L’annuncio più atteso nel mondo del tennis è finalmente arrivato: Rafael Nadal tornerà in campo. «Dopo un anno è arrivato il momento di tornare. Giocherò a Brisbane nella prima settimana di gennaio. Ci vediamo in Australia», ha detto il campione spagnolo in un video pubblicato su Instagram. Il torneo di Brisbane apre la stagione e sarà la prova del nove prima degli Australian Open, il primo dei quattro tornei del Grande Slam in programma dal 14 al 28 gennaio.
Nadal si era infortunato alla gamba sinistra
Nadal, che si allena regolarmente da ottobre, non gioca una partita ufficiale da quando ha perso il 18 gennaio al secondo turno degli Australian Open, dove partecipava da campione in carica, contro Mackenzie McDonald. Ma l’infortunio che lo ha tenuto lontano dalle competizioni per quasi un anno, la lesione all’ileopsoas della gamba sinistra, sembra essere acqua passata. «Ho lavorato così tanto per tutta la mia carriera sportiva e non merita di concludersi con un’infortunio», aveva detto il maiorchino in conferenza stampa dopo la sconfitta a inizio anno. Il 22 volte vincitore dello slam, a gennaio era testa di serie n.1 agli Australian Open, ora è precipitato a numero 663 nel ranking mondiale Atp, e per partecipare al primo major della stagione avrebbe bisogno di una wild card.
La Bbc ha attaccato i club di Premier League e la Federazione inglese, accusandoli di aver mascherato alcuni casi di abusi sessuali e domestici. Secondo quanto riportato dalla British Broadcasting Corporation, il calcio inglese avrebbe deliberatamente ignorato le denunce di alcune presunte vittime. Questo ha portato a dare il via libera a due calciatori e un tecnico, che hanno continuato a giocare e allenare in Premier League nonostante le indagini aperte. Per la Bbc la Football Association punterebbe più a proteggere i propri interessi commerciali, dando a questi la priorità rispetto al tema della sicurezza e della violenza sulle donne.
Le testimonianze: una donna ha pensato al suicidio
Non sono stati rivelati i nomi né dei due calciatori né dell’allenatore al centro dell’inchiesta giornalistica. La Bbc, non potendoli rivelare per non violare le norme sul rispetto della privacy di sospettati, ha così raccolto le testimonianze delle presunte vittime. Una delle donne che sarebbero coinvolte nel caso avrebbe anche pensato al suicidio. Ha dichiarato: «Non volevo continuare a vivere in un mondo in cui mi viene costantemente ricordato che le accuse di violenza sessuale possono essere ignorate finché hai abbastanza talento».
La Bbc: «Sette club con giocatori o dirigenti indagati»
Inoltre la Bbc ha ricordato che dal 2020 ad oggi sono stati sette i club di Premier con giocatori o dirigenti indagati per reati sessuali. Alcune donne hanno raccontato che quando hanno denunciato le violenze, tra le quali anche uno storico rapporto di abusi sessuali su minori, dalla FA e dalla Premier League hanno ottenuto solo risposte tardive, elusive e soprattutto nessuna azione disciplinare nei confronti dei presunti colpevoli.
I casi di Antony e Greenwood
L’ultimo caso di un calciatore di Premier League denunciato per violenza domestica è stato a settembre 2023. Una donna, Gabriela Cavallin, ha accusato di violenza l’ex fidanzato, il giocatore del Manchester United Antony. Dopo sono arrivate altre accuse e il club ha inizialmente deciso di sospenderlo, prima di reintegralo a fine mese. Sempre nei Red Devils milita un altro calciatore travolto da uno scandalo simile, Mason Greenwood, mandato in prestito al Getafe.
La piattaforma contro i sitipirata che trasmettono le gare della Serie A è vicina al debutto. Dopo l’approvazione della nuova legge anti pirateria, formalizzata a luglio, si è atteso per mesi che il portale con cui le autorità puntano a bloccare i domini su cui vengono mandate in onda illegalmente le partite entrasse in funzione. Adesso c’è una data: venerdì 7 dicembre. O almeno questo è quanto previsto all’interno del decreto legge Caivano, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e secondo il quale la piattaforma dovrà essere operativo già da quella data, in concomitanza con il match tra Juventus e Napoli.
Cosa farà la piattaforma
Come spiegato da Gazzetta dello Sport, la piattaforma permetterà ad AgCom di bloccare gli ip illegali entro 30 minuti dalla loro individuazione. E questo consentirà a Guardia di Finanza e Polizia postale di risalire alle persone che fruiscono in maniera illecita dei contenuti. Chi usufruisce dei contenuti con abbonamenti pirata potrà essere multato. Ma spesso gli utenti non sanno che i propri dati vengono raccolti dagli hacker e il rischio è di essere truffati o di subire accessi diretti ai conti correnti.
I numeri della pirateria: 3 milioni di abbonati alle Iptv
Secondo una ricerca Fapav/Ipsos, in Italia si è passati dai 14,7 milioni di atti illegali del 2017 ai quasi 41 milioni del 2022. Si tratta di un incremento del 178 per cento in cinque anni. Solo tra il 2021 e il 2022 l’aumento è stato del 26 per cento. Sarebbero 8 milioni i pirati occasionali, con almeno 5 atti di pirateria all’anno. Ma sono le Iptv illegali a preoccupare. Gli abbonati a questo genere di piattaforma sono circa 3 milioni, il 6 per cento della popolazione italiana che ha più di 15 anni. Si parla di un giro d’affari di oltre 350 milioni di euro.
Azzi: «La Serie A perde cifre enormi»
Il Ceo di Dazn, Stefano Azzi, ha più volte chiesto di intervenire. E nell’analizzare il fenomeno ha ribadito: «Il valore che l’ecosistema della Serie A perde ogni anno è enorme e la cifra equivale più o meno alla somma agli ingaggi delle stelle più pagate al mondo. Parliamo di campioni come Messi, Haaland, Mbappé, Neymar e De Bruyne. Abbiamo di fronte un grande problema culturale. La ricerca condotta da Fapav/Ipsos testimonia che il pubblico di consumatori che fruisce illegalmente dello sport, nel nostro Paese, è per lo più concentrato tra coloro che hanno un livello di istruzione più elevato e tra gli occupati. Questo ci dice che la pirateria è un fatto socialmente accettato».
Il mondo del giornalismo sportivo italiano dice addio a Franco Zuccalà. Lo storico volto di 90° Minuto e La Domenica Sportiva è morto nella notte tra il 29 e il 30 novembre. Aveva 83 anni.
Chi era Franco Zuccalà
Nato il 22 settembre 1940 a Catania, Zuccalà ha lavorato per quotidiani nazionali come Gazzetta dello Sport, Tuttosport e La Sicilia. Poi l’arrivo in Rai nel 1982. È stato inviato, oltre che per i due programmi sportivi, anche per il Tg1. Prima, però, una lunga gavetta in Sicilia, dove ha collaborato con tv come Telestar e Antenna Sicilia, anche con Pippo Baudo, e Odeon. Per undici anni ha condotto un programma bisettimanale, I temi del calcio, in onda per la Rai Corporation di New York. Ha anche collaborato alla Tv della Svizzera italiana e a Montecarlo Sat.
Zuccalà ha raccontato i più grandi eventi sportivi
Tanti gli eventi di cui si è occupato. Ha raccontato, dal 1958 in poi, i più grandi avvenimenti sportivi del secolo scorso: Olimpiadi, Mondiali ed Europei di calcio, Coppa d’Africa. Ha intervistato personaggi celebri come Nelson Mandela, Henry Kissinger e Sophia Loren, oltre a leggende dello sport come Pelé, Diego Maradona e Alfredo Di Stéfano. La sua lunga carriera è stata omaggiata nel 2014 dalla Nazionale italiana. Il portieri Gigi Buffon e il ct dell’epoca, Cesare Prandelli, gli hanno regalato la maglia dell’Italia numero 50, per il mezzo secolo al seguito degli azzurri.
Non c’è pace per Neymar. Dopo il grave infortunio patito in Nazionale, il calciatore brasiliano è alle prese con la rottura del rapporto con Bruna Biancardi. Ad annunciare la fine della relazione è stata la stessa modella, che sui social ha fatto chiarezza, poche ore dopo la notizia di un nuovo presunto tradimento da parte di Neymar. Biancardi ha dichiarato: «È una questione particolare, ma visto che sono quotidianamente legata a notizie, voci e battute, comunico che non ho nessuna relazione con nessuno. Siamo i genitori di Mavie e questo è il motivo del nostro legame. Spero che smettiate di collegarmi alle frequenti notizie. Grazie mille».
I presunti messaggi di Neymar: «Hai tue foto nude?»
Alla base della decisione sembra esserci la scoperta fatta dalla ragazza dei messaggi inviati dall’ormai ex fidanzato a una modella di Only Fans. Neymar avrebbe scritto: «Hai tue foto nude?». E lei avrebbe risposto: «Sì, ma ti devi abbonare per vederle». I media brasiliani hanno riportato la notizia riscrivendo anche i messaggi privati tra i due. Poche ore dopo è arrivato l’annuncio di Bruna Biancardi. A inizio mese, la coppia ha vissuto momenti di paura quando tre uomini hanno fatto irruzione nella casa dei genitori della modella. Avrebbero tentato di rapire la piccola Mavie, che però non era in casa.
L’accordo sul tradimento stipulato a giugno
A giugno aveva fatto scalpore un accordo stipulato da Neymar e Bruna Biancardi, con al centro proprio il tema del tradimento. Secondo un giornale di gossip, Em Off, la donna avrebbe concesso scappatelle al calciatore, a patto che quest’ultimo avesse rispettato tre condizioni. Neymar avrebbe dovuto mantenere l’assoluta discrezione, fare sesso utilizzando il preservativo e non baciare mai le amanti sulle labbra. Pochi giorno dopo la notizia dell’accordo, una donna ha dichiarato di essere l’amante del brasiliano, mandando in crisi la relazione già in estate.
Il ministro dello sport Andrea Abodi è intervenuto durante Sport Industry Talk, incontro organizzato da Rcs Academy e Corriere della Sera. Nel corso della sua relazione, l’ex numero uno della Lega serie B ha spiegato: «Il sistema calcistico è centrale ma il sistema va messo in discussione. È impensabile che la Serie A continui a essere a 20 squadre, la B a 20, la C a 60, con 100 squadre professionistiche». Poi ha spostato il focus sul tema del rispetto di alcune norme dello stato, su tutte quelle legate alla fiscalità. «Ma non è nemmeno questione di numeri, quanto di credibilità che consenta l’affermazione dell’equa competizione. Ci sono società che pagano e rischiano di non centrare i propri obiettivi, altre che non pagano e magari mantengono la categoria».
Abodi: «Riforma attesa da anni, Serie A contribuente significativo per la fiscalità»
«Ho iniziato a sentire parlare di riforme dal 2010, ricordo ancora l’aspettativa di CarloTavecchio quando ero presidente della Serie B. Apprezzo la scelta del presidente federale di convocare un’Assemblea per marzo 2024. La Serie A è un contribuente significativo di fiscalità, è un obiettivo comune quello di far funzionare la macchina. Servono le infrastrutture, dobbiamo accogliere i tifosi con lo stesso decoro in cui vengono accolti in tutta Europa». Per Abodi bisogna «rendere più efficaci le norme, ho fatto approvare una norma che snellisce le procedure e rende gli investimenti dei privati più efficaci». Poi conclude: «Sto lavorando anche a una riforma che è collegata alla legge Melandri sulla gestione dei diritti audiovisivi e sulla mutualità di sistema che assocerò a una norma per il miglioramento delle infrastrutture».
Potremmo chiamarla, in modo un po’ grossolano, dissonanza etnico-competitiva. È la bizzarra sindrome che induce spettatori e tifosi a definire la nazionalità, l’origine o lo status di un atleta in base ai suoi risultati. Il caso più classico riguarda Alberto Tomba, che quando vinceva era «lo sciatore di Bologna» e quando perdeva «il carabiniere di Sestola». Esempi più recenti, il calciatore della nazionale tedesca Mesut Özil, tedesco di terza generazione, che si è visto rinfacciare i nonni turchi dopo il flop al Mondiali in Russia nel 2018, e Fabio Quartararo, motociclista del team Yamaha, francese figlio di siciliani, che per gli appassionati italiani è italiano quando vince e francese quando perde.
C’è ancora chi crede che Sinner sia straniero anche se è nato a San Candido ed è italiano fin dalla sala parto
Jannik Sinner, il golden boy del tennis che ha riportato in Italia la Coppa Davis dopo quasi mezzo secolo, è vittima di due dissonanze etnico-competitive incrociate e sovrapposte. Per gli austriaci è italiano quando perde e sudtirolese quando vince, mentre alcuni italiani sembrano più propensi a vederlo come un connazionale nelle sconfitte e come uno straniero naturalizzato di fresco nelle vittorie. Come ha fatto Giancarlo Dotto sulla Gazzetta dello Sport dopo la vittoria di Sinner su Djokovic a Torino: «Jannik ha scoperto la bellezza di essere nostro e di ritrovarsi italiano. Sentirsi italiani per adozione conclamata e plebiscitaria. Cosa c’è di più bello?». Bè, ritrovarsi italiani senza tante pippe burocratiche dopo essere cresciuti in Italia e frequentato le nostre scuole fin dall’asilo, risponderebbero Alessia Korotkov, Sirine Chaarabi e tanti altri giovani campioni che non possono indossare la maglia azzurra perché non hanno ancora la cittadinanza. L’ultimo dei problemi per Sinner, che essendo nato a San Candido, Italia (per soli sei chilometri, d’accordo) è italiano fin dalla sala parto, anche se quelli come Dotto, cui non è ancora arrivata la notizia degli accordi De Gasperi-Gruber, non se ne capacitano, sviati forse anche dall’aspetto fisico e dall’aplomb del tennista. Vabbè, il look di Sinner non sarà tipicamente mediterraneo, ma nemmeno crucco come ce lo immaginiamo di solito, cioè non evoca né Mino Reitano né Walter Reder, e fa pensare piuttosto a latitudini scozzesi o scandinave. Buffo che ci lamentiamo degli stereotipi sugli italiani («non siamo tutti bassi, bruni, baffuti e chiassosi»), e poi siamo i primi ad applicarli quando la genetica si dimostra più fantasiosa di noi.
Quel rapporto ambivalente tra Italia e Alto Adige: dagli attentati ai tralicci all’arrivo di Lilli Gruber
Va detto che il nostro rapporto con l’Alto Adige è sempre stato ambivalente. Dovremmo essere fieri di ospitare nel nostro territorio uno dei pochi esperimenti riusciti al mondo di convivenza fra culture diverse e di tutela delle minoranze, recentemente additato come modello anche dall’Onu: non “due popoli, due Stati” ma uno Stato e due popoli che, pur non adorandosi, hanno portato la Provincia autonoma di Bolzano al top della classifica sulla qualità della vita. Okay, fino agli Anni 90 girare da quelle parti con una targa italiana da TN in giù comportava un serio rischio di ritrovarsi le gomme tagliate, e l’ultima condanna per vilipendio alla bandiera italiana per Eva Klotz, la leader degli autonomisti sudtirolesi, è solo del 2018, ma non si sente più parlare di attentati alle stazioni dei carabinieri o di bombe sotto i tralicci. Eppure gli altoatesini, tedeschi eppure italiani, italiani eppure inossidabilmente germanici, sono rimasti un enigma, un ossimoro affascinante e respingente al tempo stesso. Poco invadenti, fino a qualche decennio fa si palesavano traumaticamente all’opinione pubblica peninsulare solo nella stagione degli sport invernali, quando in tivù vedevamo gareggiare gente con acrobatici cognomi tedeschi (Kerchbaumer, Runggaldier, Untergassmair, Tschurtschenthaler) e il pettorale tricolore («ah già, è di Bolzano»), oppure in fondo alle tabelle dei risultati elettorali dove appariva un partito dal nome tedesco («ah già, la Südtiroler Volkspartei») che inspiegabilmente era anche quello che apriva le consultazioni al Quirinale per la formazione di ogni nuovo governo. Poi è arrivata Lilli Gruber, che con larghissimo anticipo su Sinner è stata la prima altoatesina a conquistare la fama in un’attività praticabile anche sotto i 600 metri sul livello del mare. Il suo atteggiamento a Otto e mezzo è la perfetta rappresentazione del rapporto fra Bolzano e le altre province italiane: Lilli condivide lo studio con il peggio e con il meglio del giornalismo e della politica italiota, ma si vede benissimo che pensa (in tedesco): «Meno male che non sono come questi qua». E così si becca dai simpaticoni del Giornale nomignoli tipo “radical speck” o l’accusa di voler annettere La7 all’Alto Adige.
Daremo un sacco di soldi all’Alto Adige ma almeno li sanno spendere bene: un’impresa più pazzesca che vincere la Coppa Davis
Del resto noi per primi fatichiamo a credere di essere ancora in Italia (e forse nemmeno nel 2023) quando ci aggiriamo fra casette linde dai balconi fioriti, pittoresche insegne in caratteri gotici e strade pulite come piatti, e ci rivolgiamo ai negozianti scandendo “Buongiorno” per paura che ci apostrofino per primi in tedesco suscitandoci reazioni alla Alberto Sordi nel finale de La grande guerra. Ma non andiamo così volentieri in vacanza in Alto Adige proprio perché sembra di non essere in Italia? D’accordo, gli avremo dato un sacco di soldi, ma almeno gli altoatesini li hanno spesi bene, a differenza di altre regioni autonome. E con buona pace di Jannik Sinner, spendere bene i soldi pubblici in Italia è un’impresa più pazzesca che vincere la Coppa Davis.
Il luccichio dell’insalatiera non riesce a nascondere tutte le ruggini. I cinque giovani moschettieri che sono stati capaci di riportare la Coppa Davis in Italia hanno fatto esplodere di gioia tutto il Paese, ma il momento d’oro delle nostre racchette non cancella i veleni e i dissapori in seno ai vertici dello sport italiano. Il presidente della Federazione tennis e padel (Fitp) Angelo Binaghi, ancora a caldo dopo l’ultima impresa di Jannick Sinner in finale contro gli australiani, si è tolto un sasso mica piccolo dalla scarpa e a Sky Sport ha detto: «Io credo che questa Davis la dobbiamo anche dedicare un po’ all’attuale presidente del Coni, Giovanni Malagò, che in tutti questi mesi nonostante i successi sportivi e organizzativi non ha trovato la forza di fare una volta i complimenti al movimento e alla federazione. Una grande caduta di stile. Io credo che questi ragazzi gli faranno trovare il coraggio per farlo nei prossimi giorni». Un missile che peraltro ha fatto da contraltare alla lestissima uscita dello stesso Malagò, il quale si era subito complimentato con la squadra e con lo stesso Binaghi attraverso un post su X.
Sulla gestione dei grandi eventi tennistici non sono mai andati d’accordo
L’acredine tra i due è profonda e viene da lontano. Innanzitutto pesa un dato quasi antropologico: il numero uno della Fitp è un sardo dal carattere aspro, diretto e poco incline agli arzigogoli, mentre il gran patron del Coni è la quintessenza della romanità suadente, molle e salottiera. Tuttavia è sul potere nello sport, sui rapporti con la politica e in particolare sulla gestione dei grandi eventi tennistici che i due non sono mai andati d’accordo, senza far nulla per nasconderlo. Basta tornare indietro di qualche anno, al 2018 e ai tempi del governo Movimento 5 stelle–Lega, per individuare il terreno di scontro forse più grave: Malagò al tempo si schierò apertamente contro l’esecutivo gialloverde e la riforma voluta dall’allora sottosegretario alla presidenza, Giancarlo Giorgetti, che tra le altre cose strappava via dalle mani del Coni la cassaforte dei fondi statali, poco meno di 300 milioni di euro, destinati alle federazioni sportive e la assegnava alla neonata Sport e Salute Spa.
Abodi e lo sdoppiamento di cariche dentro Sport e Salute
Malagò ha attaccato ripetutamente la nuova società, ha cercato ogni sponda, ha utilizzato ogni occasione e ogni campione dello sport a lui vicino per provare a minare il mutato assetto e ricostruire il suo antico dominio (governa il Comitato olimpico nazionale dal 2013). Un’azione in qualche modo culminata con il cambio di impostazione voluto nell’estate del 2023 dal ministro per lo Sport, Andrea Abodi, che ha definito indirizzi e confini più chiari per la società in house del Mef, sdoppiando la carica di presidente e amministratore delegato, con la prima assegnata all’imprenditore Marco Mezzaroma, cognato di Claudio Lotito e considerato molto vicino ad Arianna Meloni, la sorella di Giorgia.
Scontro sui paramenti per i finanziamenti alle federazioni
Binaghi, invece, aveva sempre elogiato l’avvento di Sport e Salute, dicendo per esempio già nel 2019 che «finalmente i criteri dei finanziamenti alle federazioni saranno oggettivi, meritocratici e definiti». Un dito nell’occhio al numero uno dei Coni che aveva risposto per le rime: «Non capisco quali potrebbero essere criteri più oggettivi di quelli portati avanti dal Coni, visto che i parametri sono stati sempre voluti sia dalla commissione alla quale lui ha sempre fatto parte sia dal consiglio nazionale», per cui «ho trovato assolutamente fuori luogo le parole di Binaghi».
Il nervo scoperto sul limite dei tre mandati
Dopo la vittoria della Davis il presidente Fitp ha addirittura accusato indirettamente Malagò di non essere presente a Malaga per rendere omaggio alle imprese azzurre, mentre «la dedica va al ministro dello Sport, che ha preso un aereo ed è venuto a rappresentare il governo qui». Una chiosa a caldo e al vetriolo arrivata dopo le frasi del numero uno dello sport italiano di appena un mese fa: «Negli ultimi tempi Binaghi si è contraddistinto per uno stile di aggressione verbale poco educato. Non lo dico per me, ma per quello che rappresento. Ma in questo caso ha detto una falsità che non potrebbe provare». Il riferimento era anche alle dure posizioni dell’uomo che guida il tennis italiano (addirittura dal 2001) e che si era schierato contro il limite dei tre mandati per i presidenti di federazione, poi abolito giusto l’estate del 2023 (con il conforto di una sentenza della Consulta giunta a settembre).
Le insinuazioni sul legame politico tra Binaghi e il M5s
Binaghi aveva definito Malagò «non credibile» nel dibattito per «un interesse personale». E quest’ultimo aveva replicato: «Anche nella vicenda della norma sui tre mandati non avevo interesse. Può chiedere a Franco Chimenti o Gianni Petrucci, i presidenti di golf e basket, come la pensavo. A proposito: Binaghi dice di non avere interferenze politiche. Ma la sua vicepresidente è l’ex sindaco di Torino, Chiara Appendino, e l’ex sottosegretario Simone Valente è il responsabile della federtennis per i rapporti istituzionali…». Quasi ad adombrare un legame politico tra Binaghi e il M5s, fiorito attorno all’evento delle Atp Finals di Torino.
La contestata presenza di Djokovic agli Internazionali d’Italia
E che dire dello scontro sugli Internazionali d’Italia di tennis del 2022? Binaghi gonfiò il petto dopo gli ottimi risultati economici e di pubblico dell’evento, ma attaccò a testa bassa Malagò: «Ha cercato di non far giocare a Roma prima Novak Djokovic, poi i russi». Il campione serbo, infatti, era stato accusato di aver assunto posizioni no vax in epoca Covid, mentre i secondi avrebbero dovuto subire un embargo in ragione della guerra in Ucraina. L’input secondo Malagò veniva dal Comitato olimpico internazionale (Cio), cui il Coni fa capo, ma Binaghi aveva smentito il diktat, aveva rivendicato l’autonomia dell’Atp, così come di altre federazioni internazionali, si era appellato agli impegni contrattuali e alla fine aveva tenuto il punto sull’apertura a tutti del torneo in nome della qualità e dello spettacolo (peraltro Djokovic risultò vincitore).
Malagò non mancò di replicare: «Ho sempre detto che era un invito e non c’era nessun obbligo», ma d’altronde «quello di Binaghi negli ultimi anni è un percorso sui rapporti con la politica su cui non devo aggiungere altro». Quindi «se lui una volta nella vita si rendesse conto che stavolta ha veramente detto delle cose del tutto sbagliate sia nel contesto che nella sostanza, secondo me verrebbe apprezzato moltissimo».
Dalla gestione di Coni servizi fino alla copertura del Centrale del Foro Italico
Sarebbero molti altri gli episodi di frizioni da ricordare, dalle accuse del numero uno del tennis italiano alla gestione di Coni servizi (vero oggetto delle ruggini più antiche) sulla copertura del Centrale del Foro Italico fino alle stilettate, due anni fa, a proposito delle finali Atp di Torino, quando Malagò tentò la giocata in cui è insuperabile, ossia prendersi meriti e mettersi in vetrina: «L’idea di Torino fu mia, Appendino non sapeva cosa fossero». Il capo delle racchette azzurre rispose per le rime: «Le parole di Malagò contro Appendino? Ha attaccato la padrona di casa, è stata una caduta di stile. Io non ho mai sentito di una sua idea quando il risultato è negativo. Per definizione il presidente del Coni ha sempre idee splendide». E nel momento in cui qualcuno ha iniziato a far girare la voce che Binaghi, al sesto mandato in Fitp, volesse candidarsi alla successione di Malagò al Coni, lui ha stroncato: «Non ci penso nemmeno, mi sarebbe piaciuto contribuire a riformarlo, ma mi sono quasi arreso. Da decenni non cambia nulla e alcune regole sono assurde». Chissà cosa si nasconde dietro quel “quasi”.
Dopo il trionfo in Coppa Davis a 47 anni dalla prima e finora unica volta, gli atleti dell’Italia del tennis sono diventati quasi degli eroi nazionali. Tanto che il profilo ufficiale del Quirinale ha annunciato già nella tarda serata di domenica 26 novembre, poco dopo la storica vittoria dell’Italia in Coppa Davis: «La squadra italiana di tennis vincitrice della Coppa Davis sarà ricevuta al Quirinale dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 21 dicembre». E invece non sarà così. Secondo quanto spiegato dal presidente della Federtennis Angelo Binaghi, l’incontro non ci sarà e se ne parlerà nel 2024, dopo gli Australian Open. Il motivo? Le vacanze già programmate dai tennisti.
La squadra #italiana di #tennis vincitrice della #CoppaDavis sarà ricevuta al Quirinale dal Presidente della Repubblica Sergio #Mattarella il 21 dicembre
Angelo Binaghi ha dichiarato: «Il 21 dicembre purtroppo non potremmo andare al Quirinale: ci dispiace da morire per il presidente Mattarella con cui abbiamo una promessa in sospeso. I ragazzi hanno già in calendario da tempo le vacanze in vista poi della partenza per l’Australia, dove comincia la stagione agonistica. Ci dispiace per il presidente Mattarella, perché abbiamo avuto il governo vicino, con il ministro dello Sport e col messaggio che mi ha mandato la premier: lo faremo quando ci sarà possibile perché abbiamo una promessa in sospeso con il Capo dello Stato. Quando fui invitato con Matteo Berrettini fresco finalista di Wimbledon insieme alla nazionale di calcio vincitrice agli Europei gli dissi: “Per noi è una data storica ma non finisce qui. Presto verremo da lei vincitori e non finalisti”».
«La stagione del tennis è così»
Binaghi ha poi concluso spiegando: «Non possiamo esserci il 21 dicembre perché la stagione del tennis è fatta così, i ragazzi hanno già in programma le vacanze, in vista della partenza per l’Australia. E noi non dobbiamo cambiare di una virgola, essere sempre gli stessi, non perderci in passerelle, anche se quella al Quirinale ovviamente non lo è. Dico che non dobbiamo cambiare le nostre abitudini che sono l’applicazione, il lavoro, il metodo».
L’Italia vince la Coppa Davis battendo 2-0 l’Australia in finale a Malaga e mettendo a segno il secondo trionfo della sua storia dopo quello del 1976, in Cile. Dopo il successo di Matteo Arnaldi in singolare su Alexei Popyrin (7-5, 2-6, 6-4), il punto del 2-0 è arrivato da Jannik Sinner che ha battuto nettamente in due set Alexi De Minaur, 6-3 6-0.
Volandri: «Miliardi di difficoltà ma i ragazzi mi sono stati sempre vicini»
«Questo è un progetto partito da lontanissimo, tra miliardi di difficoltà ma i ragazzi mi sono stati sempre vicini, ho sempre avuto il loro supporto», ha commentato il Ct azzurro Filippo Volandri a RaiSport dopo lo storico trionfo dell’Italia. «E da quando è arrivato qui Matteo (Berrettini ndr) siamo diventati ancor più famiglia. Sono super orgoglioso di loro, non ho più parole».
Malagò: «È di nuovo Coppa Davis!»
«È di nuovo Coppa Davis! Il tennis italiano scrive la storia tornando a dominare il Mondo, 47 anni dopo l’unica vittoria del trofeo», ha commentato sui social il presidente del Coni Giovanni Malagò. «Applausi ai nostri campioni, guidati da uno stratosferico Sinner e capitanati da Filippo Volandri, e alla federtennis del Presidente Binaghi».
È di nuovo #CoppaDavis! Il #tennis italiano scrive la storia tornando a dominare il Mondo, 47 anni dopo l'unica vittoria del trofeo. Applausi ai nostri campioni, guidati da uno stratosferico #Sinner e capitanati da Filippo Volandri, e alla @federtennis del Presidente Binaghi pic.twitter.com/d0usXj8JJj
Sinner: «È una cosa grande, per tutti gli italiani»
«È una gioia per gli italiani che sono venuti fino a qui a Malaga, e per tutti quelli che stanno a casa e hanno tifato per noi. È una cosa grande», ha commentato ancora prima della premiazione Sinner. «In questa stagione abbiamo sofferto», ha detto il campione azzurro ai microfoni Rai, «ma siamo una squadra unita, e ognuno di noi può sorridere di questo successo. Chiudere così la stagione è bellissimo, ci dà molta energia per preparare la prossima». «Siamo una squadra unita, ognuno di noi può essere contento», ha aggiunto l’altoatesino. «Abbiamo fatto un’ottima stagione, abbiamo sofferto da Bologna fino a qua. Abbiamo tenuto tanto che Matteo (Berrettini ndr) venisse qui a sostenerci, possiamo solo ridere. C’è tanta emozione, abbiamo sentito tutti gli italiani venuti qui a Malaga, chi ha guardato in Italia. Sapevamo che era una cosa grande, abbiamo avuto la giusta mentalità».
Meloni: «Lo sport italiano oggi non smette di farci emozionare»
Complimenti per i neo campioni del mondo anche da parte della premier Giorgia Meloni. «Lo sport italiano oggi non smette di farci emozionare. L’Italia del tennis si aggiudica la Coppa Davis 2023. Un risultato storico: l’unica vittoria della nostra Nazionale in questa competizione risale al 1976», ha scritto sui social. «Complimenti ai nostri tennisti per il talento e l’impegno dimostrato e a tutto lo staff».
Lo sport italiano oggi non smette di farci emozionare. L’Italia del Tennis si aggiudica la #CoppaDavis 2023. Un risultato storico: l’unica vittoria della nostra Nazionale in questa competizione risale al 1976. Complimenti ai nostri tennisti per il talento e l’impegno dimostrato e… pic.twitter.com/LTJF2h85pF
Francesco Bagnaia su Ducati bissa il titolo mondiale della stagione scorsa e si laurea campione iridato nella MotoGP anche nel 2023: la certezza è arriva con la caduta e il ritiro di Jorge Martin (Pramac) al sesto giro del Gran Premio di Valencia, ultima gara della stagione. Certo del titolo, Pecco ha poi vinto la corsa.
Prima della gara, Bagnaia aveva 14 punti in più di Martin, il quale si era aggiudicato la gara sprint del sabato. Il pilota italiano, secondo nelle qualifiche, è partito dalla pole position dopo la penalizzazione dello spagnolo Maverick Vinales, retrocesso di tre posizioni in griglia per non aver osservato la bandiera neroarancio nel warm up per una fumata al motore della sua Aprilia.
Solo quattro italiani hanno vinto più di un titolo nella classe regina
Fin da subito Martin ha rischiato il tutto per tutto, cadendo al sesto giro nel tentativo di sorpasso a Marc Marquez. Per Bagnaia è il secondo titolo nella classe regina e il terzo complessivo con l’alloro nella Moto2 conquistato nel 2018. Insieme a Umberto Masetti, Giacomo Agostini e Valentino Rossi è uno dei quattro italiani capaci di aggiudicarsi più di un titolo nella top class del Motomondiale.
Sul podio di Valencia con Bagnaia anche Di Giannantonio e Zarco
Questo l’ordine di arrivo del GP di Valencia:
1. Pecco Bagnaia 40:34.064
2. Fabio Di Giannantonio +0.120
3. Johann Zarco +0.400
4. Brad Binder +2.210
5. Alex Marquez +4.338
6. Raul Fernandez +4.619
7. Franco Morbidelli +4.822
8. Aleix Espargaro +7.713
9. Luca Marini +9.098
10. Maverick Viñales +10.180
L’Italia ha battuto la Serbia 2-1 a Malaga ed è in finale di Coppa Davis, dove domenica 26 novembre a partire dalle 16 affronterà l’Australia, che ha avuto la meglio sulla Finlandia. Il punto decisivo è giunto dal doppio Sinner/Sonego che ha sconfitto in due set (6-3, 6-4) la coppia Djokovic/Kecmanovic.
L’Italia parte con una sconfitta, poi lo show di Sinner
La giornata della semifinale era iniziata male, con l’Italia subito per 1-0 nei confronti della Serbia, dopo la sconfitta per 6-7 (7-9), 6-2, 6-1 patita da Lorenzo Musetti contro Miomir Kecmanovic. Poi è iniziato lo show di Jannik Sinner: l’altoatesino prima ha battuto Novak Djokovic in tre set con il punteggio di 6-2, 2-6, 7-5 annullando tre match point al numero uno al mondo, poi il bis in doppio con Lorenzo Sonego, che ha regalato agli azzurri del tennis l’accesso alla finale di Coppa Davis. L’Italia ha vinto il torneo una sola volta, nel 1976 contro il Cile, con la squadra formata da Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli.
Prima partita alle 16, si inizia con Arnaldi-Popyrin
«Per me è una grande delusione, me ne assumo la responsabilità, ovviamente, avendo avuto tre match point. Sono stato così vicino alla vittoria», ha detto Djokovic dopo l’eliminazione. «Conosco le qualità di Jannik. Però pensavo che forse sarebbe calato un po’ nel doppio, ma non è stato così». Così Sinner: «Siamo contenti, sì. Ma ancora non soddisfatti». Manca l’ultimo passo. Tutti i match della finale contro l’Australia saranno trasmessi in chiaro su Rai 2 e in streaming su Raiplay, così come su Sky Sport Tennis e Sky Sport Uno, oltre che su Now. La formula è sempre la stessa: la squadra che vince due match si aggiudica il tie. Se al termine delle prime due sfide in singolare si ha già una squadra vincitrice, non viene disputato il match di doppio. Si comincia alle ore 16 con la sfida tra Matteo Arnaldi e Alexei Popyrin, poi a seguire Sinner contro Alex de Minaur. Infine, eventualmente, il doppio Sinner/Sonego-Purcell/Ebden.
Per il 25 novembre la Figc ha proposto l’iniziativa di fare un lungo applauso per non dimenticare Giulia Cecchettin e tutte le vittime di femminicidio, su tutti i campi di calcio prima delle partite del fine settimana. Dalla Serie A ai campionati giovanili, un momento in cui le calciatrici, i calciatori e il pubblico possano condividere il ricordo di questa tragedia. Una condivisione rumorosa che vuole contribuire a rendere ancora più forte il grido di denuncia. Ma l’applauso non è la sola iniziativa pensata dalla Federazione calcistica italiana per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza.
Tutte le iniziative della Figc in occasione della Giornata internazionale sulla violenza di genere
«Uniamo la nostra voce al grido di tante donne vittime di violenza, la Figc e l’intero mondo del calcio vogliono fare la propria parte per contribuire all’eliminazione di questi orribili crimini e per costruire un vera cultura del rispetto, educando i giovani», ha detto il presidente federale Gabriele Gravina. «1-5-2-2. Ci sono tattiche che scrivono la storia. Altre che la cambiano», è il claim della campagna promossa dalla Federazione in occasione del 25 novembre, e che ha visto protagonisti le calciatrici e i calciatori della Nazionale e i due commissari tecnici Luciano Spalletti e Andrea Soncin a sostegno dell’1522, il numero gratuito disponibile 24 ore su 24 per tutte le persone che necessitano di supporto legato alla violenza di genere. Venerdì e sabato, l’esterno dell’auditorium di Coverciano sarà inoltre illuminato di rosso. Prima delle gare di Serie A e Serie B Femminile, e prima del minuto in ricordo di tutte le vittime di femminicidio previsto su tutti i campi d’Italia, le due squadre, gli allenatori e gli arbitri poseranno per una foto di gruppo dietro il cartello #MAIPIÙ esposto al momento dell’allineamento prima di ogni partita. Ad allenatori e arbitri, inoltre, sarà applicato unadesivo raffigurante il numero 1522 e l’hashtag #MAIPIÙ. Come già accaduto in passato, i direttori di gara scenderanno in campo con un segno rosso sulla guancia simbolo della campagna. La Serie B, inoltre, scenderà in campo con un pallone rosso.
Oscar Leonard Carl Pistorius, nato a Johannesburg il 22 novembre 1986, è un ex velocista sudafricano, campione paralimpico nel 2004 sui 200 metri piani e nel 2008 sui 100, 200 e 400 metri piani. Il suo nome è tornato al centro delle cronache a seguito della decisione della Commissione per la libertà vigilata di scarcerarlo dopo 10 anni di detenzione a seguito dell’omicidio della fidanzata Reeva Steenkamp avvenuto nel giorno di San Valentino del 2013.
Oscar Pistorius: the fastest man on no legs
Soprannominato the fastest man on no legs (l’uomo senza gambe più veloce) e Blade Runner (un gioco di parole sulle sue protesi agli arti inferiori), Pistorius vive con un’amputazione bilaterale e per correre utilizzava protesi speciali in fibra di carbonio chiamate cheetah (ghepardo). È stato il decimo atleta a partecipare sia alle Olimpiadi che alle Paralimpiadi, ma è stato il primo a vincere una medaglia in una competizione per atleti normodotati, ottenendo l’argento con la staffetta 4×400 metri sudafricana ai Mondiali di Taegu 2011, correndo solo in batteria. Questo risultato, al 2023, rimane unico nel suo genere.
Gli inizi e i primi successi paralimpici
Figlio di Henke e Sheila Pistorius (deceduta nel 2002), Oscar è nato con una grave malformazione (entrambi i peroni erano assenti e i piedi erano gravemente malformati), che lo costrinse, all’età di 11 mesi, a subire l’amputazione delle gambe. Durante gli anni del liceo, si dedicò al rugby e alla pallanuoto, ma un infortunio lo orientò verso l’atletica leggera, inizialmente per motivi riabilitativi e successivamente per scelta. Il bisnonno materno era un italiano emigrato in Kenya. Il suo primo impegno di rilievo avvenne ai Giochi paralimpici di Atene del 2004. A 17 anni, ottenne la medaglia di bronzo nei 100 metri piani e l’oro nei 200 metri piani, superando anche atleti amputati singoli più quotati come gli statunitensi Marlon Shirley e Brian Frasure. Nel 2005, Pistorius manifestò il desiderio di competere con atleti normodotati ai Giochi olimpici di Pechino 2008, ma ci riuscì solo dopo una prima richiesta respinta da parte dell’IAAF.
Le vicende giudiziarie e la detenzione
Il 13 settembre 2008, Oscar Pistorius venne arrestato in seguito a una denuncia di aggressione e passò una notte in carcere. L’incidente coinvolse una ragazza ubriaca che, dopo aver danneggiato la porta della casa di Pistorius, lo accusò erroneamente di averla attaccata. Il rilascio di Pistorius avvenne solo dopo che la verità emerse e la polizia si scusò per l’errore. Il 14 febbraio 2013 l’uomo venne nuovamente arrestato e interrogato con l’accusa di omicidio per la morte della sua fidanzata, la modella 29enne Reeva Steenkamp, colpita da colpi di pistola. Pur riconoscendosi colpevole e sostenendo di aver sparato accidentalmente scambiandola per un intruso, ottenne la libertà su cauzione il 22 febbraio, dopo otto giorni di detenzione. Il processo iniziò il 3 marzo 2014 a Pretoria e venne dichiarato colpevole di omicidio colposo. Il 3 dicembre 2015, la Corte Suprema d’Appello Sudafricana riconobbe Pistorius colpevole di omicidio volontario e rinviò il caso a un giudice di prima istanza per determinare una pena adeguata. Nel luglio 2016, Pistorius venne condannato a sei anni di carcere. Nel novembre 2017, la Corte Suprema d’Appello aumentò la pena a 13 anni e sei mesi. Ora la concessione della libertà condizionata.
Dopo la sospensione per apologia di terrorismo, decisa dal Nizza e dalla LFP lo scorso 17 ottobre, nuovi guai per Youcef Atal. Il calciatore algerino è stato preso in custodia dalla polizia francese giovedì 23 novembre. Le accuse questa volta sono di «istigazione all’odio razziale per motivi religiosi», a causa dei video postati sui social per cui l’algerino si è poi scusato. Su tutti, decisiva è stata la clip in cui veniva mostrato un predicatore palestinese mentre invocava «un giorno nero per gli ebrei».
Atal al centro di un’indagine preliminare
Dal 16 ottobre, il giorno dopo la sospensione voluta dal Nizza, il suo club, Atal è al centro di un’indagine preliminare aperta dalla procura di Nizza per entrambi i reati, apologia del terrorismo e istigazione all’odio e alla violenza «basata su una specifica religione». La polizia giudiziaria della cittadina francese lo ha poi preso in custodia. Il calciatore è stato squalificato il 25 ottobre scorso dalla Ligue de Football Professionnel per sette partite. E il Consiglio etico nazionale della FFF, la federazione di Francia, lo ha deferito al comitato disciplinare.
Le scuse di Atal: «Condanno ogni forma di violenza»
Su Instagram, dopo le prime critiche ricevute, la sospensione e la squalifica, il calciatore ha rimosso il video e si è scusato. Parlando ai fan ha dichiarato: «Sono consapevole che la mia pubblicazione abbia scioccato diverse persone, ma non era mia intenzione e mi scuso. Vorrei chiarire il mio punto di vista senza alcuna ambiguità: condanno fermamente ogni forma di violenza, in qualsiasi parte del mondo, e sostengo tutte le vittime. Non sosterrò mai un messaggio di odio».
Salva Ferrer, ex difensore dello Spezia ora all’Anorthosis Famagosta, a Cipro, ha il linfoma di Hodgkin. Lo ha annunciato il calciatore 25enne su Instagram. «Non posso negare sia stato un colpo molto duro sia per me che per la mia famiglia, ma la prognosi è positiva e spero di avere un rapido recupero per tornare a giocare e godermi tutto il resto il prima possibile. Ho chiarissimo che per lottare contro questa malattia la paura non serve a niente», ha scritto Ferrer, annunciando lo stop al calcio giocato per dedicarsi alle cure.
Classe 1998, Ferrer era stato acquistato dallo Spezia nel 2019 dai catalani del Gimnàstic di Tarragona. Ora gioca a Cipro, ma il suo cartellino è ancora di proprietà del club ligure. «Per quattro stagioni hai lottato come un vera aquila per onorare la nostra maglia. Abbiamo gioito, ci siamo abbracciati e abbiamo pianto insieme. Conosciamo bene la tua forza e siamo certi che anche in questo caso saprai uscirne vincitore! Forza Salva! Siamo tutti con te!», ha scritto lo Spezia sui canali social.
La seconda Guerra del Football ha come epicentro lo stadio Maracanà di Rio de Janeiro. Si celebra in due tempi, esattamente come se fosse una partita, ma da adesso in poi rischia di espandersi verso altri campi da gioco e di battaglia. È la guerra tra Brasile e Argentina, i due giganti del Sud America che dalla fine del giogo colonialista nel XIX secolo si contendono l’egemonia sul continente e che proprio sui campi da calcio trovano una perfetta sublimazione della loro rivalità. Una rivalità storicamente molto accesa, ma mai andata oltre il segno dell’agonismo e oltre il perimetro del rettangolo di gioco. E invece durante il mese di novembre 2023 si è avuto in due riprese lo scontro sanguinario. Che ha coinvolto le tifoserie calcistiche, ma è indice di qualcosa di più profondo. E poiché il ripetersi della circostanza in terra brasiliana dimostra che questo qualcosa di profondo c’è, adesso è il caso di pensare al rischio di veder replicare lo schema in Argentina, o in giro per il Sud America, tutte le volte che le tifoserie dei due Paesi dovessero incrociarsi.
Assalto premeditato prima della finale di Libertadores
Il primo episodio di questa svolta violenta si è verificato all’inizio di novembre. Per l’esattezza è stato venerdì 3, vigilia della finale di Coppa Libertadores per la cui disputa è stato scelto il Maracanà. A giocarsi il principale trofeo sudamericano per club sono giunti i brasiliani del Fluminense (che quindi giocano in casa) e gli argentini del Boca Juniors. Come è normale in circostanze del genere, gran parte della tifoseria ospite giunge il giorno prima nella città in cui si gioca la partita. Ciò che purtroppo dà vita a uno scenario inedito, con la spiaggia di Copacabana che si trasforma da luogo da cartolina globale in terreno di caccia all’uomo. I tifosi argentini vengono inseguiti e aggrediti, senza che vi sia una causa scatenante. Si tratta di un assalto premeditato, che avvelena la vigilia della gara vinta l’indomani (2-1) dal Fluminense. Né l’assalto della spiaggia di Copacabana rimane isolato, dato che nelle ore successive altri episodi, sia pur di portata minore, si susseguono.
La partita a rischio del Maracanà e le due tifoserie mescolate
Si tratta di un precedente pesante, che eleva il livello di tensione fra le due patrie calcistiche e fa indicare come una partita a rischio quella fra due squadre nazionali messa in calendario per martedì 21 novembre. Si gioca per le qualificazioni al Mondiale 2026 e visto il precedente andato in scena poco più di due settimane prima era molto alto il livello di tensione e attenzione. Ma ciò non è bastato per evitare scontri, che anzi in questa occasione si sono verificati sugli spalti del Maracanà. Complice una vendita scarsamente controllata dei tagliandi d’ingresso, le due tifoserie si sono trovate mescolate dentro i vari settori dello stadio. Ciò che, viste le recentissime violenze a margine della finale di Libertadores, ha provocato immediatamente gli scontri.
Prima i violenti tafferugli sono avvenuti fra le opposte fazioni di tifosi, poi è toccato al confronto fra i poliziotti brasiliani (che hanno manganellato senza complimenti) e tifosi ospiti. L’inizio della partita è stato ritardato di oltre mezz’ora, ma viste le circostanze è un prodigio che gli incidenti si siano fermati lì e non abbiano provocato vittime. Come ha detto Lionel Messi dopo la partita (vinta 1-0 dall’Argentina): «Poteva essere una strage».
Il razzismo anti-brasiliano che contagia tutto il Sud America
Ma perché tanta violenza? Molte potrebbero essere le spiegazioni, al di là della rivalità storica fra le due patrie calcistiche. Fra queste ne può essere indicata una, tutta interna al calcio e incubata negli anni più recenti. Riguarda il razzismo che contagia gli stadi sudamericani non meno di quanto avviene in quelli europei. E le principali vittime di tali manifestazioni di razzismo sono proprio i brasiliani, che ovunque si spostino per il Sud America vengono accolti da odiose manifestazioni di discriminazione.
La scimmia con la banana sui profili social di Marcelo
La lista degli episodi è lunga e ha colpito le tifoserie di quasi tutti i club brasiliani impegnati nelle competizioni internazionali sudamericane. Atti odiosi di questo genere sono stati particolarmente frequenti in occasione delle gare contro i club argentini. E l’ultimo, clamoroso episodio si è registrato giusto nelle ore che precedevano la finale di Coppa Libertadores tra Fluminense e Boca Juniors. È successo infatti che sui profili social di Marcelo, ex esterno del Real Madrid che è andato a chiudere la carriera nel Fluminense, un tifoso argentino ha postato l’immagine di una scimmia che mangia una banana.
Quanto questo episodio e i precedenti possano avere inciso nell’esplosione dell’odio fra le tifoserie dei due Paesi non è cosa su cui ci si possa esprimere con certezza. Di sicuro non hanno favorito la pacificazione degli animi. Altrettanto sicuro è che la situazione ha raggiunto un tale livello di gravità da indurre la confederazione calcistica sudamericana (Conmebol) a inasprire le sanzioni per i club i cui tifosi si rendano protagonisti di comportamenti discriminatori.
Dopo la crescita, il Brasile è affondato con Bolsonaro
Sullo sfondo rimangono le relazioni fra i due giganti del Sud America. Che da sempre soggette alla lotta per l’egemonia sul continente. Rispetto a ciò, i due Paesi attraversano una fase di confuso passaggio. In questo scorcio di XXI secolo i due Paesi hanno percorso traiettorie ampiamente divergenti. Il Brasile ha dapprima segnato una crescita economica rilevante, che lo ha portato a essere la decima potenza mondiale, salvo poi avere una grave crisi di rigetto coincisa col periodo in cui il suo prestigio internazionale avrebbe dovuto toccare il culmine: il 2014-2016, anni in cui sono stati ospitati dapprima il Mondiale di calcio e poi le Olimpiadi di Rio de Janeiro. La presidenza di Jair Bolsonaro ha poi prodotto un passaggio di profonda spaccatura sociale dalla quale il Paese non si è ancora ripreso.
Entrare nei Brics? La vittoria di Milei rivede i piani dell’Argentina
Dal canto suo l’Argentina passa da un default al rischio di vederne materializzare un altro. Il primo ventennio del secolo è stato caratterizzato dall’ennesima oscillazione fra liberismo e peronismo, ciò che ha determinato per il Paese la difficoltà a marcare una presenza strategica sul piano internazionale. La prospettiva di entrare nel club dei Brics (di cui il Brasile è socio fondatore) è stata molto caldeggiata sotto la presidenza della repubblica di Alberto Férnandez. Ma con la nuova presidenza di Javier Milei, che porta alle estreme conseguenze il populismo peronista e il liberismo, questa prospettiva è stata rapidamente accantonata. Per dirla eufemisticamente, entrambi gli Stati stanno vivendo una fase di passaggio. Che prevede la fiera e reciproca inimicizia come indispensabile ingrediente.
L’Italia è in semifinale di Coppa Davis grazie a Jannik Sinner e Lorenzo Sonego. I due Azzurri infatti hanno vinto il match di doppio contro la coppia olandese formata da Tallon Griekspoor e soprattutto da Wesley Koolhof, numero 8 nella classifica mondiale di categoria. Il risultato finale è stato di 6-3, 6-4 in un’ora e 24 minuti di gioco. Nel primo parziale fondamentale un break nell’ottavo game, che ha portato l’altoatesino a servire per il set. Ottima la prestazione al servizio del numero 4 al mondo, che ha servito ben quattro prime vincenti consecutive. L’equilibrio del secondo set si è rotto al settimo gioco grazie a due vincenti di Sonego. Da quel momento gli Azzurri hanno controllato i propri game al servizio, portando a casa la vittoria.
Quanto ai match in singolare, nel primo incontro Matteo Arnaldi aveva perso in rimonta 6-7, 6-3, 7-6 contro Botic Van de Zandschulp in quasi tre ore di gioco. Il sanremese aveva anche avuto tre chance per prendersi la vittoria nel tiebreak decisivo, di cui una anche sul proprio servizio. Jannik Sinner invece aveva ristabilito la parità battendo 7-6, 6-1 numero 23 del ranking Atp Tallon Griekspoor in un’ora e 15 minuti. In semifinale la nazionale affronterà la vincente fra la Serbia di Novak Djokovic e la Gran Bretagna di Cameron Norrie.
All’appello manca soltnato l’ultimo quarto di finale della Coppa Davis 2023 fra Serbia e Gran Bretagna. Il numero 1 al mondo Novak Djokovic, dopo la vittoria della ATP Finals di Torino, aveva aspramente criticato la decisione di giocare per il quarto anno consecutivo l’ultimo atto della competizione in Spagna. «Così è troppo», aveva spiegato Nole. «Si tratta di un torneo globale e le finali non dovrebbero giocarsi sempre nello stesso posto per più di un anno». Già definita invece l’altra semifinale del tabellone. Nei match giocati fra 21 e 22 novembre, Australia e Finlandia avevano rispettivamente sconfitto Repubblica Ceca e Canada. Sorprendente soprattutto l’eliminazione dei nordamericani campioni in carica, caduti in entrambi gli incontri di singolare senza riuscire a vincere nemmeno un set. Destino simile per gli australiani, con il solo Alex De Minaur capace di strappare un parziale agli avversari, prima di arrendersi però 2-1.
Il presidente della Figc, Gabriele Gravina, ha ammesso che la Federazione italiana gioco calcio ha rifiutato la proposta di organizzare i Mondiali 2030 insieme a Egitto e Arabia Saudita. L’intervista in cui il numero uno del calcio italiano parla della vicenda andrà in onda domenica 26 novembre alle ore 20.50 su Tv2000, all’interno del programma Soul, condotto da Monica Mondo. Gravina ha spiegato che «abbiamo rifiutato in maniera convinta per ragioni di problemi internazionali, legate al caso Regeni, e per la non condivisione di alcuni valori. Non si può far finta di nulla sempre».
Gravina: «Coltivare la passione nel rispetto dei valori»
Il presidente Gravina ha spiegato: «Nel mondo dello sport sono fondamentali le questioni morali. Parliamo sempre di valori, cerchiamo di testimoniare ai giovani quanto sia fondamentale l’immagine. Coltivare sì la passione ma nel rispetto dei grandi valori dello sport. In un momento di espansione del fenomeno della globalizzazione gli interessi predominano. Lo viviamo negli ultimi tempi in maniera esponenziale, l’abbiamo vissuto come Federazione italiana gioco calcio rifiutando una proposta di organizzazione insieme all’Arabia Saudita del campionato del mondo 2030. Abbiamo rifiutato la proposta in maniera convinta, pur coscienti della grande possibilità di successo di quell’abbinamento insieme all’Egitto: Egitto, Arabia Saudita e Italia. Lo abbiamo fatto per ragioni di problemi internazionali, legate al caso Regeni, e per la non condivisione di alcuni valori. Non si può far finta di nulla sempre».
Il caso scommesse: «Noi puniamo, la giustizia italiana no»
Gravina ha parlato anche del caso scommesse: «Il mondo del calcio è ritenuto colpevole, non so di che cosa, dato che per la legge italiana le scommesse sono lecite. Tuttavia noi puniamo, la giustizia italiana no. Si esce attraverso un processo di formazione, e soprattutto serve il dialogo tra chi spinge non a fare pubblicità al gioco, ma a fare proposte commerciali, che invitano a scommettere. Io parlerei di una piaga sociale vera e propria che ha colpito anche il mondo del calcio». E durante l’intervista si è parlato anche dell’addio dell’ex ct della Nazionale italiana, Roberto Mancini: «Non sul piano sportivo, ma sul piano umano la sua scelta è stata una delusione. Mi sono sentito tradito in un sentimento puro, nei confronti di Roberto, che ho sempre considerato un amico. Al di là degli interessi della sua scelta tecnica per me è stata una ferita che faccio fatica a rimuovere».
Un pallone rosso in campo per dire basta alla violenza sulle donne. La 14esima giornata della Serie B si giocherà con la sfera speciale del colore simbolo delle campagne contro questo reato: in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, istituita dall’Assemblea Generale dell’Onu nel 1999, la Lega B ha previsto diverse attività volte alla sensibilizzazione durante il weekend di campionato. Fra questi, appunto, l’utilizzo in tutte le gare del pallone Kappa speciale rosso.
Ogni società consegnerà un pallone rosso ad una donna
Nel cerimoniale pre-gara su tutti i campi ci sarà, inoltre, una consegna simbolica del pallone da parte di un rappresentante della società di casa a una donna invitata dal club. Il presidente della Lega B Mauro Balata sarà a Cremona insieme al presidente della Cremonese Francesco Dini con il sottosegretario della Regione Lombardia con delega a Sport e Giovani Lara Magoni. Le iniziative della 14esima giornata fanno parte della campagna che la Lega B ha adottato fin dall’inizio della stagione e che Balata ha deciso di ampliare per tutto l’arco del campionato in collaborazione con il Servizio analisi criminale, ufficio interforze del Dipartimento della pubblica sicurezza, diretto da StefanoDelfini.