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Meloni, il rapporto col direttore del Corriere Fontana e la rete dei media
Pubblichiamo un estratto del libro I potenti al tempo di Giorgia, edito da Chiarelettere, uscito il 30 maggio e scritto proprio dal direttore di Tag43.it Paolo Madron e da Luigi Bisignani. Il capitolo in questione è quello su “Giorgia e la rete dei media”.
La7 procura a Cairo dei mal di pancia, può sempre contare su Luciano Fontana, che gli fa da pontiere come meglio non si può. Il rapporto tra uno dei più longevi direttori del «Corriere della Sera» e la premier è di lunga data e solidissimo. Tra i due messaggi ed emoticon, che lei ama usare à gogo.
Se n’è avuta prova anche di recente, in uno degli inciampi più spinosi che il governo ha dovuto affrontare, il caso dell’anarchico Cospito e le polemiche sul 41 bis. Meloni non è andata a rendere conto in Parlamento, ma ha scritto al «Corriere» per far sapere la sua posizione. Come ha fatto Rachele Silvestri per la fake sul figlio.
Se è per questo, Fontana ha anche dato un’intera pagina a Lollobrigida perché potesse giustificarsi dell’infelice uscita sulla sostituzione etnica, e ha dato ampio spazio ad Arianna per dire che non conosceva la nuova ad di Terna Giuseppina Di Foggia, e ancora alla premier per illustrare la sua posizione sul 25 aprile.
A questo punto Giorgia direbbe: «Noi a Quarto potere je famo ’na pippa».
Cortesia e disponibilità si ricambiano. Quando Berlusconi ha deciso di non candidare la brianzola Michela Vittoria Brambilla alle ultime elezioni, Fontana ha chiesto aiuto a Meloni e lei l’ha piazzata in un collegio sicuro in Sicilia. Nel feudo dove il Cavaliere ha fatto eleggere anche la sua finta moglie Marta Fascina.
Ad accomunarle, per usare un eufemismo, la scarsa frequentazione dell’isola e lo stupore dei locali elettori di trovarsele in lista.
E che c’entra Fontana con la più animalista dei parlamentari, conduttrice di una fortunata trasmissione tivù a difesa dei quattro zampe?
Si dice che sia stata proprio Brambilla, con la quale vanta un’antica amicizia, a portarlo la prima volta ad Arcore a conoscere Berlusconi. E che Fontana abbia ricambiato il favore presentandola a Bernardo Caprotti, il patron di Esselunga, perché la sua azienda ittica potesse trovare spazio tra gli ambiti scaffali dei suoi supermercati. Ma magari sono solo favole metropolitane.
Per Meloni avere il «Corriere della Sera» non pregiudizialmente contro mi pare cosa non da poco. Basterà a farla sentire meno isolata, a mitigare la sindrome di accerchiamento di cui lei e il suo entourage sembrano sempre più soffrire.
Mi verrebbe da dire «lo scopriremo solo vivendo», ma già qualche scenario lo si intuisce. Meloni dovrà stare attenta alle invasioni di campo. Non ti sarà sfuggito che Cairo non ha preso benissimo l’espansione a Milano della famiglia Angelucci, importanti imprenditori della sanità.
Ma se lo sapevano anche i muri che stavano trattando con Berlusconi l’acquisto del «Giornale»…
Sì, ma considerando che la partita andava avanti da tempo in un lungo tira e molla, tutti erano convinti che alla fine il Cav non avrebbe venduto. E invece la costanza e il rapporto personale tra le due famiglie hanno favorito la conclusione dell’affare, suggellata con un pranzo milanese a casa di Marina.
Un segnale dell’indurimento di Cairo è arrivato anche dal rinnovo dei vertici della Fondazione Corriere, uno dei salottini buoni dell’intellighenzia meneghina. Poteva essere l’occasione per mettere dentro qualcuno che strizzasse l’occhio alla destra. Ha scelto De Bortoli, Mieli, Calabi e Mario Monti, che non sembrano meloniani sfegatati.
Milano è una enclave della sinistra, un editore non può non tenerne conto.
Tiriamo le somme. Tra i media su chi può contare Meloni? «Libero», «il Giornale», «Il Tempo», «La Verità», «La Gazzetta del Mezzogiorno», i quotidiani di Riffeser, Mediaset e due telegiornali Rai. E la non ostilità di via Solferino. Fossi in lei non mi lamenterei.
E i giornali di Caltagirone da che parte stanno?
L’ingegnere, col suo fiuto, da tempo ha puntato su Meloni.
Tra i direttori che più fanno opinione, Giorgia ha dalla sua Vittorio Feltri, che si è tra l’altro dimostrato un formidabile acchiappavoti, portandosi dietro un bacino di consensi importante, le due volte che si è candidato con lei. Al punto che nel 2015 Meloni e Salvini lo volevano pure portare al Quirinale.
Forse la premier deve cercare di essere più inclusiva, di non chiudersi a riccio bollando come reato di lesa maestà quando un giornale scrive un articolo critico nei suoi confronti. Non deve essere difficile, in fondo è giornalista anche lei. Ma ora sta seguendo la massima di Francesco Cossiga, suggerita da Margaret Thatcher: i giornali è meglio non leggerli.