Nel 2019 il presidente francese Emmanuel Macron aveva definito la Nato clinicamente morta. Poi è arrivato Vladimir Putin con l’invasione dell’Ucraina a far resuscitare l’Alleanza, che è addirittura diventata più numerosa. La Finlandia è già entrata, sulla Svezia pende ancora il giudizio della Turchia, ma in sostanza è cosa fatta. La questione dell’Ucraina è un altro paio di maniche, visto che tutto dipende dall’andamento della guerra in corso: se, quando e come Kyiv farà il suo ingresso è ancora tutto da decidere. Anche perché dopo quasi due anni di conflitto, arrivato ormai alla boa dei 650 giorni, la stanchezza nei confronti della guerra nell’ex repubblica sovietica si manifesta anche all’interno della Nato. Sul fatto che l’Alleanza, gli Stati Uniti e i Paesi europei siano a fianco di Kyiv contro l’aggressione russa non ci sono dubbi. Nessuno tra Washington e Bruxelles manca mai di ricordare a ogni occasione che il sostegno occidentale continuerà sino a quando sarà necessario. Anche se in realtà non si è mai capito quale sia la necessità: quella di vincere la guerra? Di ricacciare i russi via dal Donbass e dalla Crimea? O di difendersi cercando di non lacerare ulteriormente il Paese? Di evitare quindi che la Russia fagociti mezza Ucraina da sud a est sino alla linea del Dnipro? Domande a cui finora gli alleati non hanno dato risposte. Almeno esplicite.
Per Kyiv niente ingresso nella Nato a guerra in corso
Il segretario dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg, il capo della diplomazia statunitense Antony Blinken, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, i leader dei Paesi europei, baltici e polacchi in in primis, lo hanno ripetuto senza sosta in questi giorni e la promessa dell’entrata dell’Ucraina nella Nato è stata ribadita anche al recente vertice di Bruxelles, ma lo stesso Stoltenberg ha precisato che non se ne parla finché è in corso la guerra. E questo per la leadership ucraina è un problema, ormai conosciuto, tanto che il presidente Volodymyr Zelensky lo ha anche ammesso pubblicamente. Ma al di là del fatto che la strada verso l’ammissione sia in salita, al momento Kyiv deve confrontarsi con problemi molto più concreti che riguardano proprio la piega che sta prendendo il conflitto. Al summit in Belgio il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba si è sentito dire che nemmeno i tanto desiderati caccia da combattimento F16 potranno cambiare la situazione sul campo. Dovrebbero volare nei cieli ucraini già nella prima metà del prossimo anno, ma le operazioni di addestramento vanno a rilento e i piloti in training si contano col contagocce. Sistemi missilistici a lunga gittata sono da sempre richiesti, ma mai arrivati. L’Occidente sembra essere dunque d’accordo con il capo delle forze armate ucraine, il generale Valery Zaluzhny che ha affermato che da questa guerra di posizione è difficile uscire. Soprattutto a queste condizioni.
Le voci di un possibile accordo tra Berlino e Washington per un compromesso con Mosca, sebbene smentite, agitano Kyiv
Zelensky deve dunque fare buon viso a cattivo gioco e accontentarsi di quello che la Nato e gli altri gli passano. Gli aiuti militari e finanziari si sono ridotti in questo semestre in maniera evidente, parte di ciò che è stato assicurato non è addirittura stato consegnato, tanto che dalla Germania è arrivata la voce di un accordo tra Berlino e Washington proprio in tal senso: ridurre il sostegno all’Ucraina per facilitare un compromesso con Mosca. Anche se i diretti interessati hanno subito smentito, il dubbio resta, alla luce dei fatti, almeno per ora. C’è quindi chi sembra tirare i remi in barca, e se lo fanno gli Usa non ci si dovrà sorprendere se questa sarà la linea tutti gli altri seguiranno. Tra chi ha già smesso di stracciarsi le vesti per Kyiv, dall’Ungheria alla Slovacchia passando per l’Olanda, Paesi dove i nazionalpopulisti hanno manifestato apertamente scetticismo nei confronti degli aiuti militari, e chi invece vorrebbe ancora la sconfitta totale della Russia, vale dire le repubbliche baltiche e la Polonia. Senza dimenticare la Turchia di Erdogan, sempre buon amico di Putin e dopo lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas ancora più distante dalle posizioni dei colleghi occidentali. La Nato insomma è resuscitata, ma in grande difficoltà di equilibrio per trovare una risposta davvero unitaria alla sfida lanciata dal Cremlino.