Archivio
- Novembre 2024 (39)
- Agosto 2024 (1)
- Dicembre 2023 (73)
- Novembre 2023 (1333)
- Ottobre 2023 (1631)
- Settembre 2023 (1468)
- Agosto 2023 (1417)
- Luglio 2023 (1389)
- Giugno 2023 (441)
- Maggio 2020 (30)
- Marzo 2020 (94)
- Febbraio 2020 (1)
- Gennaio 2018 (10)
L’autogol della Disney sui nani di Biancaneve e il nostro senso del ridicolo
Se c’è qualcuno che ha il diritto di prendersela per la nuova Biancaneve Disney live-action in cui i sette nani saranno sostituiti da sette non meglio precisati “animali fantastici” sono proprio i nani. Una volta tanto che una megaproduzione hollywoodiana tratta un soggetto che prevederebbe ben sette ruoli per attori dal fisico non conforme, si eliminano sei di quei sette ruoli (perché pare che almeno un nano ci sarà, Brontolo, interpretato da Martin Klebba, già nel cast dei Pirati dei Caraibi). Sei opportunità di lavoro e di carriera in meno, sei occasioni in meno per mettersi in luce, dimostrare le proprie qualità interpretative, magari vincere dei premi, come accadde nel 1984 a Linda Hunt, affetta da nanismo ipofisario, premio Oscar per la migliore attrice non protagonista in Un anno vissuto pericolosamente, dove per di più interpretava un fotoreporter maschio (e si era in pieno edonismo reaganiano).
Peter Dinklage ha innescato un processo grottesco
Credo che nel cahier de doléances degli attori americani in sciopero andrebbe aggiunta anche l’improvvida decisione della Disney, che lungi dall’essere un ossequio al “politicamente corretto” (il nome che i conservatori danno a ogni tentativo di riequilibrare secoli di onnipresenza bianca-etero-androcentrica nella narrazione occidentale del mondo) mi pare esattamente il contrario: anziché includere, esclude. E non si sa nemmeno se il «casting vocale» che la Disney sta effettuando per sostituire la pattuglia dei nani sia, almeno quello, riservato a nani veri. L’aspetto più grottesco di tutta la faccenda è che la falcidie di nani è stata la risposta alla dichiarazione di un attore affetto da acondroplasia (una forma di nanismo): Peter Dinklage, Tyrion Lannister nel Trono di spade.
Contro quel cliché di buffe creaturine dai nomi leziosi
Dinklage, una vita spesa a lottare contro gli stereotipi, in gennaio si era preventivamente scagliato contro la Biancaneve disneyana: sì, molto progressista affidare la parte dell’eroina “bianca come il latte” a un’attrice di origini non wasp, non altrettanto mantenere i sette nani inevitabilmente inchiodati al cliché di buffe creaturine dai nomi leziosi coniato da Walt Disney nel 1937 e detestato da chiunque sia affetto da nanismo. La major californiana emise un virtuoso comunicato in cui rassicurava di avere coinvolto nella lavorazione la «comunità delle persone piccole» proprio per evitare di cadere in stereotipi offensivi. La collaborazione non dev’essere stata molto fruttuosa, se alla fine si è deciso di eliminare sei nani su sette (e gli attori nani se la sono presa con Dinklage). Umanizzare tutti quanti i nani evidentemente era un’impresa superiore alle forze dell’imponente pool di autori Disney.
Disney che ormai da anni non sforna un’idea originale
«Che delusione,» ha osservato sul Guardian l’attrice Kiruna Stamell (poco più di un metro di statura), «ho più probabilità di essere una madre, un’amante, una segretaria, un’avvocata, un’insegnante o una medica nella vita reale che di interpretarne una in un film Disney». E si è chiesta come può un’azienda che non ha imparato a rappresentare i corpi disabili come tutti gli altri assumersi l’arduo compito di rendere umane le più celebri caricature di disabilità che essa stessa ha creato. Detto tutto il male possibile della Disney, incluso il fatto che ormai da anni non sa sfornare un’idea originale ma si limita, in buona sostanza, a trasformare innovativi capolavori dell’arte del Novecento in normali film con attori in carne e ossa e una marea di effetti speciali, veniamo a parlare di chi non è nano né monarchico eppure freme di sdegno all’idea di una Biancaneve che non solo farà a meno di Pisolo e Mammolo, ma si salverà senza bisogno di un principe azzurro.
Amici adulti, guardiamoci in faccia: quanti anni abbiamo?
In genere sono persone grandi o molto grandi, che hanno visto l’ultimo film a cartoni animati quando ancora si poteva fumare in sala e che non hanno figli – altrimenti saprebbero che i ragazzi di oggi magari non hanno un buon rapporto con la realtà, ma rispetto ai prodotti dell’immaginario sono molto più attrezzati e disincantati di noi. Sanno apprezzare sia le fiabe tradizionali sia le loro riletture aggiornate senza trovarci forzature – anzi: per loro ormai la forzatura sarebbe una storia col principe caucasico che salva un impiastro di principessa più bianca di lui dagli incantesimi di una strega apertamente malvagia e non un’ex fata buona resa antisociale dalle persecuzioni subite in gioventù. Amici adulti, guardiamoci in faccia. No, non sto per ripetere l’ovvio, e cioè che le fiabe «classiche» sono state già epurate nell’Ottocento da tutti gli elementi più crudi, che nelle versioni più antiche Cappuccetto rosso veniva mangiata dal lupo punto e basta e le sorelle di Cenerentola si amputavano le dita e si finiva sul patibolo eccetera eccetera. Ma, seriamente, amici adulti: quanti anni abbiamo?
Se siamo così nostalgici, prendiamo esempio dai nostri nonni
Vogliamo davvero fare il piagnisteo per i nanetti di Biancaneve, noi che per anni abbiamo preso per il culo quelli che se li mettevano nel giardino? Vogliamo stracciarci le vesti perché l’ultima Sirenetta Disney non ha la pelle bianca come un filetto di platessa? Pestare i piedi perché l’Augustus Gloop della Fabbrica di cioccolato di Dahl non può più essere «un ciccione», parola che ci fa sempre sbellicare? Se la versione originale dei capisaldi della cultura infantile ci ha reso così come siamo – lamentosi, nostalgici, infantili, paurosi, insofferenti al «politicamente corretto» e al tempo stesso incapaci di trovare argomenti ragionevoli e consistenti per osteggiarlo – allora è proprio ora di cambiarla, quella cultura. Oppure, visto che per noi il passato era sempre e comunque meglio, possiamo prendere esempio dai nostri nonni. Che avevano letto Pinocchio ma non strillavano se Disney trasferiva la vicenda in Tirolo, trasformava la Bambina dai capelli turchini in una biondissima pin-up e metteva in casa di Geppetto un gattino e un pesce rosso mai menzionati da Collodi. Avevano problemi più urgenti da risolvere, e soprattutto avevano il senso del ridicolo.