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La scalata di Uniqlo e i segreti del fondatore Tadashi Yanai
«Dobbiamo soddisfare tutti i tipi di persone, siano essi miliardari, appartenenti alla classe media, o a quella più bassa. Se non ci rivolgiamo a tutte le persone non possiamo avere successo». L’obiettivo di Tadashi Yanai è sempre stato ambizioso: competere con i grandi gruppi del fast fashion, come H&M, Zara, Gap e Mark & Spencer, ma rivolgendosi a una clientela più ampia possibile. Con il fine ultimo di diventare il numero uno al mondo nel settore dell’abbigliamento. Yanai, classe 1949, non è più un giovane imprenditore di belle speranze. Ha costruito un impero sulla vendita di vestiti e così è diventato l’uomo più ricco del Giappone, con un patrimonio netto stimato tra i 34 e i 38 miliardi di dollari. È fondatore e presidente della Fast Retailing, il gruppo che controlla il gigante dell’abbigliamento Uniqlo e altri marchi, tra cui J Brand, Helmut Lang, Theory, Comptoir des Cotonniers, Princess tam.tam.
L’inizio con utensili da cucina e vestiti maschili
Oggi Mr. Tadashi vive in una casa di 1.540 metri quadrati, dal valore di 50 milioni di dollari, nei boschi fuori Tokyo, possiede un’altra casa da 74 milioni di dollari nel quartiere di Shibuya, nel cuore della capitale giapponese, e due campi da golf alle Hawaii, dove ogni estate vi trascorre tre settimane per cimentarsi nel suo hobby preferito. È passato tanto tempo quando, da giovane, in un Paese devastato dalle follie nazionaliste post Seconda guerra mondiale, abitava sopra il negozio di abbigliamento maschile del padre, a Ube, in una piccola città nella prefettura di Yamaguchi. Kanichi Yanai era un sarto e gestiva il Men’s Shop Ogori Shoji, che negli Anni 70 avrebbe aperto altri negozi in diverse località. Il giovane Tadashi si è laureato in economia e scienze politiche presso la Wasada University nel 1971. «All’epoca avrei preferito non lavorare per tutta la vita. È così che ero. Mio padre mi ha chiesto di trovare lavoro e purtroppo ne ho trovato uno», ha raccontato. Ha iniziato a vendere utensili da cucina e abbigliamento maschile in un supermercato della catena Jusco per poi, dopo un anno, entrare nell’azienda del padre.
Nel 1984 aperto il primo negozio a Hiroshima
La carriera di Yanai è dunque iniziata in maniera quasi casuale. Col tempo, il futuro re dell’abbigliamento asiatico è diventato presidente della catena Men’s Shop Ogori Shoji. Nel 1984 ha fondato una sua creatura, Unique Clothing Warehouse, abbreviata in Uniqlo, e aperto il primo negozio a Hiroshima. Qualche anno dopo, nel 1991, ha cambiato il nome dell’azienda del padre in Fast Retailing, per riflettere la strategia di espansione della catena di abbigliamento. La strada era tracciata. Nel 1996, Yanai aveva già aperto più di 200 negozi Uniqlo in tutto il Giappone. Nel 1998, a Tokyo se ne contavano 2 mila. Il ritmo di espansione era pazzesco, arrivando persino alle 300 aperture all’anno. Per capire l’entità del fenomeno, nel 1998 un giapponese su quattro aveva acquistato il prodotto più popolare del marchio: una giacca in pile da 15 dollari. Si trattava di un successo enorme, che nel 2001 spinse Yanai ad avventurarsi all’estero. Al momento ci sono più di 2.400 negozi in 25 Paesi. L’inconfondibile scritta rossa su sfondo bianco è apparsa anche nelle strade delle grandi città europee. Per la cronaca, Uniqlo ha aperto il primo (e al momento unico) negozio in Italia nel 2019, a Milano, in piazza Cordusio.
Il concetto di Lifewear, ossia abbigliamento per la vita
Uniqlo ha saputo trasformare la sua immagine iniziale, quella di una catena a basso prezzo che aveva costruito la sua reputazione su prezzi economici vestiario. «Non mi interessa essere il più economico. Voglio essere apprezzato per aver offerto bei vestiti. Essere conosciuti per essere a buon mercato è triste», ha affermato Yanai. Ci sono infatti differenze sostanziali tra Uniqlo e le concorrenti del settore. Il brand giapponese non segue i calendari di vendita degli altri marchi di fast fashion; al contrario, la sua programmazione viene guidata dallo sviluppo dei prodotti anziché dalle tendenze del momento. Punta sullo stile minimale e funzionale dei capi. Produce abiti semplici, efficienti e intrisi di innovazione tecnologica, tre caratteristiche tipiche del made in Japan. Lo stile, invece, è pensato per adattarsi e migliorare ogni ambito della vita, ed è per questo che Uniqlo ha sposato il concetto di Lifewear, ossia abbigliamento per la vita.
Il successo di cashmere e biancheria intima termica Heattech
La grande svolta dell’azienda è arrivata nel 2004, con la nuova Dichiarazione di qualità globale, una promessa di smettere di produrre prodotti a basso prezzo e di bassa qualità. «Uniqlo non è un’azienda di moda. È un’azienda tecnologica», ama ripetere il fondatore. Da quel momento in poi, ha iniziato a produrre cashmere e la biancheria intima termica Heattech, ancora adesso due delle sue categorie di maggior successo. Oltre che per la sua coloratissima maglieria in cashmere e merino, Uniqlo è diventata famosa per i suoi piumini leggeri, il suo denim giapponese, realizzato con tecniche tradizionali e, sempre di più, per le sue camicie. L’azienda ha inoltre rafforzato la collaborazione con il gigante dell’innovazione Toray per creare tessuti tecnologicamente capaci di soddisfare le esigenze climatiche e pratiche. «Non sono mai veramente soddisfatto di niente perché questo mondo è in continua evoluzione. Se continui a salire, vedrai un’altra montagna più alta. Sali su quella vetta e ne vedi un’altra. Alla fine morirò perché questa è la vita. Ma sto scalando montagne perché mi piace farlo», ha ammesso Yanai, pronto a scalare un’altra montagna.