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Noi che ci eravamo illusi con Tutti pazzi a Tel Aviv e Fauda
A volta la storia riesce a cambiare genere ai film. Via col vento all’uscita era un kolossal romantico, oggi è un’intollerabile elegia razzista; La donna esplosiva, dove una donna adulta (creata al computer) si relaziona allegramente con due adolescenti, dipinge una situazione da codice penale. Dal 7 ottobre Tutti pazzi a Tel Aviv, commedia satirica del 2018, scritta a quattro mani da un palestinese e da un israeliano, è diventato un film di pura e amarissima fantapolitica prodotto in un’epoca vicina eppure lontanissima. Il film ruota intorno a una soap-opera, Tel Aviv on Fire, realizzata in Palestina e dunque chiaramente anti-israeliana, ma così appassionante da conquistare anche la parte avversa, con grande imbarazzo dell’anziano produttore e di alcuni attori, che hanno conosciuto le carceri israeliane. Paradossalmente, più la soap conferma l’implacabile inimicizia fra i due popoli e i rispettivi cliché, più diventa avvincente per entrambi, finendo per unirli, anche se soltanto davanti al piccolo schermo. Il finale (cerco di non spoilerarlo) mostra un tenue ma ottimistico barlume di conciliazione, almeno nella dimensione della fiction televisiva, dove tutto può accadere.
Persino l’acclamata serie Fauda oggi sembra una tragica farsa
Ho rivisto il film da poco insieme ai miei figli, anche perché mostra senza troppi inzuccheramenti il difficile vicinato fra palestinesi e israeliani anche in tempi più tranquilli, l’occhiuta sorveglianza dell’esercito, la brutalità dei controlli sul confine, il risentimento e l’umiliazione degli oppressi e il sospetto costante in cui vivono oppressori. Se nel 2018 ero uscita dal cinema con un filo di speranza, questa volta l’effetto è stato l’opposto. Quella disincantata riflessione sull’assurdità della guerra, quella vaga e lontana possibilità di comprendersi, o per lo meno di domandarsi se un giorno sarà possibile comprendersi, sono state spazzate via dall’orizzonte mentale non solo di israeliani e palestinesi, ma di tutti noi. Perfino un prodotto di tutt’altro genere, Fauda, l’acclamata serie israeliana ma con un cast misto, seguita anche in tutto il mondo arabo, oggi più che un thriller poliziesco sembra una tragica farsa, e non solo perché molti dei suoi interpreti oggi sono impegnati con l’esercito.
Accompanied by Yohanan Plesner @yplesner and Avi @issacharoff , I headed down south to join hundreds of brave "brothers in arms" volunteers who worked tirelessly to assist the population in the south of Israel. We were sent to the bombarded town of Sderot to extract 2 families pic.twitter.com/WpM9JLeOZM
— Lior Raz (@lioraz) October 9, 2023
Dov’erano le agguerrite squadre speciali dell’Israeli Defence Force mentre Hamas progettava il pogrom del 7 ottobre? Cosa faceva la famosa intelligence che in Fauda capta ogni avvisaglia di trama o attentato in preparazione oltreconfine? Anche quei terroristi palestinesi dagli occhi spiritati, con il pugnale e le bombe sempre in tasca come gli anarchici della Belle Epoque, che ammazzavano al massimo 10-15 israeliani alla volta, ora fanno la figura dei moderati rispetto ai macellai fatti di anfetamine che ne hanno sgozzati a centinaia, ragazzi che ballavano, vecchi e bambini nei loro letti. Lo sceneggiatore che sta scrivendo gli eventi di questi giorni è uno psicopatico nichilista fissato con le carneficine di massa e le piogge di bombe, e il dolore e la rabbia che hanno provocato e continuano a provocare sono la sicura premessa di infinite stagioni di orrore, in Medio Oriente e non solo.
Quei prodotti dell’immaginario che hanno spostato il silenzio sulla questione israelo-palestinese nell’intrattenimento
E ora quasi provi imbarazzo ad averli guardati, Tutti pazzi a Tel Aviv, Fauda, Teheran e compagnia, prodotti dell’immaginario che negli ultimi anni hanno riempito il silenzio della politica e dell’informazione sulla questione israelo-palestinese, spostandolo dalle news alle piattaforme d’intrattenimento. Ti vergogni ad averli presi sul serio, ad averli quasi scambiati per psicodrammi catartici, in cui anche la rappresentazione della violenza e dell’odio diventavano un’opportunità per vedere le cose dal punto di vista dell’altro. Invece erano solo illusioni, concepite in un tempo in cui ci si poteva ancora illudere, e forse anche sperare, se non nella pace, nella non-guerra. Ce ne siamo accorti solo quando quel tempo è finito, una mattina di 15 giorni fa.