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L’autogol della Disney sui nani di Biancaneve e il nostro senso del ridicolo

Se c’è qualcuno che ha il diritto di prendersela per la nuova Biancaneve Disney live-action in cui i sette nani saranno sostituiti da sette non meglio precisati “animali fantastici” sono proprio i nani. Una volta tanto che una megaproduzione hollywoodiana tratta un soggetto che prevederebbe ben sette ruoli per attori dal fisico non conforme, si eliminano sei di quei sette ruoli (perché pare che almeno un nano ci sarà, Brontolo, interpretato da Martin Klebba, già nel cast dei Pirati dei Caraibi). Sei opportunità di lavoro e di carriera in meno, sei occasioni in meno per mettersi in luce, dimostrare le proprie qualità interpretative, magari vincere dei premi, come accadde nel 1984 a Linda Hunt, affetta da nanismo ipofisario, premio Oscar per la migliore attrice non protagonista in Un anno vissuto pericolosamente, dove per di più interpretava un fotoreporter maschio (e si era in pieno edonismo reaganiano).

L'autogol della Disney sui nani di Biancaneve e il nostro senso del ridicolo
Martin Klebba (Getty).

Peter Dinklage ha innescato un processo grottesco

Credo che nel cahier de doléances degli attori americani in sciopero andrebbe aggiunta anche l’improvvida decisione della Disney, che lungi dall’essere un ossequio al “politicamente corretto” (il nome che i conservatori danno a ogni tentativo di riequilibrare secoli di onnipresenza bianca-etero-androcentrica nella narrazione occidentale del mondo) mi pare esattamente il contrario: anziché includere, esclude. E non si sa nemmeno se il «casting vocale» che la Disney sta effettuando per sostituire la pattuglia dei nani sia, almeno quello, riservato a nani veri. L’aspetto più grottesco di tutta la faccenda è che la falcidie di nani è stata la risposta alla dichiarazione di un attore affetto da acondroplasia (una forma di nanismo): Peter Dinklage, Tyrion Lannister nel Trono di spade.

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Peter Dinklage (Getty).

Contro quel cliché di buffe creaturine dai nomi leziosi

Dinklage, una vita spesa a lottare contro gli stereotipi, in gennaio si era preventivamente scagliato contro la Biancaneve disneyana: sì, molto progressista affidare la parte dell’eroina “bianca come il latte” a un’attrice di origini non wasp, non altrettanto mantenere i sette nani inevitabilmente inchiodati al cliché di buffe creaturine dai nomi leziosi coniato da Walt Disney nel 1937 e detestato da chiunque sia affetto da nanismo. La major californiana emise un virtuoso comunicato in cui rassicurava di avere coinvolto nella lavorazione la «comunità delle persone piccole» proprio per evitare di cadere in stereotipi offensivi. La collaborazione non dev’essere stata molto fruttuosa, se alla fine si è deciso di eliminare sei nani su sette (e gli attori nani se la sono presa con Dinklage). Umanizzare tutti quanti i nani evidentemente era un’impresa superiore alle forze dell’imponente pool di autori Disney.

L'autogol della Disney sui nani di Biancaneve e il nostro senso del ridicolo
La nuova Biancaneve Disney.

Disney che ormai da anni non sforna un’idea originale

«Che delusione,» ha osservato sul Guardian l’attrice Kiruna Stamell (poco più di un metro di statura), «ho più probabilità di essere una madre, un’amante, una segretaria, un’avvocata, un’insegnante o una medica nella vita reale che di interpretarne una in un film Disney». E si è chiesta come può un’azienda che non ha imparato a rappresentare i corpi disabili come tutti gli altri assumersi l’arduo compito di rendere umane le più celebri caricature di disabilità che essa stessa ha creato. Detto tutto il male possibile della Disney, incluso il fatto che ormai da anni non sa sfornare un’idea originale ma si limita, in buona sostanza, a trasformare innovativi capolavori dell’arte del Novecento in normali film con attori in carne e ossa e una marea di effetti speciali, veniamo a parlare di chi non è nano né monarchico eppure freme di sdegno all’idea di una Biancaneve che non solo farà a meno di Pisolo e Mammolo, ma si salverà senza bisogno di un principe azzurro.

L'autogol della Disney sui nani di Biancaneve e il nostro senso del ridicolo
Kiruna Stamell (Getty).

Amici adulti, guardiamoci in faccia: quanti anni abbiamo?

In genere sono persone grandi o molto grandi, che hanno visto l’ultimo film a cartoni animati quando ancora si poteva fumare in sala e che non hanno figli – altrimenti saprebbero che i ragazzi di oggi magari non hanno un buon rapporto con la realtà, ma rispetto ai prodotti dell’immaginario sono molto più attrezzati e disincantati di noi. Sanno apprezzare sia le fiabe tradizionali sia le loro riletture aggiornate senza trovarci forzature – anzi: per loro ormai la forzatura sarebbe una storia col principe caucasico che salva un impiastro di principessa più bianca di lui dagli incantesimi di una strega apertamente malvagia e non un’ex fata buona resa antisociale dalle persecuzioni subite in gioventù. Amici adulti, guardiamoci in faccia. No, non sto per ripetere l’ovvio, e cioè che le fiabe «classiche» sono state già epurate nell’Ottocento da tutti gli elementi più crudi, che nelle versioni più antiche Cappuccetto rosso veniva mangiata dal lupo punto e basta e le sorelle di Cenerentola si amputavano le dita e si finiva sul patibolo eccetera eccetera. Ma, seriamente, amici adulti: quanti anni abbiamo?

L'autogol della Disney sui nani di Biancaneve e il nostro senso del ridicolo
Biancaneve e i sette nani.

Se siamo così nostalgici, prendiamo esempio dai nostri nonni

Vogliamo davvero fare il piagnisteo per i nanetti di Biancaneve, noi che per anni abbiamo preso per il culo quelli che se li mettevano nel giardino? Vogliamo stracciarci le vesti perché l’ultima Sirenetta Disney non ha la pelle bianca come un filetto di platessa? Pestare i piedi perché l’Augustus Gloop della Fabbrica di cioccolato di Dahl non può più essere «un ciccione», parola che ci fa sempre sbellicare? Se la versione originale dei capisaldi della cultura infantile ci ha reso così come siamo – lamentosi, nostalgici, infantili, paurosi, insofferenti al «politicamente corretto» e al tempo stesso incapaci di trovare argomenti ragionevoli e consistenti per osteggiarlo – allora è proprio ora di cambiarla, quella cultura. Oppure, visto che per noi il passato era sempre e comunque meglio, possiamo prendere esempio dai nostri nonni. Che avevano letto Pinocchio ma non strillavano se Disney trasferiva la vicenda in Tirolo, trasformava la Bambina dai capelli turchini in una biondissima pin-up e metteva in casa di Geppetto un gattino e un pesce rosso mai menzionati da Collodi. Avevano problemi più urgenti da risolvere, e soprattutto avevano il senso del ridicolo.

Biancaneve, per il politically correct addio nani e principe azzurro

Disney ancora una volta al centro delle polemiche. Dopo la scelta di Halle Bailey per il ruolo di Ariel nel live action La Sirenetta, a far discutere sono stavolta le novità per Biancaneve, nuovo adattamento della fiaba dei fratelli Grimm atteso per marzo 2024. Il Daily Mail ha infatti condiviso in Rete alcuni scatti dal set del film, presentando i due cambiamenti più significativi in nome del politically correct. Addio ai sette nani, sostituiti da «creature magiche della foresta», e al principe. Stavolta la protagonista si salverà da sola. Disney ha però smentito la notizia, parlando di scatti fake e chiedendone il ritiro al giornale che, invece, ne ha confermato l’attendibilità. Sotto accusa il casting di Rachel Zegler, americana di origini colombiane, nei panni della protagonista. «Discorsi senza senso», ha risposto l’attrice sui social.

LEGGI ANCHE: Biancaneve, gli adattamenti più famosi della fiaba dei fratelli Grimm

Biancaneve, Rachel Zegler contro gli hater: «Ogni bambina può essere principessa»

La scelta di abbandonare il principe azzurro conferma la tendenza delle ultime produzioni Disney Pixar. Già Elsa in Frozen e Merida in RibelleThe Brave avevano iniziato a mettere da parte l’amore romantico per dare risalto a un carattere combattivo e una storia di rivincita personale. La novità più discussa sui social però è indubbiamente l’assenza dei sette nani in virtù di personaggi più linea con i tempi moderni. Una decisione che farà felice Peter Dinklage, celebre volto di Tyrion Lannister ne Il Trono di Spade, che a gennaio 2022 aveva descritto Biancaneve come una «storia dannatamente arretrata». La sua protesta faceva riferimento alla rappresentazione dei sette coprotagonisti della storia, descritti come anziani di poca intelligenza che vivono nelle caverne. «Se scelgono un’attrice latino-americana per il ruolo principale, non ha proprio senso mantenere intatta quella trama» aveva sbottato Dinklage. «Non possono essere progressisti solo in parte».

Polemiche su Biancaneve per l'assenza di nani e principe in nome del politically correct. Da Cenerentola a La Sirenetta, gli altri casi.
Rachel Zegler vestirà i panni di Biancaneve (Getty Images).

Su Twitter ha parlato anche Rachel Zegler, facendo appello ai propri follower per aiutarla a non leggere le polemiche per il suo casting. «Apprezzo moltissimo l’amore di chi mi difende online», ha precisato l’attrice. «Vi prego di non taggarmi nei discorsi senza senso per la mia presenza nel film. Non voglio vederli». Ha poi aggiunto alcune foto che la ritraggono da piccola con il costume di Biancaneve. «Spero che ogni bambina sappia che può diventare una principessa», ha concluso l’attrice. Immediato il sostegno da parte proprio di Halle Bailey, nel mirino della critica per la sua performance ne La Sirenetta. «Ti amiamo così tanto», ha postato online condividendo il tweet. «Sei davvero la principessa perfetta».

Da Cenerentola ai racconti di Roald Dahl, quando il politically correct cambia le storie

Biancaneve è solo l’ultima storia a subire le modifiche del politically correct. In precedenza era toccato a La Sirenetta per la scelta di Halle Bailey, attrice nera, nel ruolo di Ariel. Una decisione che ha fatto storcere il naso soprattutto al pubblico di Corea del Sud, Giappone e Cina che ha deciso di boicottare il film al cinema. «La fiaba con cui sono cresciuto è rovinata», ha commentato un utente online. «È ormai irriconoscibile». Nel 2021 invece era finito nel mirino della critica il musical Cenerentola per la scelta di scritturare l’attore gay Billy Porter nei panni della Fatina. «La magia non ha genere», aveva spiegato l’interprete. «I giovani sono pronti al cambiamento». La decisione aveva suscitato l’indignazione di Matteo Salvini, che su Facebook aveva commentato: «Sono il solo a pensare che siamo alla follia?».

Nel febbraio 2023 la casa editrice Puffin aveva deciso di riscrivere alcune parti dei racconti di Roald Dahl, tra cui La Fabbrica di cioccolato. In accordo con gli eredi dell’autore, gli Oompa Loompa da «nani» sono diventati «piccole persone», mentre Augustus Gloop è descritto come «enorme» e non «enormemente grasso». Novità anche per Matilda: la signorina Trinciabue da «femmina formidabile» è divenuta «donna formidabile». Il politically correct ha influito anche sulle ristampe dei romanzi di Ian Fleming su James Bond e sulle opere di Agatha Christie con protagonista Hercule Poirot per eliminare termini offensivi e razzisti.

Tom Holland e la dipendenza da alcol: «Restare sobrio è la cosa migliore che abbia fatto»

L’attore Tom Holland, durante il podcast On Purpose con Jay Shetty, ha rivelato che restare sobrio è «la cosa migliore che abbia mai fatto». La star di Spiderman e Avengers ha confessato di essere stato «schiavo» dell’alcol. La ripresa verso la sobrietà, ha raccontato, è iniziata con «un Natale molto, molto alcolico» lo scorso anno. «Tutto quello a cui riuscivo a pensare era bere qualcosa» ha raccontato «mi ha davvero spaventato».

La stard di Spiderman e Avengers, durante il podcast On Purpose, ha raccontato di quanto fosse schiavo dell'alcol.
Tom Holland, attore (Getty Images).

Holland: «Mi sentivo come se non potessi essere socievole»

Mese dopo mese, da quel gennaio in poi, l’attore ha iniziato ad acquisire la «consapevolezza» necessaria per smettere, ma vivere nel quotidiano, con la cultura inglese del bicchiere al centro, non è stato facile: «Mi sentivo come se non potessi essere socievole. Mi sentivo come se non potessi andare al pub e bere una soda al lime. Non potevo uscire a cena. Stavo davvero, davvero lottando». La svolta che gli ha fatto capire di essere finalmente libero dalla dipendenza è avvenuta il giorno del ventisettesimo compleanno, lo scorso primo giugno: «E’ stato il più felice che abbia mai vissuto in vita mia».

I benefici dopo aver smesso di bere

L’attore ha raccontato quali siano stati i vantaggi della sua scelta di vita, spiegando che, dopo aver lasciato l’alcol, ha ripreso a «dormire meglio. Gestire meglio i problemi. Una lucidità mentale molto migliore» aggiungendo «mi sentivo più sano, mi sentivo più in forma. Sono felice di dirlo: ero decisamente dipendente dall’alcol. Non mi nascondo». Tom Holland, nel suo percorso di uscita dalla dipendenza, è stato supportato dalla sua ragazza e co-protagonista di Spider-Man Zendaya.

Luca Guadagnino aprirà la Mostra del Cinema di Venezia con il film Challengers

Luca Guadagnino aprirà la Mostra d’arte cinematografica di Venezia, in programma al Lido dal 30 agosto al 9 settembre. Fuori concorso arriverà infatti il suo Challengers, drama che racconta la relazione fra tre campioni del tennis, il cui passato a lungo dimenticato finisce improvvisamente per scontrarsi. Nel cast spicca Zendaya, già volto noto per la serie HBO Euphoria e la trilogia di Spiderman con il fidanzato Tom Holland. Con lei recitano anche Josh O’Connor e Mike Faist. L’80esima edizione della rassegna svelerà il suo programma completo il prossimo 25 luglio con tutti i film in corsa per il Leone d’oro, le star sul red carpet e il cartellone degli eventi. Il regista Guadagnino in un comunicato: «Aprire Venezia 80 è un sogno che si avvera, non vedo l’ora che arrivi la serata inaugurale».

Il film con Zendaya aprirà l'80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Madrina Caterina Murino, Damien Chazelle alla giuria.
Una scena di “Challengers” di Luca Guadagnino con Zendaya (YouTube).

Non solo Luca Guadagnino: le anticipazioni ufficiali di Venezia 80, dalla giuria alla madrina

«Luca Guadagnino è uno dei pochi registi italiani abituati a lavorare anche con attrici e attori esteri», ha spiegato sul sito della Biennale il direttore Antonio Barbera. «Challengers è cinema allo stato puro». Per Guadagnino si tratterà dell’ennesimo ritorno alla Mostra del Cinema di Venezia, il secondo consecutivo dopo che nel 2022 presentò in anteprima Bones and All, tra l’altro vincitore del Leone d’argento per la miglior regia. Al Lido il cineasta ha infatti svelato al pubblico The Protagonists (1999), Io sono l’amore (2009), Bertolucci on Bertolucci (2013), A Bigger Splash (2015), Suspiria (2018) e Salvatore: Shoemaker of Dreams (2020). Probabile che con lui sbarchi sul red carpet anche l’attrice protagonista Zendaya, a Venezia anche nel 2021 per presentare Dune di Denis Villeneuve.

Sebbene, a eccezione del film di Luca Guadagnino, il cartellone sia ancora top secret, la Biennale ha rilasciato alcune anticipazioni ufficiali di Venezia 80. Madrina 2023 ed erede di Rocío Muñoz Morales sarà infatti Caterina Murino che condurrà le serate di apertura e chiusura. Cagliaritana, classe 1977, ha ottenuto il primo ruolo da protagonista con Il seme della discordia di Pappi Corsicato nel 2008. Due anni prima era apparsa anche in Casino Royale, primo film con Daniel Craig nei panni di 007, dove ha interpretato la Bond girl Solange. Presidente della giuria internazionale di Venezia 80, che assegnerà il Leone d’Oro, sarà Damien Chazelle, premio Oscar per il capolavoro musicale La La Land e nel 2022 al cinema con Babylon. Il riconoscimento per la miglior opera prima sarà assegnato da un collettivo presieduto dalla francese Alice Diop, mentre Jonas Carpignano si occuperà dei giudizi per la sezione Orizzonti.

Il film con Zendaya aprirà l'80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Madrina Caterina Murino, Damien Chazelle alla giuria.
Caterina Murino sarà madrina della Mostra del Cinema di Venezia (Getty Images).

Barbie, dopo il Vietnam anche le Filippine pensano di vietare il film

Non c’è pace per Barbie, il nuovo film sulla bambola Mattel con Margot Robbie e Ryan Gosling. Dopo il Vietnam, anche le Filippine starebbero pensando di vietare la distribuzione della pellicola. Il motivo è il medesimo, ossia la presenza in una scena di una mappa con la “linea a nove trattini” a forma di U, che la Cina utilizza per le sue rivendicazioni su vaste aree del Mar Cinese Meridionale. Lo ha reso noto il senatore locale Francis Tolentino parlando alla Cnn: «Se tale linea è effettivamente presente, è necessario vietare Barbie in quanto denigra la nostra società». Sui social intanto il pubblico si divide tra chi promuove il divieto e chi vorrebbe concentrarsi su azioni concrete contro la Cina.

Dopo il Vietnam, anche le Filippine pensano di vietare Barbie. Ecco perché
Il comunicato delle Filippine che annuncia il possibile divieto del film (Facebook).

Il 4 luglio il Movie and Television Review and Classification Board of the Philippines, che si occupa della regolamentazione di cinema e televisione nel Paese, ha iniziato i lavori di controllo. Non ha però aggiunto dettagli su quando potrebbe diramare la decisione ufficiale. Tolentino ha tuttavia aggiunto che le Filippine accetterebbero Barbie tranquillamente in caso di taglio della scena incriminata. L’Hollywood Reporter ha però spiegato come tale mossa potrebbe irritare la Cina e far perdere a Warner Bros, che distribuirà il film a livello mondiale, il mercato più fiorente dell’Asia. Diversa invece la situazione di Filippine e Vietnam, dove un successo di Hollywood non supera mai i 10 milioni di dollari di incasso.

Dopo il Vietnam, anche le Filippine pensano di vietare Barbie. Ecco perché
Margot Robbie alla premiere di Barbie negli Usa (Getty Images).

Non solo Barbie: da Abominable a Uncharted, i film bannati per la linea a nove trattini

Barbie non è però il primo film hollywoodiano a far adirare i governi di Filippine e Vietnam per colpa della linea a nove trattini. Nel 2022 i due Paesi hanno infatti vietato la distribuzione di Uncharted, film basato sull’omonimo videogioco Naughty Dog con Tom Holland. L’anno prima, invece, Netflix era stata spinta a rimuovere dal suo catalogo online per il Vietnam Pine Gap, produzione australiana con Steve Toussaint. Nel 2019 la censura aveva colpito invece il film di animazione della Dreamworks Abominable Il piccolo Yeti, che mostrava la linea a nove trattini in una delle scene iniziali.

Barbie, film vietato in Vietnam per una disputa territoriale con la Cina

Il Vietnam ha vietato la distribuzione domestica del film Barbie a causa di una scena in cui viene mostrata una mappa con la “linea a nove trattini” a forma di U, utilizzata sulle carte cinesi per sostenere le rivendicazioni di Pechino su vaste aree del Mar Cinese Meridionale, comprese quella che il Vietnam considera la sua piattaforma continentale. Lo ha reso noto Vi Kien Thanh, capo del dipartimento del cinema, ente governativo responsabile della licenza e della censura di film stranieri. Barbie, con Margot Robbie e Ryan Gosling, avrebbe dovuto debuttare nelle sale vietnamite il 21 luglio.

Barbie, il film con Margot Robbie è stato vietato in Vietnam per una disputa territoriale con la Cina. Cosa è successo.
Margot Robbie (Getty Images).

La rivendicazione della Repubblica Popolare Cinese in base a una mappa del 1947

La Cina rivendica oltre l’80 per cento del Mar Cinese Meridionale, questo in base a una mappa del 1947 – pubblicata dal governo della Repubblica di Cina – in cui appare appunto una linea a nove trattini, che scende fino a un punto a circa 1.800 chilometri a sud dell’isola di Hainan, già punto più meridionale del Paese. La linea racchiude una serie di arcipelaghi, atolli e secche come le Isole Paracelso, le Isole Spratly, l’isola Pratas, il banco Macclesfield, la Secca di Scarborough, così come le zone di terra sottratte al mare dalla Cina nell’ambito della cosiddetta ‘Grande Muraglia di sabbia’.

Vietnam, Filippine, Brunei, Malesia e Taiwan rivendicano parti della stessa area marittima

Pechino ha costruito basi militari su isole artificiali nell’area, dove spesso effettua anche pattugliamenti navali nel tentativo di far valere le sue rivendicazioni territoriali. Ma Vietnam, Filippine, Brunei, Malesia e Taiwan rivendicano parti della stessa area marittima. Nel 2016, una corte arbitrale costituita sotto i termini della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare ha sentenziato che la rivendicazione cinese dei diritti storici sulle aree marittime poste all’interno della linea dei nove tratti non aveva alcun effetto legale. Pechino non ha però riconosciuto la sentenza.

Barbie, il film con Margot Robbie è stato vietato in Vietnam per una disputa territoriale con la Cina. Cosa è successo.
Ryan Gosling (Getty Images).

Sono già quattro i film che sono stati vietati in Vietnam per lo questo motivo

Barbie non è l’unica pellicola a essere stata bandito in Vietnam per aver mostrato la linea a nove trattini. Nel 2019, il governo di Hanoi aveva ritirato il film d’animazione Abominable, mente nel 2022 era stata la volta di Uncharted. Per lo stesso motivo, Netflix nel 2021 è stata costretta a rimuovere dal suo catalogo vietnamita il film di spionaggio australiano Pine Gap.

Come i cinema sono stati messi in crisi dal coronavirus

Già 70 i titoli fermi, che potrebbero diventare un centinaio con l'estensione del blocco. Tutta la filiera costretta alla paralisi. Ma l'Anica progetta il rilancio. Confidando che arrivi già in estate.

Non c’è un settore non contagiato dall’emergenza coronavirus, ma il cinema è tra quelli che potranno venir fuori alla grande, quando tutto sarà finito, proprio per la sua funzione sociale, di arricchimento culturale, di aggregazione, indispensabile per tutti come già si vede in questi giorni di fame di contenuti tra social e tivù, pur a sale vuote. Per questo, «quando verremo fuori dalle catacombe ci sarà una bella riscossa e anzi con tutta la filiera a bordo» – ossia con le piattaforme dentro l’Anica ndr – «non solo ci stiamo preparando al dopo, ma avremo alla fine un sistema più moderno».

SONO GIÀ 70 I TITOLI FERMI

È realista ma anche determinato a immaginare un futuro positivo il presidente dell’Anica Francesco Rutelli. Questa mattina in una conference call con i presidenti di distributori (Mario Lonigro), produttori (Francesca Cima), esercenti (Mario Lorini) ha fatto un quadro, evidentemente parziale, della situazione che è drammatica come ovunque. «Impossibile quantificare il danno economico», ha detto. «Ci sono 70 titoli fermi – da Si vive una volta sola di Carlo Verdone ai Miserabili premiato a Cannes – «solo dalla settimana antecedente lo stop e fino ai primi di aprile secondo il Dpcm, potrebbero diventare 100 se si proseguirà con il blocco: il loro destino sarà complicato, alcuni andranno direttamente sulle piattaforme».

SI SPERA NELL’ESTATE PER UN’OCCASIONE DI RILANCIO

«Ogni azienda» – ha detto Lonigro – «sta cercando di rivedere il proprio «listino in una situazione in fieri e complicatissima che si va aggrovigliando anche a livello globale vista la pandemia che ad esempio, per citare l’ultimo caso, ha fermato Mulan della Disney. Non sappiamo quando finirà, ma è chiaro che ci sarà un sovraffollamento di proposte da coordinare e l’estate, se ci sarà la riapertura, potrebbe essere storica per il rilancio». «Una stagione di supermoviement« – ha sottolineato Rutelli – «un momento fondamentale per riappropriarci del cinema. E anche i David, ora costretti allo stop, saranno un’occasione pubblica di grande rilancio del settore». Quanto a Volevo nascondermi, il film di Giorgio Diritti con Elio Germano Orso d’argento a Berlino e ultimo a uscire in sala, «uscirà di nuovo, guiderà la ripartenza e considereremo quattro giorni di anteprima l’uscita scorsa», ha aggiunto Lonigro.

TUTTA LA FILIERA MESSA ALLE STRETTE

Se il destino dei cosiddetti ‘pending’, ossia in gergo i titoli senza data di uscita, è complicato non sta meglio il resto della filiera: i set sono fermi, una quarantina, ha detto Cima, riservandosi di comunicare successivamente dati precisi delle produzioni costrette allo stop, tra film internazionali (come Mission Impossible 7 con Tom Cruise bloccato a Venezia proprio all’inizio dell’emergenza a febbraio), italiani ma anche pubblicità e tivù. E anche la post produzione va necessariamente a rilento visto che, per ovvie ragioni di distanza, le sale doppiaggio ad esempio sono chiuse mentre procedono da remoto le attività in solitario.

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