Parsi e quel tifo per l’Ucraina che lo ha trasformato nell’anti-Orsini

La posa marmorea, lo sguardo fiero, il tono pronto a sentenziare, le tesi nette, la scelta di campo precisa in ogni dichiarazione, le bretelle a reggere le camicie sulla scia di Federico Rampini e, particolare da non sottolineare, gli occhiali cambiati nel tempo: da una montatura anonima, rettangolare, a un modello vistoso con lenti tonde e scure, che fanno molto “personaggio”. Questa è la bardatura con cui va in battaglia Vittorio Emanuele Parsi, Parsi-fal, cavaliere della causa liberale. Risposta del fronte anti-russo all’impietosito, lacrimoso e timorato Alessandro Orsini nelle tv e sul Twitter nostrano. Ma forse, in fin dei conti, suo necessario complemento.

Parsi e quel tifo per l'Ucraina che lo ha trasformato nell'anti-Orsini
Vittorio Emanuele Parsi in collegamento con Omnibus su La7.

Parsi, Orsini e la polarizzazione del dibattito sull’Ucraina 

Nel ciclo arturiano Parsifal è un cavaliere puro e senza paura, indomito nel combattere e per questo premiato dalla possibilità di arrivare, più di tutti i compari della Tavola Rotonda, a un passo dal mettere le mani sul Santo Graal. Nel dibattito odierno sull’Ucraina, Parsi-fal ci ricorda che la storia è una lotta perenne tra democrazie e autocrazie, che Kyiv è solo la potenziale prima linea di un’aggressione all’Occidente. «Mentre le democrazie sono in pace tra di loro, sono gli autoritarismi ad aggredirle. Il guaio è che non sappiamo più pensare a che cosa facciamo quando siamo aggrediti da un sistema autoritario», ha dichiarato a Huffington Post nel dicembre scorso. Dimenticando, ad esempio, che giusto un ventennio fa l’Iraq, un’autocrazia fatta e finita, fu attaccato da una coalizione di democrazie guidata da Usa e Regno Unito. Parsi-fal sceglie chi mandare tra i sommersi e i salvati della geopolitica. Divide il campo: Noi e Loro. Polarizza. In un concetto, fa tutto per diventare personaggio e promuovere, assieme alla voce della resistenza democratica, la sua. Le sue tesi come antitesi alla complessità, in un crescendo orsiniano: se il sociologo prestato al terrorismo prima e alla geopolitica poi parla di «colpe della Nato», Parsi-fal ricorda che tutto è «colpa di Putin», anche la mancanza delle mezze stagioni. Per un Orsini che sostiene che la Russia è invincibile, c’è un Parsi-fal che ne ricorda l’inevitabile sconfitta in Ucraina. Senza mezze misure, nella geopolitica del tifo da stadio questa polarizzazione premia i diretti interessati in termini di successo di audience e vendite di libri.

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Alessandro Orsini ospite di Carta Bianca (da RaiPlay).

La dialettica amico-nemico più che alla legittima causa di Kyiv sembra mirare a ottenere visibilità

Ma chi è Vittorio Emanuele Parsi? Classe 1961, è docente di Relazioni Internazionali e Studi Strategici all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI). Politologo competente e stimato, di cui chi scrive ricorda di aver apprezzato Titanic – Il fallimento dell’ordine liberale, Parsi prima di diventare Parsi-fal è stato capitano di fregata di riserva della Marina Militare e pure rugbista. Con l’inizio della guerra in Ucraina è diventato ospite fisso dei talk show compiendo, a nostro avviso, lo stesso errore di Orsini: confondere analisi strategica e wishful thinking, assolutizzando rami del sapere di riferimento (in questo caso, in particolare il diritto internazionale), e soprattutto creare una dialettica amico-nemico che più che alla stra-legittima causa di Kyiv sembra mirare a una di promozione in termini di visibilità. Parsi è riuscito a incidere il disco d’oro della sua hit parade ideologica cioè Il posto della guerra: E il costo della libertà, saggio edito da Bompiani a novembre 2022. Nelle cui righe il professore adotta un registro comunicativo eccellente di polarizzazione. Lo stesso che costruisce quotidianamente e dove gioca di sponda tra i mondi della grande divulgazione social (come i canali La Miniera dello streamer Twitch Ivan Grieco) e i talk show. Pubblica articoli da “falco” anti-russo su Il Foglio, tornato alla postura neo-con che fu dei primi Anni 2000, in cui parte una retorica da film Marvel: il “nostro mondo” è assediato dai dispostismi, la critica alla spudorata riscrittura della storia di Vladimir Putin sul 9 maggio e la vittoria sul nazismo diventa elogio dell’analoga mossa di revisionismo fatta da Volodymyr Zelensky, le armi all’uranio impoverito «non sono un’escalation» perché la Russia le starebbe già utilizzando. Il dualismo buoni-cattivi – in un contesto che sorvola su quanto tra i “nostri” possano esserci Paesi responsabili di guerre d’aggressione come Azerbaijan e Arabia Saudita, dal dubbio sentimento democratico, e sul fatto che tra le autocrazie si potrebbero ascrivere molti amici dell’Occidente – permette di sottolineare che Parsi-fal sia stato un Orsini che ce l’ha fatta.

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Vittorio Emanuele Parsi (Imagoeconomica).

La Tavola Rotonda di Parsi: da Boldrin a Iacoboni, passando per Capone e Cerasa

Scorrendo il profilo Twitter di Parsi si notano i consensi eterogenei che il suo sistema cattura: dai giovani della bella rivista bolognese Pandora al think tank Liberi Oltre dell’economista Michele Boldrin, passando per un sostegno pressoché incondizionato dei “Cold Warrior” di Twitter: il professore interagisce coi profili di giornalisti come Marta Ottaviani, Jacopo Iacoboni, Nona Mikhelidze, Luciano Capone e Claudio Cerasa. Figure unite, in larga parte, dalla medesima visione del conflitto russo-ucraino in cui la narrazione prevale sulla realtà: dalla caccia al putiniano alla semplificazione di una complessa questione geopolitica in cui ogni pensiero laterale viene censurato come potenziale concorso esterno in putinismo. O come mera falsità.

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Parsi è docente di Relazioni internazionali e Studi Strategici alla Cattolica di Milano (Imagoeconomica).

Parsi-fal svesta le armi: rivogliamo Parsi e la sua competenza

La critica che muoviamo a Parsi-fal, in quest’ottica, nasce proprio dalla volontà di riscoprire l’intellettuale oltre l’uomo da talk show e internet. Il ruolo degli intellettuali, oggigiorno, sarebbe sanare conflitti e portare ragionevolezza, non farsi alfieri di una causa. Perché il mondo è brutto e fatto in scale di grigi. Il rischio di falli di reazione è notevole. Parsi in nome della battaglia per il suo Sacro Graal, cioè lo sdoganamento della tesi della necessità di difendere a ogni costo l’ordine liberale e di promuovere fino alla vittoria di Kyiv il sostegno all’Ucraina, non si ferma davanti a nulla e nessuno: stupisce vedere un docente della Cattolica entrare in gamba tesa su Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei e inviato speciale di Papa Francesco, parlando di «ossessione per i piani di pace» che rischiano di «indebolire il sostegno dell’opinione pubblica occidentale allo sforzo bellico». Spiace vedere Parsi farsi alfiere della russofobia parlando di «società civile lobotomizzata» nel Paese e di uno Stato in cui non ci si trasferisce più nemmeno dai «Paesi più sfigati». E stupisce vederlo intento in una baruffa social con Luca Telese, che lo ha paragonato al Galeazzo Musolesi delle Sturmtruppen per la sua retorica bellicista. Alla fine Parsi e Orsini sono gli opposti estremismi del dibattito. Ci appelliamo al professore perché torni a mettere conoscenza e competenza al servizio di un discorso più serio ed equilibrato sull’Ucraina, la Russia e, soprattutto, sul mondo che verrà. Perché ragionare sul dopo-guerra è più importante del tifo da stadio in guerra. Che è sempre più facile quando non si è sul campo. Parsi-fal svesta le armi: noi rivogliamo, semplicemente, Parsi e tutti gli altri pensatori che in questa guerra hanno scelto di essere portabandiera di una causa prima che della loro disciplina.

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