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Una Exor sempre più globale: i nuovi scenari dell’impero Agnelli-Elkann
Le dimissioni di John Elkann dalla presidenza della Giovanni Agnelli B.V., la “cassaforte” di famiglia, comunicate a valle dall’annuncio dell’entrata del gruppo nell’azionariato di Philips col 15 per cento, sono state l’occasione per portare l’imprenditore, finanziere e manager italo-americano a far parlare di sé. E mostrare una nuova fase di espansione del business dell’impero di famiglia ereditato dall’Avvocato ben delineata nell’intervista al Financial Times del 29 agosto. Praticamente, il terzo tempo dell’era di John Elkann alla guida di Exor dopo l’operazione Stellantis e il riassetto nelle società di famiglia. Meno cariche onorifiche, più cariche operative: l’azionista di maggioranza della cassaforte di Exor, ad della holding, presidente di Ferrari, Stellantis e Gedi ha profondamente riformulato le strategie del gruppo seguendo almeno tre direttrici principali.

Diversificazione del business: dall’oro alle tecnologie di frontiera
La prima ha a che fare con le sinergie tra le mosse di Exor e quelle personali del nipote del’Avvocato. Il fondo Lingotto Investment Management, la holding di gestione degli investimenti che incorpora alla perfezione il modello Elkann, è il perno di questa svolta. Alle controllate tradizionali (Case-NewHolland, la quota di Stellantis, l’Economist, Gedi e la Juventus) e alle partecipazioni di nuova prospettiva (come la sinergia con Nicola Bedin in Lifenet Healthcare, partecipata al 44,7 per cento), Lingotto vuole aggiungere una spinta su una diversificazione netta capace di traghettare gli Agnelli-Elkann a capo di un vero e proprio conglomerato di potere economico-finanziario. Capace di unire investimenti di rango in compagnie come Tesla a scelte strategiche che puntano in settori dalle forti prospettive di sviluppo. A partire da un nuovo business, quello dell’oro la cui domanda è cresciuta dopo gli ultimi anni di incertezza economica globale: Lingotto punta 104 milioni di dollari nelle azioni della sudafricana Harmony Gold Mining e altri 62,6 milioni sulla texana Novagold, che ha riavviato le ricerche sui giacimenti auriferi in Alaska. Ma la prospettiva maggiore è quella della presenza del fondo nelle tecnologie di frontiera, dall’intelligenza artificiale (quote di Nvidia sono in portafoglio) alla prospettiva delle Health & Lifesciences: nel portafoglio infatti quote per 182 milioni anche nella Teva Pharmaceutical, una filosofia complementare a quella che ha spinto Elkann a puntare 2,6 miliardi di euro nel 15 per cento di Philips e a investire 800 milioni nell’Istituto francese Montieux per consolidare la sua presenza in settori ritenuti promettenti.

Globalizzazione del marchio e del management
La seconda direttrice punta alla “globalizzazione” del marchio e dei nomi. Il passaggio della presidenza di Giovanni Agnelli B.V. a Jeroen Preller, avvocato olandese e partner dello studio legale NautaDutilh, è in tal senso emblematico. È il secondo passaggio di un rinnovo del management che in una prima fase aveva portato l’indiano-americano Ajay Banga alla presidenza di Exor, e poi lo scorso anno al connazionale Nitin Nohria, dopo che Joe Biden aveva scelto Banga per guidare la Banca Mondiale. A Nohria si associa la presenza di un pezzo da novanta come George Osborne, già cancelliere dello Scacchiere britannico ai tempi di David Cameron (al governo dal 2010 al 2016) alla presidenza di Lingotto Investment Management, a testimonianza dell’importanza che Elkann assegna al veicolo finanziario con cui intende portare il suo business nelle nuove frontiere dell’innovazione. Nel board di Lingotto e nella lista dei suoi partner sono indicati, al contempo, figure esterne alla Real Casa Torinese ma blasonate: allo storico Cfo del gruppo Exor Enrico Vellano, oggi alla guida di Lingotto, si aggiungono Michela Elisabetta Nava, ex Goldman Sachs, l’olandese Guido De Boer, attuale direttore finanziario di Exor e già Global Head of Corporate Development di Heineken, e Nikhil Srinivasan, già top manager di Allianz e Generali. Meno cariche formali e più cariche operative consentono di distribuire poltrone di peso a figure di spicco: segno di una volontà di internazionalizzazione palese.

Accreditamento negli ambienti della finanza internazionale, specie anglosassone
L’ultima direttrice, strettamente legata alle prime due, denota la volontà di accreditarsi sempre di più negli ambienti della finanzia internazionale. Specie quelli anglosassoni a cui Elkann non fa mistero di puntare. Lo dimostra la diplomazia personale promossa del nipote dell’Avvocato, che negli ultimi due anni lo ha portato a interloquire con una serie di top manager, da Elon Musk a Stéphane Bancel, amministratore delegato di Moderna, società statunitense che opera nella ricerca farmaceutica e nelle biotecnologie, nota per i vaccini anti Covid.

Tra i settori su cui Exor intende puntare manca l’editoria
L’approccio duale tenuto in Italia col governo Meloni, “accarezzato” dalla Gedi di Elkann sull’atlantismo proprio del direttore di Repubblica Maurizio Molinari pur senza negare la volontà di mantenere nel campo progressista il quotidiano, va di pari passo con l’approccio del The Economist di famiglia, che non manca di leggere l’economia europea con il prisma della comunità finanziaria anglosassone in maniera ancor più spinta di quanto possa fare un Financial Times oggigiorno più sensibile ai temi dell’economia reale e delle disuguaglianze. Anche se nel novero dei settori su cui Exor intende sempre più puntare nel futuro – salute, tecnologia e lusso – l’editoria non compare. E infatti, da quando la holding ha rilevato dalla famiglia De Benedetti il controllo di Gedi, si è puntato più sui disinvestimenti (Espresso, Quotidiani locali) che sullo sviluppo.