Pradossi e contraddizioni della Cop28 di Dubai e i rapporti ambigui dell’Italia

A Dubai va in scena la Cop28, l’annuale incontro sul clima organizzato dalle Nazioni unite in cui i governi sono chiamati a discutere su come limitare le emissioni e prepararsi al futuro cambiamento climatico. Dura dal 29 novembre fino al 12 dicembre 2023. Cop sta per “Conferenza delle parti”, dove le “parti” sono i Paesi che hanno firmato l’originale accordo Onu sul clima del 1992. Gli Emirati Arabi Uniti, cioè la nazione ospitante, sono tra i primi 10 produttori di petrolio al mondo e hanno nominato l’amministratore delegato della compagnia petrolifera statale Adnoc, Sultan Al Jaber, presidente della Conferenza. Nei piani della società emiratina c’è l’aumento della capacità estrattiva del greggio, proposito che chiaramente fa a pugni con gli obiettivi di Cop28. Bbc News ha pubblicato un articolo nel quale denunciava, attraverso documenti di cui è entrata in possesso, l’intenzione degli Emirati di utilizzare il loro ruolo di organizzatori per concludere accordi su petrolio e gas.

Come avere una multinazionale del tabacco che supervisiona l’Oms

Al Jaber, nonostante gli scandali svelati dal Guardian, si è difeso sostenendo di essere la persona migliore per spingere l’azione di riduzione di CO2 dell’industria petrolifera e del gas, in quanto presidente della società di energie rinnovabili Masdar. La stessa Masdar è posseduta dalla Adnoc e da Mubadala, il fondo che fa capo al controverso Mansour Bin Zayed (proprietario tra l’altro del Manchester City e fratello del dittatore Mohammed, presidente degli Emirati) e nel cui board siede guarda caso anche Sultan Al Jaber. Il paradosso è evidente: l’ad di una compagnia petrolifera di Stato che presiede i lavori per limitare le emissioni derivanti dall’energia fossile. Per dirla con le parole della europarlamentare Manon Aubry, è come avere una multinazionale del tabacco che supervisiona il lavoro interno dell’Organizzazione mondiale della sanità.

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La Cop28 sul clima organizzata a Dubai (Getty).

Emirati esportatori di energia e molto indietro sui diritti umani

Se c’è qualcuno che beneficia del cambiamento climatico questi sono proprio i Paesi esportatori di energia, di cui gli Eau sono tra i principali. Recentemente la segretaria generale di Amnesty International, Agnès Callamard, ha dichiarato: «Il fatto che gli Emirati Arabi Uniti, con un bilancio abissale in materia di diritti umani, stiano guidando le discussioni su una delle più gravi sfide esistenziali che l’umanità si trova ad affrontare, in uno dei forum internazionali di più alto profilo, rende ridicola la C0p28».

Il governo italiano dalla parte di Al Jaber, nonostante gli scandali

Il governo italiano, al cui interno per altro non manca una componente negazionista in tema ambientale, si è schierato senza se e senza ma dalla parte di Cop28 e di chi la ospita. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani dopo il primo scandalo che a giugno aveva investito Al Jaber e gli Emirati perché la compagnia petrolifera poteva avere accesso a tutte le mail riguardanti Cop28 era volato ad Abu Dhabi per ribadire che l’Italia è «al fianco» degli Eau e sostiene il lavoro del presidente designato della Cop28, Sultan Al Jaber. Durante quella visita aveva chiesto aiuto agli Emirati per la Tunisia, pallino di Giorgia Meloni e punto cardine del suo Piano Mattei (anche se poi Tunisi non si è fatta problemi a non votarci nella partita per Expo 2030).

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Sultan Al Jaber (Getty).

Stessa cosa aveva fatto Meloni durante un incontro con Al Jaber proclamando quella del cambiamento climatico «una sfida importante per il nostro Pianeta e per l’umanità, però la transizione deve essere giusta e affrontare anche la sua dimensione sociale ed economica». Questo significa per prima cosa garantire «posti di lavoro di qualità». Ad Al Jaber, la premier aveva anche assicurato di voler «rafforzare l’impegno a sostegno dell’Africa, al quale l’Italia destinerà gran parte del suo Fondo per il clima».

Quei legami tra Crosetto e il presidente Mohammed Bin Zayed

Che i rapporti tra Eau e Italia siano stretti lo si è visto anche in altre occasioni. Per esempio quando il ministro Guido Crosetto ha dichiarato che il presidente Mohammed Bin Zayed aveva chiamato Palazzo Chigi per farsi mandare 1.000 bambini palestinesi da curare. Tralasciando il fatto che uno degli uomini più vicini al leader emiratino è Mohammed Dahlan. Ossia colui che ha attivamente operato per la distruzione di Fatah e l’irreversibile indebolimento dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, pregiudicando così il processo di pace in Israele.

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Il presidente emiratino Mohammed Bin Zayed e, alla sua sinistra, il fratello Mansour (Getty).

Denunce penali per detenzione arbitraria e tortura

Che dire poi dell’appoggio italiano dato ad Ahmed Naser al-Raisi, già capo della State Security emiratina, su cui pendono denunce penali per detenzione arbitraria e tortura, diventato nel 2022 il primo capo mediorientale dell’Interpol. Ancora, gli Eau partecipano alla guerra in Sudan (come proxy war), in Libia sostengono Haftar, Al Saied in Tunisia, sono ben posizionati nel Ciad e secondo varie intelligence hanno sostenuto il colpo di Stato in Niger e, come se non bastasse, hanno siglato un accordo di esclusiva per l’esportazione dell’oro dal Congo, denunciato in un articolo di Reuters, come un servizio fatto alla Russia per aggirare le sanzioni.

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