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La Cina, il progetto di sinizzazione delle minoranze musulmane e i problemi col mondo arabo
La denuncia arriva direttamente Human Rights Watch, una delle principali organizzazioni che si occupano della tutela dei diritti umani nel mondo. E non è nemmeno una novità. Il governo della Repubblica popolare cinese sta proseguendo nel proprio progetto di cosiddetta “sinizzazione” delle minoranze etniche, in particolare di religione musulmana, iniziato all’incirca nel 2014 con l’era Xi Jinping e la persecuzione degli uiguri, una popolazione di circa 11 milioni di persone che abita la regione autonoma dello Xinjiang, nel Nord-Ovest del Paese, e che oggi si riverbera in una sistematica distruzione, chiusura o riconversione architettonica e strutturale di almeno un migliaio di moschee presenti in altre due regioni autonome del Nord, cioè Ningxia e Gansu. L’azione delle autorità locali, che secondo Hrw va avanti almeno dal 2018, è incentrata sulla limitazione radicale della pratica e dell’espressione della religione islamica tramite una sorta di adeguamento alla attuale società cinese. All’interno del suo rapporto, Hrw ha pubblicato anche una serie di fotografie che mostrano come l’intervento delle autorità abbia rimosso alcune peculiarità tradizionalmente appartenenti alle moschee, come minareti e cupole, o ne abbia distrutto direttamente le sale da preghiera.
La religione musulmana è considerata minacciosa
Secondo le parole di Elaine Pearson, direttrice della sezione asiatica di Hrw, la pratica di sinizzazione portata avanti su volontà del Partito comunista cinese mira a una «repressione della pratica religiosa musulmana, poiché considerata un’entità minacciosa che necessita di essere controllata». In un documento datato aprile 2016, nell’ambito della Conferenza nazionale sul lavoro religioso, il segretario generale del Pcc Xi Jinping ha espressamente presentato quelli che sarebbero stati i nuovi scopi e le direttive del partito in materia di minoranze religiose, secolarizzazione e salvaguardia della coesione nazionale.
L’obiettivo è un adattamento alla società socialista
Nel corso del suo intervento, ha sottolineato la necessità di «sviluppare una teoria religiosa di tipo socialista con caratteristiche cinesi» che sia in grado di «guidare la religione verso un adattamento alla società socialista». Per compiere questo obiettivo sarebbe poi stato fondamentale «unire le grandi masse religiose del Paese a quelle non religiose», con il fine ultimo del bene più importante «dell’unità sociale» per la realizzazione del socialismo con caratteristiche cinesi. Un concetto fondamentale in Cina, che corrisponde a uno stato di pace, armonia e stabilità interno alla nazione.
Su 1,5 miliardi di persone ci sono 55 gruppi etnici minoritari
La tendenza a “cinesizzare” o adattare tutto ciò che può essere motivo di contrasto a questa armonia è stato un concetto spesso ripreso da molti sinologhi nello studiare la politica di centralizzazione e rigido controllo portata avanti dal Pcc. La Repubblica popolare vanta infatti una composizione etnica invidiabile per uno Stato intento a edificare un grande profilo di potenza capaci di affermarsi nel sistema internazionale. Circa il 92 per cento della popolazione cinese infatti è di etnia han e abita la parte orientale del Paese, più prossima alle coste e alle megalopoli. A fronte di una popolazione complessiva di circa 1,5 miliardi di persone però, la presenza di 55 gruppi etnici minoritari non è di certo un numero irrisorio e insignificante. Uno studio condotto da Pew Research Center nel 2009 ha infatti quantificato il numero di musulmani in Cina in circa 21 milioni, di cui 11 presenti solo nello Xinjiang, dove costituiscono la componente etnica maggioritaria.
Pechino vuole però intensificare i rapporti col mondo arabo
In virtù di queste politiche persecutorie messe in atto da Pechino, è utile capire come la Cina sarà in grado di conciliare queste violazioni dei diritti umani dei musulmani con il tentativo di avvicinamento e intensificazione dei rapporti col mondo arabo-musulmano. Gli apparati diplomatici cinesi si sono infatti impegnati molto negli ultimi mesi per aumentare la propria influenza nel mondo arabo non solo da un punto di vista economico e per quanto riguarda il progetto della Nuova via della seta, ma anche e soprattutto per proporsi come potenza conciliatrice alternativa alla guida statunitense, arrivando a favorire il difficile riavvicinamento diplomatico fra Iran e Arabia Saudita nel marzo del 2023 ed elaborando un piano in tre punti per risolvere la questione palestinese quando nel giugno del 2023 il presidente dell’Anp Mahmoud Abbas è stato ricevuto a Pechino da Xi Jinping.
Xi da subito critico con la reazione di Israele
Nell’ambito della guerra fra Israele e Hamas, nonostante una breve parentesi di ambiguità iniziale, Pechino si è infatti schierata apertamente con i Paesi arabi criticando l’eccesso di autodifesa messo in pratica da Israele nella striscia di Gaza. Lo stesso conflitto ha mostrato però l’importanza del credo religioso per i Paesi arabi come collante, in grado di influenzarne l’unità e l’orientamento diplomatico e delle alleanze internazionali. Un elemento che la Cina non potrà sicuramente permettersi di ignorare.