Si è suicidato uno dei primi soccorritori di Chernobyl

Si è tolto la vita a Mosca il 75enne Viktor Smagin, che il 21 aprile 1986 era stato uno dei primi soccorritori dopo l’esplosione del reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl. Smagin, come ha scritto in una lettera lasciata alla famiglia, non sopportava più «gli effetti dell’avvelenamento da radiazioni». Dopo aver subito sette operazioni a causa delle radiazioni subite, aveva scoperto un tumore maligno.

Si è suicidato Viktor Smagin, supervisore del reattore 4 e uno dei primi soccorritori di Chernobyl. Aveva 75 anni.
Una sala comandi dell’impianto di Chernobyl (Getty Images).

Supervisore del reattore 4, non appena si verificò l’esplosione corse sul luogo dell’incidente

«Miei cari Larisa, Dima e Sveta, adesso è il momento di salutarci. Grazie mille per gli anni che abbiamo vissuto insieme. Siamo stati tanto felici. Mi dispiace», ha scritto Smagin nella lettera ai famigliari. Supervisore del reattore 4, il 21 aprile 1986 avrebbe dovuto prendere servizio alle 8 del mattino, ma non appena si verificò l’esplosione (alle ore 1:23), si recò subito sul luogo dell’incidente per tentare di salvare i suoi colleghi. «All’interno degli edifici combattevamo il fuoco. Il posto più pericoloso era la sala turbine, perché un incendio lì è la cosa peggiore che possa accadere, dopo l’esplosione di un reattore. Non c’era panico, ognuno stava semplicemente facendo il proprio lavoro», aveva scritto in un memoir. «Molti di coloro che hanno salvato la centrale hanno ricevuto dosi letali di radiazioni e successivamente sono morti in ospedale»

Si è suicidato Viktor Smagin, supervisore del reattore 4 e uno dei primi soccorritori di Chernobyl. Aveva 75 anni.
La centrale nucleare di Chernobyl due anni dopo l’incidente (Getty Images).

Appena dopo l’esplosione Pripyat fu evacuata, ma i dipendenti rimasero ancora per qualche giorno

Il giorno dopo l’esplosione, la popolazione di Pripyat fu evacuata, ma l’impianto non poteva essere lasciato incustodito. E dunque il personale restò ancora per qualche giorno: «Fuggirono al massimo in sei o sette. E questo nonostante tutti sapessero perfettamente a cosa andavano incontro». Smagin aveva raccontato che, oltre alle malattie, aveva subito anche una serie di divieti: di lavorare in aree con radiazioni ionizzanti, di lavorare di notte, di viaggi d’affari e molte altre altre restrizioni. Qualche tempo dopo il disastro di Chernobyl aveva ottenuto un lavoro d’ufficio in un ministero russo.

Powered by WordPress and MasterTemplate