L’Italia è sempre più saudita: gli affari e le mire di Riad nel Belpaese

All’Hotel Gallia di Milano ha trionfato la “dottrina Mancini”. L’ex ct azzurro si è fatto sedurre dalle sirene milionarie d’Arabia e all’apertura meneghina del Forum Italo-Saudita sugli investimenti anche il governo Meloni è andato a ruota. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha perfezionato infatti l’ennesima giravolta politico-comunicativa dell’esecutivo e ha stretto la mano con entusiasmo al suo omologo per gli Investimenti di Riad, Khalid Al-Falih. Appena nel 2021, non 10 anni fa, Giorgia Meloni, attaccando Matteo Renzi, bollava il regime di Bin Salman come «Stato fondamentalista islamico che applica alla lettera la sharia». Ora, però, il punto di osservazione è cambiato e quindi anche i creatori di un «humus nel quale prospera il terrorismo» (Meloni dixit) meritano accoglienza in pompa magna, sorrisi e salamelecchi. Anzi Urso precisa che, certo, «noi dobbiamo partire dal principio del nostro sistema di valori, il sistema di valori europei su cui siamo assolutamente fermi e difendiamo in ogni contesto», ma poi aggiunge: «Il mondo è comunque molto diverso da quello che noi pensavamo e da quello che abbiamo realizzato. Dobbiamo guardare con realtà». Della serie: scusate, ci eravamo sbagliati. D’altronde pecunia non olet e così Roberto Mancini fa scuola (e con lui tanti altri grandi nomi del calcio); dunque, la piroetta da mal di testa del governo è servita.

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Il ministro del made in Italy Adolfo Urso (Imagoeconomica).

Al Forum prendono parte circa 1300 imprese italiane e più di 150 le imprese saudite 

Dopotutto Meloni si era già preparata il terreno con il recente ritiro dell’embargo sulla vendita di armi all’Arabia Saudita. Il clima è cambiato e poco male se Riad sfilerà a Roma l’organizzazione dell’Expo 2030. Gli sceicchi puntano a rifarsi un’immagine. Non più solo esportatori di petrolio malvisti per le violazioni dei diritti umani, ma partner suadenti che attraggono e allargano il loro raggio d’azione industriale e commerciale: dalla sostenibilità al biotech, dalla cultura allo sport, fino all’innovazione e al manifatturiero avanzato. Non a caso al Forum prendono parte circa 1300 imprese, di cui 500 in presenza e oltre 700 in remoto. E sono più di 150 le imprese saudite partecipanti. Tra le italiane non mancano colossi del calibro di Eni, Enel, Snam, Saipem, Cdp, WeBuild, Leonardo, Maire, Pirelli, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Ita, Ansaldo Energia, Invimit. Al-Falih ha fatto notare che l’Arabia Saudita, a livello globale, spenderà «oltre 1.000 miliardi di euro nell’aggiudicazione di contratti diretti» e Urso si è ingolosito: «Noi vorremmo che il capitale saudita fosse più presente nel nostro Paese, così come vorremo che si sviluppasse con fusioni e partnership». L’obiettivo del governo italiano è dare forza a campioni nazionali ed europei che possano trainare le filiere strategiche del made in Italy, con un occhio di riguardo alle transizioni ecologica e digitale.

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Mohammed bin Salman (Getty Images).

La possibile entrata del Saudi Public investment fund nel nascituro Fondo strategico per il Made in Italy

Sullo sfondo c’è la possibilità che il Fondo sovrano saudita Pif (Saudi Public investment fund) sia interessato a entrare nel nascituro Fondo strategico per il Made in Italy. Urso a fine maggio aveva portato in Cdm il disegno di legge che lo istituisce: ora bisogna attendere il voto in Parlamento e poi serviranno i regolamenti ministeriali per mandarlo a regime. Si ragiona su una dotazione iniziale di un miliardo di euro e «già a fine anno penso di avere i primi risultati concreti», ha azzardato il titolare di Via Veneto. Nel frattempo il forum milanese ha fatto da teatro per la firma di una serie di accordi tra aziende italiane e saudite. La compagnia araba Acwa Power ha siglato intese di partenariato con Confindustria e altre cinque imprese per la realizzazione di progetti sull’idrogeno verde e la desalinizzazione delle acque. I nomi italiani coinvolti sono A2a, Eni, Rina, Industrie De Nora e Italmatch Chemicals. Quest’ultima, ad esempio, esplorerà la possibilità di insediare la fabbricazione di prodotti per il trattamento dell’acqua in Arabia Saudita. Con De Nora invece si lavorerà sulla chimica elettrica e le tecnologie sostenibili, mentre l’accordo con Rina è legato al possibile utilizzo dell’idrogeno verde nei trasporti marittimi. Va ricordato che Acwa è presente in oltre 10 Paesi del Medio Oriente, Africa e Asia e il suo amministratore delegato è genovese, Marco Arcelli.

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Sergio Iorio di Italmatch, il ministro Khalid Alfalih, il ministro Urso e Marco Arcelli (Imagoeconomica).

Sanità, le sirene di Riad attirano i professionisti italiani

La gran parte delle partnership perfezionate o in via di perfezionamento vedono le imprese italiane entrare nel mercato saudita. C’è un accordo di Bin-Shihon Group con Eni Sustainable Mobility per rendere il colosso nostrano licenziatario esclusivo in Arabia Saudita. Previsto anche quello tra la National Water Company e tre aziende italiane (Plastitalia Spa, Sab Spa e Valvosanitaria Bugatti Group) per il trattamento delle acque reflue. La saudita Leejam Sports e l’italiana Technogym lavoreranno insieme per favorire la penetrazione di quest’ultima nel mercato della Penisola arabica. Giusto per fare qualche altro esempio, Industrial Systems Group (ISG) stringe una partnership con due aziende italiane (Valvosider e Vogt Valves) per il manifatturiero nell’energia, nel petrolchimico e nel settore acqua. Bin Sammar Contracting Company e la Rizzani De Eccher, invece, svilupperanno nei due Paesi progetti legati alle costruzioni. Nella consulenza ingegneristica c’è un’intesa tra Studio Martini Ingegneria e Alrabiah Consulting Engineers. E poi c’è la sanità: mentre molti professionisti della salute italiani si dichiarano propensi ad abbandonare il Bel Paese per andare a lavorare, ben pagati, nel regno degli sceicchi, il Gruppo San Donato, leader delle cliniche delle private, annuncia tre capitoli di collaborazione con la King Saud Medical City che condurrà a partnership pubblico-private, un investimento in Smart clinic e la partecipazione a 18 progetti del ministero della Salute saudita. «Potremmo portare a casa un miliardo di fatturato aggiuntivo per la nostra realtà, che arriverebbe quindi a circa 3,3 miliardi», ha tirato le somme al Corriere della Sera Paolo Rotelli, vicepresidente del gruppo.

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Paolo Rotelli vicepresidente del gruppo San Donato (Imagoeconomica).

I 210 milioni di investimenti del 2019 sono destinati a crescere nel segno del non-oil

Lo stock degli investimenti detenuti in Italia da soggetti dell’Arabia Saudita era di 210 milioni di euro nel 2019. Un dato destinato naturalmente a crescere nel segno del non-oil. Il Pif ha un capitale stimato in 650 miliardi di dollari e la Saudi Vision 2030 ha definito un ampio ventaglio di obiettivi strategici che puntano a ridurre la dipendenza dalla produzione petrolifera e nondimeno la spesa pubblica. Con una diversificazione sui settori d’azione che scardinerà il vecchio approccio secondo cui i principali fondi sovrani dei Paesi arabi hanno investito soprattutto nell’immobiliare italiano (cinque miliardi dal solo Qatar). Non ultimo il calcio: si è vociferato per lungo tempo di un possibile acquisto dell’Inter da parte del Pif. Ma pare che in generale l’interesse dei sauditi per la Serie A sia sempre più concreto. Il fondo sovrano, poi, è già stato scelto come socio di minoranza al 33 per cento da Azimut-Benetti, il produttore leader al mondo di imbarcazioni da diporto a motore. E non manca il comparto dell’hotellerie italiana di lusso, con il 49 per cento di Rocco Forte Hotels già acquisito da Pif. Insomma, una possibile pioggia di miliardi che suscita speranze, ma anche dubbi e timori: aiuteranno il made in Italy o contribuiranno a spogliarci dei gioielli di famiglia? Il governo sembra già essersi dato una risposta tutt’altro che sovranista.

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