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Le 25 donne più influenti per il Financial Times, da von der Leyen a Mohammadi

L’attrice Margot Robbie, la cantante Beyoncé, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, la calciatrice attaccante spagnola Jenni Hermoso, l’attivista iraniana premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi e la First Lady dell’Ucraina, Olena Zelenska. Sono alcune delle 25 donne più influenti al mondo nel 2023 secondo il Financial Times.

Le categorie sono: creatrici, leaders e eroine

«L’influenza, ovvero il potere di persuadere, sostenere il cambiamento e immaginare modi migliori di fare le cose, assume molte forme. Da nessuna parte questo è più chiaro che nel numero annuale di Women of the Year della rivista, un elenco delle donne più influenti del mondo scritto da altre donne potenti sulla scena internazionale», scrive il giornale americano. Il quotidiano non stila una classifica, ma le divide in tre categorie. La prima è quelle delle creatrici, dove ci sono – fra le altre – Margot Robbie e Beyoncé che con il suo Renaissence World Tour ha incantato il mondo. Nella categoria leaders c’è von der Leyen: «L’Europa, gli Stati Uniti e il mondo sono fortunati ad avere la presidente von der Leyen come leader», scrive il segretario al Tesoro Usa, Janet Yellen, nel descriverla. Fra le leader anche la numero uno di General Motors, Mary Barra, e la chief technology officer di OpenAI, Mira Murati, e l’attrice Fran Drescher che ha guidato lo sciopero degli attori di Hollywood. Nella categoria delle eroine ci sono Narges Mohammadi la «personificazione del coraggio», scrive l’autrice Marjane Satrapi, la First Lady ucraina Zelenska, la star del tennis Coco Gauff, e la Nobel per la Medicina Katalin Karikò.

La Corte Suprema russa ha messo al bando il movimento «estremista» Lgbt

La Corte Suprema russa ha accolto la richiesta del ministero della Giustizia di mettere fuorilegge nel Paese il movimento internazionale Lgbt, definendolo «estremista». L’udienza si è svolta a porte chiuse, come richiesto dal ministero di Mosca: i giornalisti sono stati fatti entrare solo quando il giudice Oleg Nefedov ha annunciato la sua decisione. Non è chiaro in che modo le autorità russe dimostreranno l’esistenza di un movimento Lgbt globale organizzato.

La Corte Suprema russa ha messo al bando il movimento «estremista» Lgbt dopo un'udienza a porte chiuse.
Attivisti Lgbtq all’esterno della Corte Suprema russa (Getty Images).

Per il ministero della Giustizia le attività del movimento «incitano alla discordia sociale e religiosa»

Il ministero della Giustizia, secondo cui le attività del movimento internazionale per i diritti Lgbt «incitano alla discordia sociale e religiosa» in violazione delle leggi anti-estremismo del Paese, aveva presentato la richiesta il 17 novembre. L’omosessualità è stata un reato in Russia fino al 1993 ed è stata poi considerata una malattia mentale fino al 1999. Ad oggi è severamente punito, per le persone dello stesso sesso, scambiarsi effusioni in pubblico. Il primo Gay Pride in Russia si è svolto nel 2006 e si è concluso con numerosi arresti. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha già sanzionato il Paese per violazione dei diritti umani.

Wilders non andrà a Firenze all’evento di Salvini

Geert Wilders, vincitore delle elezioni nei Paesi Bassi, non sarà ospite di Matteo Salvini all’evento organizzato domenica 3 dicembre a Firenze dal gruppo Identità e Democrazia al Parlamento Europeo con i partiti alleati alla Lega. Il forfait del politico olandese si aggiunge a quello di Marine Le Pen, che sarà presente soltanto in video-collegamento.

Wilders non andrà a Firenze all’evento di Salvini. Il forfait del vincitore delle elezioni in Olanda si aggiunge a quello di Le Pen.
Matteo Salvini, Harald Vilimsky – segretario del Partito della Libertà Austriaco -, Geert Wilders, Marine Le Pen e Frauke Petry – leader di Alternative für Deutschland (Getty Images).

Wilders ha spiegato di essere impegnato «nella fase esplorativa del nuovo governo»

Wilders, inizialmente dato come ospite certo da Salvini e figura più attesa alla kermesse dei partiti sovranisti europei, non andrà a Firenze perché impegnato «nella fase esplorativa del nuovo governo», ha spiegato lo stesso leader del Pvv, formazione politica di estrema destra alla ricerca di alleati per una (difficile) coalizione di maggioranza. Da parte sua il Carroccio ha commentato auspicando «che l’amico Wilders riesca a formare un governo di centrodestra».

Wilders non andrà a Firenze all’evento di Salvini. Il forfait del vincitore delle elezioni in Olanda si aggiunge a quello di Le Pen.
Geert Wilders (Getty Images).

A Firenze sfileranno due cortei di protesta contro la presenza dell’estrema destra in città

A Firenze domenica 3 dicembre sfileranno due cortei di protesta contro la presenza dell’estrema destra in città e contro l’evento si era già schierato contro il sindaco Dario Nardella: «Firenze è una città aperta, non cacciamo nessuno, neanche Salvini e i suoi amici nazionalisti. È però una città dal punto di vista dei valori, della storia incompatibile con questo linguaggio basato su odio, anti-europeismo, rabbia, paura. Firenze ha una grande tradizione cattolica, è la città di Don Milani, La Pira. È città che ha valori solidi, un tessuto sociale e culturale molto forte. Accoglierà l’evento come città democratica ed europeista», aveva detto il primo cittadino del capoluogo toscano a Omnibus, su La7. Identità e Democrazia è un gruppo politico sovranista di destra ed estrema destra del Parlamento europeo, costituito in seguito alle elezioni europee del 2019 come successore del gruppo fondato nel 2015 Europa delle Nazioni e della Libertà.

Arrestato in Colombia Massimo Gigliotti, esponente della ‘Ndrangheta

La polizia colombiana ha arrestato Massimo Gigliotti, cittadino italiano a lungo ricercato dall’Interpol per traffico di droga. L’uomo, trovato dalle autorità a Barranquilla, nel nord della Colombia, è accusato di essere un esponente della ‘Ndrangheta. Si è trattata di un’operazione portata avanti dall’Interpol, insieme alla polizia locale e agli agenti della Guardia di Finanza italiana.

Il direttore della polizia colombiana: «Gigliotti qui dal 2018»

Da Vienna, dove si trova per partecipare all’Assemblea mondiale dell’Interpol, il generale William René Salamanca, direttore della polizia colombiana, ha sottolineato che «questo arresto è una dimostrazione del livello di cooperazione tra le autorità del nostro Paese e quelle italiane». Gigliotti, ha precisato il generale Salamanca, «ha 55 anni e dal 2018 visita l’America Latina per trafficare cocaina dal Sud America verso l’Europa».

Ribaudo: «Evento straordinario»

In un video diffuso dalla polizia a Bogotà, Salamanca, che appare in compagnia del colonnello Roberto Ribaudo, comandante dell’Ufficio centrale nazionale (Onc) dell’Interpol Italia, ha ringraziato le autorità italiane per il «lavoro di cooperazione». Da parte sua Ribaudo ha condiviso la soddisfazione per l’arresto di Gigliotti, sostenendo che essa «rappresenta il simbolo della buona collaborazione tra i vertici delle nostre polizie, ma anche tra gli agenti e i loro responsabili operativi. Molte grazie alla Colombia  per questo evento straordinario».

Michele Guardì, la Rai apre un’indagine interna per gli insulti omofobi e sessisti

La Rai ha dato mandato per l’apertura di un audit interno sui fatti che riguardano il regista Michele Guardi. La decisione è giunta dopo la messa in onda, martedì 28 novembre su Italia 1, di un servizio de Le Iene contenente alcuni fuori onda del regista de I fatti vostri, in cui si è lasciato andare a insulti omofobi e sessisti nei confronti dei colleghi.

Gli insulti rivolti anche a Giancarlo Magalli

«Levami sto fro**o di me**a da torno», oppure: «Che ca**o mastica la put**na?», e ancora: «Mi è passata la tr**a dietro?». Sono solo alcuni degli insulti presenti nei fuorionda di Michele Guardì, storico autore dei più importanti programmi di viale Mazzini. E tra le persone prese di mira spunta anche il collega e conduttore Giancarlo Magalli: «Magalli cane! Cane malato! Toglilo di lì», dice il regista nel servizio de Le Iene.

Michele Guardì, la Rai apre un'indagine interna per gli insulti omofobi e sessisti
La squadra del programma Rai “I fatti vostri”, di cui Guardì è autore (Imagoeconomica).

Guardì: «È successo 14 anni fa e nessuno si lamentò»

Immediata la replica di Guardì, che si è difeso dicendo: «Si tratta di una cosa di 14 anni fa e nessuno allora si lamentò di quello che successe. Hanno riso tutti, nessuno si è ribellato. Basta vedere quello che ha detto Magalli, che ha, tra l’altro, fatto presente che sono una persona molto invidiata. In ogni modo nessuno ha denunciato e il reato di insulto comunque si prescrive in cinque anni. È chiaramente una cosa pretestuosa, fatta per darmi fastidio», ha affermato all’Ansa. E a commentare l’accaduto è stato anche lo stesso Magalli: «Dovrei essere l’unico a sentirmi offeso, ma io conosco Michele e so come scherza con i cameramen. All’epoca del fuorionda fecero un compact disc. Certo è esecrabile, certe parole non andrebbero dette mai. Michele lavora da 40 anni in Rai, ha fatto anche quattro programmi insieme e tutti di successo».

Cervinia cambia nome, Santanchè attacca: «Ma siete matti?»

Cervinia cambierà nome e si chiamerà soltanto Le Breuil. La notizia ha generato le proteste di Fratelli d’Italia e ora, al coro di critiche, si è aggiunta anche la ministra del Turismo Daniela Santanchè. In un post su X, infatti, ha scritto: «Cervinia cambia nome e io non ne capisco il motivo. La nota località sciistica è riconosciuta in Italia e nel mondo come tale e un così drastico cambiamento non può che nuocere al settore turistico alberghiero e all’immagine di tutta la Valle D’Aosta. Ripensateci!». E ha esposto il suo pensiero in un video in cui chiede: «Siete matti?».

Santanchè: «Sapete quanto ci vuole a costruire una brand reputation?»

La ministra nel video ha spiegato il proprio punto di vista: «Buongiorno, volevo confrontarmi con voi perché io da qualche giorno veramente non riesco a capire cosa passa per la testa di alcuni. Cervinia, una località sciistica riconosciuta e rinomata della Valle d’Aosta, una delle eccellenze del turismo del nostro Paese: hanno pensato di cambiare nome. Si chiamerà Le Breuil. Ma siete matti? Lo sapete quanto tempo ci vuole a costruire una destination, una brand reputation? E voi fate una cosa del genere? Ma ripensateci!».

Rampelli chiede un intervento del governo

Intanto sulla vicenda si è espresso anche il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, in quota Fratelli d’Italia. E ha chiesto un intervento del governo: «La decisione del Comune di Cervinia di togliere la denominazione italiana lasciando solo quella francese è una scelta incostituzionale e tradisce uno spirito anti-italiano che evidentemente viene insufflato da quelle parti. Sono certo che il Governo Meloni studierà le modalità per impugnare questa decisione. L’Italia riconosce alle Regioni a Statuto speciale ampia autonomia e notevoli risorse, gli stessi Comuni che si trovano in quello e in altri territori simili godono di una libertà negata ad altri. Ma questo non autorizza nessuno ad agire fuori dal dettato costituzionale». E ancora: «È di solare evidenza che togliere il nome Cervinia è contro ogni tutela della lingua italiana, contro la Repubblica italiana, contro le nostre regole civiche e contro l’interesse economico nazionale. Il bilinguismo non è una scelta ma un dovere».

Cervinia cambia nome, Santanchè attacca «Ma siete matti»
Fabio Rampelli (Imagoeconomica).

È morto Shane MacGowan, cantante dei Pogues

È morto a 65 anni Shane MacGowan, cantante e autore della maggior parte dei brani del gruppo folk-punk dei Pogues. Di origine irlandese, divenne celebre negli Anni 80, oltre che per la sua musica, per lo stile di vita sregolato, in particolare per l’abuso di alcol, ma anche di eroina. Il suo brano più famoso è Fairytale of New York, cantata insieme a Kirsty McColl, considerata una delle canzoni natalizie più belle di sempre.

Il movimento punk e la fondazione dei Pogues

Nato nel giorno di Natale del 1957 in Inghilterra, visse in una fattoria in Irlanda (Paese di origine dei genitori) fino all’età di sei anni, quando la famiglia si trasferì a Londra. Parte del movimento punk, nella seconda metà degli Anni 70 aveva fondato il suo primo gruppo, i The Nipple Erectors, che si fecero conoscere a Londra come gruppo di supporto dei Clash e dei Jam. Nel 1981 conobbe Spider Stacy e Jem Finer, con cui l’anno successivo formò i Pogues (inizialmente Pogue Mahone, storpiatura dell’espressione gaelica póg mo thóin, ovvero “baciami il sedere”).

È morto Shane MacGowan, cantante dei Pogues, band famosa per la canzone natalizia Fairytale of New York. Aveva 65 anni.
Shane MacGowan nel 1976 (Getty Images).

L’allontanamento dai Pogues nel 1991 e poi il rientro 

Il gruppo, che come disse una volta lo stesso MacGowan ha sempre proposto «musica irlandese per un giovane pubblico rock», con strumenti propri del primo genere, come flauto, banjo, mandolino, fiddle e fisarmonica, insieme con percussioni e strumenti a corda più moderni, debuttò nel 1984 con l’album Red roses for me. Rimase nei Pogues fino 1991, quando fu allontanato a causa delle sue dipendenze e dei continui ritardi a prove e concerti: cinque i dischi incisi con il gruppo folk-punk. Dopo alcune collaborazioni, nel 1992 aveva formato i Popes, poi lasciati per rientrare nei Pogues che, dopo lo scioglimento nel 1996, avevano ripreso l’attività nel 2001.

La sua vita è stata raccontata in un documentario

Nel corso dei decenni, le dipendenze ne avevano fortemente minato il fisico. Nel 2006, dopo una notte di bevute in Irlanda, si fermò per urinare, inciampò e cadde contro un muro, distruggendo i pochi denti rimasti. E a causa dell’eroina fu persino arrestato: a farlo incarcerare, per cercare di aiutarlo, fu la collega e amica Sinéad O’Connor. Costretto su una sedie a rotelle da una caduta del 2015 da cui non si era ripreso, nel dicembre 2022 MacGowan era stato ricoverato in ospedale per un’encefalite virale e nel corso del 2023 aveva trascorso diversi mesi in terapia intensiva. Ad annunciarne la scomparsa è stata la moglie Victoria Mary Clarke, che ha pubblicato un post sulla sua pagina Instagram a corredo di una sua foto in bianco e nero, con in mano un bicchiere e una sigaretta. La storia del cantante è stata raccontata nel documentario del 2020 Crock of Gold – A Few Rounds with Shane MacGowan, prodotto da Johnny Depp.

Eleonora Evi lascia i Verdi: «Partito patriarcale, non farò la donna marionetta»

Il dibattito sulla cultura patriarcale in Italia si allarga anche agli ambienti interni della politica, provocando un terremoto dentro Europa Verde. La co-portavoce Eleonora Evi ha infatti annunciato di essersi dimessa dal partito, accusandolo di essere vittima di una cultura «paternalista» se non «patriarcale», e di una «deriva autoritaria e autarchica». Dal 2020 Evi era alla guida del partito insieme ad Angelo Bonelli, ma le tensioni tra i due erano in atto da tempo e adesso, dice la deputata, «a fare la donna marionetta non ci sto più».

Evi: «Mi rinfacciavano lo scranno in parlamento quando esprimevo opinioni non allineate»

Nella dura lettera scritta a la Repubblica con la quale la deputata ha annunciato di aver lasciato Europa Verde, Evi accusa implicitamente il collega Bonelli: «Non serve l’ennesimo partito personale e patriarcale». I verdi sono storicamente un partito vicino ai movimenti femministi e a quelli ambientalisti, tanto da essere stata la ragione per la quale Evi nel 2020 decise di lasciare il M5s dopo sette anni per proseguire la sua carriera in Europa Verde, partito con il quale è stata eletta deputata nel 2022 grazie alla coalizione Alleanza verdi sinistra. Una candidatura che Eleonora Evi accusa esserle stata rinfacciata in seguito dal partito: «Quando ho espresso posizioni o visioni non allineate a quelle della dirigenza durante le riunioni della direzione nazionale e pubblicamente, sono stata accusata di ingratitudine nei confronti della “famiglia verde” che mi aveva accolta e offerto uno scranno in parlamento», racconta Evi nella lettera. Una dinamica interna che ha spinto la deputata a ritenere il proprio ruolo nel partito come una «carica di facciata», ed è per questo che non intende «continuare a ricoprire il ruolo di co-portavoce femminile».

Eleonora Evi lascia i Verdi: «Partito patriarcale, non farà la donna marionetta»
Il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni insieme ai leader di Europa Verde Eleonora Evi e Angelo Bonelli (Imagoeconomica).

La rottura Bonelli-Evi era nell’aria da tempo

La frattura nel mondo di Europa Verde è aperta da diversi mesi. Reduce del suo passato nel Movimento 5 stelle, Eleonora Evi  è sempre stata affascinata dall’idea di avvicinare Avs ai pentastellati, scontrandosi però con le resistenze di Angelo Bonelli e Sinistra Italia. Così, forse con l’idea di replicare il modello dei dem, a luglio Evi chiedeva che il partito si aprisse maggiormente all’esterno tramite le primarie aperte. Iniziativa che Bonelli accolse a condizione che fossero svolte prima delle elezioni europee del 2024 e che la partecipazione fosse permessa solo ai tesserati di Ev. Un tema che torna anche nella lettera con cui la deputata ha annunciato le sue dimissioni, dove Evi parla di resistenze del partito riguardanti il «sollecitare la partecipazione attiva, sperimentare forme di presenza sui territori alternative all’adesione fideistica al partito, e che puntassero piuttosto al coinvolgimento di individui e comunità in un percorso di crescita condivisa». Una visione movimentista evidentemente maldigerita dal partito.

Morto Franco Zuccalà, storico giornalista di 90° Minuto

Il mondo del giornalismo sportivo italiano dice addio a Franco Zuccalà. Lo storico volto di 90° Minuto e La Domenica Sportiva è morto nella notte tra il 29 e il 30 novembre. Aveva 83 anni.

Chi era Franco Zuccalà

Nato il 22 settembre 1940 a Catania, Zuccalà ha lavorato per quotidiani nazionali come Gazzetta dello Sport, Tuttosport e La Sicilia. Poi l’arrivo in Rai nel 1982. È stato inviato, oltre che per i due programmi sportivi, anche per il Tg1. Prima, però, una lunga gavetta in Sicilia, dove ha collaborato con tv come Telestar e Antenna Sicilia, anche con Pippo Baudo, e Odeon. Per undici anni ha condotto un programma bisettimanale, I temi del calcio, in onda per la Rai Corporation di New York. Ha anche collaborato alla Tv della Svizzera italiana e a Montecarlo Sat.

Zuccalà ha raccontato i più grandi eventi sportivi

Tanti gli eventi di cui si è occupato. Ha raccontato, dal 1958 in poi, i più grandi avvenimenti sportivi del secolo scorso: Olimpiadi, Mondiali ed Europei di calcio, Coppa d’Africa. Ha intervistato personaggi celebri come Nelson Mandela, Henry Kissinger e Sophia Loren, oltre a leggende dello sport come Pelé, Diego Maradona e Alfredo Di Stéfano. La sua lunga carriera è stata omaggiata nel 2014 dalla Nazionale italiana. Il portieri Gigi Buffon e il ct dell’epoca, Cesare Prandelli, gli hanno regalato la maglia dell’Italia numero 50, per il mezzo secolo al seguito degli azzurri.

Henry Kissinger: il Nobel per la pace, la distensione con Cina e Urss, le accuse di crimini di guerra

Divisivo: che crea divisioni o contrapposizioni, impedendo di preservare o di raggiungere un’unità di punti di vista e di intenti. Questa la definizione che dà la Treccani di un aggettivo che come nessun altro si addice(va) a Henry Kissinger, il Machiavelli d’America – ma nato in Baviera – morto il 30 novembre 2023 a 100 anni. Autore della celebre frase «il potere è il massimo afrodisiaco», durante la Guerra fredda fu ispiratore della politica estera degli Stati Uniti nelle vesti di segretario di Stato per Richard Nixon e Gerald Ford. Kissinger, che il suo punto di vista ce l’aveva chiarissimo, riteneva che i soli criteri da seguire fossero pragmatismo e opportunismo, per il tornaconto di Washington, al prezzo di interventi di realpolitik sullo scacchiere mondiale talvolta brutali e illegittimi. Insignito del Nobel per la pace, Kissinger è stato anche additato come criminale di guerra.

Cercò di sciogliere le tensioni con Mosca e Pechino: storico il viaggio in Cina di Nixon

In qualità di consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di Stato, Kissinger perseguì energicamente la politica della détente, ossia della distensione, cercando di sciogliere le tensioni con l’Unione Sovietica e la Cina: rilanciò i colloqui con Mosca per la riduzione dei rispettivi arsenali nucleari, puntando a una gestione regolamentata (e meno dispendiosa) del bipolarismo, avviando al contempo un riavvicinamento alla Cina di Mao Zedong, culminato con lo storico viaggio di Nixon a Pechino nel 1972.

Henry Kissinger, luci e ombre del Machiavelli d’America dal Vietnam al Cile, fino alla Cina e all'Unione Sovietica.
Henry Kissinger e Le Duc Tho a Parigi nel 1973 (Getty Images).

Il controverso Nobel per la pace, ricevuto dopo il bombardamento della Cambogia

Erano gli anni della guerra del Vietnam. «Pace con onore», aveva promesso Nixon in campagna elettorale. Kissinger entrò in negoziati con il Vietnam del Nord, ma con l’Operazione Menu gli Stati Uniti bombardarono clandestinamente la neutrale Cambogia, nel tentativo di privare i comunisti di truppe e rifornimenti. Morirono in almeno 50 mila. La destabilizzazione del Paese portò poi alla guerra civile cambogiana e al brutale regime di Pol Pot. Il conflitto in Vietnam si concluse con gli Accordi di Parigi del 1973, cui Kissinger diede il suo determinante contributo: insieme a Le Duc Tho (capo del Partito comunista del Vietnam) fu insignito del Nobel per la pace. Una decisione controversa, criticata dagli attivisti pacifisti, da alcuni giurati (in due si dimisero per protesta) e persino dallo stesso Le, che rifiutò il riconoscimento asserendo che nel suo Paese non c’era ancora la pace. Kissinger invece lo accettò «con umiltà», donando il premio in denaro ai figli dei militari americani uccisi nel conflitto. Dopo aver saputo che il segretario di Stato Usa aveva ricevuto il Premio Nobel, il comico Tom Lehrer dichiarò: «La satira politica è obsoleta».

Henry Kissinger, luci e ombre del Machiavelli d’America dal Vietnam al Cile, fino alla Cina e all'Unione Sovietica.
Henry Kissinger e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin negli Anni 70 (Getty Images).

Gli sforzi per mettere fine alla guerra dello Yom Kippur e quella frase sugli ebrei russi

Sempre nel 1973, gli sforzi diplomatici di Kissinger furono decisivi per l’accordo di pace tra Israele e l’Egitto, che mise fine alla guerra dello Yom Kippur. La prima ministra israeliana Golda Meir ringraziò Nixon e Kissinger per il modo in cui avevano trattato il suo Paese, che a un certo punto sembrava destinato a scomparire dalle mappe. Come rivelato da una registrazione audio diffusa dalla Nixon Library, Kissinger, che detestava i gruppi ebraici di pressione in America e cercò più volte di piegare Tel Aviv alla diplomazia, un anno prima aveva commentato così il dramma degli ebrei repressi in Unione Sovietica, spediti nei gulag o impossibilitati a emigrare: «Anche se li ficcassero nelle camere a gas, questa non dev’essere una preoccupazione americana. Forse, una preoccupazione umanitaria».

Henry Kissinger, luci e ombre del Machiavelli d’America dal Vietnam al Cile, fino alla Cina e all'Unione Sovietica.
Henry Kissinger e Augusto Pinochet.

Dal Cile a Timor Est, le ombre di quello che per Oriana Fallaci era «un’anguilla più ghiacciata del ghiaccio»

«Un’anguilla più ghiacciata del ghiaccio», diceva di lui Oriana Fallaci, per farne intendere il livello di cinismo. Tra le ombre della lunga carriera politica e diplomatica di Kissinger c’è inoltre il coinvolgimento diretto nel golpe militare di Augusto Pinochet in Cile, avvenuto anch’esso nel 1973, sostenuto dalla Cia per mantenere l’influenza degli Stati Uniti nel Sud America. «Non vedo perché dovremmo restare a guardare un Paese diventare comunista a causa dell’irresponsabilità della sua gente. Certe questioni sono troppo importanti perché gli elettori cileni possano decidere da soli», disse. Sempre nello stesso periodo, Kissinger sostenne la fine del governo razzista bianco in Rhodesia e il passaggio a un esecutivo nero in quello che poi diventerà lo Zimbabwe, ma fu anche accusato di aver chiuso un occhio sulla “guerra sporca” condotta in Argentina dall’esercito contro il suo popolo, nel corso della dittatura militare a cui certo gli Stati Uniti non si erano opposti. Secondo la biografia Kissinger’s Shadow, pubblicata dallo storico dell’Università di Yale Greg Grandin, «il più riverito stratega statunitense della seconda metà del XX secolo» sarebbe responsabile di politiche che hanno causato la morte di tre o quattro milioni di persone. «Su commissione», come per le operazioni militari statunitensi in Cambogia e in Cile, e «per omissione», come nei casi «del via libera agli spargimenti di sangue indonesiani a Timor Est, del Pakistan in Bangladesh». Genio diplomatico o genio del male? Forse entrambe le cose. Divisivo, sicuramente.

Fabio Grosso esonerato dalla panchina del Lione dopo solo sette partite

Il campione del mondo con l’Italia nel 2006 e oggi allenatore, Fabio Grosso, è stato esonerato dalla panchina dell’Olympique Lione per via dello scarso rendimento della squadra. Al suo posto, in attesa di trovare un tecnico che possa risollevare le sorti del club, ci sarà ad interim Pierre Sage che ricopre il ruolo di responsabile del centro di formazione, affiancato dall’ex difensore della nazionale francese Jeremie Brechet, fin qui alla guida dell’Under 19. Fatale per Grosso sarebbe stata la sconfitta nell’ultimo turno di Ligue 1 contro il Lille, mal digerita dal presidente John Textor e dal suo nuovo direttore sportivo David Friio.

Il cammino di Grosso: dalla Serie B italiana alla Ligue 1

Dopo solo sette giornate di Ligue 1, dunque, si interrompe il cammino francese di Fabio Grosso come allenatore. L’italiano era stato chiamato a guidare la squadra il16 settembre, vincendo la concorrenza con l’ex compagno di Nazionale Gennaro Gattuso grazie alla promozione dalla Serie B alla A conquistata con il Frosinone nella stagione 2022/2023. La situazione era già molto complicata anche prima dell’arrivo del campione del mondo azzurro: nelle prime quattro gare il Lione aveva conquistato un solo punto e il trend negativo non si è interrotto nemmeno con il cambio di allenatore. Grosso, infatti, in sette gare di Ligue 1 ha collezionato quattro sconfitte e un solo successo, con la squadra che è rimasta all’ultima posizione della classifica, a quattro punti di distanza dalla zona playout.

Fabio Grosso sul campo d'allenamento del Lione
Fabio Grosso sul campo d’allenamento del Lione (Getty Images).

L’orribile parentesi francese: l’aggressione e l’esonero

Fabio Grosso conclude dunque la sua parentesi francese che, senza ombra di dubbio, può essere definita come negativa. Oltre all’esonero e agli insuccessi sportivi, infatti, l’ex terzino sinistro della Nazionale azzurra ha dovuto gestire in questi mesi un clima molto teso con i tifosi ed è stato vittima di un’aggressione da parte dei supporter del Marsiglia che hanno preso d’assalto il pullman della sua squadra prima di una gara. Grosso era rimasto ferito al viso, con un sasso lanciato dai tifosi avversari che gli aveva fatto correre il rischio di perdere un occhio.

Scritte antisemite su murales del Memoriale della Shoah a Milano

Scritte antisemite sono state lasciate sui due murales della serie “Binario 21, I Simpson deportati ad Auschwitz” dell’artista aleXsandro Palombo visibili sui muri del Memoriale della Shoah di Milano, già danneggiati altre due volte nel corso dell’anno. Nel primo murale, dove le stelle di David appaiono cancellate, è stata aggiunta la scritta «merde» sul volto di Homer Simpson, mentre nella seconda opera c’è scritto «schifo». A denunciare l’accaduto è l’Osservatorio antisemitismo della Fondazione centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) di Milano. «Non esiste più un luogo che sia rimasto immune dall’antisemitismo, dai social alla strada stiamo assistendo allo sdoganamento del male assoluto e questo maremoto antisemita che sta travolgendo con inaudita violenza gli ebrei di tutto il mondo non risparmierà nessuno, ci travolgerà tutti», ha dichiarato l’artista Palombo.

Istat, occupazione record a ottobre: il tasso sale al 61,8 per cento

A ottobre 2023 l’occupazione continua a crescere. Il numero degli occupati si attesta a 23 milioni 694 mila e registra, rispetto a ottobre 2022, un aumento di 455mila dipendenti permanenti e di 66mila autonomi. Il numero dei dipendenti a termine risulta invece inferiore di 64 mila unità. Lo comunica l’Istat. Su base mensile, il tasso di occupazione sale al 61,8 per cento. Un livello così alto non si era mai registrato nelle serie storiche. Il tasso di disoccupazione totale sale invece al 7,8 per cento (+0,1 punti rispetto al mese precedente), quello giovanile al 24,7 per cento (+1,5 punti).

Lodi, falso malato dal 2018: ai domiciliari collaboratore scolastico

I finanzieri del Comando provinciale di Lodi hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari a carico di un dipendente pubblico, assente dal lavoro da oltre cinque anni con certificati medici falsi, che ha percepito indebitamente la retribuzione per circa 108 mila euro. Le indagini, svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Lodi con il coordinamento procura lodigiana hanno accertato che il collaboratore scolastico di un istituto lodigiano era ininterrottamente assente dal lavoro, quantomeno dal 2018, sulla base di certificazioni mediche fasulle, che gli hanno consentito di continuare a percepire per intero la retribuzione.

È scattata la denuncia per falso in atto pubblico

L’uomo è stato denunciato per falso in atto pubblico commesso dal privato, false attestazioni e certificazioni che giustificano l’assenza del pubblico dipendente dal servizio e truffa aggravata ai danni di un ente pubblico. Il gip l’ha quindi posto ai domiciliari. Nei suoi confronti erano già state svolte indagini della Guardia di finanza di Lodi in relazione all’indebita percezione di assegni di invalidità civile. Quell’importo era stato sequestrato nel 2022.

Enrico VIII, in vendita per 2,3 milioni di euro la residenza di caccia dove corteggiò Anna Bolena

La celebre residenza di caccia nel Sussex appartenuta a re Enrico VIII, il castello di Bolebroke, è in vendita per 2 milioni di sterline, equivalente a circa 2,3 milioni di euro. Il castello del fondatore della Chiesa anglicana risale al 1480 e si trova nel pittoresco villaggio di Hartfield. Fu qui che il re corteggiò Anna Bolena, damigella di corte della sua prima moglie Caterina d’Aragona. Anna Bolena, che all’epoca aveva solo 20 anni, catturò l’attenzione del re che voleva assolutamente l’erede maschio che la prima moglie, madre della futura regina Maria I, non era riuscita a dargli. Tuttavia, la fortuna non sorrise alla nuova coppia: nemmeno Anna Bolena, sposata dopo l’annullamento delle prime nozze, non diede a Enrico VIII ciò che voleva. Tre anni dopo le nozze, Anna Bolena fu giudicata colpevole di tradimento, adulterio e incesto con il fratello, condannata a morte per decapitazione.

Enrico VIII, il castello in cui corteggiò Anna Bolena in vendita per 2,3 milioni di euro
Il castello di Enrico VIII (Wikipedia).

Trecento metri quadri immersi nel verde

Il castello ha subito nei secoli notevoli trasformazioni. Come recita l’annuncio pubblicato dall’ agenzia immobiliare Hamptons, la residenza ha quattro camere da letto, tre bagni e quattro saloni. Inoltre, include un suggestivo parco e si trova nelle vicinanze del pittoresco villaggio di Hartfield, celebre per essere l’ambientazione del bosco dei 100 acri nelle storie di Winnie the Pooh. Nel corso del tempo, la proprietà è stata ampliata con nuovi edifici, e attualmente occupa oltre 300 metri quadrati. Il piano terra ospita un ampio soggiorno con soffitto a volta e travi a vista con un imponente camino in mattoni, il secondo più grande in tutto il Regno Unito. Grandi porte finestre si aprono verso l’esterno e i giardini. Sempre al piano terra, si trovano uno studio e una sala giochi, due camere matrimoniali e due bagni, insieme alla cucina. Un arco conduce alla parte storica dell’edificio, dove c’è una sala da pranzo e una scala che porta ai livelli superiori e alle stanze situate nelle due alte torri ottagonali in mattoni, con accesso tramite una scala a chiocciola in rovere.

Lecce, detenuto evade durante una visita medica

Giovedì mattina, 30 novembre, un detenuto dell’istituto penitenziario Fazzi, a Lecce, ha tentato di evadere mentre si trovava all’ospedale per una visita medica. Si tratta di Geovani Bernia Castillo, 29enne di origine cubana e accusato di un omicidio avvenuto a Bitonto. Il detenuto ha eluso i controlli e ha tentato la fuga, ma è stato preso poco dopo dagli agenti della polizia penitenziaria.

Il detenuto si è nascosto sotto una vettura nel parcheggio dell’ospedale

Dopo essere riuscito a fuggire ai controlli Castillo si sarebbe recato nel parcheggio dell’ospedale Dea, provando a far perdere le proprie tracce nascondendosi sotto a una delle macchine parcheggiate. Nel frattempo, sono stati bloccati gli accessi alla struttura e sul posto sono sopraggiunti sia gli agenti della polizia di Lecce sia i carabinieri, per rinforzare le ricerche del 29enne, che è stato trovato poco dopo proprio sotto una vettura.

Shannen Doherty, il tumore si è esteso alle ossa: «Non ho finito di vivere»

Shannen Doherty, nota al grande pubblico come la Brenda di Beverly Hills 90210, lotta dal 2015 contro un tumore che l’ha inevitabilmente costretta a prendersi del tempo per se stessa e per le cure. In un’intervista alla rivista People, l’attrice ha detto che il cancro si è esteso anche alle ossa ed è arrivato al quarto stadio, sottolineando però che quest’aspetto non le impedisca di continuare a lottare.

La separazione dal marito e la scelta di non avere figli

«Non ho finito di vivere», ha detto Shannen Doherty. «Non ho finito di amare. Non ho finito di creare. Non ho ancora finito di sperare di cambiare le cose in meglio. Semplicemente non ho finito, il mio ricordo più grande deve ancora arrivare». Poi l’attrice ha parlato anche del recente divorzio con Kurt Iswarienko, lasciato dalla donna dopo 11 anni a causa di un tradimento. In quell’occasione Shannen Doherty aveva scritto sui social: «Le uniche persone che meritano di essere nella tua vita sono quelle che ti trattano con amore, gentilezza e rispetto totale». Nell’intervista a People ha affrontato il tema anche in relazioni alle scelte prese dalla coppia, che avrebbe valutato in passato la possibilità di avere dei figli, ipotesi poi allontanata per via dell’età avanzata della donna e della sua malattia. «Non voglio che mia figlia, a 10 anni, debba seppellire sua madre», ha detto l’attrice. «La verità è che ho sempre voluto un figlio. Ma forse è destino che io debba essere madre in un altro modo».

Shannen Doherty
Shannen Doherty (Getty Images).

Il percorso della malattia: la remissione e il ritorno del cancro

Come detto, Shannen Doherty aveva rivelato al mondo nel 2015 di essere malata, con la diagnosi iniziale che era stata di cancro al seno. Per rimuovere lo stesso aveva subito una mastectomia e si era sottoposta a chemioterapia e radiazioni. Due anni dopo, nel 2017, tramite Instagram aveva detto di essere andata in remissione, ma nel 2019 il cancro è tornato con l’attrice che qualche tempo dopo aveva informato i fan della sua diagnosi di cancro metastatico al quarto stadio. A giugno 2023 la donna è stata sottoposta a un intervento di chirurgico per rimuovere un tumore al cervello. Così Doherty su questo tema: «Ha dovuto essere rimosso e sezionato per vedere la sua patologia. È stata sicuramente una delle cose più spaventose che abbia mai vissuto in tutta la mia vita».

«Quando ti chiedi: perché mi sono ammalato di cancro?»

Uno dei passaggi più significati dell’intervista è quello in cui Shannen Doherty parla dei suoi momenti di fragilità vissuti nel corso di questi ultimi otto anni e delle riflessioni che ha fatto per interrogarsi sul senso della vita: «Quando ti chiedi: perché io? Perché mi sono ammalato di cancro? Perché il cancro si è ripresentato? Perché sono al quarto stadio. Questo ti porta a cercare lo scopo più grande nella vita». E ancora: «La gente presume semplicemente che ciò significhi che non puoi camminare, non puoi mangiare, non puoi lavorare. Ti mettono al pascolo in tenera età. Noi siamo vivaci e abbiamo una visione molto diversa della vita. Siamo persone che vogliono lavorare, abbracciare la vita e andare avanti». Infine il desiderio dell’attrice che, attraverso la sua popolarità e l’aver sempre reso pubblico ogni aspetto della malattia, spera che «possano aumentare i fondi per la ricerca sul cancro e la visione della malattia presso l’opinione pubblica».

Covid Italia, la variante Eris al 52 per cento

La variante EG.5, nota come Eris (come la dea greca della discordia), è da tempo la forma dominante di Covid in molti Paesi. Tra cui l’Italia, dove il 52 per cento dei casi di contagi in Italia è dovuto proprio alla variante Eris, come evidenzia l’Istituto Superiore di Sanità.

Covid Italia, la variante Eris al 52 per cento. Cresce anche Pirola. I dati dell’Istituto Superiore di Sanità.
Test rapido Covid (Imagoeconomica).

Cresce anche la variante Pirola, decuplicata rispetto all’ultima rilevazione

Eris nell’ultimo rilevamento risulta in leggero aumento rispetto all’indagine precedente: è stimata al 52,1 per cento contro il 51 per cento. A seguirla nel trend di ascesa c’è Pirola (BA.2.86), decuplicata rispetto all’ultima rilevazione: ora è al 10,8 per cento contro l’1,3 per cento della precedente indagine, con un range Regionale/PA compreso tra 0 per cento e 60 per cento. In relazione alle evidenze disponibili, Eris e Pirola non sembra essere associata a rischi addizionali rispetto agli altri lignaggi del virus Sars-CoV-2 co-circolanti. Si continua a osservare poi la circolazione della variante sotto monitoraggio DV.7 (discendente di BA.2.75), sebbene con valori di prevalenza complessivamente stimata in diminuzione (2,6 per cento contro 4,1 per cento della precedente indagine).

Covid Italia, la variante Eris al 52 per cento. Cresce anche Pirola. I dati dell’Istituto Superiore di Sanità.
Test Covid in laboratorio (Imagoeconomica).

Eris è veloce e quindi molto contagiosa, ma non più pericolosa di altre varianti

«Nell’attuale scenario è necessario continuare a monitorare con grande attenzione, in coerenza con le raccomandazioni nazionali ed internazionali e con le indicazioni ministeriali, la diffusione delle varianti virali, e in particolare di quelle a maggiore trasmissibilità e/o con mutazioni correlate a potenziale evasione della risposta immunitaria», scrive l’Iss. Veloce e quindi molto contagiosa, ma non più pericolosa di altre varianti, Eris ha una sintomatologia variabile, che può andare dalla forma paucisintomatica a una accentuata con febbre alta e perdita di olfatto/gusto. In alcuni casi può impegnare le vie respiratorie.

Sassari, un’ispettrice e due agenti aggrediti in carcere

Un’ispettrice e due agenti della polizia penitenziaria sono stati aggrediti nel carcere di Bancali, a Sassari, da un detenuto che non gradiva un controllo nella sua cella. L’uomo si è scagliato prima contro i poliziotti e poi contro l’ispettrice intervenuta per riportare alla calma il recluso. Strattonati e colpiti, gli agenti hanno riportato contusioni non gravi. Ad aver denunciato l’episodio è stato il segretario nazionale del sindacato Consipe, Roberto Melis: «Ennesima aggressione nei confronti del personale di polizia penitenziaria».

Melis: «Necessario inviare un segnale ai detenuti»

«Un fatto che ha procurato danni fisici ai poliziotti, ma la cosa ancora più grave è che in tutta questa brutta vicenda è stata aggredita, spintonata e strattonata, una donna, l’ispettrice», ha affermato Melis. «Il Consipe che rappresento insieme con il segretario regionale Sardegna, Gianluca Ghisaura, ha inviato una lettera ai vertici penitenziari chiedendo che siano applicate le disposizioni dipartimentali e l’immediato allontanamento del recluso che si è reso protagonista di tale vile gesto», ha continuato Melis. Poi il segretario nazionale del sindacato ha concluso: «Ovviamente, questa non è la soluzione al problema, certo è che se quanto disposto dal dipartimento fosse applicato, celermente, ogni qualvolta che si materializza un evento che mina la sicurezza e l’incolumità dei poliziotti, forse si invierebbe un segnale chiaro che in molti casi farebbe desistere i reclusi da mettere in atto questi tipi di comportamenti».

Fine mercato tutelato luce e gas, la Lega insiste su proroga. Si tratta con l’Ue

La fine del mercato tutelato su luce e gas, prevista dal Decreto energia approvato martedì 28 novembre dal Consiglio dei ministri, continua a creare tensioni nella maggioranza. Il vicepremier Matteo Salvini insiste sulla necessità di prorogare ancora il regime in cui prezzi e condizioni contrattuali erano definiti da Arera e non dalla concorrenza, e tiene così il punto sul fronte delle bollette: «Conto che con il dialogo si riesca a rimediare a un errore che ci siamo trovati sul tavolo».

Foti, FdI: «Ci vuole un’autorizzazione europea»

«Dovete chiedere al vicepremier Salvini, non a me», ha tagliato corto il ministro degli Esteri azzurro Antonio Tajani ai cronisti che gli hanno chiesto un commento sull’argomento. Più morbido invece Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, che ha chiarito: «Se tecnicamente è possibile oggi fare una proroga di un anno sicuramente il governo la farà. Ma ci vuole un’autorizzazione europea». E secondo ambienti di Palazzo Chigi dei contatti informali con Bruxelles sarebbero in corso. Ma quello su cui si sta lavorando è comunque una norma di transizione graduale tra mercato tutelato e mercato libero. Secondo quanto riferiscono fonti di maggioranza, se non si riuscisse a prorogare di qualche mese le scadenze del 10 gennaio (gas) e del primo aprile (elettricità), si sta studiando la possibilità di dilatare i tempi delle aste per l’assegnazione del servizio a tutele graduali ai clienti domestici. Lo riferisce SkyTg24.

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Matteo Salvini e la segretaria Dem Elly Schlein, all’assemblea Cia degli agricoltori italiani (Imagoeconomica).

Sulla proroga insistono anche le opposizioni

Sul tema anche le opposizioni spingo per una proroga. «Mi pare che altre modifiche al Pnrr le abbiano fatte, ma questa no, noi chiediamo che si discuta con Bruxelles e che si blocchino le aste», ha detto la segretaria del Pd Elly Schlein. Azione e +Europa ricordando invece che il voto sull’uscita dal mercato tutelato avvenne ai tempi dei governi Conte II e Draghi: «La sinistra non può imputare alla Meloni quello che abbiamo votato noi nel governo Draghi, compresa la Lega. Il tema ora è come andare alla Commissione europea tutti insieme e come trattare», ha dichiarato Carlo Calenda.

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