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Zelensky, la scena rubata dalla guerra in Israele e lo zampino russo
Guerra scaccia guerra, almeno nella percezione mediatica che genera la gerarchia delle notizie e il loro grado di interesse. Ne è perfettamente consapevole Volodymyr Zelensky, il quale non ha caso sta reiteratamente dando voce alla preoccupazione che gli accadimenti di Israele facciano passare in secondo piano quelli nel suo Paese. Chi meglio di lui del resto può averne contezza, visto che il presidente ucraino nasce come uomo di spettacolo, e sa che quando arriva qualcun altro a occupare la scena inevitabilmente il tuo spazio si riduce. Chi meglio di lui che sulla guerra ha saputo (lo si dice non in senso dispregiativo) recitare una parte al servizio di una efficacissima iconica narrazione.
L’ombra lunga di Trump gli ricorda che l’appoggio è a tempo
Zelensky lo teme anche e soprattutto sapendo bene che con due impegnativi teatri di guerra aperti c’è il rischio concreto che l’Occidente possa diminuire il supporto di cui sin qui ha goduto. Sa che se scemassero le forniture di armi, Kyiv si troverebbe a mal partito. Già aveva avuto sentore (e il Congresso americano che ha stoppato l’ulteriore tranche di 6 miliardi richiesta dalla Casa Bianca suona come una sinistra conferma) che le cose non si mettevano benissimo. Ma al di là che all’ultimo intoppo si possa rimediare, come noi vede l’ombra lunga di Donald Trump stagliarsi incombente sulle prossime Presidenziali, quindi sa che l’incondizionata copertura di cui ancora gode è a tempo.
Gioiscono i russi, che vedono la pressione su di loro alleggerita
Del resto, sempre da attore prestato alla politica in uno dei momenti più tragici della storia del suo Paese, Zelensky è consapevole che per mantenere vivo l’interesse dell’opinione pubblica internazionale più della guerra conta la sua rappresentazione. Ma ciò che sta succedendo a Gaza comporta inevitabilmente uno storno di attenzione dal fronte ucraino a quello in Medio Oriente. Il resto lo fa l’eccessiva durata di un conflitto (lo scontro tra Kyiv e Mosca ha superato i 20 mesi), che rischia di diventare il suo peggior nemico. Chi gioisce sono i russi, che si trovano l’inattesa occasione di capitalizzare l’iniziativa di Hamas alleggerendo la pressione su di loro. Per questo l’ipotesi che a muovere le sue milizie in una incursione che sin dall’inizio nulla sembrava trascurare di un premeditato macabro copione, ci sia (via Teheran e Hezbollah) la mano di Mosca è una suggestione che ha una sua ragion d’essere.