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Nagorno Karabakh, nessun accordo nel primo round di negoziati
Il primo round dei negoziati tra Nagorno Karabakh e Azerbaigian si è risolto con un nulla di fatto. I colloqui si sono tenuti a Yevlakh: secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa di Baku Apa, sono state discusse le questioni relative al reinserimento dei residenti armeni che vivono nell’Artsakh, senza però che i rappresentanti giungessero a un accordo.
All’incontro hanno preso parte anche rappresentanti russi
Al tavolo la delegazione armena era guidata da Artur Harutyunyan, mentre quella di Baku dal deputato Ramin Mamedov. All’incontro, per volere di Vladimir Putin, ha partecipato anche un rappresentante del contingente russo per il mantenimento della pace schierato nella regione in seguito al conflitto del 2020. I negoziati si sono svolti in un clima di forte tensione: secondo le autorità armene l’Azerbaigian ha violato il cessate il fuoco, dichiarato a seguito dell’offensiva azera durata 24 ore, accusa però prontamente rispedita al mittente.

L’Armenia non partecipa ai negoziati e accusa l’Azerbaigian
All’incontro hanno partecipato rappresentanti del Nagorno Karabakh, territorio abitato dalla minoranza armena cristiana che chiede l’indipendenza. L’Armenia ha messo in chiaro di non essere parte del cessate il fuoco o dei negoziati. In un discorso rivolto alla nazione per celebrare il giorno dell’indipendenza, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha detto che il Paese deve essere «libero da conflitti», senza menzionare specificamente il Nagorno Karabakh. Migliaia di manifestanti si erano riuniti mercoledì 20 settembre a Yerevan, per denunciare il fallimento percepito del governo nel proteggere i connazionali dell’Artsakh. L’Armenia ha però avvertito le Nazioni Unite che l’Azerbaigian sta attuando una «pulizia etnica» ed ha commesso un «crimine contro l’umanità» nel momento in cui ha ripreso il controllo della regione separatista del Nagorno Karabakh. Lo ha detto davanti al Consiglio per i diritti umani dell’Onu a Ginevra l’ambasciatore armeno Andranik Hovhannisyan.

Le tensioni nate con la dissoluzione dell’Unione Sovietica
La seconda guerra del Nagorno Karabakh si concluse, dopo 44 giorni di combattimenti, la sera del 9 novembre 2020, quando i rappresentanti dell’Armenia e dell’Azerbaigian, tramite la mediazione del presidente russo Putin, firmarono un cessate il fuoco. Da allora l’equilibrio è sempre stato precario, come lo era stato già in precedenza. Le vere, grosse tensioni, in un territorio che prima faceva parte dell’Unione Sovietica, erano infatti iniziate alla fine degli Anni 80, quando la maggioranza armena avallò con un referendum la decisione di entrare nell’orbita di Yerevan. Ed erano sfociate in una guerra nel 1992, dopo il crollo dell’Urss. Il conflitto si concluse con gli accordi per il cessate il fuoco firmati a Bishkek (Kirgizistan) nel 1994: da quel momento il territorio del Nagorno Karabakh, perso dall’Azerbaigian, rimase sotto l’occupazione militare dell’Armenia. Poi il 27 settembre 2020 l’inizio di un nuovo e violento capitolo del conflitto, con centinaia tra morti e feriti, terminato con al riconquista da parte dell’Azerbaigian dei territori perduti in precedenza. Dal 12 dicembre 2022, a seguito di proteste di manifestanti appoggiati dalle autorità dell’Azerbaigian, il corridoio di Lachin, che collega la regione del Nagorno Karabakh all’Armenia, è stato reso inaccessibile al traffico civile e commerciale: una «politica di terrore deliberata e pianificata», così come definita dal governo di Yerevan, e terminata nel pomeriggio del 20 settembre con la resa definitiva dell’enclave armena dopo l’operazione militare di Baku.