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Qual è lo stato della democrazia in Ucraina
Il prossimo anno scade il mandato presidenziale di Volodymyr Zelensky e in Ucraina dovrebbero tenersi le elezioni del capo dello Stato. Anche il parlamento dovrebbe essere presto rinnovato, in teoria quest’autunno, ma difficilmente lo sarà. Almeno fino a che il conflitto con la Russia sarà in corso e la legge marziale in vigore. Nella cornice attuale la democrazia nell’ex repubblica sovietica è quindi sospesa ed è probabile che lo sarà ancora a lungo, dato che Zelensky stesso continua a ripetere che la guerra sarà finita solo quando Kyiv avrà ripreso i territori persi nel 2014, dal Donbass alla Crimea. Quasi un anno e mezzo dopo l’inizio dell’invasione russa, la situazione sul terreno non lascia intuire rapidi cambiamenti al fronte, l’annunciata controffensiva ucraina arranca e Mosca, nonostante i problemi interni e la ribellione del capo della compagnia Wagner Evgeny Prigozhin, tiene per ora le posizioni.
Dopo aver bandito l’opposizione radicale, in parlamento Zelensky gode di un consenso quasi assoluto
A Kyiv Zelensky ha dunque pieni poteri, più di quelli che la Costituzione consente in tempo di pace al capo dello Stato, il che gli consente di prendere decisioni in maniera rapida organizzando in modo più efficace la difesa nazionale. Durante lo stato di guerra la Carta comunque non può essere modificata e vi sono paletti per prevenire abusi di potere e derive dittatoriali. In parlamento il presidente gode di un consenso praticamente assoluto, dato che da un lato l’opposizione moderata, quella che fa capo all’ex presidente Petro Poroshenko e all’ex premier Yulia Tymoshenko è allineata per forza di cose sulle posizioni dettate dalla guerra, dall’altro quella radicale è stata letteralmente bandita. Dal febbraio 2022 sono state vietate in Ucraina 11 formazioni, tra cui la Piattaforma d’opposizione, erede del Partito delle regioni dell’ex presidente Victor Yanukovich, che alla Rada rappresentava la seconda forza dietro quella di Zelensky.
La stretta sugli oligarchi ridimensionati anche dall’ingresso di nuovi player attirati dal business della ricostruzione
Se da punto di vista strettamente politico la Bankova, il palazzo presidenziale, è diventata una fortezza, anche sul lato del sistema oligarchico il pendolo si è spostato verso il capo dello stato: Zelensky già prima della guerra aveva tentato di circoscrivere l’influenza dei poteri forti, soprattutto di quelli più scomodi, a partire da Poroshenko e Igor Kolomoisky; il conflitto ha dato in seguito una mano al capo dello Stato in vari modi: da una parte perché gli asset degli oligarchi sono stati intaccati dagli eventi bellici e dal crollo dell’economia, dall’altra perché l’intervento occidentale, fatto di aiuti economici e finanziari, ha messo in gioco altri attori, in primo luogo i grandi player privati internazionali, che in prospettiva, con la ricostruzione del Paese, prenderanno il posto degli oligarchi locali, togliendo loro buona fetta della torta. Non è un caso che in questi mesi Zelensky abbia avuto quasi più contatti con Larry Fink di Blackrock che con Rinat Akhmetov.
Il controllo dei media da parte di Zelensky e i suoi fedelissimi
La Bankova – vale a dire Zelensky e i suoi più stretti collaboratori, dal consigliere Mykhailo Podolyak al ministro degli Esteri Dmytro Kuleba – può inoltre contare sull’appoggio illimitato dei media ucraini, con le tv nazionali unificate nei loro programmi politici, supervisionati dal ministero della Cultura e dell’Informazione, e persino oligarchi come Akhmetov hanno abbandonato il settore della comunicazione televisiva cedendo le proprie licenze allo Stato. Con la pienezza dei poteri, l’esclusione dell’opposizione, la marginalizzazione degli oligarchi, il controllo sui media Zelensky, con il suo entourage, è insomma il padrone dell’Ucraina che però dipende per la sua sopravvivenza dall’Occidente e dal maggior azionista della coalizione, ossia gli Stati Uniti. In questa contesto il potere a Kyiv rimane condizionato e subordinato a quello di Washington, con tutto ciò che ne consegue, dal prosieguo della guerra al business della ricostruzione.