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Gaza, la tregua è finita. Israele: «Accordi violati, riprendiamo a combattere»

Dopo sette giorni di stop ai combattimenti, la tregua nella Striscia di Gaza è stata rotta all’alba con la ripresa degli scontri a fuoco tra Israele e Hamas. «Hamas ha violato la tregua e ha sparato anche in territorio israeliano»: per questo motivo «le Forze di Difesa Israeliane hanno ripreso a combattere contro l’organizzazione terroristica nella Striscia di Gaza», ha dichiarato l’esercito in un comunicato. L’ufficio del Primo Ministro israeliano ha poi reso noto in un comunicato che Hamas «non ha rispettato l’obbligo di rilasciare tutte le donne in ostaggio». Almeno sei persone uccise a Rafah e altre due, minorenni, a Gaza City: queste le prime vittime causate dalla ripresa dei bombardamenti di Israele nella Striscia di Gaza, stando al ministero della Sanità della regione.

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Gaza, la tregua è finita. Israele: «Accordi violati, riprendiamo a combattere»
Un edificio distrutto a Khan Yunis il 1 dicembre (Getty Images)

Hamas: «Raid israeliani hanno colpito il sud di Gaza»

Secondo fonti di Hamas, attacchi aerei israeliani hanno colpito il sud di Gaza, compresa la comunità di Abassan, a est della città di Khan Younis. Il ministero della Sanità gestito da Hamas afferma che tre persone sono state uccise in raid aerei israeliani a Rafah, nel sud della Striscia, come riportano i media israeliani. Altri attacchi aerei avrebbero colpito la città di Al-Karara, a nord di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza. L’ufficio governativo per le comunicazioni di Gaza, un ente gestito da Hamas, ha accusato «la comunità internazionale di essere responsabile della ripresa della guerra a Gaza».

Israele: «Impegnati a raggiungere 3 obiettivi di guerra»

«Il governo di Israele è impegnato a raggiungere gli obiettivi della guerra: liberare gli ostaggi, eliminare Hamas e garantire che Gaza non possa mai essere una minaccia per la sicurezza degli israeliani»: è quanto si legge in un comunicato diffuso dal governo dell’ufficio del Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu. Hamas, accusa il governo secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, «ha violato i termini della tregua e non ha rispettato l’obbligo di rilasciare gli ostaggi e liberare tutte le donne rapite detenute a Gaza».

In Nepal è stato registrato il primo matrimonio di una coppia Lgbtq

Il Nepal ha ufficialmente riconosciuto per la prima volta un matrimonio Lgbtq. Maya Gurung, una donna transgender di 41 anni, e Surendra Pandey, un uomo di 27 anni, si sono sposati con una cerimonia induista nel 2017, ma hanno ricevuto il loro certificato di matrimonio lo scorso 29 novembre in una località nel distretto di Lamjung, nel centro del Paese. «Si tratta di una vittoria non solo nostra, ma di tutte le coppie non eterosessuali», ha dichiarato Gurung. Inizialmente, la richiesta della coppia era stata respinta dalle autorità del distretto di Lamjung, ma il loro avvocato, Rounik Raj Aryal, ha ottenuto successo quando si è rivolto alle autorità di Dordi, che si sono dimostrate molto disponibili.

Il Nepal ha la legislazione più avanzata dell’Asia meridionale per i diritti Lgbtq

Yubraj Adhikari, sindaco del villaggio di Dordi, ha dichiarato che il certificato è in conformità con le istruzioni del Dipartimento di Identificazione Nazionale e del Registro Civile, basandosi su una sentenza della Corte Suprema. A giugno del 2023, la corte aveva emesso un’ordinanza provvisoria che consentiva alle coppie omosessuali e transgender di ottenere certificati di matrimonio, chiedendo al governo di istituire un registro temporaneo per le unioni in attesa di una legislazione dedicata. Secondo Sunil Babu Pant, attivista per i diritti della comunità Lgbtq, Gurung e Pandey hanno fatto la storia. Il Nepal, con una delle legislazioni più avanzate dell’Asia meridionale per i diritti degli omosessuali e dei transgender, vieta qualsiasi forma di discriminazione basata sul genere o sull’orientamento sessuale dal 2007. Dal 2015, inoltre, il Paese rilascia passaporti con tre opzioni di genere: maschio, femmina e altro. Nel 2023, la Corte Suprema ha ordinato al governo di riconoscere i matrimoni non eterosessuali tra cittadini nepalesi e stranieri e di concedere i visti corrispondenti. Nonostante i progressi legislativi, la comunità Lgbtq continua però a essere oggetto di discriminazioni in ambito lavorativo, sanitario e scolastico.

Hamas rilascia Mia Schem, apparve nel primo video di un ostaggio diffuso dal gruppo terroristico

Sono Mia Schem di 21 anni e Amit Sosna di 40 anni le due donne rilasciate da Hamas giovedì pomeriggio, 30 novembre, come previsto dall’accordo con Israele, con il quale le due parti hanno prorogato la tregua per un settimo giorno aggiuntivo. Mia Schem, che ha anche la nazionalità francese, è stata rapita al festival di Reim, insieme a un amico, Elia Toledano, che è ancora in prigionia. La giovane apparve ferita nel primo video di un ostaggio diffuso da Hamas lo scorso 17 ottobre. Amit fu invece sequestrata dal kibbutz di Kfar Aza.

La Corte Suprema russa ha messo al bando il movimento «estremista» Lgbt

La Corte Suprema russa ha accolto la richiesta del ministero della Giustizia di mettere fuorilegge nel Paese il movimento internazionale Lgbt, definendolo «estremista». L’udienza si è svolta a porte chiuse, come richiesto dal ministero di Mosca: i giornalisti sono stati fatti entrare solo quando il giudice Oleg Nefedov ha annunciato la sua decisione. Non è chiaro in che modo le autorità russe dimostreranno l’esistenza di un movimento Lgbt globale organizzato.

La Corte Suprema russa ha messo al bando il movimento «estremista» Lgbt dopo un'udienza a porte chiuse.
Attivisti Lgbtq all’esterno della Corte Suprema russa (Getty Images).

Per il ministero della Giustizia le attività del movimento «incitano alla discordia sociale e religiosa»

Il ministero della Giustizia, secondo cui le attività del movimento internazionale per i diritti Lgbt «incitano alla discordia sociale e religiosa» in violazione delle leggi anti-estremismo del Paese, aveva presentato la richiesta il 17 novembre. L’omosessualità è stata un reato in Russia fino al 1993 ed è stata poi considerata una malattia mentale fino al 1999. Ad oggi è severamente punito, per le persone dello stesso sesso, scambiarsi effusioni in pubblico. Il primo Gay Pride in Russia si è svolto nel 2006 e si è concluso con numerosi arresti. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha già sanzionato il Paese per violazione dei diritti umani.

Arrestato in Colombia Massimo Gigliotti, esponente della ‘Ndrangheta

La polizia colombiana ha arrestato Massimo Gigliotti, cittadino italiano a lungo ricercato dall’Interpol per traffico di droga. L’uomo, trovato dalle autorità a Barranquilla, nel nord della Colombia, è accusato di essere un esponente della ‘Ndrangheta. Si è trattata di un’operazione portata avanti dall’Interpol, insieme alla polizia locale e agli agenti della Guardia di Finanza italiana.

Il direttore della polizia colombiana: «Gigliotti qui dal 2018»

Da Vienna, dove si trova per partecipare all’Assemblea mondiale dell’Interpol, il generale William René Salamanca, direttore della polizia colombiana, ha sottolineato che «questo arresto è una dimostrazione del livello di cooperazione tra le autorità del nostro Paese e quelle italiane». Gigliotti, ha precisato il generale Salamanca, «ha 55 anni e dal 2018 visita l’America Latina per trafficare cocaina dal Sud America verso l’Europa».

Ribaudo: «Evento straordinario»

In un video diffuso dalla polizia a Bogotà, Salamanca, che appare in compagnia del colonnello Roberto Ribaudo, comandante dell’Ufficio centrale nazionale (Onc) dell’Interpol Italia, ha ringraziato le autorità italiane per il «lavoro di cooperazione». Da parte sua Ribaudo ha condiviso la soddisfazione per l’arresto di Gigliotti, sostenendo che essa «rappresenta il simbolo della buona collaborazione tra i vertici delle nostre polizie, ma anche tra gli agenti e i loro responsabili operativi. Molte grazie alla Colombia  per questo evento straordinario».

Henry Kissinger: il Nobel per la pace, la distensione con Cina e Urss, le accuse di crimini di guerra

Divisivo: che crea divisioni o contrapposizioni, impedendo di preservare o di raggiungere un’unità di punti di vista e di intenti. Questa la definizione che dà la Treccani di un aggettivo che come nessun altro si addice(va) a Henry Kissinger, il Machiavelli d’America – ma nato in Baviera – morto il 30 novembre 2023 a 100 anni. Autore della celebre frase «il potere è il massimo afrodisiaco», durante la Guerra fredda fu ispiratore della politica estera degli Stati Uniti nelle vesti di segretario di Stato per Richard Nixon e Gerald Ford. Kissinger, che il suo punto di vista ce l’aveva chiarissimo, riteneva che i soli criteri da seguire fossero pragmatismo e opportunismo, per il tornaconto di Washington, al prezzo di interventi di realpolitik sullo scacchiere mondiale talvolta brutali e illegittimi. Insignito del Nobel per la pace, Kissinger è stato anche additato come criminale di guerra.

Cercò di sciogliere le tensioni con Mosca e Pechino: storico il viaggio in Cina di Nixon

In qualità di consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di Stato, Kissinger perseguì energicamente la politica della détente, ossia della distensione, cercando di sciogliere le tensioni con l’Unione Sovietica e la Cina: rilanciò i colloqui con Mosca per la riduzione dei rispettivi arsenali nucleari, puntando a una gestione regolamentata (e meno dispendiosa) del bipolarismo, avviando al contempo un riavvicinamento alla Cina di Mao Zedong, culminato con lo storico viaggio di Nixon a Pechino nel 1972.

Henry Kissinger, luci e ombre del Machiavelli d’America dal Vietnam al Cile, fino alla Cina e all'Unione Sovietica.
Henry Kissinger e Le Duc Tho a Parigi nel 1973 (Getty Images).

Il controverso Nobel per la pace, ricevuto dopo il bombardamento della Cambogia

Erano gli anni della guerra del Vietnam. «Pace con onore», aveva promesso Nixon in campagna elettorale. Kissinger entrò in negoziati con il Vietnam del Nord, ma con l’Operazione Menu gli Stati Uniti bombardarono clandestinamente la neutrale Cambogia, nel tentativo di privare i comunisti di truppe e rifornimenti. Morirono in almeno 50 mila. La destabilizzazione del Paese portò poi alla guerra civile cambogiana e al brutale regime di Pol Pot. Il conflitto in Vietnam si concluse con gli Accordi di Parigi del 1973, cui Kissinger diede il suo determinante contributo: insieme a Le Duc Tho (capo del Partito comunista del Vietnam) fu insignito del Nobel per la pace. Una decisione controversa, criticata dagli attivisti pacifisti, da alcuni giurati (in due si dimisero per protesta) e persino dallo stesso Le, che rifiutò il riconoscimento asserendo che nel suo Paese non c’era ancora la pace. Kissinger invece lo accettò «con umiltà», donando il premio in denaro ai figli dei militari americani uccisi nel conflitto. Dopo aver saputo che il segretario di Stato Usa aveva ricevuto il Premio Nobel, il comico Tom Lehrer dichiarò: «La satira politica è obsoleta».

Henry Kissinger, luci e ombre del Machiavelli d’America dal Vietnam al Cile, fino alla Cina e all'Unione Sovietica.
Henry Kissinger e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin negli Anni 70 (Getty Images).

Gli sforzi per mettere fine alla guerra dello Yom Kippur e quella frase sugli ebrei russi

Sempre nel 1973, gli sforzi diplomatici di Kissinger furono decisivi per l’accordo di pace tra Israele e l’Egitto, che mise fine alla guerra dello Yom Kippur. La prima ministra israeliana Golda Meir ringraziò Nixon e Kissinger per il modo in cui avevano trattato il suo Paese, che a un certo punto sembrava destinato a scomparire dalle mappe. Come rivelato da una registrazione audio diffusa dalla Nixon Library, Kissinger, che detestava i gruppi ebraici di pressione in America e cercò più volte di piegare Tel Aviv alla diplomazia, un anno prima aveva commentato così il dramma degli ebrei repressi in Unione Sovietica, spediti nei gulag o impossibilitati a emigrare: «Anche se li ficcassero nelle camere a gas, questa non dev’essere una preoccupazione americana. Forse, una preoccupazione umanitaria».

Henry Kissinger, luci e ombre del Machiavelli d’America dal Vietnam al Cile, fino alla Cina e all'Unione Sovietica.
Henry Kissinger e Augusto Pinochet.

Dal Cile a Timor Est, le ombre di quello che per Oriana Fallaci era «un’anguilla più ghiacciata del ghiaccio»

«Un’anguilla più ghiacciata del ghiaccio», diceva di lui Oriana Fallaci, per farne intendere il livello di cinismo. Tra le ombre della lunga carriera politica e diplomatica di Kissinger c’è inoltre il coinvolgimento diretto nel golpe militare di Augusto Pinochet in Cile, avvenuto anch’esso nel 1973, sostenuto dalla Cia per mantenere l’influenza degli Stati Uniti nel Sud America. «Non vedo perché dovremmo restare a guardare un Paese diventare comunista a causa dell’irresponsabilità della sua gente. Certe questioni sono troppo importanti perché gli elettori cileni possano decidere da soli», disse. Sempre nello stesso periodo, Kissinger sostenne la fine del governo razzista bianco in Rhodesia e il passaggio a un esecutivo nero in quello che poi diventerà lo Zimbabwe, ma fu anche accusato di aver chiuso un occhio sulla “guerra sporca” condotta in Argentina dall’esercito contro il suo popolo, nel corso della dittatura militare a cui certo gli Stati Uniti non si erano opposti. Secondo la biografia Kissinger’s Shadow, pubblicata dallo storico dell’Università di Yale Greg Grandin, «il più riverito stratega statunitense della seconda metà del XX secolo» sarebbe responsabile di politiche che hanno causato la morte di tre o quattro milioni di persone. «Su commissione», come per le operazioni militari statunitensi in Cambogia e in Cile, e «per omissione», come nei casi «del via libera agli spargimenti di sangue indonesiani a Timor Est, del Pakistan in Bangladesh». Genio diplomatico o genio del male? Forse entrambe le cose. Divisivo, sicuramente.

Attentato a Gerusalemme, tre israeliani uccisi e quattro feriti gravemente

Sono almeno tre gli israeliani uccisi e sei quelli rimasti feriti, di cui quattro gravi, in un attentato a colpi d’arma da fuoco avvenuto giovedì mattina, 30 novembre, a Gerusalemme. Due uomini palestinesi di Gerusalemme est sono scesi da una vettura aprendo il fuoco contro un gruppo di persone che si trovavano a una fermata dell’autobus. Secondo quanto riferiscono le autorità israeliane, i due attentatori sono stati neutralizzati dai soldati presenti sul posto. Le persone rimaste uccise sono una donna di 24 anni e un uomo di 70 anni, deceduto poco dopo per le ferite riportate, e una terza persona di cui ancora non si conoscono le generalità.

I due attentatori sarebbero collegati a Hamas

I due attentatori sono stati identificati come Murad Nimer (38 anni) e Ibrahim Nimer (30 anni), residenti nel rione di Tsur Baher a Gerusalemme est e detentori di carte di identità  israeliane. Secondo la radio militare entrambi hanno scontato detenzioni in Israele per attività terroristiche. Secondo il ministro per la Sicurezza nazionale israeliano Itamar ben Gvir e il sito palestinese QudsNews, sarebbero entrambi collegati a Hamas. Nella loro automobile, secondo la polizia, sono stati trovati centinaia di proiettili. I due progettavano dunque, a quanto pare, un attentato di grandi dimensioni.

Attentato a Gerusalemme, tre israeliani uccisi e quattro feriti gravemente
La fermata dell’autobus a Gerusalemme dove giovedì mattina è avvenuto l’attentato (Getty Images).

Prorogata la tregua per il rilascio degli ostaggi 

L’attacco è avvenuto poco dopo la proroga per un settimo giorno della tregua nei combattimenti a Gaza, confermata da Hamas giovedì mattina. In precedenza le Forze di difesa israeliane (Idf) avevano scritto in un post sul loro account X che la tregua a Gaza continuerà «alla luce degli sforzi dei mediatori per portare avanti il processo di rilascio degli ostaggi». Le autorità israeliane hanno ricevuto un elenco di 8 ostaggi di Hamas che, secondo l’accordo, saranno rilasciati giovedì sera.

Kazakistan, incendio in un ostello ad Almaty: almeno 13 morti

Almeno 13 persone sono rimaste uccise nell’incendio di un ostello scoppiato nella più grande città del Kazakistan, Almaty, prima dell’alba di giovedì 30 novembre 2023. Secondo quando riportato dal dipartimento di emergenza della città, «nel corso della ricognizione e dello spegnimento dell’incendio, sono stati inizialmente scoperti 13 morti, la cui identità è in corso di accertamento». E poi aggiungono: «In merito a quanto emerso dai primi accertamenti sanitari, sono morti per avvelenamento da monossido di carbonio».

Al momento dell’incendio erano 72 le persone all’interno della struttura

L’incendio in via Adi Sharipov, nel centro dell’ex capitale, è stato segnalato poco dopo le 5.30 ora locale, ovvero le 23.30 di mercoledì 29 novembre in Italia. Secondo le ricostruzioni, i vigili del fuoco sono arrivati sette minuti dopo la chiamata e hanno trovato il seminterrato di un edificio residenziale di tre piani in fiamme. Il dipartimento di emergenza ha spiegato che al momento dell’incendio alloggiavano nell’ostello 72 persone, 59 delle quali sono state evacuate in sicurezza.

Le reazioni alla morte di Kissinger. La Cina: «Una perdita enorme, era una caro amico»

Si è spento nella serata di mercoledì 29 novembre sua casa in Connecticut l’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger che lo scorso maggio aveva spento 100 candeline. Tante le reazioni alla sua morte nello scacchiere mondiale.

Il telegramma di Putin alla vedova Kissinger: «Statista lungimirante»

Il presidente russo Vladimir Putin ha espresso le sue condoglianze per la morte di l’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger, attraverso un telegramma alla vedova di Kissinger, Nancy: «Era un saggio e uno statista lungimirante».

Calenda: «Saggista interessante, politico molto controverso»

«Kissinger è stato un formidabile reazionario, un anticomunista viscerale. Però ha scritto libri che sono manuali di politica estera, tra cui “Ordine mondiale” in cui sostanzialmente dice che più si è idealisti in politica estera più si fanno danni, più si è realisti meno danni si fanno, lo consiglio. Il Kissinger saggista è molto interessante, il Kissinger politico è molto molto controverso» ha detto il leader di Azione Carlo Calenda ospite di Omnibus su La 7.

Il senatore russo Kosachev: «Uomini così non ne nascono più»

«Questo è un caso in cui è davvero passata un’era con una persona. Come si suol dire, non nascono più persone così». Lo ha scritto su Telegram il vicepresidente del Consiglio della Federazione Russa Konstantin Kosachev che conosceva personalmente l’ex segretario di Stato americano. Il senatore russo ha osservato che Kissinger era «per molti versi un politico leggendario, il cui destino era legato a importanti eventi del secolo. È morto un rappresentante dell’epoca in cui gli Stati Uniti non erano guidati da fobie e utopie, ma da interessi e realtà. Quando Washington aveva nel suo arsenale, la diplomazia, e non solo le sanzioni».

Steinmeier: «Perdiamo un uomo straordinario»

«Con Henry Kissinger perdiamo un uomo straordinario con una storia di vita incredibile». Così il presidente tedesco, Frank-Walter Steinmeier, sulla scomparsa dell’ex segretario di Stato Usa, Henry Kissinger. «Con un linguaggio chiaro e una diplomazia coraggiosa, ha avuto un’influenza decisiva sugli Stati Uniti e sulla politica mondiale nel dopoguerra», ha scritto ancora Steinmeier. «Onoreremo la sua memoria», ha concluso.

Scholz: «Ha plasmato la politica estera come pochi altri»

«Henry Kissinger ha plasmato la politica estera americana come pochi altri». Così su X il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, sulla scomparsa dell’ex segretario di Stato Usa «Il suo impegno a favore dell’amicizia transatlantica tra gli Stati Uniti e la Germania fu significativo e rimase sempre vicino alla sua patria tedesca», ha scritto ancora Scholz. Per il cancelliere tedesco, con la scomparsa di Kissinger «il mondo ha perso un grande diplomatico».

Il presidente del Consiglio europeo: «Attento al più piccolo dettaglio»

«Le mie più sentite condoglianze al popolo americano e alla famiglia la scomparsa di Henry Kissinger. Ho avuto il privilegio di incontrarlo più volte. Un essere umano gentile e una mente brillante che ha plasmato i destini di alcuni tra i più avvenimenti importanti del secolo. Uno stratega attento al più piccolo dettaglio, ha detto il presidente del Consiglio europeo.

Il premier giapponese «Ha contribuito alla pace e alla stabilità»

«Ha apportato contributi significativi alla pace e alla stabilità nella regione, compresa la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e la Cina», ha ricordato il primo ministro del Giappone, Fumio Kishida.

Bush: «Una delle voci più affidabili in politica estera»

«L’America ha perso una delle voci più affidabili e significative in materia di affari esteri», ha dichiarato l’ex presidente George W. Bush: «Ho ammirato a lungo l’uomo che è fuggito dai nazisti da giovane, proveniente da una famiglia ebrea, e che poi li ha combattuti nell’esercito degli Stati Uniti. Quando poi è diventato Segretario di Stato, la sua nomina come ex rifugiato ha detto tanto sulla sua grandezza quanto sulla grandezza dell’America».

L’ambasciatore cinese in Usa: «È morto un vecchio amico»

L’ambasciatore cinese negli Usa, Xie Feng, si è detto «profondamente» rattristato dalla notizia della morte dell’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger: «È una perdita tremenda sia per i nostri Paesi sia per il mondo», ha scritto in un post su X. «La storia ricorderà» il contributo di Kissinger alle relazioni Cina-Usa e «rimarrà sempre vivo nei cuori del popolo cinese come un vecchio amico molto apprezzato».

Tricia Nixon e Julie Nixon Eisenhower: «Sarà ricordato per i suoi successi nel promuovere la causa della pace»

Le figlie di Richard Nixon hanno descritto Henry Kissinger «come uno dei diplomatici più abili d’America» che «ha sostenuto le decisioni militari di nostro padre» per porre fine alla guerra del Vietnam. In una dichiarazione, Tricia Nixon e Julie Nixon Eisenhower hanno citato il suo lavoro durante la presidenza del padre, compreso il suo ruolo nei negoziati di Parigi che hanno contribuito a porre fine al coinvolgimento degli Stati Uniti in Vietnam e migliorare i legami con la Cina e l’Unione Sovietica. Hanno descritto il rapporto Nixon-Kissinger come una «partnership che ha prodotto una generazione di pace per la nostra nazione»: «Henry Kissinger sarà a lungo ricordato per i suoi numerosi successi nel promuovere la causa della pace. Ma era il suo carattere che non dimenticheremo mai».

È morto a 100 anni Henry Kissinger, il Machiavelli d’America

Si è spento nella sua casa in Connecticut l’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger che lo scorso maggio aveva spento 100 candeline. Autore della celebre frase «il potere è il massimo afrodisiaco», l’eredità del machiavellico statista continuerà ad essere discussa tra chi lo considera un genio diplomatico e chi un genio del male. Astuto manipolatore e influente fino agli ultimi giorni, per l’ex 15enne ebreo in fuga dall’Europa alla vigilia della Seconda guerra mondiale il mondo era un gigantesco puzzle in cui ogni pezzo giocava un ruolo importante e distinto verso un unico fine: gli Usa come superpotenza internazionale anche al prezzo di interventi di realpolitik sullo scacchiere mondiale giudicati da molti brutali ed illegittimi, come il bombardamento e l’invasione della Cambogia e il sostegno al colpo di Stato di Augusto Pinochet in Cile del 1973 che defenestrò Salvador Allende.

È morto a 100 anni Henry Kissinger, il Machiavelli d'America
Henry Kissinger con Zhou Enlai nel 1971 a Pechino (Getty Images).

In queste ultime settimane, dallo scoppio della guerra a Gaza, Kissinger non è mai intervenuto pure essendo stato uno dei protagonisti del conflitto del Kippur che vide Israele vincitrice nel 1973. Tra i suoi ultimi impegni pubblici, un incontro nella residenza a Washington dell’ambasciatrice italiana Mariangela Zappia con la premier Giorgia Meloni lo scorso luglio.

È morto a 100 anni Henry Kissinger, il Machiavelli d'America
La premier Giorgia Meloni con Kissinger lo scorso luglio (dal sito del governo italiano).

Il figlio David: «Inesauribile curiosità per le sfide del momento»

Per il politologo Robert Kaplan, Kissinger è stato il più grande statista bismarckiano del Ventesimo secolo. Con un occhio attento anche sull’Italia, di cui Kissinger, amico intimo di Gianni Agnelli, apprezzava il ruolo nel Patto atlantico pur avendo il Partito comunista più potente d’Occidente. In occasione del suo centesimo compleanno sul Washington Post, il figlio David, interrogandosi sulla eccezionale vitalità fisica e mentale di un uomo che ha seppellito ammiratori e detrattori a dispetto di una dieta a base di bratwurst e Wiener Schnitzel, individuò la ricetta nell’inesauribile curiosità paterna per le sfide esistenziali del momento: dalla minaccia delle atomiche negli Anni 50 all’intelligenza artificiale su cui due anni fa scrisse il penultimo libro, The age of Ai: and our human future, a cui ha fatto seguito Leadership: Six studies in world strategy.

È morto a 100 anni Henry Kissinger, il Machiavelli d'America
L’allora governatore del Texas e candidato alla Casa Bianca George W. Bush con Henry Kissinger nel 2000 (Getty Images).

Al servizio di Richard Nixon e Gerald Ford

Da bambino, si diceva, era troppo timido per parlare in pubblico. Straniero nella nuova patria dopo la fuga dalla Germania nel 1938, Heinz divenne Henry e imparò a esprimersi in perfetto inglese conservando sempre l’accento tedesco. Si fece largo prima a Harvard, poi a Washington, fino a raggiungere, complice Nelson Rockefeller, il tetto del mondo al servizio di due presidenti: Richard Nixon e, dopo il Watergate, Gerald Ford. Kissinger concentrò nelle sue mani ogni negoziato, rendendo superfluo il lavoro della rete diplomatica: dalla prima distensione verso l’Urss al disgelo con la Cina, culminato nel viaggio di Nixon a Pechino. Gli accordi di Parigi per il cessate il fuoco in Vietnam dopo quasi 60 mila morti Usa gli valsero un controverso premio Nobel per la Pace: due giurati si dimisero per protesta.

È morto a 100 anni Henry Kissinger, il Machiavelli d'America
Richard Nixon con Henry Kissinger nel 1973 (Getty Images).

Nel 1977 fondò lo studio di consulenza Kissinger Associates

Kissinger fu di fatto un presidente ombra, anche se la scrivania dell’Ufficio ovale restò sempre per lui un miraggio impossibile per il fatto di non essere nato negli Usa. La sconfitta di Ford e l’elezione del democratico Jimmy Carter segnarono la fine della sua carriera pubblica, non dell’impegno in politica estera attraverso gruppi come la Trilaterale. Dopo aver lasciato il governo nel 1977, Kissinger fondò il celebre studio di consulenza Kissinger Associates, attraverso la cui porta girevole passarono ministri e sottosegretari e i cui clienti erano governi mondiali grandi e piccoli. Ed è stato proprio il suo studio a dare la notizia della sua morte.

Pradossi e contraddizioni della Cop28 di Dubai e i rapporti ambigui dell’Italia

A Dubai va in scena la Cop28, l’annuale incontro sul clima organizzato dalle Nazioni unite in cui i governi sono chiamati a discutere su come limitare le emissioni e prepararsi al futuro cambiamento climatico. Dura dal 29 novembre fino al 12 dicembre 2023. Cop sta per “Conferenza delle parti”, dove le “parti” sono i Paesi che hanno firmato l’originale accordo Onu sul clima del 1992. Gli Emirati Arabi Uniti, cioè la nazione ospitante, sono tra i primi 10 produttori di petrolio al mondo e hanno nominato l’amministratore delegato della compagnia petrolifera statale Adnoc, Sultan Al Jaber, presidente della Conferenza. Nei piani della società emiratina c’è l’aumento della capacità estrattiva del greggio, proposito che chiaramente fa a pugni con gli obiettivi di Cop28. Bbc News ha pubblicato un articolo nel quale denunciava, attraverso documenti di cui è entrata in possesso, l’intenzione degli Emirati di utilizzare il loro ruolo di organizzatori per concludere accordi su petrolio e gas.

Come avere una multinazionale del tabacco che supervisiona l’Oms

Al Jaber, nonostante gli scandali svelati dal Guardian, si è difeso sostenendo di essere la persona migliore per spingere l’azione di riduzione di CO2 dell’industria petrolifera e del gas, in quanto presidente della società di energie rinnovabili Masdar. La stessa Masdar è posseduta dalla Adnoc e da Mubadala, il fondo che fa capo al controverso Mansour Bin Zayed (proprietario tra l’altro del Manchester City e fratello del dittatore Mohammed, presidente degli Emirati) e nel cui board siede guarda caso anche Sultan Al Jaber. Il paradosso è evidente: l’ad di una compagnia petrolifera di Stato che presiede i lavori per limitare le emissioni derivanti dall’energia fossile. Per dirla con le parole della europarlamentare Manon Aubry, è come avere una multinazionale del tabacco che supervisiona il lavoro interno dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Pradossi e contraddizioni della Cop28 di Dubai e i rapporti ambigui dell'Italia
La Cop28 sul clima organizzata a Dubai (Getty).

Emirati esportatori di energia e molto indietro sui diritti umani

Se c’è qualcuno che beneficia del cambiamento climatico questi sono proprio i Paesi esportatori di energia, di cui gli Eau sono tra i principali. Recentemente la segretaria generale di Amnesty International, Agnès Callamard, ha dichiarato: «Il fatto che gli Emirati Arabi Uniti, con un bilancio abissale in materia di diritti umani, stiano guidando le discussioni su una delle più gravi sfide esistenziali che l’umanità si trova ad affrontare, in uno dei forum internazionali di più alto profilo, rende ridicola la C0p28».

Il governo italiano dalla parte di Al Jaber, nonostante gli scandali

Il governo italiano, al cui interno per altro non manca una componente negazionista in tema ambientale, si è schierato senza se e senza ma dalla parte di Cop28 e di chi la ospita. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani dopo il primo scandalo che a giugno aveva investito Al Jaber e gli Emirati perché la compagnia petrolifera poteva avere accesso a tutte le mail riguardanti Cop28 era volato ad Abu Dhabi per ribadire che l’Italia è «al fianco» degli Eau e sostiene il lavoro del presidente designato della Cop28, Sultan Al Jaber. Durante quella visita aveva chiesto aiuto agli Emirati per la Tunisia, pallino di Giorgia Meloni e punto cardine del suo Piano Mattei (anche se poi Tunisi non si è fatta problemi a non votarci nella partita per Expo 2030).

Pradossi e contraddizioni della Cop28 di Dubai e i rapporti ambigui dell'Italia
Sultan Al Jaber (Getty).

Stessa cosa aveva fatto Meloni durante un incontro con Al Jaber proclamando quella del cambiamento climatico «una sfida importante per il nostro Pianeta e per l’umanità, però la transizione deve essere giusta e affrontare anche la sua dimensione sociale ed economica». Questo significa per prima cosa garantire «posti di lavoro di qualità». Ad Al Jaber, la premier aveva anche assicurato di voler «rafforzare l’impegno a sostegno dell’Africa, al quale l’Italia destinerà gran parte del suo Fondo per il clima».

Quei legami tra Crosetto e il presidente Mohammed Bin Zayed

Che i rapporti tra Eau e Italia siano stretti lo si è visto anche in altre occasioni. Per esempio quando il ministro Guido Crosetto ha dichiarato che il presidente Mohammed Bin Zayed aveva chiamato Palazzo Chigi per farsi mandare 1.000 bambini palestinesi da curare. Tralasciando il fatto che uno degli uomini più vicini al leader emiratino è Mohammed Dahlan. Ossia colui che ha attivamente operato per la distruzione di Fatah e l’irreversibile indebolimento dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, pregiudicando così il processo di pace in Israele.

Pradossi e contraddizioni della Cop28 di Dubai e i rapporti ambigui dell'Italia
Il presidente emiratino Mohammed Bin Zayed e, alla sua sinistra, il fratello Mansour (Getty).

Denunce penali per detenzione arbitraria e tortura

Che dire poi dell’appoggio italiano dato ad Ahmed Naser al-Raisi, già capo della State Security emiratina, su cui pendono denunce penali per detenzione arbitraria e tortura, diventato nel 2022 il primo capo mediorientale dell’Interpol. Ancora, gli Eau partecipano alla guerra in Sudan (come proxy war), in Libia sostengono Haftar, Al Saied in Tunisia, sono ben posizionati nel Ciad e secondo varie intelligence hanno sostenuto il colpo di Stato in Niger e, come se non bastasse, hanno siglato un accordo di esclusiva per l’esportazione dell’oro dal Congo, denunciato in un articolo di Reuters, come un servizio fatto alla Russia per aggirare le sanzioni.

Hamas: «Kfir morto in un raid su Gaza». Dieci mesi, era il più piccolo degli ostaggi israeliani

Kfir Bibas, con i suoi 10 mesi il più piccolo degli ostaggi sequestrati da Hamas il 7 ottobre, sarebbe morto insieme alla madre Shiri e al fratello di 4 anni Ariel, a seguito di «bombardamenti sionisti» sulla Striscia di Gaza. Lo hanno annunciato su Telegram le Brigate Al-Qassam, ala militare di Hamas. Nei giorni scorsi i familiari di Kfir si erano mobilitati per chiedere la liberazione del piccolo e della sua famiglia. Non si hanno notizie del padre Yarden, ancora ostaggio nella Striscia di Gaza. Le forze di difesa israeliane stanno  «controllando la fondatezza» dell’annuncio relativo alla morte dei fratellini Bibas e della loro mamma. Lo ha detto il portavoce militare Daniel Hagari, aggiungendo che «Hamas continua a comportarsi in maniera crudele e inumana».

Attesa per la liberazione di altri 10 ostaggi israeliani

Secondo l’ultimo accordo stipulato tra Israele e Hamas, ogni giorno di proroga della tregua prevede la liberazione di 10 ostaggi israeliani e di 30 prigionieri palestinesi. Mousa Abu Marzook, funzionario dell’ufficio politico di Hamas aveva reso noto che gli ostaggi con cittadinanza russa in loro possesso saranno rilasciati «come omaggio al presidente Vladimir Putin». In serata le Brigate Al-Qassam hanno annunciato di aver liberato due donne di, appunto, nazionalità russa.

Dal Qatar filtra ottimismo per la proroga della tregua

«Guardando ai prossimi giorni, ci concentreremo sul fare il possibile per prolungare la tregua in modo da continuare a liberare più ostaggi e a ricevere più assistenza umanitaria». Lo ha detto il segretario di Stato americano, Antony Blinken, dopo l’incontro della Nato a Bruxelles e in vista della sua prossima visita in Israele. Dal Qatar filtra ottimismo per una nuova intesa, ma Tel Aviv ha già fatto sapere di non essere disposto a prolungare la pausa nei combattimenti oltre domenica 3 dicembre, per un totale di 10 giorni. «Dopo questa fase di rientro dei nostri ostaggi, Israele tornerà in guerra? La mia risposta è inequivocabilmente sì. Non c’è possibilità che non si torni a combattere fino alla fine», ha detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu.

Hamas: «Kfir ucciso in un raid su Gaza». 10 mesi, era il più piccolo degli ostaggi israeliani. Morti anche il fratello di 4 anni e la madre.
I combattimenti proseguono in Cisgiordania (Ansa).

Ucciso in Cisgiordania il capo delle Brigate Jenin

La tregua riguarda la Striscia di Gaza, ma non la Cisgiordania, dove l’esercito israeliano ha ucciso il capo delle Brigate Jenin, Mohammad Zabeidi. Insieme a lui è stato eliminato anche un altro comandante, di cui non è stato diffuso il nome. Sempre a Jenin due bambini sono morti in un raid delle forze israeliane. Uno, di nove anni, è stato colpito alla testa, mentre l’altro, 15enne, è stato raggiunto al torace. Fonti locali e di sicurezza hanno riferito all’agenzia di stampa palestinese Wafa che l’esercito israeliano ha costretto i residenti del quartiere di ad-Damj a lasciare le loro case sotto la minaccia delle armi.

Hamas: «Kfir ucciso in un raid su Gaza». 10 mesi, era il più piccolo degli ostaggi israeliani. Morti anche il fratello di 4 anni e la madre.
Macerie nelle strade di Jenin (Ansa).

Guterres: «Muoversi verso una soluzione a due Stati»

«La popolazione di Gaza si trova nel mezzo di un’epica catastrofe umanitaria davanti agli occhi del mondo. Non dobbiamo distogliere lo sguardo». Lo ha detto il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres alla riunione del Consiglio di Sicurezza. «Sono in corso intensi negoziati per prolungare la tregua, cosa che accogliamo con grande favore, ma serve un vero cessate il fuoco umanitario e muoversi in modo determinato e irreversibile verso la soluzione a due Stati. Il fallimento condannerà palestinesi, israeliani, la regione e il mondo a un ciclo infinito di morte e distruzione».

È morto l’imprenditore statunitense Charlie Munger: aveva 99 anni

E morto, all’età di 99 anni, Charlie Munger, socio e amico del grande investitore americano Warren Buffett. A rendere pubblica la notizia é stato un cominciato della Berkshire Hathaway, società che lo stesso ha contributo a rendere un potenza a livello mondiale nel campo degli investimenti. Il decesso è avvenuto nella mattinata di martedì 28 novembre, in un ospedale della California, poco più di un mese prima che Munger potesse compiere 100 anni.

La cassa di risonanza di Warren Buffett

«Berkshire Hathaway», si legge nel comunicato, «non avrebbe potuto essere costruita fino al suo status attuale senza l’ispirazione, la saggezza e la partecipazione di Charlie». Definito come la «cassa di risonanza» di Warren Buffett nell’ultima lettera agli azionisti della Berkshire all’inizio del 2023, Munger è stato a lungo vicepresidente della società portandola a dei traguardi molto alti. Da diversi anni era stato costretto alla sedia a rotelle, ma la sua mente non era stata colpita, tanto che anche quest’anno si era speso molto per interviste e podcast che avevano al centro la Berkshire Hathaway e il mondo degli investimenti.

Warren Buffett
Warren Buffett (Imagoeconomica).

L’amicizia negli investimenti 

Il sodalizio tra Charlie Munger e Warren Buffett è iniziato negli Anni 60. La coppia, nel 1962, aveva cominciato ad acquistare le azioni della Berkshire Hathaway al prezzo singolo di 7 e 8 dollari, prendendo il controllo dell’industria tessile nel 1965. I due seppero rimodellare il conglomerato, sfruttando i proventi per comprare altre società e investendo ingenti somme negli anni in Apple e Coca-Cola. Nella giornata della morte di Munger, le azioni risultavano essere pari a 546.869 dollari. Buffett è sempre stato in prima linea nell’organigramma della holding, ma lo stesso ha in più occasioni sottolineato il ruolo fondamentale esercitato dall’amico Charlie. «Mi ha insegnato molto sulla valutazione delle imprese e sulla natura umana», aveva detto nel 2008 riferendosi a lui.

La Corte europea dei diritti umani condanna l’Italia: «Minori migranti detenuti illegalmente»

La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per aver detenuto illegalmente in condizioni inumane e degradanti quattro migranti minori ghanesi nel hotspot di Taranto per quasi due mesi nel 2017. La stessa Corte ha stabilito che il Paese deve versargli 6.500 euro ciascuno per danni morali più 4000 in totale per le spese legali.

I quattro minori sono stati trasferiti in una struttura adeguata

I quattro, tutti del Ghana e nati nel 2000, erano arrivati sulle coste italiane il 22 maggio del 2017 dichiarando di essere minori. Tuttavia vennero comunque trasferiti nell’hotspot di Taranto, riservato solo agli adulti, dove rimasero fino alla metà luglio quando, in seguito a un primo intervento della stessa Corte di Strasburgo, vennero trasferiti in una struttura per minori. Nel condannare l’Italia per le condizioni in cui hanno vissuto nell’hotspot di Taranto la Corte si è basata sulle prove fornite dai quattro, tra cui delle fotografie che mostravano il sovraffollamento del centro, che è predisposto per ospitare 400 persone ma che in quel momento ne conteneva 1.419, e le condizioni d’igiene inadeguate. Nella sentenza si evidenzia che il governo italiano non ha contestato questi dati, ma ha spiegato che il 22 e 26 maggio 2017 erano sbarcati due gruppi di migranti molto numerosi che comprendevano 202 minori e che questi arrivi massicci avevano reso la situazione particolarmente difficile da gestire.

L’Asgi: «A Taranto trattenuti 200 minori illegalmente»

L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ha dichiarato che la situazione è rimasta ferma, anzi, «attualmente, sono quasi 200 i minori stranieri trattenuti di fatto, in assenza di ogni base legale e di ogni vaglio giurisdizionale all’interno dell’hotspot di Taranto, alcuni dei quali addirittura dallo scorso mese di agosto». L’avvocato Dario Belluccio, che ha seguito il caso con la collega collega Marina Angiuli e si dichiara soddisfatto della sentenza, perché sancisce l’assenza di un motivo giuridico per trattenere i minori all’interno di queste strutture.

Usa: Putin aspetterà le elezioni presidenziali americane per un accordo di pace con l’Ucraina

Vladimir Putin non concluderà un accordo di pace con l’Ucraina finché non conoscerà i risultati delle elezioni presidenziali americane del novembre 2024. Lo ha affermato un alto funzionario del Dipartimento di Stato americano, che ha parlato con Reuters in condizione di anonimato, specificando che non si tratta di
un’opinione personale, ma di «un punto di vista ampiamente condiviso» dagli alleati della Nato.

Secondo il Dipartimento di Stato Usa Putin aspetterà le elezioni presidenziali americane per un accordo di pace con l'Ucraina.
Donald Trump (Getty Images).

Nella Nato cresce il timore per il possibile ritorno alla Casa Bianca di Trump

La dichiarazione del funzionario del Dipartimento di Stato americano è arrivata tra i crescenti timori per il possibile ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump che, come altri repubblicani, si oppone ad un’ampia assistenza militare a Kyiv. «È in questo contesto che tutti gli alleati hanno espresso un forte sostegno all’Ucraina» durante la riunione dei ministri degli Esteri della Nato, che si è tenuta a Bruxelles il 28 novembre, ha aggiunto.

Secondo il Dipartimento di Stato Usa Putin aspetterà le elezioni presidenziali americane per un accordo di pace con l'Ucraina.
Joe Biden (Getty Images).

Washington ha stanziato più di 60 miliardi di dollari per aiutare Kyiv

Gli Stati Uniti sono il maggiore donatore militare dell’Ucraina. Secondo la Casa Bianca, dall’inizio dell’invasione russa, Washington ha stanziato più di 60 miliardi di dollari per aiutare Kyiv e circa il 96 per cento di questi fondi è già stato speso. Il Congresso degli Stati Uniti non ha ancora adottato un bilancio annuale, che includa pacchetti di aiuti militari per Ucraina e Israele. A ottobre, il presidente Joe Biden ha chiesto al Congresso di stanziare 61,4 miliardi di dollari per aiutare l’Ucraina e 14,3 miliardi di dollari per Israele: all’inizio di novembre, la Camera dei Rappresentanti (controllata dai repubblicani) ha approvato un disegno di legge solo per i 14,3 miliardi di dollari destinati a Israele.

Ucraina, i dubbi sull’avvelenamento della moglie di Budanov: la mano di Mosca o faida interna?

Che il capo dell‘intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov fosse nel mirino dei russi non è certo una novità. A sua dire ha subito una dozzina di attentati da quando è iniziata la guerra ed è comunque ovvio che Mosca punti ad azzerare i vertici nemici. La cosa è naturalmente reciproca. L’avvelenamento della moglie Marianna e di altri membri dello staff di Budanov rientra quindi nella cornice di una guerra che non si combatte solo nel Donbass e nel sud dell’Ucraina in modo convenzionale, ma appunto con mezzi e obiettivi differenti, dappertutto. Lo stesso Budanov si è assunto ad esempio la paternità degli attentati alla figlia del filosofo ultanazionalista russo Alexander Dugin, Darya, saltata su un’autobomba l’estate del 2022 a Mosca, o quella del blogger Vladlen Tatarsky, ucciso da un pacco bomba regalo a San Pietroburgo nella primavera di quest’anno.

Quello che non torna nell’avvelenamento di Budanova 

La vicenda dell’avvelenamento con metalli pesanti, mercurio o arsenico, forse nel tè o forse nel borsch o chissà dove, di Budanova e degli altri, per quello che si sa finora, è comunque poco lineare e soprattutto lascia molte domande che a loro volta aprono una serie di problemi. Cominciando appunto dalla versione secondo cui dietro il tentativo di questo plurimo tentato omicidio ci sia la Russia: se così fosse – e cioè che i servizi di Mosca e i loro collaboratori in Ucraina sarebbero arrivati direttamente nel quartier generale del Gur per mettere il veleno nel pentolone o nella caraffa del capo dei capi – significherebbe che la rete ucraina è piena di buchi, anche se per fortuna i russi sono ormai famosi per sbagliare nove volte su 10 le dosi. Possibile, dunque, ma non probabile. Se non fossero stati i maligni tentacoli del Cremlino, si tratterebbe allora di cucina casalinga e di cuochi a Kyiv in cerca di stelle in questo periodo pare ne girino diversi. La cornice è quella di un conflitto che non sta andando per il verso giusto. Le promesse del presidente Volodymyr Zelensky di liberare Crimea e Donbass sono lontane dall’essere mantenute, soprattutto per il fatto che l’Occidente ha tirato i remi in barca riguardo agli aiuti militari, complice da un lato l’evidenza di non poter sconfiggere la Russia e dall’altro le altre crisi da gestire, quella in Medio Oriente in primis.

Ucraina, i dubbi sull'avvelenamento della moglie di Budanov: la mano di Mosca o faida interna?
Volodymyr Zelensky (Getty Images).

Zelensky nel mirino: dalla gestione quasi assoluta del potere al controllo della ricostruzione

In ballo c’è ovviamente il potere, quasi assoluto, che Zelensky esercita nel Paese, grazie anche alla maggioranza parlamentare scaturita dalle elezioni del 2019. I contrasti con i vertici militari, soprattutto con il capo delle forze armate, il generale Valery Zaluzhny, partono dai problemi legati alla conduzione del conflitto e alla forbice tra desiderata sbandierati oltre misura e la realtà sul campo, e arrivano alle questioni politiche, fatte di elezioni, candidati, controllo delle risorse del Paese e della ricostruzione del Dopoguerra. Se all’inizio dell’invasione i poteri forti a Kyiv si sono schierati con Zelensky, adesso si pensa già a ciò che  succederà  magari  tra qualche mese o comunque fra un paio d’anni. Ci sono già quindi i primi posizionamenti delle varie fazioni: quella che sostiene il presidente e quella che vorrebbe Zaluzhny suo antagonista alle prossime elezioni, se e quando ci saranno. I blocchi però non sono monolitici: sia in parlamento, dove l’opposizione è variegata e pure all’interno di Servitore del Popolo, il partito del capo dello Stato, si registrano malumori. Senza contare i pezzi del cerchio magico che si sono già staccati sia tra i militari, dove comunque il comandante non ha tutto sotto controllo, soprattutto dopo gli ultimi giri di poltrona ordinati dal nuovo ministro della Difesa Rustem Umerov.

Ucraina, i dubbi sull'avvelenamento della moglie di Budanov: la mano di Mosca o faida interna?
Valery Zaluzhny (Getty Images).

I dubbi sui Servizi interni e militari, lo Sbu e il Gur

E poi ci sono lo Sbu e il Gur, con i servizi interni e militari che notoriamente sono covi di serpi dove tutti controllano tutti, ma ognuno fa un po’ quel che vuole, nonostante ufficialmente dipendano dal presidente. Si ritorna quindi al malriuscito avvelenamento, funzionale a vari livelli, e alle lotte interne che recentemente sono già costate la vita a un luogotenente di Zaluzhny, morto per l’esplosione di un pacco bomba arrivato sotto forma di regalo di compleanno: una granata assassina secondo il generale, un incidente secondo la versione ufficiale. L’arsenico per Budanov fa insomma pensare meno a Vladimir Putin e più ai vari misteri di Kyiv di cui questo non sarà certo l’ultimo.

 

Aumentano i suicidi negli Usa, nel 2022 record da oltre 80 anni

Negli Stati Uniti sono in aumento i casi di suicidio, con il 2022 che ha segnato un incremento del 2,6 per cento rispetto al 2021: un record assoluto da quando le autorità sanitarie hanno iniziato a tenere il conto nel 1941. Lo riporta la Cnn citando i dati provvisori dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie.

Tra le cause l’ampia disponibilità di armi da fuoco

Sono poco meno di 50 mila le persone che si sono tolte la vita negli Usa nel 2022, in maggioranza uomini (l’80 per cento del totale), bianchi, e di età compresa tra i 25 e i 64 anni. Ma è raddoppiato anche il numero delle donne suicide, con incrementi particolarmente significativi tra le donne bianche e tra quelle di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Nonostante l’aumento complessivo, i dati provvisori del 2022 mostrano segnali di miglioramento nei tassi tra bambini e giovanissimi: nella fascia tra i 10 e i 14 anni sono scesi del 18 per cento nel 2022 (2 ogni 100.000 bambini) mentre nella fascia di età 15-24 anni si è ridotto del 19 per cento. Tra le cause gli esperti indicano una rete di assistenza alla salute mentale insufficiente e l’ampia disponibilità di armi da fuoco, che sono utilizzate in più della metà dei suicidi. Il Johns Hopkins Center ha scoperto che i suicidi da armi da fuoco hanno raggiunto un nuovo massimo nel 2022: «I suicidi da arma da fuoco continuano a prendere le vite di uomini bianchi anziani ad alti tassi e, sempre più spesso, le vite di adolescenti neri», ha scritto Ari Davis, consulente politico del centro, nell’analisi.

Mosca si prepara a far firmare un “patto di fedeltà” agli stranieri che entrano in Russia

Il ministero degli Interni di Mosca intende proporre un disegno di legge pensato appositamente per i cittadini stranieri, che prevede l’introduzione di una sorta di “patto di fedeltà” (così lo definisce la Tass dando la notizia) con la Federazione Russa. In base alla nuova norma, mentre si trova nel Paese, a qualunque cittadino straniero sarà vietato «ostacolare le attività delle autorità pubbliche della Federazione Russa, screditando in qualsiasi forma la politica statale estera ed interna, le autorità pubbliche e i loro funzionari».

Mosca si prepara a far firmare un “patto di fedeltà” agli stranieri che entrano in Russia: che cosa prevede.
Controllo passaporti all’aeroporto di Rostov sul Don (Getty Images).

L’accordo vieterà ogni forma di «propaganda di rapporti sessuali non tradizionali» da parte dello straniero

Il patto di fedeltà, si legge nel documento del ministero degli Interni, «è il permesso degli organi statali della Federazione Russa per l’ingresso di un cittadino straniero nella Federazione Russa, da un lato, e il consenso del cittadino straniero, espresso con l’ingresso nella Paese, ai divieti stabiliti per tutelare gli interessi nazionali». In base all’accordo, sarà vietato ogni «abuso del diritto alla libertà di informazione», compresa la diffusione di «informazioni volte a sminuire o indurre alla negazione di valori morali e di altro tipo costituzionalmente significativi, comprese le idee sul matrimonio come unione di un uomo e una donna», e poi su «famiglia, maternità, paternità e infanzia». Vietate poi ogni forma di «propaganda di rapporti sessuali non tradizionali» e di «distorsione della verità storica sull’impresa del popolo sovietico nella difesa della Patria e il suo contributo alla vittoria sul fascismo».

Mosca si prepara a far firmare un “patto di fedeltà” agli stranieri che entrano in Russia: che cosa prevede.
La Duma di Stato russa (Getty Images).

In base al disegno di legge, gli stranieri dovranno evitare «azioni volte ad adottare, modificare, abrogare leggi» della Russia

L’accordo, secondo quanto riporta la Tass, indicherà anche il divieto di «azioni volte ad adottare, modificare, abrogare leggi, nonché un atteggiamento negligente nei confronti dell’ambiente, delle risorse naturali, dei valori materiali e culturali» della Federazione Russa. Inoltre, gli stranieri, se il disegno di legge verrà adottato, dovranno accettare di «non mancare di rispetto per la diversità degli stili di vita regionali ed etnoculturali della popolazione e per i valori morali e spirituali tradizionali russi». Non è chiaro quando avverrà la presentazione alla Duma di Stato del disegno di legge elaborato dal ministero degli Interni. Secondo Kommersant, la Federazione Russa cova l’idea di obbligare gli stranieri a firmare accordi di questo tipo dal 2021, senza però essere mai giunta (finora) alla stesura di un disegno di legge in materia.

Hamas ha invitato Elon Musk a visitare Gaza

Hamas ha invitato Elon Musk a visitare Gaza «per verificare l’entità dei massacri e della distruzione causati dai bombardamenti israeliani» dopo il recente viaggio del miliardario nello Stato ebraico, nel corso del quale il patron di Tesla e SpaceX ha incontrato i vertici politici di Tel Aviv e i parenti di cittadini israeliani rapiti proprio dall’organizzazione islamista palestinese il 7 ottobre. Lo ha detto un alto funzionario di Hamas, Osama Hamdan, durante una conferenza stampa a Beirut. La risposta di Musk, seppur indiretta, non si è fatta attendere. «Sembra un po’ pericoloso in questo momento lì, ma credo che una Gaza prospera a lungo termine sia positiva per tutte le parti», ha twittato il magnate replicando a un utente di X.

In Israele Musk ha visitato il kibbutz di Kfar Aza insieme con Netanyahu

La definizione «un po’ pericoloso» è stata giudicata riduttiva dai molti utenti di X, che si sono scagliati contro Musk nelle risposte al suo post. Accusato di aver promosso posizioni antisemite sulla sua piattaforma social, il miliardario era volato in Israele per un incontro con il premier Benyamin Netanyahu e il presidente Isaac Herzog, in quello che è sembrato un tentativo evidente di placare le polemiche. Accompagnato dal primo ministro israeliano, il proprietario di X ha visitato il kibbutz Kfar Aza, uno dei più colpiti dai raid di Hamas.

Hamas ha invitato Elon Musk a visitare Gaza. Il magnate su X: «Sembra un po' pericoloso in questo momento lì».
Musk insieme con Netanyahu nel kibbutz Krar Aza (Getty Images).

Il magnate ha dichiarato che è necessario «deradicalizzare» i territori palestinesi

Nel corso della visita di Musk nello Stato ebraico, Tel Aviv ha firmato un accordo in base al quale «le unità satellitari Starlink potranno essere utilizzate in Israele solo con l’approvazione del ministero israeliano delle Comunicazioni, compresa la Striscia di Gaza», come ha spiegato appunto il ministro Shlomo Karhi. Durante l’incontro con Netanyahu, Musk si è impegnato a fare «tutto il necessario per fermare la diffusione dell’odio» su X e a fermare sulla piattaforma social «la propaganda che convince le persone a commettere omicidi». Impegnandosi a dare una mano nella ricostruzione di Gaza dopo la guerra, il miliardario ha aggiunto che per porre fine alle violenze nella regione è necessario «deradicalizzare» i territori palestinesi.

Cop28, le richieste dell’Africa al Nord del mondo per finanziare sviluppo e transizione

La Cop28 di Dubai sarà la vera Cop africana? La conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si apre il 30 novembre negli Emirati Arabi Uniti offre la prima reale opportunità di sfruttare i risultati dei negoziati che si sono svolti lo scorso anno a Sharm el-Sheikh, in Egitto, e le nazioni africane sono in attesa di passi in avanti significativi, con diverse richieste.

Le richieste dell’Africa, il continente meno responsabile delle emissioni ma tra i più colpiti dal climate change

L’Africa ha le emissioni pro capite di combustibili fossili più basse di qualsiasi altra regione a livello globale e nell’era post rivoluzione industriale, tra il 1850 e il 2021, è stata responsabile della dispersione in atmosfera di meno del 3 per cento di tutti i gas inquinanti. Tuttavia, secondo il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), è il continente chiamato ad affrontare le sfide più difficili a causa del climate change. Sette dei 10 Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici nel 2021 erano africani e si prevede che entro il 2050 il cambiamento climatico spingerà altri 78 milioni di persone verso la fame cronica, di cui oltre la metà nell’Africa subsahariana. Gli effetti negativi sul continente sono evidenti, con eventi estremi come siccità, alluvioni e uragani sempre più frequente. Solo l’ultimo esempio in ordine di tempo sono le inondazioni che hanno colpito la Somalia provocando almeno 100 morti da inizio ottobre. Mentre il mondo dibatte su come ridurre le emissioni per rimanere entro il grado e mezzo di aumento della temperatura dall’era pre-industriale, si stima che i Paesi africani perdano ogni anno tra i 7 e i 15 miliardi di dollari a causa degli impatti dei cambiamenti climatici. Le difficoltà delle nazioni africane di rispondere agli effetti del cambiamento climatico sono però legate ai livelli inferiori di sviluppo rispetto alle maggiori economie mondiali. Ecco allora che la COP28 di Dubai potrebbe essere un’occasione per garantire che le priorità di crescita dell’Africa siano integrate nell’agenda globale per il clima, facendo in modo che queste nazioni non siano le uniche a pagare il prezzo della crisi climatica. In altre parole, l’Africa, un continente dove ancora 600 milioni di persone non hanno accesso all’energia elettrica, si aspetta di essere aiutata economicamente a rinunciare alle proprie risorse di gas e combustibili fossili, che ha appena iniziato a sfruttare, e non costretta ad abbandonarle dall’oggi al domani.

https://www.lettera43.it/kenya-negoziati-trattato-inquinamento-plastica-gas-serra/
Una manifestazione di attivisti a Nairobi (Getty Images).

Il costo della transizione verde: secondo le stime della Banca africana di sviluppo servono più di 200 miliardi di dollari l’anno

Come ha scritto di recente l’analista Rafiq Raji per l’Ispi, «gli effetti negativi del cambiamento climatico sono già diffusi in tutto il continente africano e i Paesi poveri hanno ragione a chiedere risarcimenti ai Paesi del Nord del mondo» che hanno costruito la loro ricchezza a spese di molte nazioni in via di sviluppo. «Tuttavia, la transizione verso un’energia verde più pulita non sarà economica». Secondo le stime della Banca africana di sviluppo (Afdb), l’Africa deve mobilitare più di 200 miliardi di dollari all’anno per la sua risposta al clima entro la fine del decennio, mentre mancano all’appello 1.200 miliardi per raggiungere tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 Onu. I Paesi ricchi, seguendo il ragionamento, non possono quindi rifiutarsi di sostenere il conto della transizione verde per le nazioni africane. Fin qui, però, i risultati sono stati scarsi. Non è ancora stato rispettato nemmeno l’impegno dei 100 miliardi di dollari in aiuti economici per il clima ai Paesi più poveri entro il 2020 deciso nella Cop15 di Copenaghen del 2009. L’obiettivo sarà raggiunto forse alla fine di quest’anno. Anche il fondo da 500 milioni di dollari per rimborsare le perdite e i danni del cambiamento climatico nelle nazioni in via di sviluppo, approvato durante la Cop dello scorso anno, è lontano dall’essere realtà. Sul suo finanziamento ci sarà battaglia a Dubai. Visto il caro prezzo della lotta al cambiamento climatico per l’Africa e i pochi fondi finora erogati, emerge in ogni caso il bisogno di trovare nuovi modi per la regione per avere accesso ai capitali.

Cop28, le richieste dell'Africa al Nord del mondo per finanziare sviluppo e transizione
Akinwumi Adesina, presidente della Banca africana di Sviluppo (Getty Images).

La Dichiarazione di Nairobi firmata a settembre è il punto di partenza comune per la Cop28

La necessità urgente della revisione della finanza allo sviluppo è emersa durante lAfrica Climate Summit di settembre, in Kenya, dove i Paesi membri dell’Unione Africana (Ua) hanno firmato la Dichiarazione di Nairobi: la base per una posizione comune verso la Cop28 e oltre. Il sistema finanziario internazionale esistente, secondo i Paesi del continente, è a loro sfavorevole, e finisce per farli pagare fino a cinque volte di più i prestiti a causa dei rischi giudicati maggiori. Le nazioni africane chiedono quindi una riforma delle banche multilaterali di sviluppo che renda disponibili molti più fondi degli attuali per contrastare gli effetti della crisi climatica e per sostenere iniziative di adattamento. Tra i principali punti presenti nella dichiarazione c’è poi l’impegno ad aumentare la capacità rinnovabile da 56 gigawatt (GW) nel 2022 ad almeno 300 GW entro il 2030. Obiettivo ambizioso visto lo stato precario della rete elettrica africana, ma per questo servirebbero finanziamenti 10 volte superiori a quelli ora disponibili. I Paesi africani chiederanno anche una moratoria di 10 anni del debito, fardello pesante per molte nazioni, in particolare nell’area subsahariana, e la possibilità di rinegoziarlo. A tutto questo si aggiunge la proposta dell’introduzione di un regime globale di tassazione del carbonio, inclusa una tassa sul commercio di combustibili fossili, sul trasporto marittimo e sull’aviazione, che potrebbe anche essere integrato da una tassa globale sulle transazioni finanziarie per fornire fondi per il clima su scala globale.

Cop28, le richieste dell'Africa al Nord del mondo per finanziare sviluppo e transizione
L’installazione di pannelli fotovoltaici a Nairobi, Kenya (Getty Images).

Per molti osservatori serve un cambio di paradigma che punti alla sovranità energetica grazie alle rinnovabili

La Dichiarazione di Nairobi, che ha l’indubbio merito di proporre una visione unitaria in previsione di un appuntamento così importante, è stata però contestata da diversi osservatori e associazioni ambientaliste perché, a loro dire, convergerebbe troppo verso la posizione dei Paesi più ricchi, titubante sull’azzeramento delle emissioni, oltre a legittimare pratiche problematiche come la compensazione della CO2 tramite i crediti di carbonio e il loro commercio. Un mercato cui diversi Paesi africani puntano molto e sul quale nazioni come gli Emirati Arabi Uniti hanno già messo gli occhi, tra molte critiche di sfruttamento. In un editoriale su Al Jazeera, Sydney Chisi, Senior Campaign Manager della no profit Equal Right, ha affermato che «queste sono false soluzioni e non sono ciò di cui l’Africa ha bisogno. Costituiscono una tattica neocoloniale che consente al Nord del mondo di continuare a emettere gas serra». Posizione condivisa da 500 organizzazioni e associazioni della società civile, che da un contro-summit hanno lanciato una People’s Declaration per indicare una direzione alternativa per affrontare la crisi climatica nel continente. Quello che auspicano è un cambio di paradigma basato sulla sovranità energetica grazie alle rinnovabili e su uno sviluppo sostenibile e indipendente dalle grandi ex potenze coloniali, dove grande spazio avranno agroecologia, protezione degli ecosistemi e sfruttamento dei materiali critici. Anche i portatori di queste istanze guarderanno tra pochi giorni a Dubai nella speranza di un cambio di rotta.

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