Ucciso dall’ex assessore leghista di Voghera. Atti del giudice al pm, “fu omicidio volontario e non legittima difesa”

AGI - L'allora assessore leghista Massimo Adriatici commise un omicidio volontario, "quantomeno nella forma del dolo eventuale", cioè "prevedendo e accettando" le conseguenze delle sue azioni, quando da terra esplose un colpo di pistola che freddò il senzatetto marocchino Youns El Boussetaoui a Voghera la sera del 20 luglio 2021. La decisione della giovane giudice di Pavia Valentina Nevoso arriva dopo due ore di camera di consiglio dalla quale esce leggendo una lunga e complessa ordinanza con l'effetto di disintegrare l'imputazione della Procura che aveva chiesto tre anni e mezzo di carcere per 'eccesso colposo di legittima difesa'.

 

I familiari della vittima si abbracciano in lacrime, stringendosi poi agli avvocati di parte civile Marco Romagnoli e Debora Piazza, e applaudono quando la giudice termina la lettura che apre un nuovo capitolo della vicenda. La sorella Bahija si rivolge direttamente al fratello morto: "Chi ti ha ucciso impedendoti di essere qui con noi sarà punito come un omicida, come un assassino. Da Adriatici non ci è mai arrivata una scusa, una condoglianza. Era tutto chiaro sin dall'inizio ma oggi finalmente abbiamo la verità". Gli atti tornano alla Procura che dovrà riformulare l'ipotesi di reato sulla quale dovrà pronunciarsi la Corte d'Assise essendo un ipotetico omicidio.

 

Secondo il pm Roberto Valli, quella sera Adriatici avrebbe colposamente esagerato nel difendersi dall'aggressione di El Bousseatoui facendo fuoco con la sua Beretta dopo che la vittima l'aveva colpito in piazza Meardi con una manata al volto, scaraventandolo a terra lui e i suoi occhiali "per poi riavvicinarsi con l'intenzione di colpirlo di nuovo". Ma i fatti, dice il magistrato, non andarono cosi'. 

 

 

 

 

Quando uscì di casa quella sera per la consueta passeggiata, con l'arma regolarmente detenuta addosso, l'assessore e anche ex poliziotto e avvocato, "nella consapevolezza di essere incautamente armato decise di inseguire El Boussetaoui, non appena riconosciutolo, con l'intento di tenerlo d'occhio e di sorprenderlo con tempestività in azioni tali da consentire alle forze dell'ordine di sopraggiungere per tempo nonostante non fosse titolato per un'operazione del genere". Lo decise dopo averlo incrociato in un bar e avere ascoltato le lamentale del titolare proprio sul suo comportamento fastidioso e lo pedinò "per un cospicuo lasso di tempo pari a dodici minuti" osservando che disturbava altre persone in una pizzeria e "si rivolgeva aggressivamente" nei confronti degli avventori di un altro locale.

 

Adriatici chiamò allora le forze dell'ordine che in quel momento non avevano auto di servizio libere. Fu a quel punto che "in rapida sequenza" El Boussetaoui si accorse della chiamata e si informo' se l'assessore stesse chiamando la polizia, i due vennero a contatto, Adriatici crollò a terra e mostrò, secondo la sua versione, l'arma che teneva in tasca "come deterrente" da cui partì il proiettile fatale. Ed è qui che si incrinerebbe in questa lettura la versione della legittima difesa perché "pur avendo percepito l'aggressività di El Boussetaoui da quando questi, ad apprezzabile distanza, si accorgeva della sua presenza, Adriatici scelse deliberatamente di non allontanarsi quando avrebbe potuto fuggire senza alcun pregiudizio viste le precarie condizioni dell'altro o rifugiarsi in locali attigui".

 

 

Tradotto giuridicamente: fu lui a volersi mettere in condizione di pericolo e questo farebbe venire meno la legittima difesa. Non si trattò di "un'aggressione a sorpresa". E a maggior ragione in quanto ex poliziotto "pluridecorato", avrebbe dovuto capire in che guaio si stava cacciando immaginando la reazione del giovane uomo per di più consumatore di droghe. "Non si vede quindi - è questo il cuore del ragionamento della giudice - come Adriatici abbia deciso di mostrare la pistola che sapeva essere carica e senza sicura, se non avendo aderito psicologicamente all'evento nefasto, quantomeno in termini di accettazione del rischio".

 

Tutto ciò sarebbe maturato in un "contesto di forte ostilità verso la vittima nei confronti di un uomo che l'imputato ha ammesso di considerare 'il problema di Voghera'". "E' da tre anni che lottiamo, finalmente viene scritto il giusto capo d'imputazione, questo era ed è un omicidio volontario - commentano gli avvocati Piazza e Romagnoli -. Meno male che c'è questo giudice competente, che ha accolto tutte le nostre osservazioni, perché se avessimo aspettato la Procura...".

 

La difesa dell'ex assessore, "non concordiamo col giudice"

"Non condividiamo il contenuto dell'ordinanza con cui il giudice ha ritenuto il fatto diverso e restituito gli atti al pm ad avviso di questa difesa travisando quanto emerso in dibattimento e con una interpretazione solo ed esclusivamente sfavorevole all'imputato". L'avvocato Gabriele Pipicelli commenta così la decisione della giudice di Pavia. "Siamo convinti che si sia trattato di legittima difesa, quantomeno putativa e faremo valere i nostri argomenti avanti al prossimo giudice" aggiunge.

 

 

 

 

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