Venezia 80, un sabato da Leoni

Oramai è diventata pop, e quando chiude c’è la melanconia di fine sagra. Venezia, tutte le meste si porta zia. Per me era iniziata con i consueti smilzi palindromi da sbronza: “Ameni cinema”; “O dilla! È cine, Venice al Lido”. Era proseguita con commenti perfidi, piccoli omicidi tra amici. Sabato è finita, in un mare di lacrime che voleva inondare il deserto dei martiri di Io Capitano. Sabato ho pianto per l’abilità d’un regista d’esser specchio e non riflessione, di stare ai lati, come pochi suoi colleghi san fare, e difatti ‘Matteo Garrone’ è anagramma di ‘tramonterà ego’. La bellezza di Marcello Mastroianni, a parer mio, stava nella sua inconsapevole bellezza e nella sua sconveniente sincerità. A Enzo Biagi disse: «Il mio cruccio è quello di non aver approfondito il lato culturale della mia professione. Ho fatto sempre questo mestiere da dilettante». Ecco, sabato ho pianto perché Mastroianni avrebbe pianto vedendo un premio a lui dedicato stretto dalle mani e dallo sguardo e dalla verità di Seydou Sarr.

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