La solitudine di Carlo Calenda nell’infinito reality dei social

Carlo Calenda è uno che non si ferma mai. Nella vita, ma anche sui social, che peraltro occupano una discreta parte della sua vita. Non si ferma nemmeno quando uno solitamente si dovrebbe fermare, in vacanza. Ci va una decina di giorni all’anno con tutta la famiglia ammorbando moglie e figli, che magari vorrebbero andare in discoteca o giocare a padel, con minuziose lezioni di storia che i pargoli ascoltano in religioso silenzio. In Grecia ha declamato di fronte alle loro facce visibilmente annoiate il discorso di Pericle agli ateniesi. Ad agosto in Normandia ha fatto da cicerone sui luoghi dello sbarco, ricordando ogni due per tre che la libertà di cui godono è nata sulle spiagge di Omaha e di Utah. Tutte, meno quella di sottrarsi alla pedanteria del padre.

Ha fatto della sua quotidianità uno scrupoloso reality

Come tutti coloro che si sottopongono a esposizione continua, Calenda ha fatto della sua quotidianità uno scrupoloso reality. E quando ciò accade, si sa, pubblico e privato si ibridano senza confini. Così quel che dice sull’Ucraina, i conti pubblici o il mai nato Terzo polo così si mescola con i risultati della dieta (fatta probabilmente per emulare il suo arcirivale Matteo Renzi), le professioni d’amore per la moglie Violante o il colore dei capelli che lo stress di questi giorni ha visibilmente imbiancato.

Calenda si arrabbia per niente, però non molla mai il colpo

Calenda ha molti difetti, l’irascibilità su tuti. Si arrabbia per un niente. Ma un grosso pregio: non molla mai il colpo, come si vede in queste ore che è impegnato in una battaglia contro l’universo mondo: gli Agnelli, nella fattispecie John Elkann, i loro giornali, la Cgil, il suo segretario Maurizio Landini, Matteo Salvini, che infilza con dei virulenti «non rompere le palle e vai a lavorare», quando il segretario leghista (sempre sui social, la casa comune della politica) gigioneggia tra pesche e cori allo stadio.
Senza peraltro aver paura di metterci la faccia: l’altro giorno il suo inseguimento degli operai della Magneti Marelli di Crevalcore che scappavano alla sua vista era struggente.

Avremmo voluto essere lì con lui per dirgli di lasciar perdere, o per fermare le tute blu e invitarle ad ascoltare. Perché sulla questione il leader di Azione ha totalmente ragione, si sapeva benissimo che quando Torino decise di vendere il suo gioiello della componentistica per staccarsi un pingue dividendo sarebbe finita così. Si sapeva anche che nelle nozze spacciate alla pari tra Fiat e Peugeot sarebbero stati i francesi a comandare, e che quindi tutte le scelte avrebbero privilegiato Parigi.

Nonostante tutto colui che fu Enrico Bottini di Cuore va avanti impavido

Ma Calenda sembra predicare nel deserto. Gli operai non lo ascoltano perché ha osato attaccare il segretario del più potente sindacato, o forse perché non gli perdonano il genius loci pariolino. I giornali neppure: perché chi ha messo sotto accusa alcuni li possiede, per gli altri è un investitore pubblicitario di cui non si può non tener conto. Ma nonostante tutto colui che fu Enrico Bottini nel Cuore sceneggiato del nonno va avanti impavido. Ciak, Azione: ma per non scendere di ascolti, il reality Calenda è condannato ad alzare sempre la posta.

La solitudine di Calenda nell'infinito reality dei social
Il piccolo Carlo Calenda nei panni di Enrico Bottini di Cuore.
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