La ministra Roccella contro i nomi per bambini ai cani: «Spia di un bisogno di avere figli»

Il cane è mio e me lo gestisco io. Potrebbe essere questo il nuovo slogan delle piazze dopo l’ennesima uscita della ministra per la Famiglia Eugenia Maria Roccella. Dopo aver pontificato su aborto e maternità, eccola tornare all’attacco. «Questo tentativo di dare i nomi dei bambini ai cani, è sintomo di un bisogno che evidentemente c’è, però viene trasferito sugli animali», ha detto intervenendo a Fenix, la festa dei giovani di Fratelli d’Italia. «Serve una rivolta a difesa dell’umano. La famiglia, la filiazione, sono il cuore, sono le basi dell’umano, ma ora sono a rischio». La ministra si è accodata al pensiero del Papa che, circa un mese fa, si era rifiutato di benedire un cagnolino, condividendo la sua idea già espressa in passato: «Invece dei figli preferiscono avere cani e gatti: è l’affetto programmato, un affetto senza problemi».

Eugenia Roccella, ministra per le pari opportunità e la famiglia (foto Imagoeconomica).

Roccella, no a cani chiamati «Riccardo, Eugenio, Giovanni Maria»

La ministra ha proseguito la sua «analisi» sulla crisi della natalità nel Paese: «Il problema oggi sono proprio le basi dell’umano che sono a rischio, perché la famiglia è il cuore dell’umano. Perché sono a rischio? Io sono animalista, amo moltissimo cani e gatti, ho quattro gatti e un cane, non è una questione di ostilità nei confronti degli animali, però quando mi capita di portare il cane ai giardinetti sento il richiamo dei proprietari rispetto al proprio cagnolino e sento Giovanni, Eugenio, Riccardo, addirittura anche nomi compositi, ho sentito pure Giovanni Maria, cioè comincia a diventare effettivamente, abbastanza… una confusione non casuale perché questo tentativo di appaiare in qualche modo i nomi che si danno ai bambini, nomi umani, ai cani, è sintomo di un desiderio, di un bisogno che evidentemente c’è, un bisogno di affettività, un bisogno in qualche modo di famiglia, che però viene trasferito in maniera impropria sugli animali, sui cagnolini e così via».

La soluzione? «Una cultura a difesa dell’umano»

Eugenia Roccella ha dato una delle soluzioni per invertire la tendenza: «Manca una cultura a difesa della vita, a difesa dell’umano, che sostenga la vita, l’umano. Penso che la prima cosa che ha fatto il nostro governo, è stato proprio rimettere al centro questo problema, tornare a mettere al centro la famiglia e la natalità. La natalità era qualcosa di cui neanche si poteva parlare, famiglia e natalità sono ormai vocaboli che non sono più nel lessico internazionale, nei documenti internazionali; maternità è ad esempio una parola completamente cancellata. Noi veniamo dagli anni 60 in cui il club di Roma, l’élite intellettuale e scientifica internazionale diceva che c’era un problema di equilibrio tra le risorse e la popolazione, che c’era troppa popolazione, troppe nascite, che gli umani dovevano essere ridotti perché altrimenti non ci sarebbe stata appunto la possibilità di sfamarci, la possibilità di avere un minimo di benessere, e che quindi il problema era ridurre la natalità. E’ così è stato fatto in tutto il mondo». Una cultura definita dalla ministra come profondamente antinatalista: «La famiglia come criterio premiante, sono una mamma, sono un papà devono essere qualcosa di premiante, serve un cambiamento culturale con il coinvolgimento di tutti gli attori in gioco».

Linda Sabbadini: «L’aumento della natalità non è la soluzione»

L’intervento della Roccella arriva a due giorni esatti dall’evento che si è svolto a Roma martedì 27 giugno, dal titolo «Demografica: Popolazione, persone, natalità» durante il quale è intervenuta Linda Laura Sabbadini, direttore centrale Istat: «Parlare di calo di natalità senza considerare anche la progressiva perdita di popolazione in età lavorativa rischia di non dare quella visione di insieme necessaria per affrontare il problema nella sua interezza». Sabbadini ha parlato di «politiche miopi, prive di una visione di lungo periodo» che «hanno portato alla situazione attuale» e indica due linee di intervento: «incentivare l’occupazione femminile con politiche sociali e risolvere il problema della carenza di popolazione in età lavorativa con politiche che includano l’immigrazione, come ad esempio è stato fatto in Germania nel 2015. Non è realistico e corretto dire che il problema del calo demografico si possa risolvere solo con un aumento della natalità».

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