Raz Degan racconta la preoccupazione per la sua famiglia in Israele

«Sono giorni da incubo, dall’Olocausto non c’erano giorni così duri. Si sono accaniti su famiglie, bambini, anziani di 90 anni… Non è guerra, è terrorismo». Sono le parole di Raz Degan, attore e modello israeliano, che durante la puntata di Verissimo del 15 ottobre  ha risposto alle domande della conduttrice Silvia Toffanin sull’attacco di Hamas a Israele. «Io ho sempre creduto nella pace, a prescindere dalla religione delle persone. Ho lavorato con l’Onu, con l’Unhcr. Fa male vedere che la pistola e la spada sono più forti della parola: non è umano. Hanno trovato bambini senza testa, di cosa parliamo».

La preoccupazione per la famiglia

«Mio padre e mio fratello sono lì. Mio padre ha 80 anni, il nostro kibbutz è stato evacuato ma lui non lascia la casa. Io sono nato lì, il nostro kibbutz si trova a Nord, al confine tra Israele e Libano. Non vuole andare via, quella è casa sua. Dove va? Quella è la sua vita. Ogni giorno mi chiamano amici e mi raccontano atrocità inimagginabili. Non è umano quello che è successo, ho anche paura a raccontarle. È al di là della politica, della guerra, dei diritti: è al di là di ogni cosa» ha affermato Degan aggiungendo: «La moglie di mio fratello è venuta a mancare, era al rave. Non è tornata a casa. È passata già una settimana. Nella tradizione ebraica quando muore qualcuno si sta a casa, i genitori non sanno dov’è. Non sanno dove sia, se sia viva o morta. I cadaveri sono così tanti e non si riescono a distinguere i volti, tanti sono stati bruciati».

L’infanzia tra le bombe

«Quando ero piccolo, al Nord si combatteva. Io ho passato molti periodi della mia infanzia nel bunker con altri bambini. Vedevo i miei genitori la sera, mio padre passava la giornata al fronte. La guerra del Kippur, nel 1973, è stata tragica ma era una guerra tra eserciti e soldati. Negli Anni 80 ricordo le bombe, ricordo il fischio prima dell’esplosione che distruggeva tutto in casa. Qui si tratta di terrorismo, di violenza sulle donne, rapimenti di anziani sopravvissuti all’Olocausto». E ancora: «Io ho fatto il servizio militare come tutti in Israele. Quando ho finito, ho capito che la mia strada era un’altra. Volevo uscire dal mio kibbutz, che era piccolo. Volevo uscire da Israele, che aveva all’epoca solo 2 milioni di abitanti. Mi sentivo cittadino del mondo, non pensavo di arrivare in Italia e di rimanere qui».

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