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Stefano Dal Corso, riaperta l’inchiesta sulla morte in carcere
Riaperta l’inchiesta sulla morte di Stefano Dal Corso, il detenuto romano di 42 anni trovato morto impiccato nella cella numero 8 del carcere Massama di Oristano il 12 ottobre 2022. È questa la decisione presa dalla procura di Oristano a seguito dell’emersione di nuove prove che testimonierebbero che il decesso possa essere avvenuto a seguito di un’aggressione subita dall’uomo. Una tesi, dunque, diametralmente opposta rispetto a quella ufficiale del suicidio, con la nuova inchiesta che al momento è a carico di ignoti.
Le prove per un’altra verità diversa dal suicidio
Al vaglio della magistratura ci sono nuove prove. In particolare la sorella della vittima, Marisa, avrebbe ricevuto la telefonata di un testimone che l’avrebbe invitata a far eseguire l’autopsia sul corpo del fratello perché qualcuno, come riferito da la Repubblica, «l’ha strangolato con un lenzuolo ed è stata inscenata l’impiccagione». Non si tratta, inoltre, dell’unico episodio controverso legato alla morte del detenuto romano. A marzo 2023, infatti, due fattorini di Amazon avevano recapitato a casa della famiglia Dal Corso un libro in cui risultavano evidenziati i titoli di due capitoli, ovvero «La morte» e «La confessione». La vicenda era stata archiviata dai magistrati come un «macabro scherzo», anche se ci sono molti elementi che non tornano all’avvocato della famiglia, Armida Decina. Tra questi le testimonianze contrastanti, che sarebbero state acquisite in ritardo o addirittura non raccolte, i guasti alle telecamere di sicurezza del reparto di infermeria del penitenziario, la mancata autopsia e le parole dei medici di fiducia della famiglia che riferiscono che i segni sul collo della vittima potrebbero essere compatibili con uno strangolamento. Ora l’inchiesta è stata riaperta e, forse, si potrebbero aggiungere degli elementi nuovi.
La famiglia di Dal Corso non ha mai creduto al suicidio
Sui nuovi sviluppi della vicenda, la legale di fiducia della famiglia Dal Corso, Armida Decina, ha sottolineato che «le testimonianze da sole però non bastano a dimostrare qualcosa. Chiediamo l’autopsia: un esame capace di appurare la verità per la stessa tutela dello Stato». Si cercano, dunque, delle prove ufficiali per dimostrare quello che i familiari di Dal Corso sostengono fin dall’inizio: Stefano non si è suicidato. La sorella ha detto: «Stefano non avrebbe mai fatto una cosa del genere, aveva una figlia di sette anni e gli mancava poco alla fine della pena». Importante è anche il parere espresso da Irene Testa, garante in Sardegna delle persone private della libertà: «Ritengo importante che si effettui l’esame autoptico per chiarire ogni dubbio, nell’interesse di tutti».