Da oggi, lunedì 3 luglio, è terminata l’era gratuita del Pantheon che ha lasciato il posto a quella a pagamento. Per accedere al sito culturale «più visitato d’Italia» con ben «9 milioni di visitatori l’anno» bisognerà munirsi di biglietto, pari al costo di cinque euro. A ricordare il cambio è stato il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, nel suo intervento a Fenix, la convention dei giovani di Fratelli d’Italia, in corso a Roma.
Roma, turista al Pantheon (Imagoeconomica).
Pantheon a pagamento: esenti cittadini romani
I cittadini di Roma continueranno a visitare il Pantheon gratuitamente, mentre, come aggiunto dal ministro, un 30% «andrà alla Curia che destinerà parte dei fondi in beneficenza». Il Comune inoltre si impegnerà a «destinare queste risorse alla tutela dal degrado di quella piazza che non è all’altezza del decoro che merita». Il costo del biglietto sarà ridotto a tre euro per i giovani tra i 18 e i 25 anni, mentre per tutte le altre agevolazioni previste basterà fare riferimento al sito https://www.beniculturali.it/agevolazioni.
Come e dove acquistare il biglietto
Per acquistare il biglietto basterà andare sul sito online della piattaforma Museitaliani (www.museiitaliani.it), a partire dalle ore 7:00 del 3 luglio 2023, oppure recarsi direttamente alla cassa, davanti al monumento per il pagamento in contanti o moneta elettronica, ricordandosi che le biglietterie chiudono alle ore 18.00. Gli orari di ingresso del Pantheon – aperto tutti i giorni dalle ore 9.00 alle ore 19.00 con ultimo ingresso alle ore 18.30 – potranno subire variazioni in occasione di celebrazioni religiose. I singoli visitatori potranno acquistare fino a un massimo di 10 biglietti.
Si è spento il 29 giugno, Francesco De Bartolomeis, antifascista dichiarato e decano dei pedagogisti italiani, considerato un innovatore, oltre che cultore della materia. Uno degli apporti più importanti che diede al mondo della scuola fu il metodo dei laboratori scolastici e del tempo pieno. La notizia della morte, avvenuta all’età di 105 anni, è stata data dalla nuora, l’ex senatrice del Pd Vittoria Franco, a esequie già avvenute.
Francesco De Bartolomeis (foto Facebook).
Francesco De Bartolomeis, vita e pubblicazioni
De Bartolomeis è stato docente di pedagogia all’Università di Torino dal 1956 al 1988. Appassionato della sua materia, la pedagogia, negli anni Cinquanta e Sessanta si adoperò per far conoscere anche in Italia i più importanti studiosi europei e nordamericani, riuscendo anche a farli pubblicare dagli editori con cui collaborava come Loescher e Nuova Italia. Tra le sue numerose pubblicazioni vi sono La pedagogia come scienza (La Nuova Italia, 1953), La ricerca come antipedagogia (Feltrinelli, 1969) e Il sistema dei laboratori (Feltrinelli, 1978).
Nel 1972, all’Università di Torino, inizia la sperimentazione dei laboratori per mettere a punto una strategia di sviluppo per apportare delle innovazioni nella scuola ordinaria. Il sistema dei laboratori da lui elaborato diventò l’ossatura del tempo pieno a scuola. Nel 1975 il Partito Comunista torinese lo candida come indipendente in Consiglio comunale. In accordo con l’assessore all’istruzione Gianni Dolino avvia l’iniziativa del tempo pieno e delle mense scolastiche nelle scuole torinesi.
Quando i Coldplay sono apparsi per la prima volta nel 2000 sulla scena musicale mondiale ci si chiedeva: i ragazzi di questo gruppo brit pop diventeranno i nuovi Radiohead? O i nuovi Verve? Oggi, è chiaro che non erano nessuna di queste cose. In oltre 20 anni di carriera hanno venduto più di 80 milioni di album in tutto il mondo e sono stati nominati per un Grammy 25 volte. Per alcuni sono la band pop più importante al mondo. Personalmente non li avevo mai calcolati più di tanto, ritenendoli una brutta copia degli U2, fino alla primavera del 2008 quando pubblicarono Viva la vidaor Death and all his friends che avevo iniziato a mettere in discoteca durante le mie serate Cemeteries of London come pezzo di chiusura. Una roba che non so perché mi ricordava certi lavori degli Stones, tipo You Can’t Always Get What You Want per intenderci, e che letteralmente faceva impazzire la gente, che la cantava a squarciagola con le mani alzate al cielo fino all’ultima parola.
Da quei tempi sono trascorsi un po’ di anni e nel frattempo i pezzi dei Coldplay, di tanto in tanto, li ho passati anche in radio. Soprattutto Fix You, Trouble, Viva la vida, Every teardrop is a waterfall e Adventure of a lifetime. Se è vero, come ho letto da qualche parte, che da un lato la band di Chris Martin piace più o meno a tutti è altrettanto vero che in certi ambienti, diciamo alternativi, non esiste sulla faccia della terra gruppo più odiato e detestato. Un po’ come succede a Jovanotti in Italia, per gli stessi identici motivi (Jova beach docet). Definiti dal New Yorker e dal New York Times la band più insopportabile del primo decennio degli Anni 2000, i Coldplay, in questi giorni hanno concluso il loro tour in Italia facendo sold out ovunque, in tutte le sei date programmate, da Napoli a Milano. Stasera si esibiranno San Siro davanti a 60 mila persone. Ed è questo il motivo per cui adesso accanto al mio tavolo alla Fondazione Prada è seduta Gwyneth Paltrow, con indosso un vestito marinaresco a righe bianche e rosse e un paio di sneaker bianche, che pilucca un piatto di spinaci e un’insalata scondita, di fronte a suo figlio Moses, un ragazzone con tanto di pantaloni corti, camicia e cravatta, in uniforme da scolaretto, simile a quelle che indossa Angus Young durante i concerti degli AC/DC.
Se da un lato la band di Chris Martin piace più o meno a tutti è altrettanto vero che in certi ambienti, diciamo alternativi, non esiste sulla faccia della terra gruppo più odiato e detestato. Un po’ come succede a Jovanotti in Italia, per gli stessi identici motivi
«Mi piacerebbe chiederle se ha con sé una di quelle candele che sanno di vagina», sospiro, indicando Gwyneth con lo sguardo, rivolgendomi al mio amico Carlo B. abbronzatissimo, in Lacoste carta da zucchero, appena tornato da Framura, con cui mi sono dato appuntamento per un caffè. «Lei è la mia preferita in assoluto. Ha i suoi annetti ormai ma è a dir poco ancora una donna formidabile», dice Carlo B. «Devo dirti che non sono mai stato un fan dei Coldplay ma a questo giro una data a San Siro me la sarei fatta, per curiosità», scandisco, fissando ancora Gwyneth, che pare uscita da un film di Wes Anderson, e poi aggiungo: «Deve essere uno spettacolo pazzesco». C’è stato certo anche per me un momento in cui ero innamorato pazzo di Gwyneth Paltrow. Quando rimanevo incantato davanti alla tv a vederla nei panni di Margot Tenenbaum. Nascosta sotto uno spesso tratto di eye-liner, fumava una sigaretta dopo l’altra per tutta la durata del film, con in braccio la sua Kelly di Hermès, indossando una lunga pelliccia di visone su mini-abiti a righe Lacoste e mocassini maschili ai piedi. «E ti dirò di più», proseguo, «questa settimana, potendo, sarei andato anche al mega concerto organizzato da Fedez in Piazza Duomo con tutto il gotha dei giovani trapper e sarei andato anche a vedere Travis Scott all’Ippodromo, tutto fatto di sciroppo». «E invece non andrai?». «No», mugolo. «Credo rimarrò a casa per tutto il week end a fare cose molto démodé, tipo stare sul divano, in pigiama, a leggere un romanzo inglese, ascoltando qualche vecchio disco di Miles Davis o di Coltrane». «Niente Tigullio?». «Niente Tigullio bro, niente barca a vela. Credo che passerò il mio venerdì a scrivere un racconto sulla cocaina che i vip vanno a prendere con le auto blu. Hai letto? La notizia rende totalmente banale e scontato quello che accadeva nel 2007, nei privé dell’Hollywood e del The Club, e l’inchiesta del PM Woodcock, che coinvolse un mio ex compagno di scuola».
Gwyneth Paltrow e il figlio Moses a Milano (da Instagram).
Lo chiamavano Pietrino, “il pusher dei vip”, era l’uomo che all’epoca trasformava in grandi serate le feste nelle discoteche, perché portava sempre con sé un nutrito numero di smorfie mozzafiato, che comprendevano dive e starlette della tv. Nel 2011 finì addirittura in copertina su Novella 2000, fotografato sotto casa sua a Milano. Pietrino venne definito “la gola profonda” dell’inchiesta su vallette e cocaina, venne accusato di spaccio e la notizia in certi ambienti procurò un bel terremoto, perché vennero coinvolti un sacco di nomi noti e soprattutto le più belle ragazze che all’epoca si vedevano in tutte le trasmissioni televisive. Erano gli anni in cui Fabrizio Corona sciorinava a destra e a manca le sue vanterie e contemporaneamente minacciava e ricattava potenti, calciatori, magistrati e veline varie. Ed erano gli anni in cui Paris Hilton finiva sui giornali perché a Los Angeles era stata arrestata completamente ubriaca al volante della sua Bentley, con l’accusa di guida in stato di ebrezza.
Quando arriva Silvione a prendermi, a bordo della sua Citroen gialla, del pusher ancora non c’è traccia. Poi fortunatamente il tizio arriva, ci porge una bustina, gli diamo i soldi e se la squaglia. Neanche a farlo apposta siamo davanti al Bar Biancaneve quando una pattuglia dei carabinieri ci affianca per un controllo e Silvione getta l’involucro sotto una macchina
È un venerdì di giugno del 2007, tarda mattinata, e sto rollando uno spino d’erba tagliato con dello Xanax seduto con le gambe incrociate nella mia mansarda in via Tiepolo. Sfoglio il Corriere della Sera e leggo dell’inchiesta di Woodcock con indosso un pigiama di seta tutto stropicciato. Mi sono appena masturbato con un porno scadente che ho visto centinaia di volte dove recita una glaciale Paris Hilton che più che un porno è un sex tape che ha iniziato a girare clandestinamente sul web e sto aspettando che arrivi Allegra e partire con lei per il weekend nella casa che ho affittato a Rapallo. Fingo di rovistare nel mio armadio preparando alla bene e meglio una sacca con qualche vestito quando Allegra entra nella mansarda. «Che succede?», le domando. «Hai visto per caso che fine ha fatto il mio blazer blu a tre bottoni?». «Cosa succede in che senso?», domanda lei, tesa. «Sei in un ritardo pazzesco. Abbiamo il treno tra meno di un’ora». «Ma sei sei ancora in pigiama, cosa vuoi da me?», mi dice, mentre sto scegliendo un paio di occhiali da sole. Resto fermo per un attimo, poi guardo l’orologio che non porto e torno verso il letto dove rovisto nel sacchetto Comme des Garçons che utilizzo per portare le camicie in lavanderia. Distrattamente tiro fuori un capellino da baseball Eral 55 che mi ha regalato la settimana scorsa la baby model. «Che cos’è?», chiede Allegra. «Niente di che», dico, ributtandolo nella borsa. «Andre, voglio davvero che le cose tra noi riprendano a funzionare», dice, esitante. «Ma ho bisogno del mio tempo». «Claro, io sono pazzo di te, tu sei pazza di me. Qual è il problema?». Scrollo le spalle. «Ehi Andre, guardami». «Dimmi, bella». «Non parto con te questo week end. Non mi sento ancora pronta». Mi si gela il sangue. Fisso nel vuoto o in quello che immagino essere il vuoto fino a quando non mi viene da dire: «Come regola non dovresti aspettarti troppo dagli altri, amore», e poi la bacio sulla guancia prima di aggiungere. «Esattamente come faccio io».
La sera, in passeggiata a Rapallo, da solo, sto aspettando il pusher per fare un grosso acquisto di cocaina per una festa alla quale sono stato invitato in una grossa villa tra Paraggi e Portofino. Indosso una camicia oxford bianca di Ralph Lauren, un paio di jeans sdruciti e un blazer blu a tre bottoni. Quando arriva Silvione a prendermi, a bordo della sua Citroen gialla, del pusher ancora non c’è traccia. Poi fortunatamente il tizio arriva, ci porge una bustina, gli diamo i soldi e se la squaglia. Neanche a farlo apposta per uno strano scherzo del destino siamo davanti al Bar Biancaneve quando una pattuglia dei carabinieri ci affianca per un controllo e Silvione getta l’involucro sotto una macchina. «A terra i carabinieri recuperano alcune dosi di cocaina, quattro grammi», recitavano i titoli dei giornali locali la mattina dopo. «Nel registro degli indagati per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio appaiono due ragazzi milanesi di buona famiglia A.F.G e S.R. . Perquisiti anche un appartamento nel centro di Rapallo e una suite dell’esclusivo Hotel Splendido di Portofino, dove i due alloggiano per il week end. Si sospetta che i due giovani siano collegati al giro di droga che a Milano ha portato alla chiusura della discoteca Hollywood». Sia io, che Silvione, che Pietrino frequentavamo lo stesso liceo milanese. Nessuno di noi però nella vita ha mai acquistato cocaina utilizzando le auto blu messe a disposizione dalla Regione.
Il celebre Bobby Solo, interprete di brani molto famosi come Una lacrima sul viso, Cuore matto e Non c’è più niente da fare, è stato legato sentimentalmente a 3 diverse donne nel corso della sua vita. Da tutte e tre ha avuto almeno un figlio, per un totale di 5 “pargoli” ormai cresciuti.
Chi sono state le compagne di Bobby Solo e chi sono i suoi 5 figli
Il primo grande amore della vita di Bobby Solo è stata la ballerina Sophie Teckel, con la quale è convolato a nozze nel 1967. Dalla danzatrice francese l’artista ha avuto ben tre figli, nell’ordine Alain (nato nel 1968), Chantal (nata nel 1971), Muriel (nata nel 1975) . Successivamente, il cantante è stato legato anche con un’altra donna, Mimma Foti, con la quale ebbe una relazione piuttosto fugace dalla quale però nacque una figlia, Veronica.
Il quarto figlio Bobby Solo l’ha avuto dalla sua seconda moglie, con la quale è ancora oggi legatissimo: l’hostess coreano-americana Tracy Quade l’ha reso padre nel 2013 dell’ultimo arrivato, Ryan.
Alain, oggi 50enne, ha dovuto affrontare in passato dei gravi problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti, che l’hanno costretto ad un lungo ricovero presso la comunità di San Patrignano. Sembra che alla base delle sue sofferenze ci fosse un rapporto complicato con i genitori, che avrebbe però poi ricucito nel corso degli anni. Chantal, oggi 47enne, è una business coach la cui attività è divisa fra Roma e Milano. Muriel, invece, di lavoro fa la cake designer.
La storia di Veronica Satti
La figlia di Bobby Solo più chiacchierata in assoluto è però probabilmente Veronica Satti, influencer e scrittrice che oggi su Instagram vanta oltre 100.000 follower.
Veronica Satti (Instagram).
L’influncer è nata da una relazione extraconiugale che l’attore intrattenne con Mimma Foti quando ancora era sposato con Sophie Teckel. Veronica, nata a Genova nel 1990, non ha rivolto la parola al padre per ben 14 anni, se non tramite avvocati. Proprio alla luce della sua storia difficile, Barbara d’Urso l’aveva voluta nel cast del suo Grande Fratello, dove la gieffina aveva avuto l’occasione di raccontare qualche dettaglio in più sul suo passato. Alla fine, anche grazie all’insistenza della stessa conduttrice, Bobby Solo e Veronica Satti si sono finalmente rinconciliati e sono oggi più uniti che mai.
Roberto Satti in arte Bobby Solo, tra i più celebri interpreti della musica italiana a cavallo fra gli anni ‘60 e ‘70, è convolato a nozze per due volte nel corso della sua vita: la prima fu nel 1967, quando sposò la ballerina francese Sophie Teckel; la seconda è stata nel 2005, quando si è unito con Tracy Quade.
Chi è Tracy Quade, la seconda moglie di Bobby Solo
L’attuale compagna di Bobby Solo ha oggi 52 anni (28 in meno del marito, che ne ha 80) e di lavoro fa la hostess. Di origini coreano-statunitensi, Quade ha conosciuto il marito nell’ormai lontano 1995: a quanto pare la scintilla fra i due sarebbe scoppiata immediatamente, come un vero e proprio colpo di fulmine travolgente.
Insieme a Bobby Solo Tracy Quade (che vive una vita piuttosto riservata e non ha profili social) ha avuto un figlio, Ryan, venuto al mondo nel 2013. L’artista di Una lacrima sul viso ha in realtà un totale di 5 figli da tre donne diverse: i primi tre sono Alain (nato nel 1968), Chantal (classe 1971), Muriel (nata nel 1975) avuti dalla prima moglie; il quarto figlio l’ha avuto da una breve relazione con Mimma Foti, da cui ha avuto la figlia Veronica (riconosciuta solo in un secondo momento).
Bobby Solo parla della moglie Tracy: «Quando dissi a mia madre che ci saremmo sposati pensava che fossi matto»
Oggi la coppia si divide fra l’Italia e gli Stati Uniti ed è, a quanto pare, più unita che mai. A parlare più nel dettaglio del loro splendido rapporto è stato lo stesso Bobby Solo in una recente intervista concessa a Verissimo di Silvia Toffanin, trasmissione a cui ha partecipato con la stessa moglie e il figlio Ryan. A proposito, l’artista ha raccontato: «Da ragazzino mi innamoravo delle donne mature. Forse perché ero molto legato a mia mamma e mi davano un senso di protezione, ma invece con Tracy mi sono innamorato subito ed ho sentito un senso di romanticismo. Lei era assistente di volo, andava dal New Jersey a Roma tutte le settimane e un giorno le dissi che se non avessi avuto 28 anni più di lei l’avrei sposata. Lei allora mi disse ‘perché non me lo chiedi?’ e ci siamo sposati. È molto dolce e perfetta».
Una piccola curiosità: Bobby Solo, originario del Friuli Venezia Giulia, ha rivelato che in un primo momento la madre non aveva preso bene la relazione con l’hostess, secondo il suo gusto troppo giovane (l’aveva definita solo una «putea, cioè una ragazzina). Ecco le parole dell’artista a proposito: «Quando le dissi che ci saremmo sposati mi rispose ‘Ma sei matto? questa è una ‘putea’. Tuttavia, anche lei col tempo ha cambiato idea».
ChatGPT è accusata di violare la legge sul copyright per addestrare il suo algoritmo. Due scrittori americani hanno fatto causa al chatbot di OpenAI in quanto ritengono che abbia analizzato e riassunto centinaia di libri senza chiedere il consenso degli autori. Ad alzare la voce sono stati Mona Awad e Paul Tremblay che ha scritto The Cabin at the End of the World, poi adattato al cinema nel film Bussano alla porta. Già a gennaio l’agenzia fotografica Getty Images aveva mosso le stesse accuse contro Stable Diffusion, generatore di arte basato sull’IA.
Alcuni volumi sugli scaffali di una libreria (Imagoeconomica).
In che modo ChatGPT di OpenAI avrebbe violato la legge sul copyright nell’editoria
Come ha sottolineato l’Hollywood Reporter, nel 2018 OpenAI ha alimentato GPT-1, prima versione del suo chatbot, con circa 7 mila romanzi su BookCorpus. Si trattava di una raccolta letteraria assemblata ad hoc da un team di esperti di intelligenza artificiale per creare un modello di linguaggio di grandi dimensioni. «Hanno copiato i libri dal sito Smashwords.com che ospita romanzi inediti disponibili gratuitamente per i lettori», hanno detto Awad e Tremblay. «Quei romanzi però sono in gran parte protetti da copyright». Per l’accusa, ChatGPT ha copiato i dati «senza consenso, credito o compenso per i suoi autori». Un fenomeno che si sarebbe ulteriormente allargato nel 2020 per GPT-3, la versione precedente a quella attuale.
Uno screenshot del chatbot ChatGPT di OpenAI (Getty Images).
Come dichiarato dalla stessa OpenAI, il 15 per cento dei dati per addestrare l’algoritmo era frutto di «due corpora di libri», definiti semplicemente “Books1” e “Books2”. Secondo l’accusa, i romanzi provenivano da biblioteche ombraillegali, tra cui Library Genesis, Bibliotik e Z Library, sito pirata chiuso nel 2022. Tramite queste piattaforme, ChatGPT avrebbe avuto accesso a circa 300 mila volumi bypassando il consenso dei rispettivi autori. Dopo un periodo di addestramento, il chatbot potrebbe adesso anche generare riassunti molto accurati di tutti i romanzi, favorendo la diffusione illegale delle opere. Contattate da Reuters né OpenAI né Microsoft, che possiede parte della società, hanno ancora rilasciato commenti a riguardo.
Tutti lo conoscono semplicemente con il soprannome di Robertino, ma il suo vero nome completo è Roberto Loreti: stiamo parlando del cantante nato il 22 ottobre 1947 (ha dunque compiuto 75 anni) diventato una celebrità nel panorama pop anni ’60 grazie a Un bacio piccolissimo.
Chi è Robertino: la storia e la carriera del cantante
L’artista è nato a Roma in una famiglia piuttosto numerosa (era infatti il quinto di ben 8 figli) e piuttosto umile: proprio alla luce delle condizioni economiche dei genitori si è trovato presto costretto ad andare a lavorare e, giovanissimo, ha iniziato a collaborare come garzone per una pasticceria del quartiere Don Bosco.
I primi contatti con il mondo artistico li ha ottenuti grazie ad un coro rionale con il quale aveva iniziato a cantare, scoprendo di avere una voce intonata e potente; ad ogni modo, il suo esordio nel mondo dello spettacolo l’ha fatto sul grande schermo, entrando a far parte del cast del film Il ritorno di don Camillo al fianco di Fernandel e Gino Cervi.
La sua carriera da cantante ha preso il via quando aveva solo 14, dopo essere stato notato da un talent scount che lo aveva convinto a partire per Copenaghen: qui aveva iniziato a pubblicare i suoi primissimi 45 giri, riscuotendo un buon successo anche in altri paesi del Nord Europa. Nel giro di qualche anno, dopo aver preso parte anche ad una tournée negli Stati Uniti, Robertino riuscì a firmare con l’importante etichetta Carosello, un’opportunità più unica che rara che gli aprì la strada per il Festival di Sanremo.
Nel 1964 ha partecipato dunque alla kermesse con il pezzo Un bacio piccolissimo, che pur non vincendo era arrivato in finale diventando uno dei maggiori successi da classifica di quell’anno. Ancora oggi, Robertino è apprezzatissimo soprattutto in Russia, dove ha pubblicato in anteprima diversi album e 45 giri. Da ormai diversi anni, in ogni caso, ha appeso il microfono al chiodo.
Nel suo curriculum, inoltre, vanta la partecipazione in veste di attore ad un totale di 4 film di cui l’ultimo, La Bolognese, uscito nel 1975.
Gli amori e il dramma familiare
In tempi non sospetti Robertino è stato ospite di Oggi è un altro giorno di Serena Bortone, dove ha raccontato di aver perso un figlio a soli 46 anni a causa di una brutta malattia.
Come riporta TPI, inoltre, dell’artista si sa che è stato sposato due volte e che dal primo matrimonio ha avuto due figli. Il terzo figlio Lorenzo è arrivato con la seconda moglie Laura Rozzo, che aveva conosciuto mentre si trovava all’ippodromo.
Importanti rivelazioni sulla vita di Enrico VIII. Re d’Inghilterra dal 1509 al 1547 e noto per aver fondato la Chiesa anglicana dopo lo scisma con Roma, le sue annotazioni sono apparse tra le pagine di un libro di preghiere del XVI secolo. Micheline White, docente alla Carleton University in Canada, ha scoperto per caso scarabocchi e appunti risalenti agli ultimi anni della sua vita. «Ero sbalordita», ha spiegato alla Cnn. «Non avevo idea che il libro presentasse note marginali». Un’analisi ha rivelato che i tratti mostrano la forte angoscia e l’irrequietezza del sovrano circa la sua salute, oltre al pentimento per le sue azioni passate. Lo studio è disponibile sulla rivista Renaissance Quarterly.
Enrico VIII assieme alla seconda moglie Anna Bolena (Getty Images).
Cosa rappresentano le annotazioni di Enrico VIII scoperte su un libro di preghiere
Il volume in questione è una copia di Salmi o preghiere, risalente al 1544 e tradotto in inglese da Catherine Parr, sesta e ultima moglie di Enrico VIII. Il sovrano, come ha spiegato la dottoressa White, ha realizzato 14 scarabocchi suddivisibili in due tipologie. I primi, definiti manicules, raffigurano una mano con il dito indice puntato ed erano di solito utilizzati per porre l’accento su un concetto oppure una frase. Gli altri sono trifogli stilizzati. In particolare, i manicules si presentano con un polsino distintivo, segno caratteristico della famiglia Tudor.
Stampato in Inghilterra a metà del Cinquecento, il volume contiene preghiere per il pentimento del fedele, ma anche salmi e suppliche per la distruzione dei propri nemici. «È chiaro che, mentre leggeva queste pagine, Enrico VIII avesse tali concetti ben impressi nella mente», ha sottolineato White. In particolare, un passaggio sottolinea la punizione divina per coloro che non hanno seguito i dettami della religione. Enrico VIII diede vita allo scisma anglicano per poter divorziare dalla sua prima moglie, Caterina d’Aragona, e sposare Anna Bolena. «È preoccupato che Dio lo stia punendo per tali azioni con una malattia fisica», continua l’esperta. Conscio del fatto che il libro sarebbe finito in mano ad alcuni cortigiani scelti, il re sottolineò anche alcuni passaggi sulla guerra, sperando di ottenere il loro consenso per il conflitto in corso con la Francia.
La storia di Catherine Parr in un film presentato al Festival di Cannes
Come detto, la traduzione del volume su cui Enrico VIII annotò le sue preoccupazioni fu opera di Catherine Parr, sposata nel 1543. Donna di eccezionale cultura e di fede protestante, fu regina consorte per soli quattro anni fino alla morte del marito. La sua storia è al centro di Firebrand, film presentato all’ultima edizione del Festival di Cannes. Diretto da Karim Aïnouz, vede l’attrice premio Oscar Alicia Vikander nei panni della protagonista e Jude Law in quelli del sovrano. La trama racconta il difficile equilibrio di coppia fra intrighi e complotti a corte. Nel cast anche Simon Russell Beale, volto del vescovo di Winchester e consigliere del re Stephen Gardiner. Al momento non è ancora disponibile la data di uscita ufficiale in Italia.
Un nuovo record europeo per la vendita di un’opera d’arte è stato battuto nelle scorse ore con un’asta daSotheby‘s da Guiness da Primati: il quadro di cui si sta parlando in questo caso è l’ultimo ritratto del pittore Gustav Klimt (1862-1918) intitolato Dama con ventaglio.
La Dama con Ventaglio di Gustav Klimt venduta al prezzo record di 86 milioni di euro
L’opera del pittore austriaco (celeberrimo il suo Bacio) è finito all’asta presso la celebre casa d’aste Sotheby’s ed è stato venduto al miglior offerente, che in questo caso è stato disposto a pagare l’astronomica cifra di 74 milioni di sterline, corrispondenti a circa 86 milioni di euro.
Al momento della morte dell’artista l’opera si trovava posizionata sul cavalletto. L’artista morì all’improvviso a causa di un ictus che l’aveva colpito all’età di 55 anni (era il 1918) come conseguenza dell‘influenza spagnola che aveva contratto. Fino ad oggi, l’opera era rimasta uno dei pochissimi prodotti del genio del pittore ad essere ancora in mano a privati. Secondo Sotheby’s, si tratta di «un’ode alla bellezza assoluta».
Le caratteristiche dell’opera di Klimt
Il quadro è un omaggio all’arte nipponica, ma anche all’Art Nouveau e al Simbolismo. Iniziata nel 1917 e poi rimasta incompiuta, è di fatto un quadro che racchiude in sé tutta la filosofia pittorica del suo artista, rappresentando una donna sensuale e ammiccante circondata da tessuti colorati pregiati e con in mano un ventaglio. Il personaggio al centro dell’opera è misterioso, fiero e invita l’osservatore ad apprezzare tutti i dettagli pittorici intorno, immergendosi nella bellezza di uno stile unico nel suo genere.
Secondo quanto dichiarato dal responsabile delle vendite di quadri impressionisti e moderni di Sothebys, Thomas Boyd-Bowman, «La bellezza e la sensualità del ritratto è da ritrovarsi nei dettagli.[…] le pennellate di blu e di rosa che ravvivano la pelle della protagonista, le linee eteree delle ciglia e le labbra socchiuse che danno carattere al volto».
Chi è Valeria Pintore, la moglie di Gianmarco Tognazzi
Di lei si sa che è nata nel 1978 (quest’anno compie dunque 45 anni). Come riporta TPI, il padre è un degustatore di vini (si chiama Giovanni Pintore) e sappiamo che lei e Tognazzi si sono conosciuti in Sardegna, a Sassari per la precisione, nel 2003. A far scoccare la scintilla, dunque, sarebbe a quanto pare stata una cena organizzata da amici comuni dove i loro sguardi si sono incrociati per la prima volta.
Mentre Giamarco Tognazzi già ai tempi era un affermato attore di film e fiction, lei era una perfetta sconosciuta che lavorava in Comune. Si dice che fra i due la scintilla fosse scoccata immediatamente, come nel più romantico dei colpi di fulmine.
Valeria, ad ogni modo, si è voluta far desiderare per un po’. Sembra infatti che lui, conquistato dal suo fascino, l’avesse invitata a passare una cena insieme ma pare che lei in un primo momento avesse rifiutato. L’attore però non si sarebbe arreso facilmente, in un’intervista a proposito aveva infatti raccontato: «Ci siamo scambiati il numero e siamo andati avanti a messaggini finché io, ad un certo punto, le ho detto: basta, questo weekend prendo e ti porto via».
Il matrimonio e i figli
Il corteggiamento serrato di Gianmarco Tognazzi, dopo tanta insistenza, è stato ripagato. Dopo essersi trasferita nella tenuta dell’attore a Velletri, Valeria Pintore è finalmente convolata a nozze con lui tre anni dopo. La coppia oggi ha due figli: Andrea Viola, nata nel 2007, e Tommaso Ugo, nato nel 2012.
Valeria Pintore e Gianmarco Tognazzi (Instagram)
La donna continua ad essere molto riservata e si limita solo a qualche uscita pubblica con il marito, che a volte la fa vedere ai suoi follower di Instagram.
Una rosa blu, Cinque giorni, La notte dei pensieri sono soltanto alcune delle più celebri canzoni della discografia di Michele Zarrillo, fra i più apprezzati cantautori italiani attivo fin dalla fine degli anni ’70. Ecco tutte le curiosità sulla sua lunga e fortunata carriera.
Chi è Michele Zarrillo: la storia e la biografia
Nato il 13 giugno 1957 (ha dunque da poco compiuto 66 anni) Zarrillo nasce a Roma, nel quartiere Centocelle, da padre originario della provincia di Potenza e da madre originaria della provincia di Salerno.
Inizia a muovere i primi passi nel mondo della musica nel 1972 con la band prog Semiramis, per la quale lavora come chitarrista e vocalist. Nel gruppo però rimarrà pochissimo, un anno appena, per poi entrare in un’alttra band, i Rovescio della medaglia. Verso la fine degli anni ’90 inizia anche a pubblicare le sue prime canzoni con lo pseudonimo (imposto dai discografici che lo seguivano ai tempi) di Andrea Zarrillo.
Il primo vero successo lo ottiene vincendo il Festival di Castrocaro nel 1979 con il brano Indietro no: in questo stesso periodo inizierà anche a lavorare come autore, scrivendo pezzi per colleghi del calibro di Renato Zero e Ornella Vanoni. Il periodo d’oro saranno per lui gli anni ’80: qui pubblicherà il suo primo grande successo Una rosa blu, con il quale si presenterà al Festival di Sanremo 1982, dopo aver partecipato l’anno prima con Su quel pianeta libero.
Ad oggi Michele Zarrillo ha pubblicato un totale di 10 album, di cui l’ultimo, Vivere e rinascere, uscito nel 2017. Alle spalle ha inoltre due album dal vivo, quattro raccolte e un album di cover (Vivere e rinascere – Passioni). Sono 13 le sue partecipazioni totali al Festival di Sanremo: l’artista si è portato a casa la vittoria una sola volta, nel 1987, grazie alla celebre La notte dei pensieri.
La storia d’amore con Anna Rita Cuparo e la malattia
Zarrillo, che nel 2013 è stato colpito da infarto e ricoverato in codice rosso, è oggi felicemente sposato con la musicista Anna Rita Cuparo, da cui ha avuto i due figli (Luca, classe 2010, e Alice, classe 2012).
Michele Zarrillo con i figli e la moglie Anna Rita Cuparo (Instagram).
L’artista è in realtà stato legato negli anni ’80 anche ad un’altra donna, di cui non si sa nulla, che l’ha reso padre della sua primogenita Valentina, nata nel 1981.
Il 22 giugno 2023 migliaia di studenti in tutta Italia sono tornati sui banchi di scuola per affrontare la temuta seconda prova degli esami di Maturità, che come ogni anno differisce da indirizzo a indirizzo. Se quelli dello Scientifico si sono ritrovati davanti studi di funzione e problemi di geometria e quelli del Classico hanno dovuto tradurre una versione di Seneca, i ragazzi e le ragazze del liceo linguistico hanno avuto l’occasione di approfondire un autore non particolarmente conosciuto come Julian Barnes. Ecco di cosa parlava la traccia di inglese.
Elizabeth Finch di Julian Barnes alla Maturità del linguistico: di cosa parla il libro
L’opera scelta dal MIUR per la maturità linguistica 2023 è stata definita dal suo stesso autore come «un tributo appassionato alla filosofia, una valutazione accurata della storia, un invito a pensare a noi stessi. Si tratta di un momento per riflettere e per esplorare gentilmente le nostre teorie e convinzioni, è un balsamo per i nostri tempi».
Il libro vede al centro Elizabeth Finch, descritta non soltanto come una semplice insegnante ma anche come una pensatrice e una fonte di ispirazione per i suoi studenti. Grazie al suo lavoro, la docente riesce a condurre i suoi pupilli in un percorso di crescita personale. Il libro si sviluppa dunque a partire dalle riflessioni di Neil, un suo ex studente che rilegge i diari della docente, ricordando così la sua mente eccelsa e la sua passione per la ragione.
Chi è Julian Barnes
L’autore dell’opera, classe 1946, è ad oggi uno dei più apprezzati scrittori inglesi contemporanei. A lungo conosciuto con lo pseudonimo di Dan Kavanagh (con il quale ha scritto diversi romanzi polizieschi) è un apprezzato rappresentante del postmodernismo letterario.
Barnes, il cui ultimo libro è proprio Elizabeth Finch uscito nell’aprile del 2022, ha alle spalle un importantissimo riconoscimento: nel 2011 ha infatti vinto il prestigioso Man Booker Prize per l’opera Il senso di una fine.
Tra le tracce proposte per il saggio breve argomentativo alla prima prova degli esami di Maturità 2023 in corso in queste ore in tutta Italia c’è stato spazio anche per una riflessione su Whatsapp. La nota applicazione di messaggistica istantanea di proprietà di Meta è infatti al centro di un interessante articolo firmato dal giornalista e scrittore Marco Belpoliti.
Il testo dell’articolo di Marco Belpoliti su Whatsapp scelto per la prima prova della Maturità 2023
Il pezzo originale che gli studenti hanno dovuto commentare è stato pubblicato da Repubblica nel 2018. Nella sua riflessione, lo scrittore Belpoliti mette subito le cose in chiaro, sottolineando che il piacere dell’attesa non fa più parte della nostra vita quotidiana. L’autore esordisce così: «Non sappiamo più attendere. Tutto è diventato istantaneo, in “tempo reale”, come si è cominciato a dire da qualche anno. La parola chiave è: ‘Simultaneo’. Scrivo una email e attendo la risposta immediata. Se non arriva m’infastidisco: perché non risponde? Lo scambio epistolare in passato era il luogo del tempo differito. Le buste andavano e arrivavano a ritmi lenti. Per non dire poi dei sistemi di messaggi istantanei cui ricorriamo: WhatsApp. Botta e risposta. Eppure tutto intorno a noi sembra segnato dall’attesa: la gestazione, l’adolescenza, l’età adulta. C’è un tempo per ogni cosa, e non è mai un tempo immediato. Il libro in cui il fisico Carlo Rovelli spiega cos’è il tempo (L’ordine del tempo, Adelphi) inizia così: ‘Mi fermo e non faccio nulla. Non succede nulla. Non penso nulla. Ascolto lo scorrere del tempo. Questo è il tempo. Famigliare e intimo’. Alla fine Rovelli ci dice che per la fisica quello che non esiste è proprio il presente, la dimensione della realtà cui siamo tutti legati».
L’importanza dell’attesa per Belpoliti
Essere in grado di aspettare è un elemento fondamentale della nostra vita. Come dichiara Belpoliti nel suo pezzo: «Attendere significa rivolgere l’animo verso qualcosa. I suoi significati implicano ascolto, attenzione, applicazione, mantenere la parola data. La giornalista tedesca Andrea Köhler in L’arte dell’attesa, uscito da poco, ci ricorda come nel più grande vocabolario tedesco, il Dizionario Grimm, la locuzione “attendere qualcosa” compare solo nel XIV secolo, e per almeno quattro secoli non contiene complementi che manifestano il tormento d’attendere. Sarà il Romanticismo, e Goethe in particolare, a definire l’attesa “con desiderio”, “con impazienza” e persino “con dolore”. L’attesa d’amore comincia allora, ma è già un’altra storia, come ha spiegato Roland Barthes in Frammenti di un discorso amoroso: ‘Sono innamorato? – Sì, perché sto aspettando’».
Marco Belpoliti (Getty)
A questo punto lo scrittore inizia a sciorinare qualche citazione colta dal suo ricco bagaglio culturale, per rendere il suo discorso ancor più convincente e, al contempo, affascinante. Belpoliti aggiunge: «L’innamorato sa attendere, ne conosce la passione e il tormento, come argomenta lo scrittore francese, perché il tempo dell’attesa è un tempo soggettivo, che confina con la noia e con il tedio. Lo scrittore austriaco Alfred Polgar l’ha detto in modo icastico: ‘Quando, alle dieci e mezzo, guardai l’orologio, erano solo le nove e mezzo’. Attendere significa non solo fremere, ma anche annoiarsi e Walter Benjamin ha sottolineato come questa attesa sia piena di promesse, ovvero creativa, dal momento che la noia è “l’uccello incantato che cova l’uovo dell’esperienza’».
Una riflessione sulla società capitalista
Il discorso sull’immediatezza delle risposte su Whatsapp vira a questo punto, con un interessante parallelismo, sul collegamento che il nostro livello di impazienza ha con la società dove oggi viviamo. Belpoliti conclude così: «Chi ha oggi tempo di attendere e di sopportare la noia? Tutto e subito. È evidente che la tecnologia ha avuto un ruolo fondamentale nel ridurre i tempi d’attesa, o almeno a farci credere che sia sempre possibile farlo. Certo a partire dall’inizio del XIX secolo tutto è andato sempre più in fretta. L’efficienza compulsiva è diventato uno dei tratti della psicologia degli individui. Chi vuole aspettare o, peggio ancora, perdere tempo? Hartmut Rosa, un sociologo tedesco, ha spiegato come funziona questo processo contemporaneo in Accelerazione e alienazione (Einaudi). Rosa ritiene che il motore di tutto questo non sia tanto la tecnologia, che pure vi contribuisce, ma la competizione sociale: risparmiare tempo è uno dei modi più sicuri per partecipare alla grande competizione in corso nelle società occidentali. Sarebbe la circolazione sempre più rapida del denaro, creata dal capitalismo finanziario, a determinare l’accelerazione».
Alla nuova luna di Salvatore Quasimodo alla prima prova della Maturità 2023: il testo
Il brano in questione è una delle poesie dell’autore Nobel per la letteratura incluse nella sezione Domande e risposte della raccolta La terra impareggiabile, pubblicata nel 1958. Questa sezione in modo particolare è aperta dalla poesia scelta dal Miur per la prima prova di quest’anno ed è composta da un totale di tre poesie che raccontano del complesso rapporto fra scienza e fede, fra razionalità e Dio. Qui il testo integrale del componimento:
«In principio Dio creò il cielo
e la terra, poi nel suo giorno
esatto mise i luminari in cielo
e al settimo giorno si riposò
Dopo miliardi di anni l’uomo,
fatto a sua immagine e somiglianza,
senza mai riposare, con la sua
intelligenza laica,
senza timore, nel cielo sereno
d’una notte d’ottobre,
mise altri luminari uguali
a quelli che giravano
dalla creazione del mondo. Amen.».
Di cosa parla Alla nuova luna di Quasimodo: il significato della poesia
La nuova luna di cui si parla nella poesia rappresenta una voglia di rinnovamento, di cambiamento, lo stesso che le nuove scoperte scientifiche hanno garantito agli uomini, particolarmente nei primissimi anni del Novecento in cui Quasimodo ha vissuto e operato. Il poeta si interroga così sul significato di noi esseri umani nel mondo, visto che siamo stati in grado con le nostre scoperte “laiche”a rivoluzionare molte delle nostre certezze con il nostro impegno costante e con la nostra intelligenza.
La seconda figlia di Bud Spencer, Cristiana Pedersoli, è nata a Roma nel 1962 (oggi ha dunque 61 anni): dal padre, amatissimo attore interprete di numerosi spaghetti western all’italiana, la donna avrebbe presto assorbito la passione per l’arte, in tutte le sue forme. Ecco la sua storia e la sua biografia.
Chi è Cristiana Pedersoli, la seconda figlia di Bud Spencer
Bud Spencer ha avuto due figli: Giuseppe nato nel 1961 e Cristiana nata nel 1962. Fin da piccola, Cristiana ha vissuto in un ambiente ricco di stimoli artistici. Il nonno Peppino Amato, infatti, era un produttore cinematografico che aveva contribuito a far uscire molte importanti pellicole mentre il padre è stato per anni uno degli attori più amati e riconoscibili del panorama italiano, senza contare che il genitore era anche un apprezzato paroliere, musicista e scrittore.
Dal padre assorbirà così un particolare estro creativo che influenzerà moltissimo il suo percorso di crescita interiore ed espressiva. Proprio grazie a tutti questi stimoli, la donna si avvicinerà presto al mondo della pittura e inizierà a dipingere, senza mai fermarsi, supportata dall’amata zia.
Cristiana Pedersoli è dunque oggi un’apprezzata artista figurativa, una scrittrice e un’imprenditrice. Nel 2010 ha lanciato la sua personale linea di salvadanai, NO REGRETS, dipinti in terracotta da lei e altri artisti con i quali ha organizzato anche diverse mostre, eventi e aste di beneficenza. Nell’ultimo periodo si è occupata di realizzare la serie pittorica e scultorea Legami, composta da opere in bianco e nero e da sculture in ferro arrugginito.
Cristiana Pedersoli e Bud Spencer (Facebook)
Il libro dedicato al papà e il ricordo del genitore
Cristiana era molto legata a Bud Spencer. Proprio al genitore, tra l’altro, ha deciso di dedicare il suo primo libro, Bud. Un gigante per papà, che contiene al suo interno tantie aneddoti e ricordi inediti su Bud Spencer, oltre a molti contenuti inediti come ricette e lettere scritte di suo pugno.
In un’intervista concessa a Mangialibri, l’artista aveva così parlato del rapporto con il defunto padre: «Era concreto, è vero, con i piedi saldamente per terra, ma anche un gran sognatore con la testa per aria come quando pilotava i suoi aerei. Io non ho mai provato gelosia, solo un enorme orgoglio e tantissima stima, per quello che ha fatto, per come ha vissuto la sua vita, senza mai venire meno ai suoi grandissimi valori e ai suoi principi, senza mai trasgredire, perseguendo sempre la strada della gioia e della positività, e il pubblico lo ha capito e la sorte lo ha ripagato. Papà è il mio manuale, quando io mi innervosisco penso a lui».
Per usare un eufemismo, il cantante Povia non ha esattamente preso con filosofia l’annullamento di un suo imminente concerto previsto a luglio a Sulmona. La risposta del cantante non si è certo fatta attendere e non è stata delle più accomodanti.
Cancellato il concerto di Povia di Sulmona all’ultimo: le motivazioni
Partiamo dai fatti: il prossimo 6 luglio, fra neanche un mese, Povia si sarebbe dovuto esibire con il suo attuale tour a Sulmona, in provincia dell’Aquila. La decisione della cancellazione del live è stata a quanto pare presa dai commercianti locali, che in un primo momento avevano ingaggiato il cantante, resosi però protagonista negli ultimi tempi di dichiarazioni controverse contro la comunità LGBT e riguardo alla delicatissima emergenza Covid.
La decisione, dunque, non è stata in alcun modo presa dall’amministrazione locale, che si è però ritrovata al centro delle accuse social del cantante.
Povia risponde al Comune di Sulmona: «Mafiosi»
Con un lungo video sfogo pubblicato sul suo profilo Facebook, l’artista si è scagliato contro il sindaco e il suo team, utilizzando parole davvero molto pesanti. Nel merito della questione il cantante ha commentato: «Il Comune crede che possa succedere qualcosa per motivi di ordine pubblico e ti annulla il concerto. Io canto e non ammazzo la gente. Se l’istituzione si prende paura del nulla e si fa intimidire da quattro critiche, non solo gliela dà vinta a questi quattro beoti ma subisce quell’atteggiamento comunque mafioso perché per paura viene portato ad annullare l’evento. Se è cosi un’istituzione, parlo in generale, deve cambiare mestiere».
La risposta da parte del Comune, ad ogni modo, non ha tardato ad arrivare. L’amministrazione locale ora non esclude la possibilità di querelare l’artista. Qui sotto il comunicato ufficiale del Comune: «L’Amministrazione, in seguito alle numerose notizie apparse sulla stampa locale, intende fornire una doverosa precisazione in merito alla manifestazione prevista per i giorni 6/7/8 luglio 2023, già inserita nel Cartellone estivo presentato alla stampa lo scorso 16 Giugno».
Il Comune ha dunque specificato: «La complessiva proposta “Saldi in Corso 2023”, elaborata ed organizzata da locale Associazione di categoria del settore Commercio, prevede in una serie di eventi da ospitare in centro storico (animazione itinerante, trampolieri, mascotte, facepainting e concerto del cantante Povia); a tale iniziativa, ritenuta idonea a contribuire all’animazione dell’estate sulmonese, l’Ente ha stabilito di fornire sostegno economico a parziale copertura delle spese di realizzazione. Per quanto sopra il Comune, non avendo avuto contatti con alcuno degli artisti deputati alla realizzazione delle attività, non ha curato la loro contrattualizzazione né nello specifico ha disposto, non avendone titolo, l’annullamento dell’ingaggio del cantante Povia».
Il 19 marzo del 1955 nasceva a Napoli quello che è diventato nel corso degli anni uno dei più grandi poeti della musica italiana: stiamo parlando dell’indimenticabile Pino Daniele, interprete per eccellenza della canzone napoletana nonché apprezzatissimo chitarrista. Ecco tutto quello che c’è da sapere su di lui.
Pino Daniele: biografia e canzoni
Nato nel quartiere napoletano di Porto, in una famiglia piuttosto povera, Pino Daniele iniziò a suonare la chitarra da autodidatta, esordendo nel complesso dei New Jet e contribuendo alla fondazione del gruppo dei Batracomomachia insieme a Enzo Avitabile, Paolo Raffone, Rosario Jermano, Rino Zurzolo ed Enzo Ciervo.
Le prime esperienze musicali come musicista arriveranno per lui nei primi anni ’70, mentre il suo disco d’esordio uscirà nel 1977 (Terra mia). Nel corso della sua lunga carriera Pino Daniele avrebbe poi pubblicato un totale di 21 album in studio, 7 album dal vivo e 19 raccolte.
Pino Daniele sul palco del Festivalbar (Getty).
Le sue canzoni sono entrate nell’immaginario collettivo come delle splendide e toccanti cartoline della sua Napoli, i cui colori, suoni, profumi erano spesso al centro dei suoi brani. Celeberrime da questo punto di vista sono state per esempio Napule è, ‘O Scarrafone, ‘Na tazzulella ‘e cafè, Quando, Che male c’è, A me me piace ‘o blues, Quanno chiove e Je so’ pazzo.
Pino Daniele: moglie, figli e causa della morte
Pino Daniele ha avuto due mogli e una compagna. La prima si chiama Dorina Giangrande ed è stata in passato una sua corista: dalla relazione Daniele aveva avuto due figli, Alessandro e Cristina. Dopo il divorzio da Giangrande ha poi sposato, nel 1991, Fabiola Sciabbarrassi, dalla quale ha avuto i tre figli Sara, Sofia e Francesco. L’ultima compagna di Pino Daniele in ordine di tempo è stata infine Amanda Bonini. Affetto da problemi di cuore da tempo, Pino Daniele si è spento all’età di 60 anni dopo essere stato colpito da un infarto.
Visto da lontano, l’ingresso della Diva è parso il solito parapiglia in cui guardie del corpo, accompagnatori illustri (della politica e non) e ammiratori urlanti si mescolano in un pernicioso corpo a corpo, nella fattispecie lungo una trentina di metri, quanto dista l’ingresso principale dell’Arena di Verona dalle prime file di platea. Non a caso, la foto simbolo dell’evento nell’evento a proposito dell’inaugurazione del Festival liricon. 100 nell’anfiteatro romano di Verona è quella (pubblicata in prima pagina dal Corriere del Veneto) in cui si vede Sophia Loren per mano al figlio, accolta dal ministro Gennaro Sangiuliano, mentre sulla destra il suo sottosegretario, il veronese Gianmarco Mazzi, sta col telefonino all’orecchio come un bodyguard che parla con la centrale operativa perché gli auricolari non gli funzionano più.
Sangiuliano, Sophia Loren e Mazzi (da Raiplay).
L’ostensione della Sophia nazionale è stata il clou dello show di Rai1
L’acclamata ostensione della Loren – madrina dell’inaugurazione – è stata il clou dello show su Rai1 condotto da Milly Carlucci con cui si è aperta la lunga diretta della rappresentazione di Aida, finalmente in un nuovo allestimento per l’Arena. Indicativo il parterre dei soliti noti – al di là della massiccia presenza di alte cariche dello Stato (Mattarella aveva declinato, ma c’erano i numeri due e tre, La Russa e l’enfant du paysFontana), con ministri sufficienti per allestire una squadra di basket e sottosegretari in sorte. In platea c’erano Lino Banfi e Orietta Berti, Jerry Calà e Iva Zanicchi, Signorini e Amadeus, Morgan e Beatrice Venezi. E a colorare di trash il tutto, non mancavano le divette dei social e/o dei reality, più o meno vestite. A contornare Carlucci, un Luca Zingaretti molto compreso nel recitare la trama di quel che si sarebbero visto e sentito e un Alberto Angela che l’ha presa alla lontana, mettendosi a parlare di quel che c’era al posto dell’Arena 150 milioni di anni fa. E ciascuno pensi quel che vuole del fatto che appena ha smesso – e sembrava finalmente giunto il momento dello spettacolo – è cominciata una peraltro breve pioggerella che ha fatto incrociare le dita alla sovrintendente Cecilia Gasdia e messo tutti in allarme. In precedenza, il secondo clou dopo la Loren era stato il passaggio a bassa quota delle Frecce Tricolori, con i colori dei loro fumi rispecchiati nelle tuniche bianche rosse e verdi del coro mandato in scena a cantare l’Inno di Mameli. Almeno in quel momento, è cessata la musica di contorno dagli altoparlanti. Prima, riconosciuta quella di Morricone da Nuovo Cinema Paradiso per l’ingresso dell’attrice che farà 89 anni a settembre e che notoriamente nel film di Tornatore non c’è, ma il titolo è suggestivo. Non riconosciuta – il cronista ne fa ammenda – quella che ha accompagnato, si fa per dire, il rombo delle Frecce.
Ignazio La Russa all’Arena (da Raiplay).
Le istruzioni per gli invitati hanno trasformato l’Arena in uno studio tv
Fuori categoria il volantino consegnato all’ingresso al pubblico, intitolato Amare l’Arena, destinato “a tutti gli invitati dell’Arena” e firmato “Noi della Fondazione Arena”. Vi si leggevano dettagliate istruzioni di comportamento durante la sfilata della Loren, a partire dalla prescrizione di alzarsi in piedi ma senza fare rumore con le sedie. E frasi come questa: «È importante sostenere lo spettacolo con applausi nei momenti appropriati fino alla fine e anche un po’ oltre. Sarete sempre sotto l’occhio di venti telecamere (di cui tre aeree) pensate per enfatizzare la vostra partecipazione […] Verona e la mondovisione hanno bisogno del vostro calore, dei vostri applausi, delle vostre standing ovation da mostrare al pubblico internazionale». Istruzioni di rara goffaggine per trasformare l’Arena in un immenso studio televisivo a cielo aperto, cosa alla quale del resto è assomigliata moltissimo fino a quando non è cominciata la musica, quella per cui si era lì. Solo un passo prima di fare apparire la scritta “Applausi” sugli schermi led posizionati in alto ai lati del palcoscenico. Ma alla prossima diretta tv probabilmente ci sarà qualcuno che ci penserà.
Il volantino con le istruzioni distribuito prima dell’Aida.
Un’esecuzione di media qualità con i divi Netrebko-Eyvazov poco efficaci
Quanto al risultato di tutto questo circo televisivo costruito intorno alla povera Aida, i dati Auditel avranno raffreddato qualche entusiasmo preventivo. Spettatori 1 milione 798 mila, oltre 200 mila in meno di quelli che hanno seguito la semifinale dell’Isola dei famosi su Canale 5, programma con il quale lo show areniano (Verdi escluso, beninteso) era in diretta concorrenza. Molto meno della media delle inaugurazioni di stagione in diretta dalla Scala, che viaggiano sopra i 2 milioni. E che a parte qualche chiacchiera fastidiosa, mai finora hanno ceduto a queste forme di spettacolarizzazione. Forse è vero che la classe non è acqua, anche se le idee sono quel che sono. Sullo spettacolo che è seguito, bastano poche parole: scenicamente ambizioso nel suo simbolismo astratto, ma irrisolto e poco verdiano nella sua costruzione per immagini che prescinde dalla drammaturgia musicale; musicalmente di media qualità, con un’evidente miglioramento nel corso dell’esecuzione; vocalmente altrettanto, con i divi Netrebko-Eyvazov (Aida e Radames) apprezzabili nella linea di canto, molto meno nell’efficacia attoriale, impietosamente messa in risalto da una regia televisiva troppo prodiga di primo-piano. A conti fatti, la notizia consiste nella rinuncia, da parte di Netrebko e Fondazione Arena, al trucco smaccatamente e volgarmente “black-face” che la scorsa estate aveva scatenato polemiche internazionali. Una correzione di rotta, peraltro mai annunciata. Ma ammettere gli errori è sempre complicato.
Anna Netrebko in Aida (dal profilo Instragram di Netrebko).
«Il giornalismo è letteratura», ha detto Emmanuel Carrère alla presentazione milanese del suo ultimo libro V13 edito da Adelphi. V13 è il nome dato al processo degli attentati del 13 novembre 2015 che sconvolsero Parigi e il mondo intero (130 le vittime, oltre 350 i feriti) che lo scrittore francese ha seguito quasi quotidianamente, per 10 mesi, per Le Nouvel Observateur. Quattordici imputati, 1.800 parti civili, 350 avvocati. Da settembre 2021 a giugno 2022, Carrère ha seguito questo processo fiume seduto su una panca scomoda in un imponente palazzo nel cuore di Parigi, prendendo appunti su un taccuino appoggiato alle ginocchia. Vittime, imputati e corte sono i tre blocchi in cui è diviso il libro che, pagina dopo pagina, si trasforma in un viaggio senza ritorno fatto di orrore, violenza e atrocità. Un lavoro che si differenzia da altri di questo genere anche perché per la prima volta la luce più che sugli assassini è puntata sulle vittime, sui loro familiari e sui sopravvissuti. Un po’ perché gli assassini sono tutti morti e un po’ perché, come ha spiegato lo scrittore, gli imputati del V23 «erano poco interessanti e sostanzialmente un gruppo di idioti».
Emmanuel Carrère e V13.
L’Avversario e il processo Romand
In V13 la cronaca, in questo caso giudiziaria, diventa letteratura. Lo stesso Carrère non è nuovo a questo genere di operazione. Ne L’Avversario, pubblicato nel 2000, raccontò il processo a carico di Jean-Claude Romand che nel gennaio del 1993 tentò di suicidarsi dopo aver sterminato moglie, figli e genitori. Le indagini dimostrarono in poco tempo che per quasi 20 anni Romand aveva mentito, facendo credere alla sua famiglia e ai conoscenti di essere medico mentre in realtà aveva lasciato l’università al secondo anno, non aveva un lavoro e trascorreva le giornate vagando per strade, parcheggi e bar a caso. Romand non era un semplice bugiardo, ma un soggetto affetto da mitomania, «una forma di squilibrio psichico caratterizzato da false affermazioni in cui l’autore stesso crede»; patologia che lo aveva trascinato in una spirale di follia. Implacabile riflessione sull’essere e sull’apparire, L’avversario mette il lettore di fronte al proprio lato oscuro, alle proprie piccole mitomanie e menzogne, in uno straziante gioco di specchi. Così una notizia locale di nera acquisisce una dimensione universale.
. L’Avversario di Emmanuel Carrère.
Capote capostipite del genere con A sangue freddo
Per quanto anche Dostoevskij fosse partito da una notizia di cronaca per Delitto e castigo, ispirandosi alla storia del moscovita Gerasim Chistov che nel gennaio 1865 uccise con un’ascia due anziane, il capostipite di questo genere ibrido – il non fiction-novel– è universalmente riconosciuto essere A sangue freddo di Truman Capote. La vicenda da cui parte lo scrittore statunitense è quella di due assassini che sterminarono una tranquilla famiglia della provincia americana. Capote lesse questa notizia sulla cronaca locale, si fece mandare dal New Yorker come inviato e passò circa sei anni nella scrittura di questo reportage narrativo che, contro tutti i pronostici, fu unanimemente considerato il suo capolavoro. «Molti ritennero che fossi pazzo a sprecare sei anni vagando per le pianure del Kansas; altri respinsero la mia idea del romanzo-verità dichiarandola indegna di uno scrittore ‘serio’; Norman Mailer la definì un ‘fallimento dell’immaginazione’, intendendo, presumo, che un romanziere dovrebbe scrivere cose immaginarie e non cose reali»,raccontò lo stesso Capote.
Il delitto Varani indagato da Nicola Lagioia ne La città dei vivi
Un lavoro simile è stato fatto superbamente anche da Nicola Lagioia nel suo La città dei viviall’interno del quale viene narrata, alla Capote, l’agghiacciante delitto Varani. In un anonimo appartamento del quartiere Collatino, periferia romana, due ragazzi di buona famiglia, Manuel Foffo e Marco Prato, nel corso di un festino a base di sesso, alcol e droga uccisero dopo averlo seviziato per ore il coetaneo Luca Varani. «Ho trascorso quattro anni in giro per Roma a raccogliere materiale e documenti, ma soprattutto a incontrare gente, a fare domande, ho incontrato gestori di locali, piccoli commercianti, travestiti, spacciatori, senatori, carabinieri, baristi, dentisti, disoccupati, prostituti, educatori, avvocati, magistrati, agenti immobiliari, assicuratori, carrozzieri, ristoratori…», ha raccontato Lagioia, quasi ossessionato da come due ragazzi avessero deciso di rovinarsi completamente la vita senza alcun motivo. Il romanzo si apre con il sangue che cola in una biglietteria del Colosseo. Un inizio da film horror all’interno del quale non c’è nulla di inventato, nemmeno il perenne clima da indulgenza che aleggiava nella Capitale: «Il fatto è che a Roma ognuno fa come cazzo gli pare, pensai. I tifosi del Feyenoord entravano ubriachi nella fontana di Trevi e prendevano a bottigliate la Barcaccia del Bernini, a Villa Borghese i vandali decapitavano le statue dei poeti, grandi buste di immondizia volavano da un palazzo all’altro, tutti pisciavano ovunque, un’indulgenza plenaria era nell’aria, e io stesso, che in un’altra città mi sarei fatto scoppiare la vescica, mi ero trovato più di una volta a inumidire le Mura Mura Serviane».
Secondo una mitologica statistica in Italia si pubblicano circa 70 mila libri l’anno, otto ogni ora per 365 giorni. Ciò nonostante, un recente sondaggio promosso da Bookseller racconta che più della metà degli autori (54 per cento) ammettono come la pubblicazione del libro d’esordio abbia influito negativamente sulla loro salute mentale. Infine lo scorso inverno Repubblica dedicò la copertina di un numero de Il Venerdì al precariato imperante del lavoro intellettuale, in occasione del centenario dalla nascita «del più precario di tutti, Luciano Bianciardi». Questo in sintesi il panorama del mondo culturale italiano che comprende editori, critici e naturalmente scrittori, seduti allo stesso tavolo e intenti a spartirsi la medesima torta.
Nonostante tutto, il mercato del libro tiene
Nonostante la situazione all’apparenza sembri più da psicanalisi che altro, il mercato del libro continua a crescere o per lo meno a tenere, sia in Europa, dove il settore vale 33 miliardi di euro (il 60 per cento del mercato globale), sia in Italia dove nel 2022 ha toccato i 3,5 miliardi. O perlomeno così dicono i dati dello studio dell’Associazione Italiana Editori (Aie), in collaborazione con Nielsen BookData smentendo il cliché che in Italia «tutti vogliono scrivere ma nessuno legge». Con queste cifre i libri qualcuno dovrà pur comprarli. Ma come funziona in Italia il mondo culturale? Tre testi arrivati da poco sugli scaffali delle librerie lo raccontano concentrandosi sulla storia dell’editoria italiana, sulla genesi della casa editrice più cool in circolazione, e il terzo sondando luci e ombre del premio letterario più importante d’Italia, lo Strega.
Luciano Bianciardi.
Alla scoperta della Storia confidenziale dell’editoria italiana
Gian Arturo Ferrari, per gli amici Gianni, per tutti gli altri semplicemente “il professore”, è stato per molto tempo l’uomo più potente, il Darth Vader, dell’editoria italiana. Per più di 10 anni a capo della Mondadori sotto il suo dominio sono stati scoperti autori come Roberto Saviano, Paolo Giordano, Antonio Pennacchi, Salman Rushdie, Dan Brown, Alessandro Piperno e Alessandro D’Avenia. Tanto per citarne alcuni. In Storia confidenziale dell’editoria italiana, edito da Marsilio, Ferrari racconta le avventure umane e culturali degli uomini e delle donne che si sono occupati di scegliere come, quando e quali libri pubblicare, e ricostruisce capitoli di storia editoriale spiegandoci come sono nate, morte e come sono state resuscitate le case editrici, o come, talvolta, si sono divorate tra loro. Seguiremo così le storie dei due grandi “fratelli” dell’editoria italiana, Arnaldo Mondadori e Angelo Rizzoli, nati entrambi poverissimi a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro e diventati due dei personaggi più importanti del panorama culturale del nostro Paese. Ci appassioneremo alle gesta del 20enne Giulio Einaudi che, prima dei tipi di Adelphi, diventò il simbolo di una certa letteratura di qualità e il punto di riferimento per un certo tipo di lettori. Seguiremo il 30enne Valentino Bompiani, lettore colto e curioso, ci immergeremo nel carattere tempestoso di Livio Garzanti e tiferemo per il progetto utopistico dell’editore rivoluzionario Giangiacomo Feltrinelli. Parteciperemo ad aste selvagge a fiere librarie e a dispute legali. «Il lavoro editoriale è un miraggio tremolante», scrive Ferrari, «l’editoria è nella sua essenza un fatto commerciale, comprare e vendere, ma di una specie superiore di commercio».
Storia confidenziale dell’editoria italiana di Gian Arturo Ferrari, Marsilio.
Le origini di Adelphi e la seduzione del libro
Oltre che una casa editrice Adelphi è un brand, una filosofia in cui da tempo si riconoscono generazioni di lettori che hanno trasformato la creatura di Bobi Bazlen e Roberto Calasso quasi in una religione da venerare. La storia è narrata magistralmente fin dalle origini nel volume intitolato semplicemente Adelphi, scritto da Anna Ferrando ed edito da Carocci. I precetti sono validi ancora oggi: i libri devono essere innanzitutto belli fisicamente, seduttivi, perché in fondo sono oggetti materiali, non puri spiriti. Da qui le copertine color pastello, la grafica ricercata e la trasformazione del prodotto in una sorta di “limited edition” che si fa feticcio, oggetto di culto. Instagrammabili prima di Instagram, sono diventati, come scrive Andrea Minuz sul Foglio, «i Prada dei libri». Soprattutto grazie a Calasso. Il lavoro di Ferrando tuttavia risulta essere particolarmente interessante perché narra l’epopea adelphiana prima di Calasso, puntando la luce soprattutto su Luciano Foà e Bobi Bazlen: «Faremo solo i libri che ci piacciono». Anche oggi, che Calasso Bazlen e Foà non ci sono più, i principi di Adelphi sono rimasti immutati insieme al suo successo. Solo i tipi di Via S. Giovanni sul Muro possono mandare un fisico come Carlo Rovelli in testa alle classifiche di vendita per settimane, valorizzare autori come Emmanuel Carrère o rendere immortali personaggi sconosciuti come Bruce Chatwin o dimenticati come lo stesso Geoges Simenon. D’altronde, per chi aveva sfidato l’opinione pubblica iniziando la propria avventura pubblicando l’opera omnia di Nietzsche, calza a pennello la definizione che proprio Gian Arturo Ferrari nel suo Storia confidenziale dell’editoria italiana sintetizza perfettamente l’intero spirito della casa editrice milanese: «La bussola adelphiana si sta trasformando nella bacchetta del rabdomante».
Adelphi, di Anna Ferrando (Carocci).
Caccia allo Strega, anatomia di un premio letterario
Istituito a Roma nel 1947 dalla scrittrice Maria Bellonci e da Guido Alberti, proprietario della casa produttrice del Liquore Strega da cui prende il nome, il Premio Strega è unanimemente considerato il premio letterario più importante e ambito d’Italia. Capace di far decollare una carriera o di dopare sensibilmente le vendite di un titolo, sta alla letteratura come la Champions League sta al calcio. Gianluigi Simonetti, professore di letteratura contemporanea e critico letterario del Sole 24 Ore, nel suo Caccia allo Strega, sposta lo sguardo oltre le dinamiche elettorali e il marketing letterario concentrandosi su un aspetto decisivo: come sono fatti i libri vincitori o selezionati per la celeberrima cinquina? Perché il libro perfetto è stato M di Antonio Scurati? Quali sono i motivi che hanno portato al successo Resistere non serve a niente di Walter Siti? Come fa un’esordiente a vincere Strega e Campiello in un colpo solo e vendere un milione di copie nel suo primo anno di pubblicazione come ha fatto Paolo Giordano con La solitudine dei numeri primi? Esiste veramente una mafia delle case editrici? In cosa lo Strega si differenzia dall’altro prestigioso premio italiano, il Campiello? A tutte queste domande risponde il lavoro di Simonetti. Pur essendo un testo che sembra dedicato solamente agli addetti ai lavori è in grado di raccontare in maniera particolarmente efficace come si è evoluta la storia sociologica del clima culturale italiano.
Caccia allo Strega di Gianluigi Simonetti (Nottetempo).