell’Unità nazionali con Walter Veltroni e Massimo D’Alema come ospiti. Gli alleati in questione, per il leader leghista, non sono quelli del governo di cui fa parte come ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture (al quale Francesco Lollobrigida avrebbe potuto dare la colpa, arrivando un paio d’ore in ritardo, anziché fermarsi a Ciampino, e spiegando perché, proprio con questa maggioranza, i treni devono arrivare in orario). No, non è una rimpatriata con Antonio Tajani e Giorgia Meloni per lanciare l’assalto a Firenze in vista delle Amministrative del 2024. Il capo della Lega porta in Toscana la meglio gioventù sovranista, quella che vuole spezzare l’intesa tra popolari e socialisti che governa attualmente l’Unione europea. Un vasto programma, beninteso, per il leader di un partito che cinque anni fa aveva il 34 per cento, e ora non si sa, e tenta di togliersi di dosso i granelli di sabbia del Papeete Beach. Non è la prima riunione, per l’euro-destra, in Italia. Ai tempi in cui la Lega aveva ancora il Nord nel simbolo, era il 2016, Salvini organizzò un’assemblea a Milano dal titolo “Più liberi, più forti!”. Il sottotitolo era di quelli altermondialisti, quasi da no global: “Un’altra Europa è possibile”.
Matteo Salvini (Imagoeconomica).
Lega ancora più a destra, ma Le Pen e Wilders mancano all’appello
Un tempo qua era tutta campagna No Euro, adesso la Lega di governo non può permetterselo. Dunque si butta ancora più a destra, chiamando a raccolta il Rassemblement National di Marine Le Pen, il Partij voor de Vrijheid di Geert Wilders, fresco vincitore delle elezioni olandesi, e vari altri. I due leader però non ci saranno; la prima, come annunciato dallo stesso Salvini, parteciperà solo in collegamento, mentre in presenza ci sarà Jordan Bardella, classe 1995, presidente del Rassemblement National. Wilders è invece impegnato nelle trattative di governo in Olanda, quindi non potrà scendere in Italia. La stampa progressista ha ironizzato sulle assenze, ma Salvini se lo aspettava. Quando sta per nascere un governo dopo che hai vinto le elezioni ma non sai se riuscirai a formare l’esecutivo dei suoi sogni, non è che ti metti a far campagna elettorale per altri in un Paese che non è il tuo, no?
Marine Le Pen e Geert Wilders (Getty).
Una partita interna con Fratelli d’Italia su elezioni europee e amministrative
Ma alla Lega va bene così. La riunione di Salvini è una sfida anzitutto interna al destra-centro. Le elezioni europee, con il sistema proporzionale, inevitabilmente produrranno un aumento di identitarismo spinto. E poi c’è anche una dimensione più locale. L’anno prossimo si vota a Firenze e nel 2025 si vota alle elezioni regionali. Fratelli d’Italia in entrambi i casi potrebbe indicare il candidato. Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, a Firenze, e Alessandro Tomasi, sindaco di Pistoia, molto apprezzato anche dall’elettorato non di destra, alle Regionali, nel 2025. Salvini evidentemente non vuole farsi cogliere impreparato.
Il Pd invoca la contro-manifestazione in nome dell’antifascismo
Come avvenne a Milano, anche stavolta sono attese delle contro-manifestazioni. Promosse dal Pd nel nome di don Lorenzo Milani e Giorgio La Pira e dai centri sociali nel nome dell’antifascismo. Il sindaco Dario Nardella ha invitato la cittadinanza a «farsi sentire». L’assessora al Welfare e candidata sindaca in pectoreSara Funaro ha attaccato l’incontro con i «rappresentanti di una destra razzista e negazionista. La nostra città, da sempre aperta e inclusiva, non sarà il loro “cantiere nero” che ci riporta indietro nel tempo. Qui non c’è spazio per l’odio e l’intolleranza». A qualcuno tutto questo appello alla piazza deve essere sembrato eccessivo, tant’è che lo stesso Nardella, in tivù, ha precisato: «So che domenica ci sarà una manifestazione promossa dalla rete democratica, mi auguro che sia basata sui contenuti, non ci deve essere nessun atteggiamento di intolleranza e violenza perché si farebbe soltanto il gioco di Salvini e dei suoi amici sovranisti».
Il sindaco di Firenze Dario Nardella (Imagoeconomica).
Come finirà? Ah, chissà. Ci dice Giovanni Galli, ex portiere della Nazionale di calcio e oggi consigliere regionale della Lega in Toscana: «Ritengo offensivo per Firenze, città universale, aperta, inclusiva, sinceramente globalista per sua stessa natura, che alcuni rappresentanti delle istituzioni cittadine, che citano, disturbandoli tra l’altro, Don Milani e La Pira, abbiano l’ardire di ergersi a generali di un popolo di soldati pronti a dare battaglia contro il nemico nero, cattivo, che al massimo può essere… Calimero! Io, il 3 dicembre, sarò alla manifestazione e ascolterò e confronterò le mie idee con quelle dei rappresentanti europei delle forze politiche di destra: perché come è giusto che ci sia una sinistra è giusto che ci sia anche una destra, con i propri valori e i propri programmi inseriti all’interno di una cornice condivisa, che è ben delimitata e definita nella nostra costituzione. Firenze, non ascoltare i canti delle sirene che ipnotizzano le menti. Sei sempre stata libera e accogliente. Continua a esserlo». Ne riparliamo dopo le elezioni.