Daily Archives: 13 Marzo 2020

Come salvare le piccole imprese dal default per coronavirus

Quali misure per evitare il crac di migliaia di aziende? Rivedere gli accantonamenti obbligatori delle banche basati su rating che di sicuro ora peggioreranno. Vietare la richiesta di integrazione del valori dei titoli dati in pegno come garanzia per i prestiti. Sospendere l'ammortamento del capitale sui finanziamenti rateali. Accordare a tutti un extra fido.

Non è il momento delle polemiche e delle chiacchiere. È il momento dei fatti, il momento in cui tutti devono scendere in campo. Siamo in trincea e la guerra contro il coronavirus non la devono combattere sempre gli stessi soldati. Il governo, la commissione bicamerale banche (e la sua presidente Carla Ruocco) e le banche (tramite l’Abi, l’Associazione bancaria italiana) si siedano a un tavolo e affrontino immediatamente il problema delle imprese, soprattutto le piccole imprese che, ricordiamo, rappresentano il 90% del tessuto produttivo del nostro Paese e hanno una forte dipendenza, quasi sudditanza, nei confronti del credito bancario.

IMPRESE E FABBRICHE, FOCOLAI DEL VIRUS

Generalmente solo il 10% del fabbisogno finanziario di una Pmi viene coperto con capitale proprio (di rischio). Le imprese sono focolai potenziali più degli ospedali. Negli uffici, nei reparti, nei cantieri il rischio contagio è quasi certezza. La Cina ha fermato tutte le fabbriche nei primi sette giorni del contagio. Se lo Stato non interviene con misure straordinarie, tra poche settimane avremo decine di migliaia di contagiati o decine di migliaia di persone senza stipendio.

LE BANCHE DEVONO RESTITUIRE IL FAVORE

Le vendite di tutti stanno crollando a picco, restare aperti in certi casi costa più della chiusura. Per conservare la tenuta dei conti privati e consentire il pagamento dei salari netti occorre coinvolgere subito il sistema bancario. Negli ultimi 12 anni, al verificarsi della grave crisi finanziaria e il crac di tanti istituti di credito a livello mondiale, le imprese (e le loro famiglie) hanno aiutato, spesso involontariamente e a loro danno, con i loro sacrifici e il loro risparmio le banche a non fallire e a risalire la china. Ora, in giorni di improvvisa difficoltà per le imprese (e le loro famiglie), gli istituti di credito potrebbero restituire il favore ricordando al governo che il coronavirus è trasversale e indifferente alle pressioni delle lobby. Colpisce tutti. Ma non lo faranno.

IL GOVERNO IMPONGA UN SACRIFICIO AGLI ISTITUTI DI CREDITO

Il governo deve, quindi, imporre “un sacrificio” al sistema bancario accordandosi anche con Bruxelles in merito ad alcune misure necessarie per evitare il default di migliaia di piccole imprese e offendo in contropartita alle banche, anche esse imprese, una detassazione di alcuni asset che producono reddito. Faccio quattro proposte.

1. RIVEDERE LE REGOLE DI BASILEA

Revisione immediata delle regole di Basilea in merito agli accantonamenti obbligatori che le banche devono effettuare in base alla “rischiosità” delle imprese a cui sono stati concessi finanziamenti. Semplificando gli accordi interbancari di Basilea stabiliscono di “valutare” le aziende tenendo conto sostanzialmente di tre parametri: i “numeri” che esprime l’azienda (il suo bilancio in pratica); il cosiddetto “andamentale bancario”, ossia: “Come si comporta l’azienda con la banca? È regolare nei pagamenti? Oltrepassa mai il limite di fido? I suoi clienti la pagano regolarmente?”; e infine gli aspetti qualitativi, cioè informazioni di natura qualitativa, come etica della “governance”, rischiosità del settore di appartenenza, saturazione del mercato di operatività, previsioni economico-finanziaria di settore.

Il rating esprime “la probabilità di default”, cioè il rischio che in 3-5 anni l’azienda non possa più restituire i soldi alla banca

Sulla base di questi tre parametri, inseriti in un algoritmo, ogni banca tira fuori un “voto” per l’azienda che ha richiesto o ha ottenuto il finanziamento, il cosiddetto rating, che, così come a scuola, varia su una scala che va da 1 (il voto migliore) a 12 (il voto peggiore) e che esprime “la probabilità di default”, cioè la probabilità (il rischio) che in 3-5 anni l’azienda non possa più restituire i soldi alla banca.

I rating delle piccole imprese peggioreranno sicuramente a seguito della crisi da Covid-19

La disciplina di Basilea sull’esercizio del credito, al fine di tutelare il risparmio e la sostenibilità del business bancario, impone alle banche obblighi di accantonamenti per sostenere la probabilità di default della aziende affidate. E l’accantonamento è un costo per le banche. In altri termini le banche devono accantonare quote di capitale (che non possono quindi utilizzare per fare altri affari) proporzionate al rischio assunto che viene appunto valutato con lo strumento del rating. Siccome è certo che i rating delle piccole imprese peggioreranno sicuramente a seguito della crisi da Covid-19, è necessario rivedere immediatamente le percentuali di accantonamento altrimenti, così come già raccontato qui su Lettera43.it, alle banche rimane la strada della stretta creditizia.

2. VIETATO CHIEDERE INTEGRAZIONE DEI TITOLI DATI IN PEGNO

Imporre al sistema bancario il divieto di richiedere una integrazione del valore dei titoli dati in pegno come garanzia per la concessione di prestiti. A seguito del crollo delle quotazioni dei titoli azionari e obbligazionari, è ovvio che quei finanziamenti saranno “meno garantiti”. In altri momenti storici simili a quello attuale le banche hanno richiesto immediatamente il ripristino dello “scarto”, cioè quella differenza tra il valore dell’oggetto del pegno e il credito accordato che serve a cautelare l’istituto di credito contro una eventuale diminuzione di detto valore. E i piccoli imprenditori, a maggior ragione in questa fase, non hanno disponibilità per integrare la garanzia. E quindi, in alternativa, le banche deliberano una riduzione del fido proporzionalmente con l’aumento dello scarto.

3. SOSPENDERE PER UN ANNO L’AMMORTAMENTO DEL CAPITALE

Sospensione per almeno un anno dell’ammortamento del capitale (non solo degli interessi) sui finanziamenti rateali (ipotecari e chirografari). Chi non ha i soldi per pagare le rate, non ce li ha né per sostenere il costo degli interessi né per rimborsare il capitale preso a prestito. Ma soprattutto introdurre modalità di richiesta e ottenimento della “moratoria” molto più snelle e agevoli di quelle prescritte negli anni precedenti.

4. ACCORDARE UN EXTRA FIDO: IL 20% DI QUANTO GIÀ CONCESSO

Accordare massivamente a tutte le imprese un extra fido pari almeno al 20% di quanto già concesso sotto forma di prestito a breve termine (scoperto di conto, anticipo crediti, anticipo fornitori, eccetera). Tale misura consentirebbe alle imprese in crisi di fatturato (e di incassi) di sostenere il finanziamento del capitale circolante (stipendi, fornitori, utenze, fitti, tributi) e dovrebbe essere sostenuta unitamente alla abolizione per almeno due trimestri di quei balzelli che rispondono al nome di Dif (disponibilità immediata fondi) e Civ (commissione di istruttoria veloce) e che hanno preso il posto della illegittima commisione di massimo scoperto. Ai conti pubblici penseremo tutti dal 30 settembre 2020. Altrimenti sarà difficile trovare imprese vive in grado di pagare tributi e banche al primo di ottobre.

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F1, è ufficiale: la Fia cancella il Gp d’Australia

Salta la prima gara della stagione a causa della positività al coronavirus di un membro della McLaren. La scuderia ha deciso di ritirarsi.

Il Gran Premio di Formula 1 d’Australia non si correrà. La Fia ha ufficializzato la cancellazione della prima gara della stagione che si doveva correre domenica a Melbourne a causa della positività al coronavirus di un membro della McLaren. La squadra inglese ha deciso di ritirarsi.

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La Bce corregge il tiro sullo spread dopo lo scivolone di Lagarde

Il capo economista Lane: «Siamo pronti a fare di più». La frase della presidente aveva fatto precipitare le Borse e persino provocato la reazione del Quirinale.

Il 12 marzo Christine Lagarde, presidente della Bce, con una sola frase ha fatto precipitare le Borse europee: «Non siamo qui per ridurre gli spread». Oggi, dopo la reazione dei mercati e delle più alte istituzioni italiane, Quirinale compreso, corregge il tiro: «Siamo pronti a fare di più e ad adottare tutti i nostri strumenti, se necessario, per assicurare che gli alti spread che vediamo oggi, a causa dell’accelerazione del coronavirus, non mettano in pericolo la trasmissione della nostra politica monetaria in tutti i Paesi dell’Eurozona», ha scritto infatti il capo economista dell’Eurotower, l’irlandese Philip Lane, sul sito web della Bce.

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C’è Mattarella e gli anti-italiani: da Lagarde a Renzi-Salvini

Il delitto contro l’Europa che stanno consumando alcune élite di stupidi e stupide leader del Vecchio continente e del nostro Paese i è incalcolabile. Bisogna trattarli male. Il presidente della Repubblica è stato bravo, ma troppo educato.

Date una calmata a Matteo Salvini (non è difficile, basta un bicchierone di quella cosa estiva che gli ha fatto fare tante cazzate), non si può ogni giorno invocare misure sempre più estreme. Siamo al limite del coprifuoco e non escludo che possa arrivare il momento che dovrà essere dichiarato. Intanto sono state prese decisioni severe che la maggioranza della popolazione sta rispettando e abbiamo il dovere di attendere gli effetti.

Si è capito che il coronavirus non si abbatte dalla sera alla mattina né con una piccola pillola. Persino il farmaco proposto con successo dai valorosi medici di Napoli richiede il suo tempo per agire. Né serve che ci siano degli inguaribili presuntuosi che vadano in giro per il mondo a citare il proprio Paese come il luogo in cui si sono fatti solo errori. Bugiardi/o.

Alcuni errori sono stati fatti e condannati: comunicare per esempio è stato un limite del governo. Perdere troppo tempo con chi diceva che eravamo di fronte a una banale influenza e oggi, sempre di Salvini si tratta, immagina la guerra totale contro le mosche, pure.

I PESSIMI ESEMPI DI RENZI E SALVINI

Tuttavia questo Paese, ditelo a Matteo Renzi, sta dando esempio di serietà, di avere un nerbo fondato su una classe medico-infermieristica di primo ordine, su ospedali smantellati da coglioni liberisti, su una burocrazia che fa il suo dovere, su una classe politica che, a parte i soliti chiacchieroni, si è messa in disparte e non infastidisce il guidatore. L’impressione che quasi tutti sentono che è arrivato il momento del dovere fa venire con più nettezza allo scoperto quelli che non lo hanno capito o i vanesi. Che cosa ha da insegnare Teresa Bellanova al professor Roberto Burioni o Luigi Marattin al medico Raffaele Bruno. Siete miracolati della politica, state zitti.

Se Salvini fosse stato al governo, dato una prova pessima di sé e sarebbe stato una rovina per il Paese

L’opposizione sembra essere tornata distinta. La focosa Giorgia Meloni ogni tanto ritrova la via del dialogo. Salvini è perso per sempre. D’altra parte un uomo che ha trascorso metà della sua vita a insultare i meridionali e poi con la faccia come quella parte del corpo lì si presenta al Sud, è capace di tutto. Io detesto i meridionali che lo votano. Non vorrei mai veder tornare Salvini al governo perché ho in mente le sue frasi e i suoi cori contro di noi. Poi è uno inaffidabile che avrebbe, se fosse stato al governo, dato una prova pessima di sé e sarebbe stato una rovina per il Paese.

IL DANNO DI MOLTI LEADER EUROPEI È INCALCOLABILE

Meglio Giuseppe Conte, meglio Roberto Gualtieri, meglio Roberto Speranza e altri/e. Persino Luigi Di Maio sembra aver trovato la sua strada. Personaggi che sanno anche assumere decisioni serie e difficili. Meglio su tutti Sergio Mattarella a cui spetta il compito quasi impossibile di giustificare il nostro europeismo che dopo le ultime settimane e le dichiarazioni della Christine Lagarde sento in pericolo. Il delitto contro l’Europa che stanno consumando alcune élite di stupidi e stupide leader europee è incalcolabile. Bisogna trattarli male. Mattarella è stato bravo ma troppo educato. Se vogliamo che non riparta il solito antieuropeismo sovranista il “vaffa” presidenziale deve essere a tutto tondo.

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Arrestato il latitante di ‘ndrangheta Cesare Antonio Cordì

L'uomo si nascondeva in provincia di Reggio Calabria ed è stato individuato perché ha violato le norme sul contenimento del coronavirus.

Arrestato a Bruzzano Zeffirio, in provincia di Reggio Calabria, il latitante Cesare Antonio Cordì, 42enne esponente di spicco della ‘ndrangheta di Locri, in un’operazione messa a segno dai carabinieri e dallo squadrone dei Cacciatori d’Aspromonte. Il boss si nascondeva nel centro del Reggino ed è stato individuato grazie alla violazione delle norme emergenziali per il contenimento del contagio da coronavirus.

LATITANTE DA AGOSTO 2019

Cordì si era reso irreperibile ad agosto 2019. A suo carico era stato emesso un provvedimento di custodia cautelare in carcere, in quanto indagato per trasferimento fraudolento di valori aggravato dal fine di agevolare l’associazione mafiosa.

INDAGINI IN CORSO SULLE COPERTURE

Per eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, il boss aveva attribuito alla moglie la titolarità formale di un esercizio commerciale. Sono in corso le indagini per ricostruire la rete che di persone che ha favorito la sua latitanza.

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Quali sono i rischi che corrono gli Usa per il coronavirus

La pandemia si allarga anche negli Stati Uniti. Ma il sistema sanitario davanti a un incremento dei contagi rischia di implodere. Dai milioni di cittadini non assicurati alla carenza di posti letto: una radiografia che spaventa.

Alla fine anche negli Stati Uniti è stata superata la soglia psicologica dei mille contagiati. Secondo gli ultimi aggiornamenti i casi positivi al coronavirus sono 1.312, con focolai in California, a New York e Seattle. L’approdo del Covid-19 in America ha aperto nuove questioni sulla tenuta del sistema sanitario a stelle e strisce.

Il 10 marzo, arrivando a Capitol Hill per un incontro coi senatori repubblicani, Donald Trump ha continuato a minimizzare: «State calmi, il coronavirus se ne andrà», salvo poi disporre il blocco dei voli dall’Europa. Il riferimento del tycoon è ai milioni di americani preoccupati per la diffusione del contagio. Preoccupazione non del tutto infondata.

Mentre l’Italia, con Cina, Iran e Corea del Sud si trovano al centro della pandemia, gli Usa temono l’aumento repentino dei casi e dei decessi, arrivati già a 38, 30 dei quali nello stato di Washington. Il rischio è che il sistema sanitario Usa, vista la sua stessa struttura e l’organizzazione del lavoro, non riesca a reggere la pressione di una diffusione massiccia del Sars-CoV-2.

  • La mappa dei contagi aggiornata all’11 marzo (Fonte: Johns Hopkins university)

IL COMPLICATO RAPPORTO TRA AMERICANI E SISTEMA SANITARIO

Nel 2018 l’Università di Chicago e il West Health Institute hanno realizzato uno studio sul rapporto tra i cittadini americani e la salute. Fra le varie cose nel sondaggio emerse che nel corso dell’anno circa il 40% degli americani normalmente aveva saltato esami o trattamenti medici raccomandati e che il 44% non era mai andato dal medico se malato. La motivazione principale data dagli interpellati è stata sempre la stessa: paura dei costi. David Blumenthal, presidente del think tank Commonwealth Fund, ha spiegato al Guardian che le persone con malattie gravi di ogni tipo rimandano le cure se non hanno l’assicurazione o hanno franchigie elevate.

OGGI QUASI 28 MLN DI CITTADINI NON HANNO L’ASSICURAZIONE

Attualmente 27,9 milioni di americani sono sprovvisti di assicurazione, circa il 10,4% della popolazione sotto i 65 anni. Questo aspetto rappresenta uno dei primi fattori di rischio nel caso di un allargamento dell’epidemia. I cittadini senza assicurazione hanno maggiori possibilità di appoggiarsi al Pronto soccorso di fatto creando le condizioni per aumentare le infezioni. Ma il sistema delle assicurazioni non è il solo a mettere a rischio la tenuta complessiva. Uno studio del Commonwealth Fund del 2017 ha mostrato come gli Usa siano uno dei Paesi più inefficienti nella capacità di fornire assistenza primaria. Da un lato, si legge nel dossier del think tank, gli Stati Uniti sono ai primi posti per le misure che coinvolgono il rapporto medico-paziente sul piano della prevenzione e dei comportamenti, ma molto carenti quando si parla di coordinamento e gestione dei flussi di informazioni tra chi si occupa di fornire le cure, gli specialisti e gli operatori dei servizi sociali. Non solo. Gli Usa sono anche uno dei Paesi con il più alto tasso di ricoveri ospedalieri evitabili.

IL RISCHIO DI LAVORATORI MALATI

C’è però un altro aspetto molto importante da tenere presente. Secondo il Bureau of Labor Statistics circa un quarto degli americani non ha forme di congedo pagato per malattia. Una cifra che sale al 41% in alcuni settori come l’edilizia, l’agricoltura e la pesca. Secondo un rapporto dell‘Istitute for Women’s Policy Research, nel 2009 almeno tre lavoratori su 10 hanno continuato a lavorare pur avendo contratto l’influenza suina H1N1. Un fenomeno che potrebbe essere stato alla base di oltre 7 milioni di infezioni. Una situazione che potrebbe ripresentarsi con il Covid-19.

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Per tutti i lavoratori con il salario minimo a 10 dollari l’ora restare a casa per arginare il contagio non è un opzione praticabile. Secondo un rapporto del Center for American Progress del 2012 il 38% dei lavoratori nel settore privato non aveva giorni pagati di malattia, percentuale che supera il 70% per chi ha lavori part-time.

  • Impieghi nel settore privato senza giorni di malattia pagati.

A rendere tutto ancora più ingarbugliato è il fatto che questa massa di lavoratori include molte categorie a contatto con il pubblico: autisti, camerieri, persone che assistono gli anziani o impiegati nella gig economy. Tutti lavori scoperti dal telelavoro. Un dato su tutti: nel 2014 il Centers for Disease Control and Prevention ha rilevato che un lavoratore su cinque nel settore della ristorazione si è presentato a lavoro malato con sintomi che andavano dalla diarrea al vomito, spiegando di averlo fatto per paura di perdere il lavoro.

Non va però meglio per chi ha i permessi malattia. Secondo l’ufficio di statistica statunitense nel settore privato i giorni massimi che un lavoratore può chiedere per malattia, indipendentemente dall’anzianità, sono sette e salgono a otto per chi lavora in azienda da almeno 20 anni. Numeri ridottissimi che rappresentano solo la metà del tempo previsto per una quarantena.

LE FRAGILITÀ DEL SISTEMA OSPEDALIERO

Il mix tra sistema delle assicurazioni e cultura del lavoro si abbatte su un sistema ospedaliero che soffre di alcune carenze. In particolare per quanto riguarda la capacità di avere forze e posti di riserva in caso di crisi. Secondo i dati dell’Ocse nel 2016 il numero di ospedali ogni milione di abitanti era di 17,1, in calo di tre punti e mezzo dal 2000. In 16 anni sono state chiuse 276 strutture.

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Per l’Italia invece il tonfo è stato più forte: nel 2000 gli ospedali per milione di abitanti erano 23,2, oggi sono 17,56.

LA CARENZA DI POSTI LETTO

Il vero problema per gli americani è dato però dal numero dei posti letto. Secondo gli ultimi dati disponibili nel 2016 erano solo 2,77 ogni mille abitanti, mentre nel nostro Paese sono leggermente più alti a 3,18. Non solo. Gli ospedali americani hanno un altro problema che riguarda il tasso di occupazione dei letti disponibili. Secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention nel 2017 almeno il 65,9% dei posti era occupato. Questo significa che dei circa 894 mila posti letto quelli liberi sono poco meno di 305 mila. Ora tutto dipende da quanto l’epidemia si possa allargare. Secondo un report del Johns Hopkins University Center for Health Security pubblicato verso la fine di febbraio i dati non sono incoraggianti.

Gli scenari delineati sono due: uno basato sull’epidemia di influenza del 1968, e l’altro sulla spagnola che colpì milioni di persone in tutto il mondo nel 1918. Nel primo caso almeno 38 milioni di americani avrebbero bisogno di cure mediche, 1 milione di essere ricoverati e 200 mila di andare in terapia intensiva. Nello scenario peggiore gli americani da ricoverare sarebbero 9,6 milioni mentre 2,9 potrebbero finire in terapia intensiva. Entrambe le evenienze rischiano però di mandare ko il sistema dato che i posti letto in terapia intensiva sono a malapena 46.500, numero che in caso di emergenza potrebbe al massimo raddoppiare.

Liz Specht, giornalista della rivista specializzata Stat News, ha provato a fare un calcolo dei tempi di saturazione degli ospedali tenendo conto, ad esempio, della differenza di età tra la popolazione americana e quella italiana. Con un tasso di ricovero intorno al 20% gli ospedali sarebbero pieni intorno al 4 maggio. Dimezzandolo, la saturazione si avrebbe intorno al 10 del mese. Se solo il 5% dei pazienti richiedesse l’ospedalizzazione il calendario scivolerebbe al 16 mentre con il 2,5% dei casi si arriverebbe al 22 maggio. La valutazione, ha però ribadito Specht, presuppone che non vi sia una domanda di letti per altre patologie, scenario molto difficile da prevedere.

  • Possibile proiezione di una saturazione degli ospedali a maggio 2020

LA CARENZA DI MEDICI E MASCHERINE

A preoccupare non sono solo le strutture ma anche il personale medico. Sempre secondo i dati dell’Ocse, nel 2017 il numero di medici disponibili per ogni paziente non superava i 2,6, anche se negli ultimi 15 anni i numeri sono andati aumentando. In Italia sono quasi il doppio: 3,99. Unico dato in controtendenza è l’età. Negli Usa il 17,2% dei medici ha meno di 35 anni, mentre in Italia la soglia non supera l’8,6%. L’altro grande problema che potrebbe presentarsi riguarda le mascherine. Attualmente le riserve sono di 12 milioni di maschere N95 e 30 milioni di maschere chirurgiche che servono a una forza lavoro sanitaria complessiva di 18 milioni di unità. Se, ha scritto ancora Specht, solo 6 milioni di medici e infermieri lavorassero un giorno e usassero una sola mascherina usa e getta, finirebbero per consumare le scorte in circa due giorni.

LA CORSA SU CINA E RUSSIA

Restando al piano medico e degli ospedali il confronto con gli altri Paesi lascia un po’ di amaro in bocca ai pazienti americani. Prendiamo ad esempio il numero di letti. Se in Usa siamo intorno i 2,77 ogni mille abitanti, in Cina quasi raddoppiano a 4,3, la media europea invece si attesta intorno a 4,9 (tra il picco della Germania a 8, e la Svezia a 2,2). Peggio ancora il confronto con la Russia che si attesta a circa 8 posti ogni mille abitanti.

Qualche segnale arriva invece dai medici. In Cina sono a malapena due ogni mille, mentre in Europa sono circa 3,5. Ancora avanti invece la la Russia a 4,04.

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