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Slovacchia, il ministero degli Esteri accusa la Russia di interferenze nelle elezioni

Dopo la vittoria dei socialdemocratici dell’ex premier filorusso Robert Fico, dalla Slovacchia sono partite accuse alla Russia. Il ministero slovacco degli Esteri ha infatti convocato un funzionario dell’ambasciata di Mosca a Bratislava per presunte interferenze durante le elezioni. A raccontarlo è l’agenzia Ria Novosti.

Slovacchia, il ministero degli Esteri accusa la Russia di interferenze nelle elezioni
Robert Fico (Getty Images).

Le parole di Naryshkin sotto accusa

Le accuse si riferiscono alle parole pronunciate alla vigilia del voto da Serghey Naryshkin. Quest’ultimo, direttore del servizio di intelligence internazionale della Russia, aveva detto: «Recentemente si è verificato un aumento dell’ingerenza dell’amministrazione Joe Biden nella situazione politica interna in Slovacchia, che è associato alla preparazione delle elezioni parlamentari anticipate». Queste dichiarazioni, per Bratislava, hanno portato a un’ingerenza concreta nel processo elettorale.

La difficile russificazione dei territori ucraini annessi

A un anno esatto dalla firma dell’accordo di annessione firmato dal Cremlino e i leader delle regioni ucraine occupate di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson, il 29 settembre Vladimir Putin ha celebrato il Giorno della riunificazione. «Noi siamo un popolo unico e insieme supereremo qualsiasi cosa e troveremo le risposte a ogni sfida», ha dichiarato il presidente russo ringraziando i cittadini delle regioni annesse «che hanno preso insieme questa decisione consapevole, tanto attesa, combattuta e veramente popolare, durante i referendum, nel pieno rispetto degli standard internazionali. Hanno mostrato coraggio e carattere inflessibile».

La difficile russificazione dei territori ucraini annessi
Festeggiamenti a Mosca per il primo anniversario dell’annessione delle regioni ucraine occupate (Getty Images).

Il nuovo distretto federale è rimasto lettera morta

Ma quale è veramente la situazione nelle regioni annesse dopo i referendum farsa? Un anno fa, come ricorda Meduza, si pensava che questi territori sarebbero stati unificati in un nuovo distretto federale da affidare al plenipotenziario del Cremlino Dmitry Rogozin, ex capo di Roscosmos. Qualcosa però, o forse più di qualcosa, è andato storto. Nell’autunno del 2022 infatti la controffensiva di Kyiv è riuscita a riguadagnare posizioni e Kherson è stata addirittura abbandonata dall’esercito russo. Così il nuovo distretto federale non ha mai visto la luce. Secondo fonti vicine all’Amministrazione presidenziale, sentite da Meduza, Mosca sta pensando di includere i territori annessi nel già esistente distretto federale meridionale (che comprende anche la Crimea, annessa nel 2014).

La difficile russificazione dei territori ucraini annessi
Vladimir Putin con Dmitri Rogozin (Getty Images).

Nessun funzionario sgomita per essere promosso nelle regioni occupate

I capi delle nuove “regioni russe” sono rimasti per ora al loro posto, mentre Rogozin ha assunto l’incarico creato ad hoc di senatore della regione di Zaporizhzhia. La verità è che  nella nomenklatura di peso nessuno sgomita per essere ‘promosso’ alla guida dei territori annessi dove si continua a combattere e il futuro è pieno di incognite. Anzi, c’è pure chi ha preferito tornare alla casa madre. Sergei Eliseev, che per diversi mesi ha guidato il governo della regione di Kherson, dopo l’avanzata ucraina ha optato per il suo vecchio incarico di vice governatore di Kaliningrad; il leader di Donetsk, Vitaly Khotsenko, ora guida la regione di Omsk, mentre il vice primo ministro di Lugansk Vasily Kuznetsov è diventato governatore della Chukotka. Molti altri farebbero volentieri un passo indietro ma è quasi impossibile: agli occhi di Mosca equivarrebbe a una diserzione. Nemmeno il denaro offerto da Putin è stata una leva sufficiente a spingere funzionari di medio e basso livello a trasferirsi dalla Russia nelle regioni occupate: sebbene la paga sia doppia, il gioco non vale la candela, è il ragionamento. Anche i potenziali funzionari locali scarseggiano perché temono che l’Ucraina da un momento all’altro possa riprendere i territori e di diventare così facili bersagli di azioni terroristiche. Basta ricordare la morte, nel settembre 2022, del vice capo del governo di Kherson Alexei Katerinichev in un bombardamento o quelle, un mese dopo, del procuratore generale di Lugansk Sergei Gorenko e del suo vice nell’esplosione di una bomba in ufficio.

La difficile russificazione dei territori ucraini annessi
Labandiera della Wagner su un carrarmato russo a Doentsk (Getty Images).

Il concorso per governatori e il sistema dei patrocini

A causa della carenza di personale – il Cremlino non è riuscito a trovare nemmeno funzionari per i parlamenti locali  – l’amministrazione presidenziale ha iniziato a indire bandi per il personale delle nuove regioni sul modello del concorso Leader della Russia, considerato uno dei principali trampolini di carriera nella Federazione. Al momento si contano solo due ‘vincitori’ diventati viceministri a Donetsk. Parallelamente prosegue un’altra iniziativa, il cosiddetto patrocinio dei nuovi territori, una specie di gemellaggio economico. Le regioni russe sono cioè obbligate a farsi carico, in tutto o in parte, del ripristino delle infrastrutture delle città e degli oblast occupati (come San Pietroburgo con Mariupol). Il problema però sono i bilanci. Non si sa con certezza a quanto ammontino i costi del “patrocinio” (le autorità russe avevano stimato i costi totali del “ripristino delle infrastrutture” in almeno un trilione e mezzo di rubli, poco meno di 10 miliardi di euro). Senza contare i sentimenti anti-russi e filo-ucraini che serpeggiano tra le popolazioni. A conti fatti la tanto decantata russificazione delle regioni annesse per ora resta lettera morta. Si preferisce parlare di “russificazione light”. Tradotto significa, per esempio, che gli studenti sono costretti a cantare l’inno russo nelle scuole ma che ogni decisione presa sulle loro teste viene imposta da Mosca.

Tajani incontra Zelensky e annuncia: «L’Italia lavora all’ottavo pacchetto di armi»

Antonio Tajani ha annunciato nuovi aiuti per l’Ucraina. Il vicepremier e ministro degli Esteri ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kyiv e ha dichiarato che l’Italia sta lavorando all’ottavo pacchetto di armi da inviare. Il titolare della Farnesina ha garantito il sostegno concreto dell’Italia nel percorso ucraino di adesione all’Ue anche attraverso il supporto di alcune istituzioni, per esempio tramite la Guardia di Finanza.

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Incontro Tajani-Zelensky «in spirito di speciale amicizia»

L’incontro tra il ministro degli Esteri italiano e il presidente ucraino è avvenuto a margine del Consiglio Esteri Ue a Kyiv. E secondo quanto si apprende, il confronto tra i due si sarebbe svolto «in uno spirito di grande e speciale amicizia reciproca tra i governi». Tajani ha confermato che l’Ucraina sarà la priorità dell’agenda italiana del G7. Mentre Zelensky si è rallegrato per la dichiarazione di oggi sul Patronato italiano per la ricostruzione di Odessa.

Tajani incontra Zelensky e annuncia «L'Italia lavora all'ottavo pacchetto di armi»
Antonio Tajani (Imagoeconomica).

Zelensky ringrazia l’Italia: «Aiuto concreto»

Il presidente ucraino ha ringraziato l’Italia per «l’aiuto concreto» dimostrato dall’inizio dell’invasione della Russia, nel febbraio 2022. Zelensky ha anche insignito il ministro degli Esteri dell’onorificenza dell’Ordine di Jaroslav il Saggio. Il riconoscimento viene assegnato dal governo ucraino per il ruolo svolto da quello italiano nel sostenere l’Ucraina. Da Kyiv spiegano che l’Ordine del Principe Jaroslav il Saggio viene conferito per i servizi resi allo Stato e al popolo ucraino e per il rafforzamento del prestigio internazionale dell’Ucraina.

Tajani incontra Zelensky e annuncia «L'Italia lavora all'ottavo pacchetto di armi»
Volodymyr Zelensky (Getty Images).

Nilo o Rio delle Amazzoni, qual è il fiume più lungo del mondo?

Il Nilo potrebbe non essere il fiume più lungo del mondo. Secondo alcuni esploratori sudamericani, infatti, il primato apparterrebbe al Rio delle Amazzoni, capace di trasportare un quantitativo d’acqua quattro volte superiore. «Non c’è proprio paragone», ha detto alla Cnn Yuri Sanada, ricercatore brasiliano 55enne. «Il Nilo è un verme, il Rio un anaconda». Per confutare il Guinness World Record, nell’aprile 2024 inizierà una spedizione di circa 7 mila chilometri a bordo di tre imbarcazioni ecologiche che attraverserà l’America Latina. È convinto infatti di aver scoperto una nuova sorgente del fiume, che potrebbe così cambiare i dati a disposizione. Il viaggio, che intende anche aiutare le popolazioni indigene che incrocerà lungo il suo cammino, ispirerà un docufilm che sbarcherà al cinema. Numerosi però anche i pericoli, fra natura selvaggia e traffico di droga.

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Il Rio delle Amazzoni è più lungo del Nilo? La teoria dei sudamericani

La nuova spedizione di Sanada utilizzerà la moderna tecnologia satellitare per mappare l’intero corso del Rio delle Amazzoni. Con lui ci sarà anche James Rocky Contos, 51enne che ritiene di aver trovato una nuova sorgente del fiume, più a monte rispetto all’Apurimac, riconosciuta nel sud del Perù. «Stavo cercando alcuni percorsi per fare rafting», ha raccontato alla Cnn. «Così ho trovato il Mantaro River situato più nord rispetto all’Apurimac». Se il nuovo sito venisse unanimemente accettato dalla comunità scientifica, aggiungerebbe circa 77 chilometri alla lunghezza del Rio o forse anche di più, superando il Nilo. Sanada ha in programma di ripercorrere in barca tutto il fiume dalle Ande peruviane fino al Brasile, dove sfocia nell’Atlantico, passando anche per la Colombia. A bordo si alterneranno circa 50 esploratori provenienti anche da Stati Uniti ed Europa.

Una spedizione ecologica in Sudamerica vuole dimostrare che il Rio delle Amazzoni è più lungo del Nilo. Il fiume è però pieno di pericoli.
Una veduta aerea del Rio delle Amazzoni in Colombia (Getty Images).

Per il viaggio lungo il Rio delle Amazzoni, Sanada e i suoi utilizzeranno imbarcazioni totalmente ecologiche, capaci di muoversi a energia solare oppure azionando dei pedali, riducendo al minimo le emissioni di gas serra. Lo scafo delle navi è stato interamente realizzato in bioresina e fibre naturali di provenienza locale, mentre i motori, che a fine spedizione verranno donati in beneficenza, sono frutto di un intenso lavoro con le stampanti 3D. «Non ci limiteremo a mappare il fiume o tentare di battere il Nilo», ha proseguito Sanada, preannunciando missioni per aiutare gli indigeni locali. «Insegneremo alle persone che abitano la foresta a utilizzare l’energia elettrica, trattare i rifiuti e costruire case più resistenti. Proveremo a migliorare la loro vita nella natura».

Dal traffico di droga agli animali selvatici, i pericoli della spedizione lungo il fiume

«Molte cose possono andare storte», ha dichiarato Sanada, preannunciando anche una lunga serie di rischi e pericoli durante il viaggio. Le barche potrebbero affondare oppure il team potrebbe imbattersi in animali feroci come giaguari, rane velenose e anaconda. La parte più difficile sarà però l’interazione umana. «Non bisogna solo stare attenti alle tribù cannibali, ma anche ai narcotrafficanti». Per questo motivo, le barche saranno dotate di fibre antiproiettile e a bordo ci sarà una scorta di armi da poter usare per rispondere al fuoco nemico. «Lo facciamo in nome della scienza», ha sottolineato Sanada. «Non possiamo fermarci». La ricerca tuttavia potrebbe concludersi con un nulla di fatto. Suzanne Walther, docente di Scienze ambientali a San Diego, ha ricordato come i fiumi cambino nel corso del tempo per interferenze atmosferiche oppure per l’azione umana. «Ogni misurazione ha un margine di incertezza».

Una spedizione ecologica in Sudamerica vuole dimostrare che il Rio delle Amazzoni è più lungo del Nilo. Il fiume è però pieno di pericoli.
Un’imbarcazione naviga lungo il Nilo (Getty Images).

La spedizione di aprile non sarà però l’ultima. Già nel 2025 Sanada ha in programma un ulteriore viaggio sul Rio delle Amazzoni per una seconda serie di mappature. A seguire poi toccherà anche al Nilo. «Chissà, se sopravviviamo a questo magari pianificheremo qualcosa», ha concluso l’esploratore brasiliano, che entro due anni intende realizzare un documentario sulla spedizione. «Mostreremo al mondo l’Amazzonia e il suo ecosistema, tanto prezioso quanto in pericolo».

Musk prende in giro Zelensky su X con un meme

Elon Musk ha preso in giro il presidente ucraino Volodymyr Zelensky su X, postando sul suo social network una versione modificata del meme “Trying to Hold a Fart Guy”, corredata dalla scritta: «Quando sono passati cinque minuti e ancora non hai chiesto un miliardo di dollari di aiuti».

L’ironia di Musk non è piaciuta al popolo del web

Il post, che voleva sottolineare l’insistenza del leader ucraino nel chiedere aiuti per far fronte all’invasione russa, e dunque criticarlo, ha inevitabilmente sollevato polemiche. Il presidente della Verchovna Rada, Ruslan Stefanchuk, ha commentato: «Il tizio ha provato a conquistare lo spazio, ma qualcosa è andato storto e in cinque minuti era nella merda fino al collo». Così il parlamentare ucraino Oleksiy Goncharenko: «Mi chiedo, passa mai un giorno senza che Musk dica qualcosa di stupido?». Questo il commento dello stand-up comedian Anton Tymoshenko: «Insomma, hai comprato il social media per intimidire le persone che muoiono perché amano la libertà. Visionario». Il blogger Pravda Gerashinko ha scritto: «Non è possibile non capire che l’Ucraina sta proteggendo l’intera Europa». Altri ironizzano scrivendo che «una cosa del genere la si può scrivere solo mentre si è al telefono con Vladimir Putin». E c’è chi ha sovrapposto il volto del patron di X e Tesla a quello del meme, commentando: «Quando sono passati cinque minuti senza che tu abbia sparso propaganda russa».

Musk prende in giro Zelensky su X con un meme: «Quando sono passati cinque minuti e ancora non hai chiesto un miliardo di dollari di aiuti».
Elon Musk (Getty Images).

Aveva fatto discutere anche il post contro le Ong tedesche 

Un’altra uscita spericolata di Musk sul suo X, arrivata a stretto giro da quella di venerdì 29 settembre, quando l’imprenditore sudafricano ha condiviso un post di RadioGenoa, che prima accusava le navi delle Ong tedesche «finanziate dal governo di Berlino» di «raccogliere immigrati clandestini da sbarcare in Italia», per poi augurarsi la vittoria di Alternative für Deutschland alle elezioni in Germania «per fermare questo suicidio europeo». Condividendo il post, il miliardario quindi si è chiesto: «I tedeschi ne sono consapevoli?». Negli stessi giorni però è volato al confine con il Messico, irrompendo nel dibattito sull’emergenza migranti negli Usa, sottolineando la necessità di «modificare il sistema dell’immigrazione illegale e consentire l’ingresso a chi lavora duramente, è onesto e può contribuire agli Stati Uniti».

Musk prende in giro Zelensky su X con un meme: «Quando sono passati cinque minuti e ancora non hai chiesto un miliardo di dollari di aiuti».
Volodymyr Zelensky (Getty Images).

Musk si è dimostrato ondivago anche sulla guerra in Ucraina

Noto per le posizioni politiche a dir poco ondivaghe (d’altra parte ha fatto della libertà di espressione la sua crociata), Musk anche sulla guerra in Ucraina ha adottato lo stesso approccio. Inizialmente ha messo a disposizione di Kyiv la rete satellitare Starlink, per consentire di mantenere comunicazioni in ambito civile e militare. Poi i rapporti si sono progressivamente deteriorati, sia per i costi (alla fine coperti da Washington), sia per una serie di uscite estemporanee a favore di negoziati di pace con Mosca. Secondo una biografia sul miliardario scritta da Walter Isaacson, nel 2022 Musk avrebbe addirittura sospeso la fornitura del servizio nei pressi dell’area costiera della Crimea, per evitare un attacco ucraino alla flotta russa, circostanza smentita dallo stesso magnate.

Spagna, notte di lavoro tra le macerie delle discoteche di Murcia

Si è continuato a lavorare e a scavare tra le macerie delle discoteche di Murcia totalmente distrutte dellincendio scoppiato all’alba di domenica 1 ottobre 2023 che ha provocato almeno 13 morti e 24 feriti. Nel palasport accanto, dove le autorità hanno raccolto i parenti delle vittime, continua la triste procedura dei riconoscimenti dei ragazzi morti, solo grazie al test del Dna. Quanto al bilancio delle persone scomparse, nella notte tra 1 e 2 ottobre mancavano all’appello cinque nomi. Nella mattinata di lunedì, il numero è sceso a due perché tre di loro, nella nottata, hanno contattato i rispettivi familiari. Intanto sono iniziati i tre giorni di lutto decisi dalla Regione di Murcia e alle 12 di lunedì 2 ottobre verrà osservato un minuto di silenzio alle porte dei municipi e nelle sedi delle principali istituzioni in omaggio alle vittime.

Egitto, maxi incendio in stazione della polizia a Ismalia: 100 feriti

Sono decine le persone rimaste ferite nell’incendio alla stazione di polizia di Ismalia, nel nord est dell’Egitto. Si temono morti, ma le autorità del Cairo non hanno confermato il bilancio delle vittime. Lo ha riferito l’emittente Al-Arabiya spiegando che la maggior parte dei feriti riporta ustioni e difficoltà respiratorie. Sul posto sono intervenute diverse squadre dei vigili del fuoco che hanno domato le fiamme. Le immagini diffuse mostrano anche il fumo alzarsi dall’edificio a più piani, completamente annerito.

Stato di emergenza negli ospedali della città

Fonti di Al Arabiya e Al Hadath hanno riferito che è stato dichiarato lo stato di emergenza in tutti gli ospedali della città del Canale di Suez per accogliere i feriti. Il ministro degli Interni egiziano, il generale Mahmoud Tawfiq, ha spiegato che sta seguendo le operazioni antincendio. È stata avviata un’indagine per individuare la causa dell’incendio e come si sia diffuso così rapidamente.

Trump: «Sarò in aula al processo contro di me a New York»

Donald Trump ha annunciato la sera di domenica che lunedì 2 ottobre si presenterà all’apertura del processo civile a New York in cui è accusato di aver gonfiato per anni il valore del patrimonio immobiliare e finanziario della sua società.

Trump: «In tribunale per difendere la mia reputazione»

«Lunedì mattina andrò in tribunale per combattere per il mio nome e la mia reputazione», ha scritto l’ex presidente americano e favorito repubblicano per le presidenziali Usa del 2024 in un messaggio pubblicato sulla piattaforma Truth, dove descrive il procuratore generale di New York come «corrotto» e il giudice incaricato del caso come «squilibrato».

Kyiv, un morto e sei feriti nel bombardamento russo nel Kherson

Il bombardamento russo nella regione meridionale di Kherson, in Ucraina, ha ucciso almeno una persona e ne ha ferite sei, tra cui due bambini: lo ha detto lunedì 2 ottobre il governatore regionale Oleksandr Prokudin, come riporta il The Guardian.

Prokudin, governatore regionale: «Sulla città di Kherson 20 attacchi»

Il governatore ha dichiarato su Telegram che le forze russe hanno lanciato 71 attacchi tra domenica 1 ottobre e lunedì 2  «mirati ai quartieri residenziali», nonché a negozi e infrastrutture mediche. Secondo quanto riferito dal governatore della regione, sono stati 20 gli attacchi aerei e terrestri che hanno colpito la città di Kherson.

 

Aziende straniere in Russia: la classifica aggiornata di Forbes

Forbes Russia ha pubblicato la classifica delle più grandi aziende straniere presenti sul mercato della Federazione Russa, relativa al 2022. Nell’anno dell’invasione dell’Ucraina molto è cambiato rispetto a quello precedente. Sono infatti 22 i colossi che hanno lasciato la Top 50, dopo aver completamente abbandonato il mercato russo o ridotto significativamente la loro presenza.

Come è cambiata la classifica delle più grandi aziende straniere presenti in Russia nel 2022 stilata da Forbes.
Un punto vendita Leroy Merlin in Russia (Getty Images).

Leroy Merlin e le altre: le aziende in vetta alla classifica

Dalla classifica è innanzitutto sparito il Gruppo Volkswagen, che nel 2021 era saldamente in testa. In vetta alla classifica del 2022 è così salita Leroy Merlin, che prima dello scoppio della guerra era al secondo posto, grazie a entrate per 529,7 miliardi di rubli (circa 5 miliardi di euro). Tuttavia, come precisa Forbes, si sa già che la catena francese di vendita al dettaglio di articoli per la casa non sarà presente nella lista 2023, in quanto ha annunciato l’intenzione di cedere il controllo della propria filiale russa, consentendo la prosecuzione delle attività per salvaguardare l’occupazione dei 45mila addetti attuali. Al secondo posto ecco la giapponese JT, quarta multinazionale del tabacco a livello globale, mentre al terzo si piazzano i rivali di Philip Morris. Seguono in top five PepsiCo e Auchan. Poi VimpelCom (multinazionale delle telecomunicazioni fondata a Mosca, ma con sede ad Amsterdam), Metro (azienda della grande distribuzione tedesca), Mars, Nestlé e Chery.

Come è cambiata la classifica delle più grandi aziende straniere presenti in Russia nel 2022 stilata da Forbes.
Uno stabilimento della bielorussa BelAZ (GettyImages).

La Top 50 tra grandi addii, ascesa della Cina e new entry

Sono uscite invece dalla top ten – e dalla classifica in generale – Renault (terzo posto nel 2021), Apple (quinto posto), Toyota Motor (settimo posto), Samsung (nono posto). Anche la geografia della classifica è cambiata, scrive Forbes. Ma non così tanto come ci si poteva invece aspettare. Anche se le aziende cinesi hanno aumentato la loro presenza nella lista (la prima è la già citata casa automobilistica Chery), quelle dei Paesi occidentali costituiscono ancora la maggioranza. Per la prima volta nella classifica entrano tuttavia aziende provenienti dalla Thailandia (CP Foods, conglomerato agroindustriale e alimentare), dal Kazakistan (Polymetal International, società mineraria) e dalla Bielorussia (BelAZ, specializzata nella produzione di veicoli da trasporto e scavo).

Argentina, l’economia al centro del dibattito presidenziale

Le ricette per uscire dalla grave situazione che attanaglia l’economia argentina, con un’inflazione al 124 per cento e la povertà oltre il 40 per cento, sono state al centro del dibattito ufficiale in vista delle presidenziali di ottobre che ha visto come protagonisti i cinque candidati emersi dalle primarie. L’ultraliberista Javier Milei, l’uomo della motosega che vuole farla finita con la «casta politica corrotta», ha affermato di essere «l’unico in grado di sterminare l’inflazione».

Milei: «profonda riforma dello stato»

Milei ha proposto in questo senso «una profonda riforma dello Stato, un taglio drastico della spesa, la riduzione del livello impositivo, privatizzazioni e la chiusura della Banca centrale». L’alfiere del peronismo e attuale ministro dell’Economia, Sergio Massa, ha proposto da parte sua «un programma di sviluppo» che fa leva su asset in forte crescita come energia e litio mantenendo l’equilibrio fiscale e riducendo progressivamente i principali fattori inflazionari. La lotta contro l’inflazione è priorità anche per la conservatrice Patricia Bullrich, che ha sottolineato di avere uno staff economico adeguato a questo scopo e una forte struttura politica per portare avanti il suo programma. La candidata della sinistra Miriam Bregman ha attribuito la colpa della crisi attuale ai governi assoggettati al Fondo monetario internazionale, mentre l’alfiere del peronismo moderato Juan Schiarett, ha manifestato principalmente la necessità di tornare a politiche di equilibrio fiscale.

Cosa c’è dietro gli interessi di Israele in Azerbaigian

In appena un paio di giorni l’Azerbaigian è riuscito a occupare il Nagorno Karabakh. Quella che Baku ha chiamato «operazione anti-terrorismo» è in realtà l’ennesimo atto di un conflitto che va avanti da decenni e che vede Armenia e Azerbaigian contendersi questa regione montuosa storicamente popolata da armeni, ma formalmente parte del territorio azero. Dall’armistizio del novembre 2020 che aveva congelato la situazione sul terreno, l’Azerbaigian si è ulteriormente rafforzato potendo contare del supporto dall’estero: Turchia, ma anche e soprattutto Israele.

Cosa c'e? dietro gli interessi di Israele in Azerbaigian
Netanyahu durante una visita a una scuola ebraica a Baku, nel 2016 (Getty).

A Quba abita una comunità ebraica da record: 3.500 persone

Pur contando una netta maggioranza di popolazione azera e musulmana, ai confini dell’Azerbaigian risiede una solida comunità ebraica. Quella degli ebrei del Caucaso, noti anche come ebrei della montagna, è una presenza che affonda le radici nella Storia: le prime comunità si sarebbero trasferite qui già diversi secoli avanti Cristo. Se gli ebrei della montagna costituiscono la parte per così dire “autoctona” della comunità ebraica azera, questa si completa di altri due sottogruppi la cui migrazione in Azerbaigian risale a tempi più recenti: da una parte gli ebrei aschenaziti, provenienti dall’Europa centrale, si stabilirono principalmente a Baku a partire dall’Ottocento, e dall’altra gli ebrei georgiani. Il principale luogo di residenza della più nutrita comunità di ebrei della montagna è il villaggio di Q?rm?z? Q?s?b? nel distretto nord-orientale di Quba: qui abitano circa 3.500 persone che rappresentano l’insediamento giudaico più grande al di fuori dei confini israeliani e statunitensi, e godono di una speciale protezione da parte dello Stato azero.

Cosa c'e? dietro gli interessi di Israele in Azerbaigian
Il distretto nord-orientale di Quba.

Il sodalizio tra Israele e Azerbaigian: armi in cambio di energia

Per questo motivo, già dall’aprile del 1992 Israele e Azerbaigian hanno intrecciato forti relazioni diplomatiche, al punto che lo Stato ebraico fu uno dei primi a riconoscere l’indipendenza di Baku. Nel corso degli anni il sodalizio si è rafforzato all’insegna di un trade-off tra i due Stati che prevedeva da parte israeliana la fornitura di armamenti e da parte azera l’apertura di un canale preferenziale sulle fonti energetiche e sul mercato interno che ha permesso a diverse compagnie israeliane di fare affari nel Caucaso.

Cosa c'è dietro gli interessi di Israele in Azerbaigian
L’autocrate azero Ilham Aliyev, a sinistra (Getty).

Così Israele è diventato in poco tempo il primo fornitore di armi dell’Azerbaigian, superando alleati storici come la Turchia e la Russia. L’uomo cardine di questa intesa è l’attuale primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che durante i suoi scorsi mandati ha compiuto notevoli sforzi nella direzione di creare un’intesa con il suo omologo, l’autocrate azero Ilham Aliyev, in carica dal 2003. Secondo una ricerca condotta nel 2021 dallo Stockholm International Peace Research Institute l’esportazione di armi israeliane verso l’Azerbaigian ha conosciuto un drastico incremento nel corso degli ultimi 10 anni. Nel decennio 2011-2020 Israele ha pesato sul 27 per cento delle forniture belliche azere, ma la maggior parte di questi scambi hanno avuto luogo nel quinquennio 2016-2020, quando le esportazioni israeliane hanno toccato il picco del 69 per cento.

Importazioni soprattutto di droni e missili balistici

Il grosso delle importazioni riguarderebbe droni e missili balistici di ultima generazione, ritenuti da molti analisti la chiave dell’attuale superiorità azera nel conflitto contro l’Armenia. L’altro lato della partnership riguarda, come si è detto, l’energia. Si calcola che circa il 30-40 per cento del fabbisogno petrolifero israeliano provenga dall’Azerbaigian attraverso l’oleodotto che collega Baku al porto turco di Ceyhan passando per Tbilisi e dunque bypassando il territorio armeno: negli anni, come ha documentato il ricercatore Alexander Murinson, questi legami si sono saldati all’insegna di concessioni all’estrazione petrolifera a largo delle coste israeliane.

Cosa c'è dietro gli interessi di Israele in Azerbaigian
Benjamin Netanyahu (Getty).

Il dissenso israeliano: «Niente accordi con uno Stato genocida»

Non tutta l’opinione pubblica israeliana è però schierata a favore di questa intesa. Già nel 2014 il quotidiano Haaretz ospitò un contributo dello storico Yair Auron, vicino alla causa armena, che attaccava il proprio governo spiegando che «vendere armi a uno Stato che sta commettendo un genocidio sarebbe per Israele come vendere armi alla Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale»: il punto per lo storico riguardava l’attitudine a fare affari con uno Stato colpevole di violare i diritti umani della popolazione armena dell’Artsakh – questo il nome armeno della regione del Nagorno Karabakh – mettendosi così sulla scia del genocidio che gli armeni subirono durante la Prima guerra mondiale e che tuttora non è riconosciuto come tale da Turchia e Azerbaigian. Ancora più di recente, un’inchiesta dello stesso quotidiano condotta dai giornalisti Avi Scharf e Oded Yaron ha denunciato il traffico di armamenti che collega i due Paesi: i reporter hanno contato 92 voli condotti dalla compagnia azera Silk Way dall’aeroporto israeliano di Ovda situato nel sud del Paese a uno scalo militare azero nella periferia della capitale Baku.

L’errore di aver riposto la sicurezza del Paese nelle mani della Russia

Ad agosto 2023 una protesta organizzata dalla comunità armena in Israele ha radunato appena 30 persone di fronte al ministero degli Esteri di Gerusalemme per manifestare contro la chiusura del corridoio di Laç?n, unico collegamento tra l’Armenia e l’Artsakh, volta ad affamare la popolazione armena della regione indipendentista. La protesta è però rimasta inascoltata e non ha riscosso il successo sperato. In un’intervista pubblicata a settembre da Repubblica al premier armeno Nikol Pashinyan, il primo ministro ha ammesso l’errore strategico di aver riposto la sicurezza del suo Paese nelle mani della Russia, alleato abituato da sempre a fare da paciere nel Caucaso ma che oggi appare scomodo e impegnato in un altro teatro bellico ben più impegnativo, l’Ucraina. L’unico alleato internazionale dell’Armenia ora pare essere la sua nutrita e rumorosa diaspora che però non riesce a influenzare i governi nei confronti di questa invasione. Così, nel silenzio della comunità internazionale, l’Azerbaigian si prepara a reintegrare la regione favorendo l’esodo forzato degli armeni.

Crosetto contro la Germania sui migranti: «Coerente e geniale»

Sul tema della gestione europea dei migranti la tensione resta alta tra Italia e Germania. La distanza è tanta e non appare colmabile per il momento. «Si cerca di bloccare l’immigrazione in una parte d’Europa e se ne agevola il trasporto in un’altra. Coerente e geniale». Così il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato su X l’annuncio del cancelliere tedesco Olaf Scholz di controlli aggiuntivi ai confini con l’Austria e congiunti con Svizzera e Repubblica Ceca per fare fronte ai troppi rifugiati, mentre Berlino allo stesso tempo finanzia ong che nel Mediterraneo offrono soccorso ai migranti partiti su barchini dalle coste africane.

Tajani: «In Germania sono in campagna elettorale»

«Il cancelliere tedesco può dire quello che vuole. Loro hanno immigrazione secondaria, noi abbiamo un problema di immigrazione primaria. Abbiamo previsto una strategia. Noi dobbiamo guardare alla strategia, alla solidarietà europea. In Germania sono in campagna elettorale, però c’è un problema importante da risolvere, non è solo la campagna elettorale.», ha detto ministro degli Esteri, Antonio Tajani, commentando l’annuncio di Scholz. «Noi vorremmo capire qual è la posizione tedesca, non è chiaro quello che dicono. Valuteremo, vedremo, i migranti che vogliono andare in Germania, non è che li devono mandare in Italia».

Crosetto contro la Germania sui migranti: «Coerente e geniale». L’ironia del ministro della Difesa italiano.
Migranti assistiti dalla Croce Rossa a Lampedusa (Getty Images).

La Tunisia, spiega il governo, «non può agire come un gendarme»

La Tunisia «non può in alcun modo agire come un gendarme» la cui missione è proteggere i confini degli altri. Può solo difendere i suoi confini, le proprie frontiere. Ad affermarlo è stato su Facebook il ministro dell’Interno di Tunisi, Kamel Fekih, aggiungendo che le migrazioni irregolari sono una questione che richiede sacrifici e concessioni reciproche da parte dei Paesi più ricchi del mondo. La Tunisia, ha aggiunto, il ministro è uno Stato che non può accogliere flussi massicci di migranti irregolari aldilà delle sue capacità sociali e finanziarie, né può fare da Paese ospitante.

Prigozhin ha lasciato 116 milioni di euro in eredità al figlio Pavel

Nel suo testamento Yevgeny Prigozhin ha destinato tutti i suoi averi al figlio 25enne Pavel, che però dovrà fare una non meglio specificata «donazione di azioni» e condividere l’eredità con i suoi familiari. Il documento, che sembrerebbe essere l’ultimo in ordine di tempo firmato dal fondatore del Gruppo Wagner, sta facendo il giro dei gruppi Telegram.

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Mosca ha contratto inoltre un enorme debito con le società di Prigozhin

Come scrive il collettivo The Insider, sommando le entrate delle società con il valore delle proprietà, il figlio dell’ex chef di Putin dovrebbe ottenere circa 12 miliardi di rubli (116 milioni di euro). Una stima simile a quella già fatta da Business Petersburg nel 2019, che parlava di una fortuna di 14,6 miliardi di rubli. Senza considerare il debito tra i 75 e gli 80 miliardi di rubli (circa 785 milioni di euro) che il ministero della Difesa ha contratto con le società di Prigozhin e che il figlio Pavel – scrive sempre The Insider – sarebbe intenzionato a riscattare immediatamente.

Dietro il successo dell’app Temu c’è il genio dell’e-commerce cinese Colin Huang

“Compra da miliardario”. Lo slogan di Temu, la nuova applicazione cinese di shopping online, ha fatto breccia anche in Italia. Sempre più persone hanno installato, anche solo per curiosità, questa app che promette di fare concorrenza alle rivali del settore, compresa la regina indiscussa del low cost cinese: AliExpress. La sua presenza sui social network e, più in generale sulla Rete, è in costante aumento, con pubblicità e banner piazzati nei luoghi più strategici per attirare l’attenzione di potenziali clienti. Dietro al successo globale di Temu, basato prevalentemente su prezzi bassi, c’è la mente di Colin Huang, fondatore e amministratore delegato, fino al 2021, di Pdd Holdings, società nata a Shanghai che controlla Pinduoduo, popolarissima piattaforma di e-commerce in Cina, e appunto Temu.

Dietro il successo dell'app Temu c'e? il genio dell'e-commerce cinese Colin Huang
Una delle rare foto di Colin Huang.

Vendita diretta dei prodotti e uso del social commerce

Le creature gemelle “partorite” da Huang si affidano a due particolari metodi di business: la vendita diretta dei prodotti – dai vestiti all’oggettistica per la casa – dai commercianti ai consumatori finali, e l’ampio ricorso al social commerce, cioè l’acquisto di quegli stessi beni all’interno dei social network grazie a video ed eventi ad hoc. Il risultato finale è coinciso con una valanga di clic che hanno trasformato Pdd in una ricchissima azienda, mentre Colin Huang in uno degli uomini più ricchi della Cina (al nono posto nella classifica dei Paperoni del Paese) e del mondo (40esimo), con un patrimonio stimato di oltre 33 miliardi di dollari.

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L’app Temu (Getty).

Umili origini? No, scuole d’élite e grandi aziende

Dimenticatevi la storia di Jack Ma e Alibaba, del ragazzo di umilissime origini che, quasi per caso e dal niente, fonda una compagnia miliardaria. Huang, classe 1980, ha avuto un percorso diverso. Fin da bambino sognava di diventare uno scienziato e, grazie alle sue qualità, ha potuto frequentare le scuole migliori. Ha conseguito un master in informatica all’Università del Wisconsin, negli Usa, ha fatto uno stage a Microsoft, a Pechino poi a Seattle, prima di iniziare la sua carriera a Google, negli Stati Uniti, nel 2004. Due anni più tardi è rientrato in patria con il compito di espandere i servizi della compagna americana oltre la Muraglia. Si dimetterà un anno più tardi per avviare, in proprio, un sito di e-commerce, Oku, che poi rivenderà nel 2010 per 2,2 miliardi di dollari.

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Jack Ma, fondatore di Alibaba (Getty).

Ha capito prima di altri il boom dei pagamenti mobile

Nel 2015, nonostante l’industria dell’e-commerce fosse dominata da Alibaba e JD.com, Huang ha deciso di fondare Pinduoduo. Nel panorama cinese mancava una piattaforma che consentisse ai consumatori delle città di seconda o terza fascia, lontane dalle scintillanti metropoli, di comprare online prodotti non disponibili nei negozi fisici, a un prezzo stracciato grazie al modus operandi sopra descritto. Ebbene, Huang ha capito, presto e prima di altri, che il boom dei pagamenti mobile in Cina avrebbe cambiato la vita delle persone. Da qui la sua scelta di lanciare Pinduoduo (traducibile in “sempre più coupon”). Nel giro di tre anni, l’azienda avrebbe registrato un fatturato 280 milioni di dollari, schizzato a 4,33 miliardi di dollari nel 2019. Nel frattempo, nel 2018, la società era stata quotata in Borsa, negli Usa, in seguito a un’Ipo che aveva raccolto 1,6 miliardi di dollari.

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Colin Huang ha un patrimonio stimato di oltre 33 miliardi di dollari.

Si poco o nulla sulla vita privata di Colin Huang

I media cinesi hanno sempre descritto Huang come persona misteriosa. Sappiamo poco o niente sulla sua vita privata, compreso il fatto se sia o meno sposato. Questa segretezza, ha notato anche il Financial Times, si estende fino a Pinduoduo, dove i dipendenti sarebbero soliti usare soprannomi e risulterebbe raro conoscere i veri nomi dei colleghi. L’azienda ha oggi un valore che supera i 135 miliardi di dollari, una valutazione superiore a quella di Uber e Sony. Su Pinduoduo le persone acquistano oggetti a prezzo di saldo, giocando a coinvolgere gli amici per “acquistare in gruppo” e usufruendo così di sconti enormi.

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Un disegno del fondatore di Temu Colin Huang.

La società prende solo una piccola commissione e fa affari d’oro

L’azienda si limita a prendere una piccola commissione e fa pagare i venditori per promuovere i loro prodotti sulla sua app. Nel 2022, il gruppo ha lanciato negli Stati Uniti una app gemella di Pinduoduo, chiamata Temu. I prezzi sono bassi e l’approccio è pressoché identico. Di conseguenza, anche quest’ultima applicazione, pensata appositamente per fare breccia in Occidente, ha attirato masse di acquirenti. A loro volta, i venditori son ben felici di pagare per avere la loro pubblicità sulla piattaforma. È questa, in sostanza, la chiave del modello commerciale dell’azienda.

Israele ha scarcerato Khaled El Qaisi

Khaled El Qaisi, il giovane italo-palestinese detenuto in prigione in Israele dal 31 agosto, è stato scarcerato. Lo ha deciso un tribunale di Rishon le Tzion, ma a condizione che per sette giorni resti a disposizione delle autorità e lasci il passaporto in consegna. La notizia è stata confermata dalla moglie Francesca Antinucci: «Per una settimana non può muoversi dai Territori».

Israele ha scarcerato Khaled El Qaisi ma per sette giorni il ricercatore italo-palestinese deve restare a disposizione delle autorità.
Il valico di Allenby, dove El Qaisi è stato fermato (Ansa).

Era stato fermato al valico con la Giordania il 31 agosto

El Qaisi dovrebbe trascorrere a Betlemme i sette giorni, che terminano l’8 ottobre e che sono legati alle indagini sul suo conto ancora in corso da parte delle autorità inquirenti. Era stato arrestato il 31 agosto da agenti di polizia israeliani al valico con la Giordania, mentre era diretto verso l’aeroporto di Amman per far rientro a Roma con la famiglia, dopo aver trascorso un periodo di vacanza in Cisgiordania con la moglie Francesca e il figlio piccolo.

Nei suoi confronti non era stato formulato alcun capo di accusa

Studente di lingue e civiltà orientali all’università La Sapienza di Roma, fondatore del Centro documentazione palestinese e attivista dei Giovani Palestinesi d’Italia, El Qaisi ha subito ben quattro udienze, nelle quali non è stato formulato nessun capo di accusa. Secondo quanto emerso, le autorità di Israele lo hanno fermato e poi detenuto perché insospettite da alcune frequentazioni del ricercatore, una volta tornato a casa a Betlemme, nell’ambito di un’inchiesta più ampia per terrorismo condotta dalla magistratura di Tel Aviv.

Ankara, attentato kamikaze davanti al ministero dell’Interno

Paura ad Ankara, colpita da un attentato terroristico nei pressi del ministero dell’Interno, nel giorno in cui in Parlamento inizia il secondo anno legislativo del 28esimo mandato della Grande Assemblea Nazionale turca.

Uno dei due terroristi si è fatto esplodere

«Intorno alle 09.30, ad Ankara, due terroristi sono giunti con un veicolo commerciale leggero davanti al cancello d’ingresso della Direzione generale della sicurezza del nostro Ministero degli Affari interni, hanno messo in atto un attentato. Uno dei terroristi si è fatto esplodere e l’altro è stato neutralizzato. Nell’esplosione sono rimasti uccisi anche due agenti di polizia», ha scritto su X il ministro dell’Interno Ali Yerlikaya.

Prima dell’attentato kamikaze, riportano i media turchi, erano stati uditi alcuni colpi di pistola sul viale ?smet ?nönü, nei pressi della Grande Assemblea Nazionale turca e dei ministeri.

Il partito del filorusso Fico ha vinto le elezioni in Slovacchia

I socialdemocratici nazionalisti di sinistra dell’ex premier filorusso Robert Fico hanno vinto le elezioni parlamentari in Slovacchia. Secondo i risultati preliminari diffusi dalla commissione elettorale di Bratislava, dopo lo spoglio di quasi il 99 per cento dei distretti elettorali il partito d’opposizione Smer ha ottenuto il 23,3 per cento dei voti. Il partito populista slovacco, contrario agli aiuti all’Ucraina, ha superato i centristi filo-Ue del Progresivne Slovensko (Slovacchia progressista, che si è fermato al 17,03 per cento dopo essere stato in testa nei primi exit poll.

Il partito del filorusso Fico ha vinto le elezioni in Slovacchia. Lo Smer ha ottenuto oltre il 23 per cento. Affluenza più alta dal 2002.
L’affluenza alle urne ha superato il 67 per cento (Getty Images).

L’affluenza alle urne in Slovacchia è stata la più alta dal 2002

L’affluenza alle urne è stata del 67,4 per cento, la più alta dal 2002. Il voto, in un Paese da 5,4 milioni di abitanti membro dell’Ue e della Nato, era considerato decisivo per sapere se la Slovacchia resterà sulla sua strada filo-occidentale oppure se si rivolgerà maggiormente alla Russia. La presidente slovacca Zuzana Caputova ha dichiarato che affiderà la formazione del prossimo governo al leader del partito vincitore, indipendentemente dalle sue «preferenze personali» come ex membro del Ps, partito guidato da Michal Simecka. Smer ha comunicato che non commenterà il voto fino alla sera del primo ottobre.

Il partito del filorusso Fico ha vinto le elezioni in Slovacchia. Lo Smer ha ottenuto oltre il 23 per cento. Affluenza più alta dal 2002.
Slovacchia Progressista si è fermata al 17 per cento (Getty Images).

Ora la sfida di formare una coalizione sufficiente a controllare il Parlamento

Già premier fra il 2012 e il 2018, Fico era stato costretto a dimettersi dopo le proteste innescate dall’assassinio del giornalista autore di inchieste sulla corruzione del partito al potere, Jan Kuciak e della sua compagna. Favorevole allo stop dei rifornimenti di armi a Kyiv e contrario all’adesione dell’Ucraina alla Nato, Fico ora si trova davanti alla sfida di formare una coalizione con una maggioranza sufficiente a controllare il Parlamento e non è scontato che ci riesca. Peter Pellegrini, il cui partito Voice-Sd è arrivato terzo con il 15 per cento dei voti, si è congratulato con il vincitore delle elezioni, offrendosi come partner per i colloqui di coalizione: «Secondo logica Fico sarà il primo a rivolgersi al nostro partito per negoziare un governo». In Parlamento entrano sette partiti, compreso il Partito nazionale slovacco.

Il partito del filorusso Fico ha vinto le elezioni in Slovacchia. Lo Smer ha ottenuto oltre il 23 per cento. Affluenza più alta dal 2002.
Robert Fico (Getty Images).

L’eredità della Wagner post Prigozhin in Africa e gli interessi incrociati

Dopo la morte del fondatore e leader del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin, il 23 agosto 2023, il destino della compagnia paramilitare russa si è fatto nebuloso sia in Russia sia in Ucraina, dove ha dato per più di un anno un contributo notevole all’esercito di Mosca. Sembra invece più sicuro che il gruppo continuerà a operare in Africa per non perdere il capitale di investimenti, relazioni e fiducia. O almeno tenterà di farlo. Lo pensano diversi analisti e lo ha annunciato la stessa Wagner tramite una dichiarazione rilasciata attraverso il canale Telegram del defunto Prigozhin: il gruppo è ancora operativo e non ha intenzione di sciogliersi. Wagner è stata particolarmente attiva in Mali, dove sostiene le forze militari locali contro i ribelli della Coalition des Mouvements de l’Azawad e altre milizie jihadiste, ma ha ancora dei contratti da onorare anche in Repubblica Centrafricana e Sudan. La domanda da farsi allora è: chi erediterà il tesoro di Prigozhin?

Protezioni alle élite al potere, ma pure interessi economici non ufficiali

Facciamo un passo indietro: Wagner, ufficialmente Wagner Pmc, è una società di sicurezza privata creata nel 2014 da Prigozhin, uomo allora vicino al presidente russo Vladimir Putin. Di chiaro stampo filo nazista, i suoi mercenari, meglio pagati dell’esercito russo, operano in diversi continenti e hanno fatto il gioco sporco per il Cremlino in teatri di guerra o zone di instabilità. Wagner è stata presente prima in Siria durante la guerra civile e da qualche anno è molto radicata in Africa. Nel continente africano però non addestra solo i militari locali, al fianco dei quali spesso anche combatte, non offre solo protezioni alle élite al potere, ma ha anche grandi interessi economici non ufficiali. Gestisce per esempio l’estrazione e il commercio di materie prime: oro, diamanti e legno su tutti, con un giro di denaro miliardario. Non solo: la compagnia produce localmente birra e vodka e traffica in armi e carburante. Anche per questo il controllo di Wagner in Africa è tanto appetibile.

L'eredita? della Wagner post Pigozhin in Africa e gli interessi incrociati
Il funerale di Prigozhin (Getty).

Il “traduttore” Dimitry Sytyii: uno degli ultimi a vedere vivo Prigozhin

In questa corsa la singola figura che sta emergendo maggiormente è quella di Dimitry Sytii, per via del ruolo che già ricopriva con l’ex leader di Wagner in vita. Sytii, ha ricostruito il Wall Street Journal in un lungo articolo, ha 34 anni e un passato di studi economici tra San Pietroburgo e Parigi, dice di parlare fluentemente quattro lingue: russo, inglese, francese e spagnolo. Ha iniziato accompagnando in Africa Prigozhin per fargli da traduttore ed è stato uno degli ultimi a vederlo vivo nel suo viaggio nel continente poco prima della caduta dell’aereo su cui volava in Russia.

L'eredita? della Wagner post Pigozhin in Africa e gli interessi incrociati
Dimitry Sytii (a destra) è l’ex traduttore di Prigozhin.

Gestisce anche una fabbrica di troll e altri media di propaganda

Sytii ufficialmente dirige la Maison Russe, il centro culturale russo di Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana, ma secondo l’organizzazione no profit All Eyes on Wagner gestirebbe società legate ai mercenari che si occupano dell’esportazione delle preziose materie prime dal Paese, oltre a una famosa fabbrica di troll e altri media di propaganda. Il “traduttore” avrebbe poi buoni rapporti ad alti livelli con la politica centrafricana e dei Paesi confinanti. Anche se è il nome più accreditato per gestire nell’immediato almeno una parte delle relazioni e degli affari di Prigozhin, Sytii non sembra avere le entrature e la protezione necessarie in Russia, di cui invece l’ex leader godeva. E se diventerà o meno il successore di Prigozhin si deciderà probabilmente più a Mosca che in Africa.

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Dimitry Sytii.

Per la Wagner sostenimento impossibile senza l’appoggio della Russia

Il gruppo Wagner, per continuare le sue operazioni, probabilmente potrà sostenersi nel breve termine anche senza il suo leader, ma nel medio-lungo termine avrà difficoltà a farlo senza l’appoggio della Russia, pensano diversi osservatori. È quello che ha detto apertamente anche il segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, a Gibuti, dove si trovava per la prima tappa di un tour dell’Africa. Tanto più che insieme al leader carismatico è venuta a mancare tutta la catena di comando di Wagner. Nello schianto dell’aereo di Prigozhin sono morti pure il suo vice Dmitry Utkin e Alexander Totmin, guardia del corpo personale e capo delle operazioni di Wagner in Sudan. Secondo Austin, citato dal magazine Foreign Policy, quello che ci aspetta ora con maggiore probabilità è una serrata competizione tra i vari ranghi delle forze di sicurezza russe per stabilire chi sarà il prossimo capo.

L'eredita? della Wagner post Pigozhin in Africa e gli interessi incrociati
Una bandiera della Wagner (Getty).

Gli altri nomi in campo: dal figlio Pavel agli interessi di società private

È infatti difficile credere che la successione rimanga solo un affare interno alla compagnia. Secondo alcuni, anche il figlio ventenne di Prigozhin, Pavel, avrebbe interesse nel prendere la gestione degli affari del padre, ma è troppo giovane, e senza legami solidi in Russia o in Africa per tirare le redini delle operazioni di Wagner nel continente. Mosca invece si sta già muovendo per tenere Wagner più vicino a sé dopo l’ammutinamento dei suoi mercenari che a giugno si sono fermati a soli 400 chilometri dal Cremlino. Oltre a questo, a fare gola sono ovviamente gli affari del gruppo. Secondo quanto ricostruito dal New York Times, il servizio di intelligence straniero, Svr, e l’agenzia di intelligence militare, Gru, sono entrambi intenzionati a rilevare alcune operazioni di Wagner. Anche per questo una delegazione russa guidata dal vice ministro della Difesa Yunus-bek Yevkurov e da Andrei Averyanov, capo del gruppo di élite del Gru, ha incontrato i leader di Burkina Faso e Mali, offrendo loro rassicurazioni. Lo stesso ha fatto in Libia con il maresciallo Khalifa Haftar poco prima della morte di Prigozhin. Ci sono poi altre società private russe di mercenari interessate a prendere il posto o inglobare Wagner. Una di queste, Patriot, fa capo direttamente al ministro della Difesa russo Serghei Shoigu. Un’altra, Potok, alla società energetica Gazprom.

Romania, allerta per possibile sconfinamento di droni russi durante un attacco all’Ucraina

La Romania ha riferito di una possibile violazione del suo spazio aereo durante gli attacchi dei droni russi nella notte tra venerdì 29 e sabato 30 settembre 2023 alle infrastrutture della vicina Ucraina. Il ministero della Difesa ha riferito che, «in seguito al rilevamento di gruppi di droni che si dirigevano verso il territorio ucraino vicino al confine rumeno», i residenti delle municipalità di Tulcea e Galati sono stati allertati. «Il sistema di sorveglianza radar ha indicato un possibile ingresso non autorizzato nello spazio aereo nazionale, con un segnale rilevato su una rotta verso il comune di Galati», ha aggiunto.

Nessun oggetto sembra essere caduto in territorio rumeno

Sempre la Difesa ha dichiarato che nessun oggetto sembra essere caduto in territorio rumeno, ma le ricerche continueranno. Intorno alla mezzanotte, i residenti di Galati e Tulcea, che si affacciano sul porto di Reni nell’Ucraina meridionale attraverso il Danubio, hanno ricevuto un avviso che li invitava a mettersi al riparo. Le misure di allerta sono state revocate circa due ore dopo. All’inizio di settembre, i soldati rumeni hanno costruito rifugi antiaerei per proteggere i residenti del villaggio rumeno orientale di Plauru dopo il ritrovamento di frammenti di droni nella zona.

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