Quali sono i rischi che corrono gli Usa per il coronavirus

La pandemia si allarga anche negli Stati Uniti. Ma il sistema sanitario davanti a un incremento dei contagi rischia di implodere. Dai milioni di cittadini non assicurati alla carenza di posti letto: una radiografia che spaventa.

Alla fine anche negli Stati Uniti è stata superata la soglia psicologica dei mille contagiati. Secondo gli ultimi aggiornamenti i casi positivi al coronavirus sono 1.312, con focolai in California, a New York e Seattle. L’approdo del Covid-19 in America ha aperto nuove questioni sulla tenuta del sistema sanitario a stelle e strisce.

Il 10 marzo, arrivando a Capitol Hill per un incontro coi senatori repubblicani, Donald Trump ha continuato a minimizzare: «State calmi, il coronavirus se ne andrà», salvo poi disporre il blocco dei voli dall’Europa. Il riferimento del tycoon è ai milioni di americani preoccupati per la diffusione del contagio. Preoccupazione non del tutto infondata.

Mentre l’Italia, con Cina, Iran e Corea del Sud si trovano al centro della pandemia, gli Usa temono l’aumento repentino dei casi e dei decessi, arrivati già a 38, 30 dei quali nello stato di Washington. Il rischio è che il sistema sanitario Usa, vista la sua stessa struttura e l’organizzazione del lavoro, non riesca a reggere la pressione di una diffusione massiccia del Sars-CoV-2.

  • La mappa dei contagi aggiornata all’11 marzo (Fonte: Johns Hopkins university)

IL COMPLICATO RAPPORTO TRA AMERICANI E SISTEMA SANITARIO

Nel 2018 l’Università di Chicago e il West Health Institute hanno realizzato uno studio sul rapporto tra i cittadini americani e la salute. Fra le varie cose nel sondaggio emerse che nel corso dell’anno circa il 40% degli americani normalmente aveva saltato esami o trattamenti medici raccomandati e che il 44% non era mai andato dal medico se malato. La motivazione principale data dagli interpellati è stata sempre la stessa: paura dei costi. David Blumenthal, presidente del think tank Commonwealth Fund, ha spiegato al Guardian che le persone con malattie gravi di ogni tipo rimandano le cure se non hanno l’assicurazione o hanno franchigie elevate.

OGGI QUASI 28 MLN DI CITTADINI NON HANNO L’ASSICURAZIONE

Attualmente 27,9 milioni di americani sono sprovvisti di assicurazione, circa il 10,4% della popolazione sotto i 65 anni. Questo aspetto rappresenta uno dei primi fattori di rischio nel caso di un allargamento dell’epidemia. I cittadini senza assicurazione hanno maggiori possibilità di appoggiarsi al Pronto soccorso di fatto creando le condizioni per aumentare le infezioni. Ma il sistema delle assicurazioni non è il solo a mettere a rischio la tenuta complessiva. Uno studio del Commonwealth Fund del 2017 ha mostrato come gli Usa siano uno dei Paesi più inefficienti nella capacità di fornire assistenza primaria. Da un lato, si legge nel dossier del think tank, gli Stati Uniti sono ai primi posti per le misure che coinvolgono il rapporto medico-paziente sul piano della prevenzione e dei comportamenti, ma molto carenti quando si parla di coordinamento e gestione dei flussi di informazioni tra chi si occupa di fornire le cure, gli specialisti e gli operatori dei servizi sociali. Non solo. Gli Usa sono anche uno dei Paesi con il più alto tasso di ricoveri ospedalieri evitabili.

IL RISCHIO DI LAVORATORI MALATI

C’è però un altro aspetto molto importante da tenere presente. Secondo il Bureau of Labor Statistics circa un quarto degli americani non ha forme di congedo pagato per malattia. Una cifra che sale al 41% in alcuni settori come l’edilizia, l’agricoltura e la pesca. Secondo un rapporto dell‘Istitute for Women’s Policy Research, nel 2009 almeno tre lavoratori su 10 hanno continuato a lavorare pur avendo contratto l’influenza suina H1N1. Un fenomeno che potrebbe essere stato alla base di oltre 7 milioni di infezioni. Una situazione che potrebbe ripresentarsi con il Covid-19.

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Per tutti i lavoratori con il salario minimo a 10 dollari l’ora restare a casa per arginare il contagio non è un opzione praticabile. Secondo un rapporto del Center for American Progress del 2012 il 38% dei lavoratori nel settore privato non aveva giorni pagati di malattia, percentuale che supera il 70% per chi ha lavori part-time.

  • Impieghi nel settore privato senza giorni di malattia pagati.

A rendere tutto ancora più ingarbugliato è il fatto che questa massa di lavoratori include molte categorie a contatto con il pubblico: autisti, camerieri, persone che assistono gli anziani o impiegati nella gig economy. Tutti lavori scoperti dal telelavoro. Un dato su tutti: nel 2014 il Centers for Disease Control and Prevention ha rilevato che un lavoratore su cinque nel settore della ristorazione si è presentato a lavoro malato con sintomi che andavano dalla diarrea al vomito, spiegando di averlo fatto per paura di perdere il lavoro.

Non va però meglio per chi ha i permessi malattia. Secondo l’ufficio di statistica statunitense nel settore privato i giorni massimi che un lavoratore può chiedere per malattia, indipendentemente dall’anzianità, sono sette e salgono a otto per chi lavora in azienda da almeno 20 anni. Numeri ridottissimi che rappresentano solo la metà del tempo previsto per una quarantena.

LE FRAGILITÀ DEL SISTEMA OSPEDALIERO

Il mix tra sistema delle assicurazioni e cultura del lavoro si abbatte su un sistema ospedaliero che soffre di alcune carenze. In particolare per quanto riguarda la capacità di avere forze e posti di riserva in caso di crisi. Secondo i dati dell’Ocse nel 2016 il numero di ospedali ogni milione di abitanti era di 17,1, in calo di tre punti e mezzo dal 2000. In 16 anni sono state chiuse 276 strutture.

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Per l’Italia invece il tonfo è stato più forte: nel 2000 gli ospedali per milione di abitanti erano 23,2, oggi sono 17,56.

LA CARENZA DI POSTI LETTO

Il vero problema per gli americani è dato però dal numero dei posti letto. Secondo gli ultimi dati disponibili nel 2016 erano solo 2,77 ogni mille abitanti, mentre nel nostro Paese sono leggermente più alti a 3,18. Non solo. Gli ospedali americani hanno un altro problema che riguarda il tasso di occupazione dei letti disponibili. Secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention nel 2017 almeno il 65,9% dei posti era occupato. Questo significa che dei circa 894 mila posti letto quelli liberi sono poco meno di 305 mila. Ora tutto dipende da quanto l’epidemia si possa allargare. Secondo un report del Johns Hopkins University Center for Health Security pubblicato verso la fine di febbraio i dati non sono incoraggianti.

Gli scenari delineati sono due: uno basato sull’epidemia di influenza del 1968, e l’altro sulla spagnola che colpì milioni di persone in tutto il mondo nel 1918. Nel primo caso almeno 38 milioni di americani avrebbero bisogno di cure mediche, 1 milione di essere ricoverati e 200 mila di andare in terapia intensiva. Nello scenario peggiore gli americani da ricoverare sarebbero 9,6 milioni mentre 2,9 potrebbero finire in terapia intensiva. Entrambe le evenienze rischiano però di mandare ko il sistema dato che i posti letto in terapia intensiva sono a malapena 46.500, numero che in caso di emergenza potrebbe al massimo raddoppiare.

Liz Specht, giornalista della rivista specializzata Stat News, ha provato a fare un calcolo dei tempi di saturazione degli ospedali tenendo conto, ad esempio, della differenza di età tra la popolazione americana e quella italiana. Con un tasso di ricovero intorno al 20% gli ospedali sarebbero pieni intorno al 4 maggio. Dimezzandolo, la saturazione si avrebbe intorno al 10 del mese. Se solo il 5% dei pazienti richiedesse l’ospedalizzazione il calendario scivolerebbe al 16 mentre con il 2,5% dei casi si arriverebbe al 22 maggio. La valutazione, ha però ribadito Specht, presuppone che non vi sia una domanda di letti per altre patologie, scenario molto difficile da prevedere.

  • Possibile proiezione di una saturazione degli ospedali a maggio 2020

LA CARENZA DI MEDICI E MASCHERINE

A preoccupare non sono solo le strutture ma anche il personale medico. Sempre secondo i dati dell’Ocse, nel 2017 il numero di medici disponibili per ogni paziente non superava i 2,6, anche se negli ultimi 15 anni i numeri sono andati aumentando. In Italia sono quasi il doppio: 3,99. Unico dato in controtendenza è l’età. Negli Usa il 17,2% dei medici ha meno di 35 anni, mentre in Italia la soglia non supera l’8,6%. L’altro grande problema che potrebbe presentarsi riguarda le mascherine. Attualmente le riserve sono di 12 milioni di maschere N95 e 30 milioni di maschere chirurgiche che servono a una forza lavoro sanitaria complessiva di 18 milioni di unità. Se, ha scritto ancora Specht, solo 6 milioni di medici e infermieri lavorassero un giorno e usassero una sola mascherina usa e getta, finirebbero per consumare le scorte in circa due giorni.

LA CORSA SU CINA E RUSSIA

Restando al piano medico e degli ospedali il confronto con gli altri Paesi lascia un po’ di amaro in bocca ai pazienti americani. Prendiamo ad esempio il numero di letti. Se in Usa siamo intorno i 2,77 ogni mille abitanti, in Cina quasi raddoppiano a 4,3, la media europea invece si attesta intorno a 4,9 (tra il picco della Germania a 8, e la Svezia a 2,2). Peggio ancora il confronto con la Russia che si attesta a circa 8 posti ogni mille abitanti.

Qualche segnale arriva invece dai medici. In Cina sono a malapena due ogni mille, mentre in Europa sono circa 3,5. Ancora avanti invece la la Russia a 4,04.

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