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La verità di Mauro Repetto sull’addio agli 883 in un libro
Questa è la storia di due ragazzi, due compagni di banco di un liceo di Pavia, che negli Anni 90 sono riusciti a realizzare il loro sogno e, partendo dalla provincia, sono diventate due autentiche rockstar. Hanno scalato le classifiche, venduto migliaia di dischi poi, a un certo punto, all’apice del successo, un giorno uno dei due, all’improvviso, ha guardato l’altro negli occhi e gli ha detto: «Vado a Miami e non so se torno».
La versione di Repetto
Parliamo di Max Pezzali e Mauro Repetto, meglio conosciuti come gli 883, una delle band che ha fatto la storia della musica italiana e di cui presto Sky trasmetterà una serie tv intitolata Hanno ucciso l’uomo ragno, girata da Sydney Sibilia. Non è tutto. È appena uscito un libro, pubblicato da Mondadori, che racconta dall’interno questa storia: si intitola Non ho ucciso l’Uomo Ragno e ad averlo scritto, a quattro mani con il giornalista Massimo Cotto, è proprio Repetto, il biondino del duo, quello che inaspettatamente nel 1994 mollò il gruppo e scappò negli Stati Uniti a inseguire altri sogni. I suoi.
La follia di lasciare gli 883 all’apice del successo
Era stato appena pubblicato Nord sud ovest est, il secondo album della band, che per intenderci aveva venduto un milione e 300 mila copie, e gli 883 erano in Italia il fenomeno pop del momento. Max Pezzali cantava. Repetto, di fianco a lui, a tre metri di distanza, ballava e si dimenava sul palco. «Cercavo un ruolo e, ingenuamente, ho pensato che quello potesse essere adatto a me», racconta oggi, spiegando che fu esattamente quello fu il motivo che lo spinse a lasciare il progetto 883 per cercare altro, in un momento in cui tutti guardandolo si ripetevano: «Questo è pazzo. Chi gliel’ha fatto fare di buttare tutto alle ortiche?». «Devo fuggire», scrive Repetto. «Via da tutto. Devo spegnere la televisione, non riesco più a sopportare quella persona che mi assomiglia e che balla tre metri dietro al mio amico. Non voglio fingere di essere felice, perché non lo sono e a nessuno serve un artista triste, soprattutto se sei parte di un duo che vende milioni di copie a disco. Me ne devo andare. In fretta».

Le leggende metropolitane sull’addio a Max Pezzali
Sul suo conto, dopo la sparizione, circolarono per molto tempo svariate leggende metropolitane: «Molti pensano che io non esista, che sia una leggenda metropolitana. Qualcuno mi ha avvistato come un ufo in luoghi improbabili. Qualcuno giura di avermi visto con Jim Morrison vagare la notte al cimitero di Parigi tra le tombe. Qualcuno mi ha visto vestito come Pippo all’entrata di Disneyland per dare il benvenuto a quelli che arrivano. Qualcuno ha detto che ero diventato povero in canna e non avevo più i soldi per mangiare. Qualcuno ha detto che ero impazzito perché avevo lasciato gli 883, e che avevo buttato tutti i vestiti per strada, dal decimo piano», scrive all’inizio del libro. In realtà la molla scattò per una ragazza, una modella di nome Brandi, conosciuta a una sfilata di Christian Dior, di cui si innamorò follemente e che decise di seguire in capo al mondo. «Avevo tre obiettivi: trasferirmi a Los Angeles, fidanzarmi con Brandi e girare un film con lei. Prima, però, dovevo trovarla e farla innamorare di me». Non ho ucciso l’Uomo Ragno è la sua storia, la sua versione dei fatti, un’autobiografia che si legge come un romanzo d’avventura che da Pavia passa per Milano e arriva a Miami, Los Angeles, New York, per chiudersi a Parigi. Una storia che parla di amicizia, passioni e sfide impossibili. «Io sono, molto semplicemente, uno che ha sognato e non vuole smettere di farlo. Uno che ha cantato e ballato sui suoi sogni. Uno che ha vissuto, sbagliato, riso, pianto, amato. Un visionario. Uno che è cresciuto in fretta e non è cresciuto mai».
