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Per risollevare Confindustria serve il contrario di un Bonomi
Sorpresa, ma non tanto. Confindustria non conta più nulla. I quattro anni della presidenza Bonomi (quasi all’unanimità una delle più incolori di quelle passate ai piani alti di viale dell’Astronomia) stanno finendo e il sindacato degli imprenditori si trova per l’ennesima volta al bivio: scegliere un leader forte e carismatico che ridia lustro a un’organizzazione arrivata ai minimi, o pescare un altro «professionista di Confindustria», come li chiamava con un certo sprezzo Gianni Agnelli, un imprenditore senza impresa che ne perpetui l’ineluttabile declino.
Il progressivo distacco del governo e della politica da Confindustria
D’accordo, in questi tempi liquidi bisogna fare i conti con la crisi della rappresentanza, l’evanescenza dei corpi intermedi che ne mette in discussione ruolo e identità. Però mentre la triplice sindacale si agita, vuol dare segni di viat e far vedere che, indipendentemente da quale sia il suo peso reale, l’antagonismo al governo è sempre un buon collante, Confindustria resta avvolta nel suo esiziale torpore. Qualche intervista, qualche dimenticabile convegno, qualche uscita spesso relegatasolo tra le pagine rosa del giornale di casa. Ma al dunque, quando il gioco si fa duro, resta ai margini del campo. Sarà forse perché, eravamo agli inizi della sua presidenza, Bonomi si lanciò incautamente a dire che la politica era peggio del Covid, ma da allora il distacco con i suoi palazzi che gliel’hanno giurata è stata una costante. Basta, dialogo ai minimi, non ci confrontiamo con chi ci considera più deleteri di un’ epidemia. Al punto che, quando lo scorso febbraio Giorgia Meloni decise di passare un colpo di spugna sul Superbonus edilizio, che pur coinvolgeva migliaia di aziende del settore, in viale dell’Astronomia non arrivò nemmeno una telefonata di cortesia. Si dirà che quando l’organizzazione celebra la sua assemblea generale, leader di partito e cariche istituzionali sono sempre lì a far passerella. Ma è diventata seempre più una partecipazione di circostanza, un rito cui sembra troppo non presenziare (lo fece una volta Matteo Renzi, quando da premier ancora infervorato nel suo afflato rottamatore, disertò l’assise al Parco della Musica). Vuoi mettere la corrispondenza di amorosi sensi con Coldiretti, il caldo abbraccio degli iscritti, la confort zone dove Meloni si rifugia quando ha bisogno di sentirsi coccolata e acclamata?
L’identikit del successore ideale di Bonomi
Ma Confindustria, oltre che essere in crisi col mondo esterno, ha problemi anche con se stessa. L’ultimo episodio di cui questo giornale ha dato notizia, ossia il furibondo scazzo tra Bonomi e Francesca Mariotti, la direttrice generale, una testa finissima in fatto di fiscalità, culminata con il siluramento della manager, è la spia che la struttura sta cadendo a pezzi. Ma se dai un’immagine di profonda spaccatura al tuo interno come puoi pensare che la tua rappresentatività non ne esca intaccata? Quello di Mariotti è solo l’ultimo di una sequela di scontri dove a far da teatro è stata anche la Luiss, ovvero la Bocconi di Confindustria, l’università da sempre suo fiore all’occhiello. Così, alla vigilia della campagna elettorale da cui uscirà il nuovo presidente, viale dell’Astronomia è dilaniata da un tutti contro tutti che ne intacca gravemente l’immagine. Per colui che succederà a Bonomi, sarà un compito ingrato e faticoso. Ma serve un requisito imprescindibile da cui partire. Dovrà essere un imprenditore che vive del suo lavoro, che può per la durata del mandato distaccarsene senza averne nocumento. Dovrà essere qualcuno che si dedica anima e corpo a recuperare l’identità e il prestigio perduti, e che non veda Confindustria solo come un trampolino di lancio a uso e consumo della sua carriera.
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