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Il destino di Forza Italia dopo la morte di Berlusconi
«E ora che succede?». È questa la domanda che risuona già nei capannelli di Forza Italia e non solo. Sarà l’interrogativo principale anche a Palazzo Chigi. Sì, perché la morte del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi avrà ripercussioni non solo dentro i confini azzurri, ma anche sulla stabilità dello stesso governo. Lo sa benissimo Giorgia Meloni che con la virata verso FdI impressa nell’ultimo periodo dal coordinatore di Fi Antonio Tajani e dalla compagna di Silvio, Marta Fascina, naturalmente con la benedizione della primogenita del Cav Marina, aveva visto in qualche modo puntellata la sua maggioranza. Adesso senza il leader, lo scenario torna a essere fluido e la stessa Forza Italia corre il serio rischio di spaccarsi. O di scomparire.
I nodi economici e quelli politici di Forza Italia
Il prezzo che giocoforza paga un partito personale che non ha mai avuto altro leader al di fuori di Silvio. Del resto, è lunga la teoria di delfini che il Cav prima ha osannato e poi messo da parte. Una fine che forse ha rischiato di fare lo stesso Tajani che, nella nuova geografia azzurra, si sarebbe trovato al fianco tre commissari (uno per il Nord, uno per il centro e uno per Sud). Una riorganizzazione che avrebbe dovuto cominciare a vedere la luce sabato ad Arcore, se non fosse sopraggiunto il ricovero improvviso del leader. A tal proposito, le parole di un ex azzurro e ora esponente di Azione come Osvaldo Napoli colgono nel segno: «È certo che lascia un’importante eredità politica, ma non lascia eredi da lui riconosciuti. Con la sua scomparsa si chiude davvero una stagione politica e l’Italia entra in una terra incognita tutta da esplorare». Una terra tutta da esplorare, appunto. Non subito, naturalmente. Adesso è il momento del cordoglio e dell’unità. Ma prima o poi i nodi verranno al pettine. A cominciare da quelli economici, visto che a foraggiare Forza Italia è sempre stato in larghissima parte Berlusconi. Dal 2014 il Cav ha iniettato quasi 100 milioni di euro nelle casse del partito, mentre i figli hanno versato 500 mila euro nel 2022. Una ‘donazione’ necessaria, visto che solo nel 2023 37 parlamentari su 62 hanno pagato la quota. Normale quindi che molti eletti comincino a chiedersi se la famiglia continuerà su questa linea oppure no. Ma sono i nodi politici quelli che scottano di più e che, come detto, rischiano di rendere Meloni meno salda in sella. Tant’è che la premier, nel suo videomessaggio di saluto al Cavaliere, ha provato subito a serrare le fila, toccando le corde dell’emotività: «Con lui l’Italia ha imparato che non doveva mai farsi porre dei limiti, ha imparato che non doveva mai darsi per vinta», ha detto. «Con lui noi abbiamo combattuto, vinto, perso, molte battaglie. E anche per lui porteremo a casa gli obiettivi che, insieme, ci eravamo dati».
L’ala Tajani-Fascina teme il ritorno dei ronzulliani
Per adesso il timone è in mano all’ala Tajani-Fascina-Marina Berlusconi che ha depotenziato l’area vicina a Licia Ronzulli. Non è da escludere però che a breve inizi uno smottamento di azzurri verso la Lega, verso la stessa FdI, ma pure verso Azione e Italia viva. L’attuale capogruppo al Senato ha sempre intrattenuto buoni rapporti con Matteo Salvini. «Se è vero che la vendetta è un piatto che va servito freddo», azzarda una fonte di Fi con Tag43, «non è fantapolitica immaginare che presto Licia, dopo aver subito lo smacco di essere stata allontanata dal cerchio ristretto di Berlusconi, di esser stata defenestrata da coordinatore di Fi in Lombardia e di aver rischiato sabato scorso di perdere anche il ruolo di presidente dei senatori, sposti i suoi sempre più verso la Lega». E con i suoi si intende parlamentari come Alessandro Cattaneo, anche lui vittima dello spoils system targato Fascina, o di Paolo Emilio Russo, da poco sostituito con Danila Subranni a capo della comunicazione azzurra. Senza contare tutti quei forzisti che nel riassetto immaginato ad Arcore avrebbero dovuto rinunciare a ruoli nel partito, dal sottosegretario Giuseppe Mangialavori, coordinatore di Fi in Calabria, al presidente della commissione Affari sociali della Camera, Ugo Cappellacci, coordinatore in Sardegna. Si dirà che questo però non cambia nulla sul fronte della coalizione di maggioranza ed è vero. Ma è altrettanto vero che il peso specifico e di contrattazione di Salvini potrebbe aumentare su battaglie che, invece, non scaldano troppo i Fratelli d’Italia. Vale per l’autonomia, ma vale anche per Quota 100.
I governisti azzurri potrebbero bussare alle porte di FdI
Ben diverso il quadro, invece, se alcuni azzurri decidessero di fare le valigie e traslocare in Azione o Italia viva. Pure il partito di Calenda, in realtà, potrebbe avere un certo appeal dalle parti degli azzurri, potendo far leva sul peso di ex pezzi da novanta di Forza Italia come Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna. Scenario che una fonte parlamentare di centrodestra tende però a escludere: «Se Renzi e Calenda parlassero dall’alto di un 10 per cento, questo discorso avrebbe un senso, ma con percentuali tra il 2 e il 3 per cento quale azzurro dovrebbe decidere di fare un salto nel buio?». Un effetto calamita, insomma, Renzi potrebbe suscitarlo solo in una prospettiva di breve periodo e cioè in un’ottica di sostegno all’attuale maggioranza, «ma siamo sicuri», continua la fonte, «che Meloni ci starebbe e non farebbe lei stessa saltare il tavolo per imporsi poi sì con il 30 per cento? Più probabile casomai che se Forza Italia nei prossimi mesi dovesse implodere, l’ala azzurra più governista bussi direttamente alla porta di FdI». Poco male per la tenuta complessiva della maggioranza, anche se suonerebbe come un fallimento dell’effettiva presa sul partito di Tajani…