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La triste parabola di Achille Lauro, da rockstar a Fragole

Avevamo lasciato Achille Lauro nei panni della rockstar assoluta. Al Mudec lo scorso anno ha presentato la sua «installazione vivente, tributo alla celeberrima e iconica artista Marina Abramovi?» (parole sue) dopo aver regalato quadri situazionisti come superospite a Sanremo. E coi suoi «Wow» e il suo accento romano era riuscito a strappare un contratto da capogiro alla Warner, lasciando Sony con il famoso cerino in mano.

La triste parabola di Achille Lauro, da rockstar alle Fragole di Love Mi f
La performance di Achille Lauro all’Eurovision 2022 (Getty Images):.

Da ospite di serie B a Sanremo al palco di Love Mi a cantar di Fragole

Certo, Lauro è anche colui che sempre a Sanremo, ma in gara, è andato a fare il battezzatore, che ha cavalcato un toro meccanico all’Eurovision, eliminato per giusta causa, quello che è finito a fare la parodia di se stesso in compagnia di Fedez e Orietta Berti in un tormentone estivo che grida vendetta, e che è tornato a Sanremo per il quinto anno di fila, ma stavolta a cantare in piazza, con quel senso di imbucato tipico di chi non ce l’ha fatta a entrare nel cast ma ha dietro un promoter troppo grosso per non fare almeno un passaggio tv, vedi alla voce Salzano. Poi di colpo ce lo siamo trovati sul palco di Love Mi, la megafesta organizzata da Fedez in piazza Duomo. I maligni dicono megafesta per se stesso, perché a fronte di qualche decina di migliaia di euro dati in beneficenza in tasca delle sue società sarebbero entrati bei soldoni. Prima Lauro ha vestito i panni del truce satanista accompagnato dalla versione hard-discount de La fura del baus, e poi ha duettato con la solita Rose Villain, già vista con Rosa Chemical a Sanremo. Lo stesso Rosa Chemical che sembra aver scippato proprio ad Achille Lauro il ruolo di quello strano ma che fa simpatia, il tutto in una canzone, Fragole, che è un reggaettino all’acqua di rose, tutto allusivo ma per niente incisivo.

Il re del tormentone diventato solo tormento

Non a caso, Achille che per qualche tempo ha fatto milioni di stream e view e che ha anche piazzato bei colpi in classifica, di colpo è diventato uno qualsiasi, scomparendo dalla vetta (anzi, in vetta non ci è mai arrivato, e staziona stancamente al 21esimo posto), seppellito da tormentoni che tali sono realmente e ormai relegato nei panni del tormento. Una canzone, Fragole, sciapa, senza graffio e, diciamolo, anche musicalmente piuttosto spenta, che sembra cristallizzare un momento infelice del cantautore, rimasto orfano del suo manager Angelo Calculli, quello che letteralmente se l’è inventato, e anche dell’ispirazione. Il tutto senza però aver dato luogo – che so? – almeno a uno straccio di autodistruzione, tipica delle rockstar sul viale del tramonto, lui che ha sempre rivendicato la sua appartenenza a un mondo di strada. E invece nulla. Solo la perdita di successo, e forse l’attestazione di un talento che era tale più in virtù di chi lavorava con lui che di lui stesso.

Ci ha fatto credere di essere come Lucifero, un angelo caduto, invece era solo una comparsa nella grande truffa del Rock’n’roll

Essere manipolati da abili strateghi non significa non avere talento: i casi di Elvis e dei Sex Pistols

Faccio un passo indietro a un’estate di molti anni fa. Elvis Presley, vuole la leggenda, viene trovato morto seduto sulla tazza del cesso di Graceland, la sua tenuta da favola a Memphis, Tennessee, un enorme cheesburger ancora stretto tra le mani, portato via da un infarto dovuto proprio agli stravizi, cibo, alcool e via discorrendo. Niente di particolarmente glamour, nel farsi trovare stecchito mentre si è seduti sul water, anche se l’idea che qualcuno dipendente evidentemente da cibo mangi anche in bagno è quantomeno sufficientemente bizzarra per essere l’uscita di scena di una leggenda. Il fatto che il tutto sia accaduto nell’estate del 1977 – cioè proprio l’anno in cui il mondo della musica, mainstream compreso, veniva scosso dalle provocazioni stravaganti dei Sex Pistols e Malcolm McLaren e il punk esplodevae come fenomeno sociologico ancor più che musicale, con la sua carica eversiva fatta della logica del Do It Yourself – non ha certo fatto altre che colorare il tutto di sfumature ulteriormente ambigue: il Re muore quando Johnny Rotten chiede a Dio di salvare la Regina. Elvis Presley e i Sex Pistols, del resto, in maniere giocoforza diverse, sono stati due facce della stessa medaglia. Progetti manipolati da abili strateghi, nel caso di Presley il colonnello Parker, capaci di intercettare un talento e costruirci intorno una carriera per regalare alle masse esattamente quel che le masse volevano. Talenti piegati al sistema, quindi, ma non per questo necessariamente depotenziati. Sicuramente ascrivibili a segmenti di determinati mercati, case history da studiare in uno dei tanti master per chi vuole lavorare nello show business che spuntano fuori come i funghi.

La triste parabola di Achille Lauro, da rockstar alle Fragole di Love Mi f
Achille Lauro (dal profilo Instagram).

Quell’aria da truce satanista nascosta dal motivetto più irrilevante degli ultimi anni

Ora, passare a parlare, tornare a parlare di Achille Lauro dopo aver citato Elvis Presley e i Sex Pistols, ne ho coscienza, è tanto bizzarro quanto pensare a una uscita di scena a cavalcioni sulla tazza di un cesso – Sid Vicious avrebbe seguito Elvis a ruota, morto di overdose con l’ombra dell’omicidio della sua Nancy Spungen a aleggiare su di sé – ma quel che sta capitando al trapper/cantautore romano negli ultimi tempi ha in effetti dell’anomalo, quasi del leggendario: riuscire a passare nel giro di poco tempo da quello che pontifica, citando a memoria le battute di Velvet Goldmine, film di Todd Haynes usato da Calculli come copione del suo percorso artistico dalla trap al mainstream, a cantare di fragole e champagne in compagnia di Rose Villain, l’aria da truce satanista nascosta dal motivetto più irrilevante degli ultimi anni (e stiamo parlando di anni che hanno sfornato musica deprecabile come mai prima), è qualcosa che forse meriterebbe a sua volta un film, forse anche una serie su Netflix, Beppe Fiorello a vestire i suoi panni, titolo di lavorazione: “Wow, la parabola discendente di un aspirante rockstar”. Ci ha fatto credere di essere come Lucifero, un angelo caduto, invece era solo una comparsa nella grande truffa del rock’n’roll.

Leao dal calcio al rapper: pubblicato il secondo album e c’è un brano in italiano

Mentre attende di tornare con la palla tra i piedi, Rafael Leao indossa nuovamente i panni del rapper. Il portoghese del Milan, fresco di rinnovo fino al 2028, ha infatti pubblicato online My Life in Each Verse, il suo secondo album musicale. All’interno 17 tracce interpretate soprattutto in portoghese e in inglese. Ce n’è anche una in italiano, dal titolo Fede, frutto dei suoi quattro anni a Milano dove giunse nell’estate 2019, che racconta la sua scalata verso il successo. Il disco è disponibile su tutte le principali piattaforme streaming, da Spotify a YouTube, dove Leao possiede un account con 86 mila follower.

È online My Life in Each Verse, nuovo album da rapper di Leao, che canta con il nome d’arte Way45. Spicca Fede, unica traccia in italiano.
Rafael Leao con la maglia del Milan in campo a San Siro (Getty Images).

Leao, il significato del suo nome d’arte e i temi delle canzoni

Se il suo cognome campeggia chiaramente sulla maglia rossonera, Leao ha scelto per la carriera musicale un nome d’arte. Negli store è infatti possibile trovarlo come Way45, nickname che scelse già per il suo debutto nel gennaio 2021 con l’album Beginning. Come ha spiegato lo stesso calciatore del Milan, la scelta non è casuale ma fa riferimento ai suoi anni d’infanzia in Portogallo. Way e 45 sono infatti il cammino nella vita e il prefisso postale del sobborgo di Almada, nel distretto di Setubal, dove è nato e ha mosso i primi passi da giocatore. Le canzoni raccontano, come si evince anche dal titolo del progetto (in italiano “La mia vita in ogni verso”), la storia di Leao fra sogni, difficoltà e vittorie. Di grande interesse, soprattutto per i suoi fan al Milan, Fede, la prima e finora unica traccia in italiano. «Io sono fortunato ad avere questa bella vita», canta Leao. «Ci sono volte in cui non parlo perché faccio tanta fatica».

Prettamente di stampo rap, il genere che Leao ama sin da bambino quando si divertiva con lo zio deejay, il disco presenta anche qualche ritmo trap. Fra le varie tracce anche tanti featuring con artisti anglosassoni o portoghesi. Torna nuovamente anche Léo Stunna, che aveva già cantato con il talento del Milan nel suo primo album con il brano Ballin’. Chissà che però presto non arrivi la tanto agognata collaborazione con il suo amico Lazza, tra l’altro grande tifoso dei rossoneri. L’artista, secondo al Festival di Sanremo con la sua Cenere, aveva promesso una hit in caso di vittoria della Champions League, sfumata in semifinale nel derby contro l’Inter. Leao, pronto a indossare da agosto la maglia numero 10 ereditata da Brahim Diaz, avrebbe dunque un obiettivo in più per riportare la coppa a Milanello, dove manca dal 2007.

Non solo musica e calcio, il talento del Milan brilla anche nella moda

«Per me la famiglia è la cosa più importante», aveva detto Leao in un’intervista del 2022 al Corriere della Sera. «Con il primo stipendio ho comprato una casa ai miei genitori». Il valore dei suoi affetti è visibile anche in Son is Son, il suo personale marchio di moda. «Non dimenticare mai da dove provieni», si legge infatti sulla pagina Instagram ufficiale del brand. Domina lo stile sportivo, con tute e felpe con cappuccio. Lo stesso Leao appare molto spesso come modello, indossando i capi più rappresentativi della sua linea. Attivo in ogni settore, il portoghese è però atteso soprattutto sul campo da calcio. Dopo la partenza di Sandro Tonali, il ritiro di Zlatan Ibrahimovic e gli addii di Paolo Maldini e Frederic Massara, i rossoneri punteranno su di lui per tornare a vincere un trofeo.

Pink, un fan le lancia le ceneri della madre morta durante il concerto

Si sta svolgendo proprio in queste ultime settimane la nuova tournée di Alecia Moore in arte Pink, una delle cantanti pop più amate al mondo che però ancora una volta ha deciso di non passare per l’Italia, nemmeno per una misera data. Un vero peccato, visto che il suo Summer Carnival Tour 2023 sta riservando a tutti i suoi fedelissimi fan tante sorprese inaspettate e momenti capaci di lasciare a bocca aperta, proprio come quello avvenuto pochissime ore fa al British Summer time Festival di Londra.

Una fan lancia a Pink un sacchetto con le ceneri della madre: la reazione della cantante

Ad un certo punto, nel pieno dell’esibizione live del brano Just like a pill, una persona tra il pubblico ha voluto “omaggiare” l’artista con uno strano sacchetto lanciatole dal parterre. All’interno c’erano, udite udite, nientepopodimeno che le ceneri della sua defunta madre. Non è dato sapere come l’artista sia venuta a conoscenza del contenuto del sacchetto ma probabilmente la fan che gliel’ha lanciato stringeva fra le mani un cartello dove veniva spiegato cosa si trovasse al suo interno.

Quando Pink si è resa conto di cosa stava succedendo si è guardata intorno spaesata e basita per quanto accaduto, per poi poggiare il sacchetto a terra proseguendo a cantare come se nulla fosse successo. Ecco il video di quello che è accaduto.

Non si è nemmeno trattato dell’unico bizzarro regalo che la cantante ha ricevuto sul palco. A poche ore di distanza, infatti, un altro fan nel pubblico ha omaggiato l’artista con un’enorme forma di brie che in qualche modo è riuscito a far passare dai controlli di sicurezza.

Una tournée davvero spettacolare

Anche questi nuovi live di Pink sono caratterizzati, al di là delle sorprese dei fan, da idee di messa in scena per molti versi folli. La cantante dà infatti il via al concerto appesa a due enormi elastici, calandosi da diversi metri d’altezza. Anche la chiusura è spettacolare: come già fatto in tour passati, l’artista vola letteralmente sul pubblico appesa a dei cavi sospesi intonando So What? una delle sue canzoni più celebri.

Il padre di Fabri Fibra e Nesli morto a 96 anni: addio a Ivaldo Tarducci

Grave lutto in casa Tarducci: si è spento ieri all’età di 96 anni Ivaldo Tarducci, il padre dei due rapper fratelli Fabri Fibra e Nesli, il cui rapporto è ormai compromesso da anni.

L’annuncio della morte del padre di Fabri Fibra e Nesli

«Ciao Pà, buon viaggio»: è con queste poche e semplici parole che Francesco Tarducci in arte Nesli ha annunciato ai suoi fan su Instagram la scomparsa dell’amato genitore. Per rendere omaggio al suo papà come si deve, Nesli ha per l’occasione anche pubblicato uno scatto rimasto fino ad oggi inedito, con padre e figlio insieme sorridenti qualche tempo fa.

Il padre di Fabri Fibra e Nesli morto a 96 anni: addio a Ivaldo Tarducci
Nesli e il padre Ivaldo Tarducci (Instagram)

Tutto tace, almeno per il momento, sui profili social del rapper di Applausi per Fibra, che non ha commentato la scomparsa del padre (uomo noto a Senigallia, era infatti il titolare di un negozio di abbigliamento) in alcun modo. Nel frattempo, tramite una nota, a rendere omaggio all’uomo è stato anche il sindaco della cittadina marchigiana, Massimo Olivetti, che ha così commentato la sua scomparsa: «Credo che quasi tutti i cittadini senigalliesi della mia generazione abbiano acquistato almeno una volta una capo di abbigliamento da Tarducci. Con la scomparsa di Ivaldo perdiamo un concittadino che ha investito nella piccola impresa contribuendo allo sviluppo economico della nostra città. Un abbraccio affettuoso ai suoi familiari».

I rapporti familiari complessi nella famiglia Tarducci

Non è certo un mistero che Fabri Fibra e il padre fossero in pessimi rapporti. Come riporta Vanity Fair, sembra che la frattura fra Ivaldo Tarducci e il figlio fosse legata al divorzio avvenuto quando Fabri Fibra e Nesli erano molto giovani. Anche nei confronti della stessa madre, ad onore del vero, Fabri Fibra serbaba un enorme rancore e in diversi pezzi le aveva dedicato rime al vetriolo.

Ben più conciliante invece Nesli, che aveva in qualche modo profetizzato uno scenario che, chissà, si potrebbe presentare ai funerali dell’uomo. Parlando della “resa dei conti” in famiglia, Nesli aveva infatti raccontato in un’intervista al Corriere: «Vive anche lei nell’assenza di Fabri. Mio padre ha quasi 90 anni, ho avuto questa visione: noi, al suo funerale. Succederà lì. Sarà quel giorno a chiudere i conti. Li pagheremo tutti. Capiremo che non è vero, che c’è sempre tempo».

Il 21 giugno è la Festa della Musica, ma ne abbiamo davvero bisogno?

Dal 1985 il 21 giugno si festeggia in Europa la Festa della Musica. Ne avevamo davvero bisogno? In genere si tende a dire che queste giornate siano utili per accendere l’attenzione dell’opinione pubblica intorno a un tema altrimenti tenuto sottotraccia, quasi invisibile. Per questo, per dire, esiste una Giornata contro la violenza sulle donne e non una contro la violenza sugli uomini. O una giornata contro l’omotransfobia e persino un mese dedicato al Pride. La musica è argomento sicuramente sensibile, se vi si guarda pensando ai lavoratori della filiera, quelli che durante i periodi di fermo a causa della pandemia sono rimasti letteralmente a bocca asciutta, senza lavoro e senza sostegno economico, ma non è a loro che è dedicata la giornata del 21 giugno, quanto proprio alla musica. E mai come oggi la musica è ovunque, pervasiva, onnipresente. Pensateci un attimo, quando avete passato una intera giornata senza che una canzone o un motivetto vi sia arrivato anche involontariamente alle orecchie? Certo, parlo di una condizione di vita quotidiana tipo, non certo di chi magari opera come guardiano del faro di un’isola deserta. Ecco, la musica, quella cui è dedicata la giornata del 21 giugno, è ovunque. Sempre.

Se Lars Von Trier girasse oggi il sequel de Le onde del destino lo infarcirebbe di musica

Facciamo un salto indietro nel tempo. È il 1996, è appena uscito quello che viene considerato, a ragione, il film che ha regalato al controverso regista danese Lars Von Trier la fama che di lì in poi lo ha sempre accompagnato: Le onde del destino. Ai tempi si parlò molto di questa pellicola, la cui protagonista era una ancora sconosciuta Emily Watson, e se ne parlò anche per l’adesione del regista al manifesto del movimento Dogma 95 sui valori di un cinema dedito alla recitazione, lontano da effetti speciali e tecnologie elaborate. Una sorta di purismo non troppo diverso da quello portato in letteratura, qualche anno dopo, dai New Puritans, capitanati da Nicholas Blincoe. Chiunque, ai tempi, fosse incappato nel trailer del film sarebbe rimasto affascinato dal susseguirsi suggestivo delle scene ambientate nei mari del Nord, accompagnate da una colonna sonora a suon di rock, dai Mott The Hopple ai Roxy Music, passando per i Procol Harum e i T-Rex. Chi, invece, fosse poi andato a vedere il film, due ore e mezzo circa di storia iperdrammatica, avrebbe notato come di quella colonna sonora vi fosse poca traccia. E come fosse tutta concentrata nelle cornici tra un capitolo e l’altro, praticamente assente durante lo svolgimento della trama. Del resto, un film che ambisca a una onestà di fondo, cioè a una adesione totale e totalizzante con il reale, ai tempi, non poteva che muoversi così. Dubito che in un borgo scozzese ci fosse costantemente musica nell’aria. Ecco, se oggi Lars Von Trier, per ragioni che onestamente ci sfuggono, dovesse provare a fare un remake del suo stesso film, ambientandolo negli stessi luoghi e volesse ancora essere fedele al Dogma 95, come non sempre ha fatto in tutti questi anni, credo che potrebbe regalarci una colonna sonora costante, onnipresente, invasiva e capillare. Perché nel mentre, qui volevo arrivare, certo avendola presa decisamente alla lunga, oggi la musica non ci molla mai un attimo, è presente in ogni istante del nostro vivere, in ogni spazio e in modi molteplici.

Il 21 giugno è la Festa della Musica, ma ne abbiamo davvero bisogno?
Emily Watson in una scena di Le onde del destino.

Dalla filodiffusione alle cuffiette, siamo sottoposti a un bombardamento musicale

Se un tempo, neanche troppi anni fa – Le onde del destino è, ripeto, del 1996 – per ascoltare musica toccava impegnarsi, a meno che non ci fosse una qualche radio in filodiffusione, non così comune come adesso, oggi dai negozi ai ristoranti ai bar, siamo bombardati ogni secondo da canzoni, siano esse fornite da chi ci circonda, al supermercato come in metropolitana, o ascoltate tramite i device e le immancabili cuffiette che ci accompagnano mentre camminiamo, facciamo jogging, studiamo, lavoriamo, cuciniamo e chi più ne ha più ne metta. Questo oltre alla musica che ascoltiamo in auto, a casa, in ufficio. Musica che diventa sottofondo, con buona pace di chi a suo tempo ha pensato a quali motivetti usare come colonna sonora nei nostri viaggi in ascensore (parlo degli ascensori dei grattacieli, quelli destinati a ospitarci per più di qualche secondo) o, Brian Eno santo subito, negli aeroporti. Musica da ascoltare distrattamente e in quanto tale scritta proprio con una cifra destinata a essere coerente al tipo di ascolto preposto.

Viva il Giorno senza musica proposto da Drummond

Musica, musica ovunque. Musica sempre. Musica molto spesso prescindibile, irrilevante, destinata a non lasciare traccia nel tempo. Figuriamoci per noi che la ascoltiamo mentre facciamo altro. Musica che proprio oggi, 21 giugno, primo giorno d’estate, celebra la sua festa, con tutta una serie di iniziative che, toh, vedranno artisti e addetti ai lavori propiziarci altra musica, in nome della musica stessa. A tal proposito potrebbe essere cosa buona e giusta riprendere una vecchia proposta fatta da quel genio situazionista di Bill Drummond, già a capo del gruppo The KLF, oltre che parte dei Big In Japan, scrittore e artista. Anni fa, infatti, Drummond – che già si era fatto notare nel 1994 per aver dato alle fiamme in una performance punk senza precedenti qualcosa come un milione di sterline in banconote, tanto aveva guadagnato con la sua band e divenuta un video artistico dal titolo Watch the K Foundation Burn a Million Quid, quando si dice essere eversivi – buttò lì di istituire il 21 novembre il Giorno senza musica, un digiuno auricolare atto a specificare come esista musica deprecabile, destinata a fungere da colonna sonora di sottofondo per qualsiasi luogo e qualsiasi momento, e musica invece preposta a accompagnarci in momenti specifici, quella che appunto col tempo rischia di scomparire sepolta dal rumore di fondo. Iniziativa, questa, andata avanti per cinque anni, dal 2005 al 2009. L’idea, lanciata da Drummond attaccando alla maniera di artisti quali Banksy, manifesti all’ingresso del Mercey Tunnel di Liverpool, era quella di un piano quinquennale atto a salvaguardare la musica, certo, ma anche l’umanità, ma mai come oggi suona necessario, se non addirittura salvifico.

Il 21 giugno è la Festa della Musica, ma ne abbiamo davvero bisogno?
Bill Drummond (da YouTube).

Giancane e le colonne sonore che l’hanno reso alter ego di Zerocalcare

Non è facile risalire al giorno esatto in cui tutto ciò è successo, ma da qualche parte nel passato prossimo, un po’ prima della pandemia, forse, o durante quei mesi allucinanti, Zerocalcare è diventato, suo malgrado e non certo senza un qualche suo disagio, il portavoce di una intera generazione. Così, di colpo in molti, tra Millennial e Generazione Z, certo con qualche squarcio abbondante anche nella Generazione X, si sono ritrovati a riconoscersi in quella voce, letteraria e letterale così biascicata, romanesca, disincantata e apatica, certo, ma anche malinconica e sentimentale, ironicissima e pungente, certo, ma capace di squarci di poesia lirici come forse nessun altro autore sa e ha saputo fare negli ultimi anni.

Giancane e le colonne sonore che l'hanno reso alter ego di Zerocalcare
Giancarlo Barbati, in arte Giancane (da Instagram).

Giancane e Zerocalcare, cioè Giancarlo Barbati e Michele Rech

Con lui, sempre presente, un cantautore che in qualche modo ne è la versione musicale, seppur i piccoli corti che Zerocalcare ha pubblicato sui social durante il Covid, come le due serie tivù uscite per Netflix – quella di enorme successo nel 2021, Strappare lungo i bordi, e la recentissima Questo mondo non mi renderà cattivo – siano infarcite di canzoni che spaziano in quell’enorme calderone che può stare tra Max Pezzali e i Radiohead. Giancane, questo il nome del cantautore in questione, non me ne vorrà chi si occupa di Seo in questo giornale se ho portato alle lunghe l’apparizione sul palco dell’artista (un po’ di climax non guasta mai) è indubbiamente l’alter ego di Zerocalcare. Già a partire dal fatto che entrambi abbiano scelto due nomi d’arte così surreali, l’uno si chiama in realtà Giancarlo Barbati, e Il muro del canto è la band nella quale si è fatto le ossa, l’altro Michele Rech.

Le canzoni e una lingua sdrucciola, parlata più che scritta

Ma è soprattutto nella poetica che entrambi sono riusciti nel miracoloso intento di essere quasi in simbiosi, che loro ovviamente farebbero passare per casuale, provando quasi disagio nel venire identificati come qualcosa di più che due nerd che passano le giornate nella stanca routine di chi prova a non rimanere schiacciato sotto le incombenze di una vita che è assolutamente inaffrontabile. Strappati lungo i bordi, brano che di Strappare lungo i bordi era tema principale, è una sorta di canzone/manifesto alla The Smiths, parlo di intenti, di una generazione, quella lì, non più adolescente ma che a fatica si riconosce tra gli adulti e soprattutto a fatica è identificata come adulta dagli adulti stessi. Con una scrittura che attinge a piene mani dallo stesso immaginario di Zerocalcare, e che dell’immaginario di Zerocalcare è diventata parte integrante, tra punk e una forma di elettronica contemporanea, l’idea del poter fare tutto in casa, giocando magari al ribasso sempre presente, e con una lingua sdrucciola, parlata più che scritta – si parla di apparenza, si badi bene, tutto quel che è scritto è mediato, anche quello che si vuole far passare per naturale – le canzoni di Giancane si sono cominciate a muovere al seguito dei fumetti e delle serie di Zerocalcare, finendo per trovare un successo sulla carta quasi impensabile.

Collaborazione nata nel 2018, con la clip di Ipocondria

La loro collaborazione risale al 2018, quando il fumettista più famoso d’Italia ha disegnato e animato la clip di Ipocondria – entrambi hanno qualche conto in sospeso con la protagonista della canzone – iniziando per altro a lavorare proprio in quell’occasione alle animazioni che poi sarebbero atterrate a Propaganda Live durante il Covid, con le storie di quarantena, e in seguito finite su Netflix col successo che tutti conosciamo. I due si erano incrociati già ai tempi in cui Giancane militava nella band romana – Zerocalcare aveva disegnato una copertina per loro -, ma è con Ipocondria che la collaborazione spicca il volo. E da quel momento ci sono state due colonne sonore importanti, l’ultima delle quali, quella di Questo mondo non mi renderà cattivo, contenuta nel nuovo album Tutto male, è se possibile anche più triste di quanto la nuova serie tivù già non sia. Il titolo, in effetti, lascia già indicazioni piuttosto precise a riguardo.

Grazie alle serie Netflix i suoi concerti sono aumentati esponenzialmente

Non è dato sapere se Giancane si viva il successo, certo non esattamente il medesimo da rockstar di Zerocalcare – ricordiamo la copertina de l’Espresso targato Marco Damilano che lo indicava come uno degli ultimi intellettuali italiani -, ma comunque un successo, con concerti che grazie alle serie Netflix sono aumentati esponenzialmente e che comunque presentano un pubblico decisamente più ampio, non solo coloro che poi, suppergiù, finiscono come tipologia antropologica dentro le serie di Zerocalcare, ma intere famigliole al gran completo, gente elegante che magari non ha neanche idea cosa significhi esattamente lo-fi, genere che un tempo un critico musicale avrebbe affibbiato alla musica di Giancane per dare indicazioni ai venditori di dischi su che ripiano posizionare i suoi cd o vinili. Sarebbe bello sapere, ma sono dettagli da nerd che guardano serie scritte da nerd che hanno su colonne sonore scritte da nerd, se anche Giancane ha un qualche animale guida a vestire i panni della sua coscienza, come l’Armadillo splendidamente interpretato, a livello vocale, da Valerio Mastandrea nelle due serie tivù. Chissà se prima o poi, anche lui baciato dal successo come il suo compare, non arriverà qualche giornalista gossipparo a chiederglielo.

Berlusconi tra canzoni denuncia, parodie e inni politici

Silvio Berlusconi è morto. Si dirà che con lui è morta un’epoca, come a voler dimenticare le tante ombre che lo hanno accompagnato in questi suoi 86 anni di transito terrestre, per dirla col maestro Battiato. Quel che è certo che almeno per gli anni nei quali il suo essere sul pianeta Terra ha coinciso anche con l’essere un leader politico, diciamo gli ultimi 30 anni, Silvio Berlusconi non è stato solo un tycoon visionario baciato dal plauso del pubblico votante – lui che si era già tolti parecchi sfizi in ambito imprenditoriale da Fininvest a Mediaset, passando per il Milan e la Mondadori – ma anche uno dei protagonisti indiscussi della cultura popolare, oggetto di imitazioni, parodie, attacchi più o meno feroci dentro i libri, i film, le canzoni.

Berlusconi tra canzoni denuncia, parodie e inni politici
Silvio Berlusconi nel 2010 (Getty Images).

Berlusconi oggetto di film e imitazioni grottesche

E se pensando a personaggi anche popolarissimi come Maurizio Crozza o Sabina Guzzanti è quasi naturale vederseli nei panni del Cavaliere, i suoi tic e le sue caratteristiche rese grottesche ma al tempo stesso simpatiche, se pensando a giornalisti e scrittori come Marco Travaglio o Gianni Barbacetto vien quasi impossibile non associare i loro nomi a quelli di Berlusconi, trattato e ritrattato in così tante loro opere, se anche pensando a un maestro del cinema come Nanni Moretti, volendo anche un premio Oscar come Paolo Sorrentino, risulta difficile non correre col pensiero a opere quali Aprile e Il Caimano, nel caso del regista e attore romano, Loro, parte uno e due, nel caso del regista partenopeo, è indubbio che il mondo della canzone, specie quello militante, che un tempo si sarebbe indicato come quello dei centri sociali, abbia dedicato tante canzoni e quindi tante energie a provare a contrastare quello che appariva, a ragione, come uno strapotere non solo politico, ma anche mediatico.

Ovviamente, parlando di canzoni, c’è chi ha usato la linea retta, colpendo in maniera forse anche troppo chiara colui che riconosceva come il proprio nemico. Penso a parte della produzione di artisti quali la Banda Bassotti, con brani quali Una storia italiana, che rifaceva il verso al libricino mandato nelle case di tutti gli italiani, o i Modena City Ramblers che con la loro El Presidente riprendevano invece alla famosa campagna “un presidente operaio”, nella quale Berlusconi si presentava interpretando tutta una serie di lavori umili, che mai aveva praticato in vita sua.

La critica poetica di Silvestri e Battiato

E chi invece, penso proprio al Daniele Silvestri del brano Il mio nemico, o al Franco Battiato di Inneres Auge, ha scelto la via della poesia, tratteggiando un uomo di potere. L’incipit del brano del maestro siciliano è in questo da antologia con quel «Uno dice, che male c’è a organizzare feste private con belle ragazze per allietare primari e servitori dello stato? Non ci siamo capiti, e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti», andando a colpire altrettanto a fondo, seppur richiedendo all’ascoltatore un minimo sforzo interpretativo.

Devi andartene, l’invito di Paola Turci poi convolata a nozze con l’ex del Cav Pascale

La lista continua con AAA Cercasi di Carmen Consoli, che parla di un 80enne miliardario affascinante che cerca cagne di strada per offrire loro un’opportunità di vita, sorta di metafora neanche troppo metaforica di quanto per anni si è imputato a Berlusconi, dal bunga bunga in poi e Devi andartene di Paola Turci, ironicamente poi convolata a nozze con l’ex di Berlusconi Francesca Pascale, nella quale si parla di un satrapo sempre indaffarato tra donnine e lusso. Passando per brani più tipicamente figli dei nostri tempi, come Swag Berlusconi del guascone Bello Figo, nel quale il rapper di Pasta con tonno si vanta di scopare parecchio perché le ragazze pensano che lui sia il presidente; Penisola che non c’è di Fedez, dove i riferimenti al Cavaliere sono diretti e troppi da essere riportati, arrivando a un vero gioiello come Legalize the premier, che vede un ispirato Caparezza, in compagnia del rasta Alborosie, ipotizzare un mondo nel quale il capo politico del centro-destra invece che legalizzare le droghe leggere legalizzi se stesso, una sorta di esplosione del fenomeno delle leggi ad personam che ha decisamente accompagnato tutta la carriera di Berlusconi, da ancora prima della sua discesa in campo fino a quando è rimasto sulla cresta dell’onda. Discorso a parte meriterebbe Il sosia di Antonello Venditti, cantautore romano che con Berlusconi ha avuto sempre un rapporto fatto di frecciatine neanche troppo velate. Nella canzone in questione, forse non conoscendo un fatto realmente avvenuto, l’autore di Roma capoccia ipotizza un premier che sia di sinistra e tifoso sfegatato dell’Inter, facendo chiaramente riferimento alla lunga storia che Berlusconi ha avuto col Milan, anche se, è noto, l’acquisto dei rossoneri da parte del tycoon è avvenuto perché non fu possibile acquistare l’Inter, squadra per la quale il Cavaliere ha sempre tifato sin da piccolo.

Caro Berlusconi di Malgioglio e Meno male che Silvio c’è di Andrea Vantini: letterine e inni

Per chiudere questa veloce carrellata, sicuramente non esaustiva – e che comunque potrebbe comprendere anche alcune delle canzoni che lo stesso Berlusconi, con un passato da cantante nelle navi da crociera e da contrabbassista nella stessa orchestrina nella quale suonava anche il suo antico sodale Fedele Confalonieri, recentemente autore per Michele Apicella quando ormai da tempo era sceso in campo – non si possono non citare brani come Caro Berlusconi, a firma Cristiano Malgioglio, il quale, riprendendo una sua vecchia canzone degli Anni 80, Caro direttore, scrive una lettera immaginaria al premier, chiedendo una spintarella a colui che di spintarelle, negli anni, ne ha dispensate decisamente tante, o Meno male che Silvio c’è che Andrea Vantini scrisse per il Cav nel 2010, quando la morsa della magistratura cominciava a chiudersi intorno a lui. Brano entrato nell’immaginario comune, non certo senza alcune ironie, e divenuto inno delle convention del Popolo delle Libertà, prima, e di Forza Italia, poi, e anche di tante gag e tanti meme che hanno avuto Berlusconi come protagonista. Anche questo, in fondo, è il segno di una pervasività che nessun altro politico italiano può a oggi vantare.

 

Annalisa si è spogliata, alleggerita e ha fatto boom (pure) su TikTok

Il curioso caso di Annalisa Scarrone. Un pezzo leggero su l’artista che in questo momento sta letteralmente impazzando con la hit Mon amour, dopo aver letteralmente impazzato con Bellissima si potrebbe serenamente intitolare così. Facendo riferimento al film di David Fincher con Brad Pitt, dove si narra la storia di Benjamin Button, uomo che invece di invecchiare ringiovanisce, ribaltando il normale corso delle cose.

Ormai si muove sulle scene da diversi anni: Amici, 2010

Annalisa Scarrone, per tutti semplicemente Annalisa, per i suoi tanti fa addirittura solo Nali, è un’artista che ormai si muove sulle scene da diversi anni: il suo passaggio per la scuola e quindi il programma di Amici di Maria De Filippi, nel 2010, fu il primo momento davvero rilevante. Un secondo posto che proprio in questi giorni è tornato di attualità quando un tweet di colui che quell’edizione, la decima, la vinse, Virginio – tweet nel quale sottolineava il ruolo dell’artista, evidenziando come a suo dire l’arte non fosse solo divertimento -, è da molti stato interpretato come un attacco proprio a lei, nel mentre lì a giocare, letteralmente e letterariamente, con un brano riempipista, si sarebbe detto un tempo, come Mon Amour, solo in apparenza partito come una Bellissima in scala ridotta e invece hit capace, se possibile, di far meglio di quanto già non abbia fatto la precedente.

Annalisa si è spogliata, alleggerita e ha fatto boom (pure) su TikTok
Annalisa detta Nali. (Getty)

Una bellezza elegante che ha a lungo relegato in secondo piano

Un secondo posto che però l’ha vista subito sbocciare, la sua canzone amiciana, Diamante lei e luce lui, a imporsi come una hit, dando il via a una carriera che la vedrà faticare un po’ a trovare una propria cifra precisa, lei con una voce importante, intonata come pochissime colleghe, anche dotata di una bellezza elegante che ha a lungo relegato in secondo piano, Benjamin Button, appunto, che punta su una classicità forse a lei poco contemporanea. Tanti i passaggi a Sanremo senza mai una vittoria – la posizione più alta nel 2018 -, un terzo posto più che meritato con il brano Il mondo prima di te, Annalisa è riconosciuta come talento ma alla costante ricerca di un repertorio che potesse in qualche modo farla esplodere. Una voce talmente pulita, la sua, e usata con gran stile, da farla forse risultare a tratti algida, tanto che quando nel 2015, in seguito a un altro passaggio sanremese, arriva l’album Se avessi un cuore, qualcuno ha pensato si trattasse di una una prima persona singolare, non di una seconda.

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Laurea in Fisica per poter poi provare a fare i conti con la musica

Poi la vita tende a dimostrarci sempre come le cose, a volte, arrivino quasi per caso, quando meno te lo aspetti, e lei che aveva esordito anche incidendo una versione strepitosa di Mi sei scoppiata dentro il cuore di Mina, classica quando sarebbe potuta assolutamente essere sbarazzina, quella laurea in Fisica ottenuta per poter poi provare a fare i conti con la musica a tenerla un po’ legata, ecco che quella famosa cifra comincia a farsi più nitida, grazie a un alleggerimento della stiva, direbbero dalle parti in cui è nata, Savona, o in una qualsiasi città di mare. Conscia di non dover necessariamente dimostrare sempre e comunque chi è e cosa sa fare, infatti, Annalisa ha cominciato a ringiovanirsi, iniziando a collaborare su canzoni in apparenza troppo leggere, in realtà semplicemente ottime per intrattenere – la musica è anche questo, mica solo esistenzialismo spinto -, e facendolo sempre come una spada.

Il brano della svolta leggera, Avocado toast

Ecco quindi i duetti con Benji e Fede, Tutto per una ragione, ecco quello che oggi potremmo leggere come il suo brano della svolta, Avocado toast, il primo di una serie di canzoni atte a alleggerirla, appunto, e soprattutto a mostrarcela per quello che è, una giovane donna che vive nel mondo di oggi, ecco altre collaborazioni, come quelle con Mr Rain, con J-Ax, rispettivamente con Un domani, a nome suo, e Supercalifragili, del rapper milanese, ecco Tropicana, tormentone dell’estate 2022 con i Boomdabash, giusto il tempo di arrivare in autunno e pubblicare quella Bellissima che ancora oggi imperversa su Spotify e sui social.

L’album Nuda ha indicato una presa di coscienza

Chiaramente questa è una carrellata veloce, perché fossimo andati con calma avremmo dovuto specificare come l’album Nuda, di settembre 2020, abbia segnato davvero un passo importante nella sua carriera, e come il tutto sia passato attraverso un serissimo lavoro di pacificazione col suo corpo. Nuda è un titolo metaforico, spero non serva dirlo, ma il vederla nuda in copertina – lei che ha a lungo tenuto il suo corpo nascosto, come se la sua bellezza fosse un problema da gestire, o qualcosa da non sbandierare per non passare per chi cerca scorciatoie, in barba a quanto il pop internazionale femminile ha nel mentre fatto – in qualche modo ha indicato una presa di coscienza, un volersi spogliare, anche qui metaforicamente, di una serie di sovrastrutture che in qualche modo l’avevano tenuta ferma fino a quel momento.

Annalisa si è spogliata, alleggerita e ha fatto boom (pure) su TikTok
Annalisa. (Getty)

Annalisa non è stata presa in ostaggio da TikTok

E come spesso capita, quando decidi di prendere le cose un po’ più alla leggera, ecco che le cose hanno iniziato a farsi davvero interessanti, perché il ringiovanimento di Annalisa – Bellissima, prima, e Mon Amour, ora, lo dimostrano – ha coinciso con un preciso momento storico della musica contemporanea, quello in cui la Rete ha definitivamente preso il posto dei supporti fisici, stabilendo, era già successo a tutti i passaggi nodali della storia della discografia, altri istante e altri canoni. Ora, leggo quanto ha detto Gino Castaldo col solito ritardo, lui che per altro è stato, organico al sistema quale è, parte di questa deriva: ci si accorge che la musica è diventata ostaggio di TikTok, e si usa proprio le ultime due hit di Annalisa, seppur specificandone il talento, come esempio e monito per le prossime generazioni, ma di fatto Annalisa mi sembra piuttosto l’unica, a oggi, o una delle poche, in Italia, ad aver capito come funziona la contemporaneità e averla forzata per fare quel che voleva, non viceversa.

Canzoni pensate per i contesti social e con riferimenti Anni 80-90

Mi spiego: se inizialmente la musica era stata composta per essere eseguita dal vivo e le prime incisioni con quello avevano dovuto fare i conti, salvo poi diventare primarie per la composizione, lì a ragionare su quanto durasse un lato di un long playing, prima, e un cd, poi, solo in un secondo momento a provare a replicare dal vivo quanto si era composto per essere inciso e veicolato, non viceversa, oggi è lo streaming a farla da padrona. Quindi si scrivono canzoni che stiano in un tempo assai basso, che non tocchino frequenze troppo alte o troppo basse, assenti o distorte sui device, e che quindi ruotino giocoforza su un numero limitato di possibilità armoniche e quindi melodiche, chi dice il contrario mente. TikTok, se possibile, ha reso il tutto ancora più estremo, riducendo a pochi secondi la replicabilità di un brano, quindi ritornelli veloci e che arrivino subito, entro i 40 secondi massimo, qualche gesto da ripetere nei video a beneficio di chi poi viralizza. In questo conteso arrivano Bellissima e Mon Amour di Annalisa. Canzoni sì pensate per funzionare in quei contesti, ma in realtà costruite facendo riferimento a un immaginario musicale che è quello dei tardi Anni 80, più che altro Anni 90, il medesimo a cui guardano artiste quali Dua Lipa.

Il pop può anche essere veicolo di girl empowerment

Se però un certo passatismo in ambito, Dio mi perdoni, rock ha fatto tanto esaltare firme come Gino Castaldo – parlo dei Maneskin -, sembra che in questo caso quel che rimane nel pettinino per le lendini con cui il collega ha provato a passare le hit di Annalisa sia solo quello che passa nei balletti del social cinese, come se il pop dovesse necessariamente ambizioni colte (parlo di cultura alta) e come se, piuttosto, l’intrattenimento fosse sempre da guardare con sospetto. Il tutto mentre legittimamente impazzano Paola e Chiara con Furore e mentre Elodie annuncia un sold out al Forum. Il pop, specie quello a firma di artiste donne, può essere veicolo di un girl empowerment che evidentemente per questioni anagrafiche Castaldo non coglie, mentre siamo arrivati alla liberazione di Annalisa, che letteralmente si è ringiovanita smettendo di aderire a una idea di chanteuse decisamente passatista, giocando sul e con il suo corpo che fino a ieri nascondeva, il tutto mentre crea brani destinati a farci ballare anche per tutta l’estate, che sia per i 15 secondi di un video virale su TikTok o più anticamente su una spiaggia.

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L’essere popolari o popolani non è più un’onta

Il gioco delle contrapposizioni tra alto e basso, in questo caso, non è utile, né necessario, perché altri sono gli spazi che chi fa musica di approfondimento e d’autore giustamente insegue, non certo perché il proprio posto è “rubato” da brani di tale guisa. Si dovrebbe, è quel che ha provato a fare Tosca sui social, finendo a sua volta sommersa da hater (oggi sembra funzionare solo così), provare a ipotizzare un mondo in cui c’è spazio per tutta la musica, e chi si occupa di critica, come chi scrive, ben lo sa e a lungo si è battuto per aprire nuovi spazi, non certo per evocare l’abbattimento, più o meno figurato, di chi porta avanti altri discorsi. Il pop perfetto di una Lady Gaga o di una Dua Lipa fa spesso balzare sulla sedia la critica anche nostrana, incapace magari di cogliere appieno il senso di una rilettura attualizzata di un passato che vedeva troppo spesso il pop relegato quasi in uno sgabuzzino, qualcosa di cui vergognarsi, come se l’essere popolari o popolani fosse un’onta. Ben venga allora un pop italiano ambizioso, ancor più se portato avanti anche da noi da donne fiere e consce. Annalisa è bellissima e bravissima.

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