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Tamponi e mascherine di Stato: polemiche su Arcuri
Ritardi nella gara per acquistare i reagenti per i tamponi e carenza di dispositivi di Stato. il commissario nell'occhio del ciclone. «Nei magazzini delle regioni ce ne sono 55 milioni e il prezzo resterà a 61 centesimi», assicura. «Gli speculatori se ne facciano una ragione».
Domenico Arcuri nell’occhio del ciclone. Prima per la carenza delle cosiddette mascherine di Stato (o di comunità) poi per il ritardo con cui ha avviato la gara per acquistare i reagenti per i tamponi fondamentali per il tracciamento dei positivi nella fase 2, cominciata il 4 maggio.
Il commissario straordinario lunedì sera al Tg1 aveva infatti annunciato: «Martedì mattina faremo una richiesta di offerta per chiedere alle imprese italiane e internazionali di darci il numero massimo di reagenti che ci servono a fare 5 milioni di tamponi, che abbiamo già acquisito, ai cittadini italiani». Finora dunque il governo cosa ha fatto? Perché non è stata avviata una gara prima della riapertura? «Bisogna considerare che la situazione è molto complessa per le diversità tra le Regioni», ha spiegato la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa. Esistono, ha aggiunto, «molti tipi di reagenti e le Regioni ne stanno utilizzano tipi diversi, quindi ci sono reagenti e macchinari collegati diversi. Per questo la situazione è complessa».
L’ATTACCO DI CALENDA
Complessa o meno, il ritardo con cui il governo e le Regioni si sono mosse fa pensare. Per questo Carlo Calenda su Twitter ha chiesto la rimozione di Arcuri. «Il governo dovrebbe riconoscere di aver scelto la persona sbagliata», ha scritto l’ex ministro allo Sviluppo economico, «e rimuovere il Commissario #Arcuri. Rapidamente».
Critiche anche dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori. «Tre mesi dopo l’inizio dell’emergenza Covid il commissario Arcuri avvia una gara per l’acquisto di reagenti da aziende nazionali e internazionali. Quindi è vero: i 5 milioni di tamponi che il governo si accingeva a spedire alle Regioni erano solo bastoncini».
NEI MAGAZZINI DELLE REGIONI CI SONO 55 MILIONI DI MASCHERINE
Ma quello dei reagenti non è l’unico fronte per Arcuri. Altro tasto dolente sono le mascherine a 50 centesimi praticamente introvabili. «Lavoriamo nell’esclusivo interesse dei cittadini al fine di tutelare al meglio la loro salute. Qualche volta faccio degli errori, per i quali mi aspetto critiche e se serve reprimende», ha detto Arcuri nel corso della conferenza stampa del 12 maggio, ma «solo dai cittadini». Da inizio emergenza, ha sottolineato, «sono stati distribuiti 208 milioni di mascherine, una quantità sufficiente. Nei magazzini delle regioni ce ne sono 55 milioni». Il prezzo delle mascherine chirurgiche fissato a 50 centesimi più Iva è e resterà quello, ha quindi assicurato Arcuri. «Gli speculatori dovranno farsene una ragione». Il manager insomma non ci sta ad addossarsi le responsabilità di uno stallo che dura da giorni, con farmacie ancora a secco di mascherine e approvvigionamenti a singhiozzo, distributori quasi fermi e importatori a corto di venditori dall’estero «per il prezzo», dicono, «troppo basso delle ‘calmierate’ in Italia».
IN ARRIVO L’ACCORDO CON I TABACCAI
Nelle prossime settimane, ha aggiunto il commissario, le mascherine a 50 centesimi si troveranno anche nei tabaccai. Nei prossimi giorni sarà firmato un accordo con l’associazione di categoria che ha 50 mila punti vendita nel Paese.
LE RICHIESTE DEI DISTRIBUTORI
Dal canto loro i distributori hanno invocato lo ‘sblocco’ di milioni di mascherine sequestrate durante i controlli delle forze dell’ordine: «La maggior parte di queste sono nei depositi giudiziari solo per cavilli tecnici, ma sarebbero utilizzabili come ‘chirurgiche’ da vendere a 50 centesimi più Iva». Ma anche qui Arcuri ha fatto intendere che non ci sarà alcuna apertura: «Vengo accusato di non voler ‘sanare’ mascherine prive di autorizzazioni che gli attori della distribuzione avrebbero voluto mettere in commercio con la copertura della struttura commissariale». La partita al tavolo dell’Emergenza si gioca ancora una volta sui prezzi. Da una parte i distributori, che secondo l’ultimo accordo dovrebbero vendere i dispositivi a 40 centesimi ai farmacisti, parlano di «mancanza di appetibilità» del mercato italiano sulle importazioni a causa della ‘vendita popolare’ a 50 centesimi, dall’altra il commissario sottolinea che «sempre più negozi della grande distribuzione vendono le mascherine a 50 centesimi, più Iva» e, riferendosi soprattutto ai farmacisti, aggiunge: «Non sono io a dover rifornire i farmacisti. Il commissario rifornisce Regioni, sanità, servizi pubblici essenziali e, dal 4 maggio, anche i trasporti pubblici locali e le Rsa, pubbliche e private. Tutto a titolo gratuito».
SI MOLTIPLICA LA RICHIESTA DI DISPOSITIVI
Nel frattempo la domanda dei dispositivi si moltiplica. Finora l’ultimo stock di mascherine di comunità è arrivato a Roma e in qualche altra città, ma nella quasi totalità delle farmacie dove sono state consegnate risultano già finite. Mancano ancora in altre grandi città come Milano e Torino, dove sono attese a breve. Da sabato scorso sono in distribuzione 3 milioni di dispositivi, un lotto della Protezione Civile, a fronte di un fabbisogno stimato in Italia di 10 milioni al giorno. Se i farmacisti gridano al sold out sulle mascherine, i distributori a loro volta denunciano «la mancanza di un fornitore» che riesca a importare grossi numeri, nonostante i patti. «La società italiana di Perugia importatrice di mascherine dalla Cina, che ci aveva garantito a regime la fornitura di 10 milioni di dispositivi a settimana, pare non sia più in grado di farlo», ha spiegato Antonello Mirone, presidente di Federfarma Servizi, l’Associazione nazionale dei Distributori di farmaci e dpi. E, in attesa che a giugno le aziende italiane riconvertite vadano a regime, il governo punta a facilitare le regole per gli altri tipi di mascherine, sulla carta meno protettive. L’ultima ipotesi del governo in questo senso è di semplificare le normative, magari con interventi che possano essere inseriti nel decreto Rilancio. Le modifiche avrebbero l’obiettivo di semplificare e velocizzare l’iter per la certificazione anche delle mascherine non chirurgiche – ma che rispondano ad alcuni requisiti tecnici – e consentirne l’utilizzo in alcuni ambiti lavorativi.
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