Santanchè e non solo: il rimpasto per Meloni non è più un tabù

È passato un anno dalla vittoria elettorale e Giorgia Meloni se da un lato può vantarsi di essere riuscita nell’impresa di mantenere un alto gradimento nei sondaggi, barcamenandosi tra lotta e governo, lo stesso non può dire del rendimento della sua squadra. Per una perfezionista e «secchiona» come lei, usando un appellativo che in tanti tra le fila del suo partito le hanno cucito addosso, cominciano a diventare troppe le beghe nei ministeri. La parola rimpasto, insomma, anche se sono passati solo 11 mesi dall’insediamento a Palazzo Chigi, non è affatto un tabù. «Se si potesse evitare sarebbe meglio», ragiona una fonte di FdI con Lettera43, «ma il nostro non è un governo tecnico o del presidente. Proprio perché è un esecutivo politico, e a maggior ragione perché Fratelli d’Italia è il partito di maggioranza, dobbiamo fare il possibile perché le cose funzionino».

Il caso Santanchè continua ad agitare Meloni (e il Quirinale)

Non che questo significhi un tagliando a stretto giro, nessuno in Fdi e più in generale in maggioranza ci scommette. Il discorso cambia, però, guardando al post Europee. E poi «se il caso Santanché dovesse precipitare…», si sussurra. Già, perché la vicenda della ministra del Turismo continua a impensierire i piani alti di Chigi, soprattutto dopo gli ultimi sviluppi che riguardano la Ki Group per cui la Procura di Milano ha chiesto il fallimento. Una vicenda che sarebbe attenzionata dal Quirinale: pare, infatti, che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella voglia incontrare Meloni al riguardo. Se le cose si mettessero male «si opterebbe per un’operazione chirurgica» e cioè «quella di non riassegnare la delega al turismo. Con un interim si potrebbe tranquillamente tirare avanti. Almeno fino alle elezioni», è il ragionamento.

Santanchè e non solo: il rimpasto per Meloni non è più un tabù
Daniela Santanchè (Imagoeconomica).

Urso sulla graticola mentre Musumeci potrebbe essere candidato in Europa

Santanchè però non è l’unica a essere sulla graticola. Altri nomi traballano, persino tra le fila di FdI. È il caso del ministro delle Imprese e del made in Italy. Adolfo Urso, a rischio per diversi dossier. Il buongiorno, d’altronde, si era visto già sul capitolo del caro carburante. Allora ci fu un errore di comunicazione per cui il titolare del Mimit si vantò di un accordo con le sigle dei benzinai che ancora non aveva in tasca. Ma soprattutto perché la pubblicazione del costo medio alla pompa non ha ottenuto l’effetto sperato. Pure l’accordo sul carrello della spesa anti-inflazione sta suscitando diverse perplessità e in maggioranza qualcuno teme che «la montagna alla fine possa partorire un topolino». Va però registrato che tra gli italofratelli c’è chi spezza una lancia a favore del ministro e cita, ad esempio, il dossier sul caro voli: «Il fatto che l’Antitrust abbia acceso un faro su Ryanair è senza dubbio un punto a favore dell’ex presidente del Copasir». Senza contare che, tra l’altro, sarebbe difficile per Meloni gettare lo scompiglio proprio dentro il suo partito. Un discorso che vale anche per il ministro delle Politiche del mare Nello Musumeci che finora non ha brillato. Ma a maggior ragione diventa complicato rimuoverlo: è un po’ come ammettere di aver sbagliato. Altro discorso, invece, sarebbe riuscire nell’intento di mascherare le vere intenzioni dietro una “promozione”, ossia una candidatura alle Europee dell’ex governatore siciliano. «In questo caso però», dicono sempre da FdI, «non sarebbe il classico esempio di promoveatur ut amoveatur. Con il suo seguito di voti in Sicilia, infatti, Musumeci sarebbe una risorsa se Fratelli d’Italia punta davvero a sfondare il 30 per cento alle elezioni».

Santanchè e non solo: il rimpasto per Meloni non è più un tabù
Nello Musumeci (Imagoeconomica).

Schillaci al sicuro, Zangrillo può contare su Tajani

Se c’è una poltrona che non è considerata a rischio, invece, è quella del ministro della Salute Orazio Schillaci. Nonostante la bufera sollevata da un’inchiesta del Manifesto su immagini non idonee associate a diverse sue pubblicazioni scientifiche, diverse fonti di maggioranza lo escludono dalla black list. «Perché», è l’analisi, con il Covid che sta rialzando la testa, «c’è bisogno di un profilo più tecnico sulla sanità nell’esecutivo». Sotto osservazione è invece l’operato del ministro per la Pa, l’azzurro Paolo Zangrillo. La spada di Damocle che pende su Palazzo Vidoni è legata alla difficoltà di rigenerare la macchina dello Stato, anche in ottica Pnrr: il reclutamento, infatti, zoppica, i concorsi non danno gli effetti sperati e il ringiovanimento degli uffici pubblici rimane una chimera. Anche se alla fine «dovrebbe riuscire a sfuggire al restyling di governo. Non foss’altro perché è un fedelissimo di Tajani». Anche dopo le Europee, se i risultati azzurri non dovessero essere soddisfacenti, la premier avrà tutto l’interesse ad aiutare il suo ministro degli Esteri ad arginare le fibrillazioni interne.  Insomma, «nell’ottica meloniana è sempre meglio un fido Tajani che un infido Renzi», viste le intenzioni di Italia viva che punta a fagocitare gli azzurri.

Santanchè e non solo: il rimpasto per Meloni non è più un tabù
Paolo Zangrillo (Imagoeconomica).

Il capitolo Piantedosi e le mire di Salvini sul Viminale

Sempre sul filo del tatticismo, potrebbe salvarsi, infine, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, in quota Lega. Non perché di gaffe, dal decreto Cutro in poi, ne abbia inanellate poche. Da ultimo, lo scontro in corso con le Regioni sulla riforma dei Cpr, i Centri di permanenza e rimpatrio, è sintomatico delle difficoltà del Viminale. Paradossalmente, però, le recenti prese di distanza del Carroccio dall’operato dell’ex prefetto si stanno rivelando un’ancora di salvezza. Meloni e il suo cerchio ristretto conoscono bene le mire di Matteo Salvini su quel ministero, ma soprattutto ricordano perfettamente la difficile quadratura del cerchio all’epoca della formazione dell’esecutivo proprio per sottrarre l’Interno al leader leghista. Una valida ragione, insomma, per lasciare in sella il suo ex capo di gabinetto.

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