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Meloni e la mania di accentrare tutto: migranti, Pnrr, comunicazione e partito
Accentrare, avocare a sé, centralizzare. Che sia il governo o il partito, la strategia della presidente del Consiglio Giorgia Meloni è la stessa: l’allergia alla delega. Scarsa fiducia nei collaboratori esterni al cerchio magico o manie di controllo? Difficile dirlo. Fatto sta che dall’inizio dall’esperienza di governo sono molti i dossier che la premier ha tolto dalle scrivanie dei vari ministri per posarli su quella di Palazzo Chigi (come il Piano nazionale di ripresa e resilienza). Stessa tendenza registrata nel partito, visto che a capo della segreteria politica di Fratelli d’Italia è stata messa la sorella Arianna.
Emergenza sbarchi «difficile da spiegare all’opinione pubblica»
Ma andiamo in ordine. L’ultimo dossier che la premier ha avocato a sé è quello dei migranti. «I numeri sono oggettivamente preoccupanti», ha detto il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano, sottolineando come gli arrivi siano più che raddoppiati nel periodo gennaio-agosto rispetto al 2022. Nel mese di maggio, rispetto allo stesso mese di un anno prima, si sono registrati +1.008 per cento di arrivi dalla Tunisia, +167 per cento dalla Libia. Un boom «difficile da spiegare all’opinione pubblica, e lo capisco bene», si lascia scappare la premier, conscia degli anni di propaganda su blocchi navali e porti chiusi urlati ai tempi dell’opposizione. Ed è poca cosa il trend in discesa dei flussi.

Comitato interministeriale: più che un «raccordo» è commissariamento
Numeri così, con altri governi, avrebbero fatto urlare alle dimissioni immediate. E come reagisce la premier? «Nell’insieme facciamo tanto, ma è essenziale che ciascun ministro che ha competenza in materia sia al corrente reale sul lavoro che svolge il suo collega per evitare duplicazioni, dispersione di risorse, ma anche che il nostro interlocutore di turno si rivolga a più d’uno di noi, sollecitando i medesimi interventi, senza poi dare conto dell’utilizzo degli aiuti che riceve», ha spiegato durante il Consiglio dei ministri. Per questo ha convocato una riunione del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr) che, secondo Meloni, «ben si presta a essere la sede di questo raccordo. E da oggi è convocato permanentemente, composto da tutti i ministri competenti. Il nostro obiettivo è affrontare il problema in maniera pragmatica, con decisioni rapide e coordinate». Si scrive «raccordo», si legge «commissariamento». Evidentemente la premier non è contenta dell’azione, in primis, del Viminale e quindi porta il dossier nel Cisr, istituito presso la presidenza del Consiglio e presieduto da Meloni stessa, esautorando – in un colpo solo – i due vice premier, Antonio Tajani e Matteo Salvini, responsabili – rispettivamente – di Esteri e Guardia costiera, e il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi.

Sul Pnrr esautorato Giorgetti (uno dei pochi con il quale va ancora a braccetto)
Ma passiamo a un altro capitolo. Tra le pratiche più rilevanti sul tavolo del governo c’è senz’altro il Pnrr. L’esecutivo Draghi aveva predisposto una governance che prevedeva la cabina di regia, di cui facevano parte il presidente del Consiglio e vari ministri, la segreteria tecnica, che si occupava di tematiche tecnico-amministrative, e il servizio centrale, un organismo del ministero dell’Economia che doveva coordinare la programmazione, la gestione, il monitoraggio, la rendicontazione e il controllo del piano. Tutti tempi verbali al passato. A inizio mandato infatti la premier ha rivisto la governance accentrando le diverse competenze in un nuovo organo, la “struttura di missione” alle dipendenze proprio della presidenza del Consiglio, quindi della presidente Giorgia Meloni. Una decisione che secondo molti osservatori ha contribuito a rallentare il disegno di revisione del piano. In quel caso, a essere esautorato fu il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (con il quale, invece, ora la premier va a braccetto per spingere i vari ministri a mettere a punto una manovra responsabile, con buona pace delle promesse elettorali) preferendogli il più fidato Raffaele Fitto.
Comunicazione: via il flop Sechi, tutto nelle mani di Fazzolari
Un’altra rilevante novità è alla voce comunicazione. Secondo anticipazioni di stampa, la responsabilità in merito alla voce del governo sarà affidata a Giovanbattista Fazzolari, già braccio destro di Meloni a Palazzo Chigi e titolare di diversi dossier. Come noto, infatti, Mario Sechi, diventato portavoce di Meloni solo a marzo 2023, lascerà l’incarico dopo non essere entrato per nulla in sintonia con la premier e con lo staff a lei più vicino. La nomina di Sechi – dopo diversi mesi dall’inizio dell’attività di governo – era arrivata dopo un’intensa attività di scouting andata male. Del resto, la gestione della comunicazione della premier finora non ha brillato.

Da Cutro alle polemiche sulle vacanze, quanti scivoloni
Meloni non si presenta in una conferenza stampa post Cdm dal 9 marzo (dal disastroso incontro coi giornalisti dopo il Consiglio dei ministri a Cutro sull’emergenza migranti), preferendo Gli appunti di Giorgia, il format social che la premier ha adottato. Una diretta disintermediata che va in onda con scarsissima regolarità e solo per uscire da momenti particolarmente complicati (come quando i benzinai dichiararono sciopero dopo essersi sentiti dare degli speculatori). E polemiche hanno suscitato anche le ultime vacanze pugliesi, con tanto di trasferta albanese. Viaggio che, nonostante i possibili risvolti internazionali che avrebbe potuto avere, è stato tenuto segreto con tanto di giallo su un incontro con l’ex primo ministro britannico, Tony Blair.

Ridimensionato Donzelli, resiste solo la fedelissima sorella Arianna
C’è poi il fronte partito. Anche in FdI, Meloni lascia pochissimo spazio di manovra, delegando – solo quando necessario – alla propria cerchia ristrettissima. La notizia della nomina della sorella Arianna a capo della segreteria politica di Fratelli d’Italia (con il conseguente ridimensionamento di Giovanni Donzelli, scottato dall’affaire Cospito–Delmastro) è ormai di dominio pubblico. Insomma, nel partito non si muoverà foglia (a cominciare dal congresso: «Non si è capito a che servirebbe oggi un congresso: c’è una leader indiscussa, la linea politica è condivisa, lo spazio per lavorare c’è in tantissimi ruoli e organismi», ha detto proprio Arianna in un’intervista al Corriere della sera) che sorella – e quindi Giorgia – non voglia.
