L’Iraq vieta ai media di utilizzare il termine omosessualità

In Iraq i media non potranno utilizzare il termine omosessualità, ma dovranno scrivere devianza sessuale. La restrizione si estenderà anche alle piattaforme dei social network e alle società informatiche. Lo riporta la Cnn, che ha citato un documento ufficiale della Commissione irachena per le comunicazioni e i media. Proibito anche l’uso del vocabolo gender e di tutte le relative locuzioni come gender gap e gender fluid sia sui siti online sia all’interno delle applicazioni mobile. Sebbene manchi ancora l’approvazione ufficiale, non è difficile credere che il nuovo divieto entri in vigore nel prossimo futuro. Ancora ignota la relativa sanzione per eventuali violazioni, anche se si parla di una multa ancora non quantificabile.

Proibito anche sui social e nelle app, che dovranno parlare di devianza sessuale. In Iraq bandito anche in vocabolo gender.
La bandiera irachena in un palazzo del governo (Getty Images).

Sebbene l’Iraq al momento non vieti esplicitamente l’omosessualità, presenta clausole morali nel suo codice penale spesso utilizzate per prendere di mira le persone Lgbtq+. A partire da giugno, secondo la Cnn, si sono moltiplicati i roghi delle bandiere arcobaleno in varie città, organizzati dai principali partiti del Paese. Si è trattato soprattutto di proteste dei musulmani sciiti per la distruzione del Corano in Danimarca e Svezia. Stando ai numeri di Our World Data, citati anche da Reuters, l’omosessualità è vietata in 60 nazioni del mondo mentre è legale in altri 130.

Non solo Iraq, il caso dei video tape dei mullah in Iran

Fra i Paesi più duri contro l’omosessualità c’è indubbiamente l’Uganda, che a fine maggio aveva approvato una delle leggi più restrittive al mondo. Introdotto infatti il reato di omosessualità aggravata, punibile con la pena di morte per chi la pratica in modo seriale o con minori. Esecuzione oppure ergastolo per chi trasmette malattie come l’Aids. Carcere di 20 anni invece per chi promuove pubblicamente i diritti Lgbtq+. Rigida anche la situazione in Iran, dove una coppia gay rischia reclusione e pena di morte. Dal 18 luglio però hanno iniziato a circolare sul canale Telegram Gilan News alcuni video che mostrano la doppia vita sessuale di funzionari e mullah, le autorità religiose del Paese, che dovrebbero far rispettare i valori islamici. Fra questi figura Reza Seghati, direttore generale dell’ufficio del ministro della Cultura, in atteggiamenti intimi con un altro uomo. Discorso simile per Mahdi Haghshenans, ex deputato iraniano, e suo cognato.

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