I Coldplay a Milano e l’inchiesta sul pusher dei vip: il racconto della settimana

Quando i Coldplay sono apparsi per la prima volta nel 2000 sulla scena musicale mondiale ci si chiedeva: i ragazzi di questo gruppo brit pop diventeranno i nuovi Radiohead? O i nuovi Verve? Oggi, è chiaro che non erano nessuna di queste cose. In oltre 20 anni di carriera hanno venduto più di 80 milioni di album in tutto il mondo e sono stati nominati per un Grammy 25 volte. Per alcuni sono la band pop più importante al mondo. Personalmente non li avevo mai calcolati più di tanto, ritenendoli una brutta copia degli U2, fino alla primavera del 2008 quando pubblicarono Viva la vida or Death and all his friends che avevo iniziato a mettere in discoteca durante le mie serate Cemeteries of London come pezzo di chiusura. Una roba che non so perché mi ricordava certi lavori degli Stones, tipo You Can’t Always Get What You Want per intenderci, e che letteralmente faceva impazzire la gente, che la cantava a squarciagola con le mani alzate al cielo fino all’ultima parola.

Da quei tempi sono trascorsi un po’ di anni e nel frattempo i pezzi dei Coldplay, di tanto in tanto, li ho passati anche in radio. Soprattutto Fix You, Trouble, Viva la vida, Every teardrop is a waterfall e Adventure of a lifetime. Se è vero, come ho letto da qualche parte, che da un lato la band di Chris Martin piace più o meno a tutti è altrettanto vero che in certi ambienti, diciamo alternativi, non esiste sulla faccia della terra gruppo più odiato e detestato. Un po’ come succede a Jovanotti in Italia, per gli stessi identici motivi (Jova beach docet). Definiti dal New Yorker e dal New York Times la band più insopportabile del primo decennio degli Anni 2000, i Coldplay, in questi giorni hanno concluso il loro tour in Italia facendo sold out ovunque, in tutte le sei date programmate, da Napoli a Milano. Stasera si esibiranno San Siro davanti a 60 mila persone. Ed è questo il motivo per cui adesso accanto al mio tavolo alla Fondazione Prada è seduta Gwyneth Paltrow, con indosso un vestito marinaresco a righe bianche e rosse e un paio di sneaker bianche, che pilucca un piatto di spinaci e un’insalata scondita, di fronte a suo figlio Moses, un ragazzone con tanto di pantaloni corti, camicia e cravatta, in uniforme da scolaretto, simile a quelle che indossa Angus Young durante i concerti degli AC/DC.

Se da un lato la band di Chris Martin piace più o meno a tutti è altrettanto vero che in certi ambienti, diciamo alternativi, non esiste sulla faccia della terra gruppo più odiato e detestato. Un po’ come succede a Jovanotti in Italia, per gli stessi identici motivi

«Mi piacerebbe chiederle se ha con sé una di quelle candele che sanno di vagina», sospiro, indicando Gwyneth con lo sguardo, rivolgendomi al mio amico Carlo B. abbronzatissimo, in Lacoste carta da zucchero, appena tornato da Framura, con cui mi sono dato appuntamento per un caffè. «Lei è la mia preferita in assoluto. Ha i suoi annetti ormai ma è a dir poco ancora una donna formidabile», dice Carlo B. «Devo dirti che non sono mai stato un fan dei Coldplay ma a questo giro una data a San Siro me la sarei fatta, per curiosità», scandisco, fissando ancora Gwyneth, che pare uscita da un film di Wes Anderson, e poi aggiungo: «Deve essere uno spettacolo pazzesco». C’è stato certo anche per me un momento in cui ero innamorato pazzo di Gwyneth Paltrow. Quando rimanevo incantato davanti alla tv a vederla nei panni di Margot Tenenbaum. Nascosta sotto uno spesso tratto di eye-liner, fumava una sigaretta dopo l’altra per tutta la durata del film, con in braccio la sua Kelly di Hermès, indossando una lunga pelliccia di visone su mini-abiti a righe Lacoste e mocassini maschili ai piedi. «E ti dirò di più», proseguo, «questa settimana, potendo, sarei andato anche al mega concerto organizzato da Fedez in Piazza Duomo con tutto il gotha dei giovani trapper e sarei andato anche a vedere Travis Scott all’Ippodromo, tutto fatto di sciroppo». «E invece non andrai?». «No», mugolo. «Credo rimarrò a casa per tutto il week end a fare cose molto démodé, tipo stare sul divano, in pigiama, a leggere un romanzo inglese, ascoltando qualche vecchio disco di Miles Davis o di Coltrane». «Niente Tigullio?». «Niente Tigullio bro, niente barca a vela. Credo che passerò il mio venerdì a scrivere un racconto sulla cocaina che i vip vanno a prendere con le auto blu. Hai letto? La notizia rende totalmente banale e scontato quello che accadeva nel 2007, nei privé dell’Hollywood e del The Club, e l’inchiesta del PM Woodcock, che coinvolse un mio ex compagno di scuola».

I Coldplay a Milano e l'inchiesta sul pusher dei vip: il racconto della settimana
Gwyneth Paltrow e il figlio Moses a Milano (da Instagram).

Lo chiamavano Pietrino, “il pusher dei vip”, era l’uomo che all’epoca trasformava in grandi serate le feste nelle discoteche, perché portava sempre con sé un nutrito numero di smorfie mozzafiato, che comprendevano dive e starlette della tv. Nel 2011 finì addirittura in copertina su Novella 2000, fotografato sotto casa sua a Milano. Pietrino venne definito “la gola profonda” dell’inchiesta su vallette e cocaina, venne accusato di spaccio e la notizia in certi ambienti procurò un bel terremoto, perché vennero coinvolti un sacco di nomi noti e soprattutto le più belle ragazze che all’epoca si vedevano in tutte le trasmissioni televisive. Erano gli anni in cui Fabrizio Corona sciorinava a destra e a manca le sue vanterie e contemporaneamente minacciava e ricattava potenti, calciatori, magistrati e veline varie. Ed erano gli anni in cui Paris Hilton finiva sui giornali perché a Los Angeles era stata  arrestata completamente ubriaca al volante della sua Bentley, con l’accusa di guida in stato di ebrezza.

Quando arriva Silvione a prendermi, a bordo della sua Citroen gialla, del pusher ancora non c’è traccia. Poi fortunatamente il tizio arriva, ci porge una bustina, gli diamo i soldi e se la squaglia. Neanche a farlo apposta siamo davanti al Bar Biancaneve quando una pattuglia dei carabinieri ci affianca per un controllo e Silvione getta l’involucro sotto una macchina

È un venerdì di giugno del 2007, tarda mattinata, e sto rollando uno spino d’erba tagliato con dello Xanax seduto con le gambe incrociate nella mia mansarda in via Tiepolo. Sfoglio il Corriere della Sera e leggo dell’inchiesta di Woodcock con indosso un pigiama di seta tutto stropicciato. Mi sono appena masturbato con un porno scadente che ho visto centinaia di volte dove recita una glaciale Paris Hilton che più che un porno è un sex tape che ha iniziato a girare clandestinamente sul web e sto aspettando che arrivi Allegra e partire con lei per il weekend nella casa che ho affittato a Rapallo. Fingo di rovistare nel mio armadio preparando alla bene e meglio una sacca con qualche vestito quando Allegra entra nella mansarda. «Che succede?», le domando. «Hai visto per caso che fine ha fatto il mio blazer blu a tre bottoni?». «Cosa succede in che senso?», domanda lei, tesa. «Sei in un ritardo pazzesco. Abbiamo il treno tra meno di un’ora». «Ma sei sei ancora in pigiama, cosa vuoi da me?», mi dice, mentre sto scegliendo un paio di occhiali da sole. Resto fermo per un attimo, poi guardo l’orologio che non porto e torno verso il letto dove rovisto nel sacchetto Comme des Garçons che utilizzo per portare le camicie in lavanderia. Distrattamente tiro fuori un capellino da baseball Eral 55 che mi ha regalato la settimana scorsa la baby model. «Che cos’è?», chiede Allegra. «Niente di che», dico, ributtandolo nella borsa. «Andre, voglio davvero che le cose tra noi riprendano a funzionare», dice, esitante. «Ma ho bisogno del mio tempo». «Claro, io sono pazzo di te, tu sei pazza di me. Qual è il problema?». Scrollo le spalle. «Ehi Andre, guardami». «Dimmi, bella». «Non parto con te questo week end. Non mi sento ancora pronta». Mi si gela il sangue. Fisso nel vuoto o in quello che immagino essere il vuoto fino a quando non mi viene da dire: «Come regola non dovresti aspettarti troppo dagli altri, amore», e poi la bacio sulla guancia prima di aggiungere. «Esattamente come faccio io».

La sera, in passeggiata a Rapallo, da solo, sto aspettando il pusher per fare un grosso acquisto di cocaina per una festa alla quale sono stato invitato in una grossa villa tra Paraggi e Portofino. Indosso una camicia oxford bianca di Ralph Lauren, un paio di jeans sdruciti e un blazer blu a tre bottoni. Quando arriva Silvione a prendermi, a bordo della sua Citroen gialla, del pusher ancora non c’è traccia. Poi fortunatamente il tizio arriva, ci porge una bustina, gli diamo i soldi e se la squaglia. Neanche a farlo apposta per uno strano scherzo del destino siamo davanti al Bar Biancaneve quando una pattuglia dei carabinieri ci affianca per un controllo e Silvione getta l’involucro sotto una macchina. «A terra i carabinieri recuperano alcune dosi di cocaina, quattro grammi», recitavano i titoli dei giornali locali la mattina dopo. «Nel registro degli indagati per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio appaiono due ragazzi milanesi di buona famiglia A.F.G e S.R. . Perquisiti anche un appartamento nel centro di Rapallo e una suite dell’esclusivo Hotel Splendido di Portofino, dove i due alloggiano per il week end. Si sospetta che i due giovani siano collegati al giro di droga che a Milano ha portato alla chiusura della discoteca Hollywood». Sia io, che Silvione, che Pietrino frequentavamo lo stesso liceo milanese. Nessuno di noi però nella vita ha mai acquistato cocaina utilizzando le auto blu messe a disposizione dalla Regione.

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