L’Opa della destra sulla cultura: la Mostra del cinema di Venezia e non solo

Nella destra di governo italiana sono molti gli ammiratori, persino ostentati, di Antonio Gramsci, a partire dal vicepremier Matteo Salvini. L’importanza decisiva della “sovrastruttura”, dell’ideologia che costruisce e cementa il consenso non sfugge a Giorgia Meloni e ai suoi. D’altronde sulla “struttura” dei fondamentali economici si può scherzare poco: i fatti e i numeri hanno la testa dura, non c’è trippa per gatti e i vincoli finanziari sorvegliati da Europa e mercati lasciano scarso spazio a ricette creative e roboanti promesse elettorali. Allora – Vannacci e Giambruno insegnano, ma l’elenco sarebbe lungo – meglio impegnarsi in diversivi e ballon d’essai che da una parte distraggono dalle rogne e dall’altra contribuiscono a costruire narrazioni funzionali alla nuova visione del mondo che la destra cerca di imporre al Paese.

L'Opa della destra sulla cultura: la Mostra del cinema di Venezia e non solo
Gennaro Sangiuliano e Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Al Lido già si cerca un sostituto di Barbera, in pole i soliti Buttafuoco e Bruno Guerri ma anche Elisabetta Sgarbi

Un’operazione che passa inevitabilmente dall’occupazione dei sancta sanctorum della produzione culturale italiana, isolando le casematte del cosiddetto pensiero di sinistra. Della nuova Rai in salsa meloniana sappiamo tutto, ma accanto alla tivù c’è anche il cinema che, malgrado la sua crisi, rimane un potente volano di generazione di senso, di valori e contenuti. Così, mentre l’80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia parte con un film italiano, Comandante di Edoardo De Angelis, che qualcuno definisce addirittura «sovranista», per quanto fautore di un messaggio di solidarietà in mare che urtica la maggioranza, lo zelante ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, per il quale pure il Sommo Dante era portatore di idee non lontane da quelle di Ignazio La Russa, pensa già a sostituire il direttore della kermesse, Alberto Barbera. Quest’ultimo avrebbe in realtà ancora due anni di incarico e dovrebbe occuparsi di organizzare anche la Mostra del 2024, ma chiaramente l’aria è cambiata attorno a lui. Possibili sostituti? I nomi che girano sono un po’ i soliti, visto il serbatoio abbastanza ristretto di “intellettuali d’area” cui la destra può attingere: dal peraltro non allineatissimo Pietrangelo Buttafuoco a Elisabetta Sgarbi, apprezzata editrice (La Nave di Teseo) e documentarista spinta dal fratello Vittorio, sottosegretario alla Cultura con cui Sangiuliano convive a fatica nelle stanze del Collegio Romano. Senza dimenticare lo storico Giordano Bruno Guerri, l’iper-dannunziano presidente della Fondazione Il Vittoriale e direttore del Museo di Salò che in realtà il ministro avrebbe voluto da tempo alla guida dell’intera Biennale di Venezia, al posto di Roberto Cicutto, nominato ai tempi di Dario Franceschini e in scadenza con il Cda il prossimo febbraio. Cicutto ha portato ottimi risultati, ma Sangiuliano lo ha sempre trattato con grande freddezza.

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Alberto Barbera, direttore della Mostra del Conema di Venezia (Imagoeconomica).

Giulio Base alla guida del Torino Film Festival e Castellitto verso il Centro sperimentale di cinematografia di Roma

La graticola per Barbera, comunque, si (ri)accende dopo che l’esecutivo ha già messo le mani su altre importanti rassegne cinematografiche. L’attore e regista Giulio Base a luglio era stato prescelto, tra le polemiche, quale direttore del Torino Film Festival 2024, con un mandato che si estende pure alle due edizioni successive. Il cv artistico non gli difetta, eppure aveva dovuto difendersi: «Probabilmente ci sono cose che nemmeno conosco, ma non credo che Sangiuliano sia intervenuto. Anche se è stato scritto che piaccio a lui, alla Meloni, persino al Papa». Qualcuno ha fatto notare che gli manca uno dei requisiti fondamentali contenuti nel bando: non ha alcuna esperienza di direzione di festival del cinema. E però l’autore di fiction tv quali Don MatteoSanta Maria Goretti o Padre Pio è molto apprezzato “colà dove si puote ciò che si vuole” (per far contento il citazionista Sangiuliano). In tal senso, c’è allora da chiedersi che chance possa davvero avere il convertito all’Islam Buttafuoco, ma tant’è. Sempre a luglio era scoppiata la bufera attorno al cambio di governance del mitico Centro sperimentale di cinematografia di Via Tuscolana, a Roma, con la sua scuola nazionale e la cineteca tra le più rinomate del mondo. «La cultura non si lottizza. Il Csc non si lega», era lo striscione ostentato dalla protesta degli studenti dell’istituzione: nel mirino una norma voluta dalla maggioranza e inserita nel decreto Pa bis che anticipa il ricambio degli organi di governo, abolisce la figura del direttore generale e incrementa da quattro a sei i membri del Comitato tecnico scientifico, rendendoli di nomina governativa. Insomma, una lottizzazione in piena regola a carico di un importantissimo ente culturale. A seguito del blitz parlamentare (e governativo), la presidente Marta Donzelli si era dimessa con le consigliere di amministrazione Cristiana Capotondi e Guendalina Ponti (il quarto era Andrea Purgatori, prematuramente scomparso il 19 luglio scorso). Dovrebbe ora succederle Sergio Castellitto, secondo un’indiscrezione anticipata da Dagospia: personaggio tanto celebre quanto camaleontico, ma comunque non inviso a Sangiuliano anche perché lontano dai circoli e dalle conventicole del cosiddetto pensiero di sinistra.

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Giulio Base (Imagoeconomica).

L’ossessione di Sangiuliano di ricostruire l’immaginario italiano

Un’ossessione, quest’ultima, per l’ex direttore del Tg2 che ancora di recente si è scagliato contro «l’egemonia della sinistra nelle università, nelle istituzioni culturali, nell’editoria». Di lì i mal di pancia a destra in particolare contro l’ultimo Festival di Sanremo, considerato uno spot licenzioso al gender fluid e al “pensiero unico dominante”. O pure gli incidenti di percorso occorsi al mite Alessandro Giuli da quando guida il museo Maxxi di Roma. E che dire delle presunte pressioni politiche sul Salone del libro di Torino e sulla figura del suo direttore uscente, Nicola Lagioia? Con il possibile successore, lo scrittore Paolo Giordano, che già a febbraio scorso si era chiamato fuori: «Mi sembra non ci siano più le condizioni», perché «sono state fatte richieste specifiche per dei nomi da includere nel comitato editoriale, aspetto su cui non avrei potuto negoziare, e non perché viva in un mondo in cui non esistano negoziazioni, non esista la politica. Ma, nella mia idea, il Salone del libro, come ha ribadito lo stesso Nicola (Lagioia, ndr), deve essere indipendente». Tante vicende che tradiscono ciò che Sangiuliano tiene a ribadire esplicitamente: «Ricostruire l’immaginario italiano è una delle azioni che metteremo in campo in un più ampio progetto che mira a sprigionare la potenza culturale della nostra Nazione. Perché l’Italia è una superpotenza culturale globale». Libro e moschetto, ministro perfetto. Basta che il libro poi lo si legga per davvero.

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