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La dinastia Wagner e la crisi del Festival di Bayreuth
Sulla Verde Collina di Bayreuth soffiano venti tempestosi. E non sono quelli così genialmente descritti in musica da Richard Wagner nel Preludio dell’opera La Valchiria, prima giornata dell’Anello del Nibelungo.
Intorno al teatro che re Ludwig di Baviera fece costruire per il suo compositore prediletto, e che questi progettò come funzionale scrigno della sua rivoluzionaria drammaturgia, i sussurri polemici sono ormai folate impetuose. Il festival operistico più prestigioso e forse più antico del mondo, fondato da Wagner nel 1876 e sempre esclusivamente dedicato alle sue opere (un evento che ne ha fatto l’epicentro del fenomeno planetario chiamato wagnerismo), fra pochi mesi potrebbe conoscere un cambiamento senza precedenti, la nomina di un direttore artistico che non appartiene alla famiglia del compositore. Un caso mai accaduto in 147 anni.
Wagner e la linea dinastica della rassegna di Bayreuth
La linea dinastica della rassegna di Bayreuth è tutto sommato semplice: dopo la morte di Wagner, avvenuta a Venezia il 13 febbraio 1883, il festival proseguì fino all’inizio del Novecento sotto la supervisione della vedova, Cosima Wagner nata Liszt, e quindi, a partire dal 1908, fu diretto dall’unico figlio maschio del compositore, Siegfried, che morì 61enne nel 1930. Dopo di lui, e mentre il nazismo saliva al potere, le redini passarono alla sua vedova, Winifred, di origine inglese, figlia adottiva di un pianista tedesco, nazista entusiasta, antisemita (come del resto l’illustre suocero e la moglie di lui) e amica personale di Adolf Hitler. Già prima, ma ancor più dopo la presa di potere, il dittatore era di casa nella villa chiamata Wahnfried (più o meno, “la pace dopo le illusioni”), che il compositore si era fatto costruire a poca distanza dal Festspielhaus e nel cui giardino è sepolto. Lì Hitler s’intratteneva con i due figli maschi di Siegfried e Winifred, Wieland e Wolfgang, allora adolescenti. Il Führer aveva un atteggiamento paterno, i due ragazzi secondo le storie di famiglia lo chiamavano zio Adolf. Dopo il 1945, la catastrofe bellica e il pesante coinvolgimento della famiglia Wagner nel nazismo sembravano postulare la fine del Festival di Bayreuth, che invece risorse nel 1951, affidato a Wieland e Wolfgang Wagner. Il primo – regista wagneriano di qualità – morì prematuramente nel 1966. Il secondo ha dominato il festival per oltre mezzo secolo con gestione incontrastata e autocratica, conclusasi nel 2008, all’età di 89 anni. Secondo logica ereditaria, la soluzione dopo il suo ritiro (preceduto da molte polemiche) è stata una “diarchia” formata delle sorellastre Eva e Katharina Wagner, figlie nate dai due matrimoni di Wolfgang, con una differenza di età fra loro di oltre 30 anni. La più giovane è Katharina, nata nel 1978 e diventata direttrice artistica unica del Festival di Bayreuth dal 2015.
I contrasti tra Katharina, pronipote del Maestro e direttrice unica del Festival, e il consiglio
La pronipote di Richard Wagner, in proprio regista d’opera del genere “innovativo” dalla carriera non particolarmente brillante, nei mesi scorsi è entrata in rotta di collisione con il consiglio che sovrintende alla gestione economica del festival. Si tratta di un organismo composto dai rappresentanti dei principali finanziatori della rassegna, il ministero federale tedesco della Cultura, quello del Land della Baviera, la città di Bayreuth e l’associazione degli Amici del Festival, il cui delegato è attualmente il presidente. Occasione del contrasto, dietro al quale pare peraltro di capire esista una storia non breve di incomprensioni e di scarsa fiducia, la nuova e molto attesa produzione del Parsifal che ha inaugurato il festival lo scorso 25 luglio. Lo spettacolo reca la firma di Jay Scheib, 53enne regista americano di Shenandoah, Iowa, considerato una delle punte di diamante dell’innovazione teatrale (con un curriculum peraltro non particolarmente ricco nello specifico campo operistico), docente di Arti della Musica e del Teatro al prestigioso Massachusetts Institute of Technology. La caratteristica che più ha attirato l’attenzione dei media e la curiosità del pubblico è l’impiego durante la rappresentazione di tecnologie per la creazione di realtà aumentata, con l’utilizzo da parte di chi assiste di speciali visori. Di fatto, alla prima la realtà aumentata ha riguardato solo una parte degli spettatori: i presenti erano quasi 2 mila, i dispositivi necessari per questa fruizione poco più di 300. Il limite era stato deciso dal consiglio di gestione per motivi economici (si è parlato di un costo di 1.000 euro per visore) ed è stato letto dagli osservatori come un attacco diretto a Katharina Wagner e alle sue scelte artistiche, che ormai da parecchi anni sono nel mirino della parte più conservatrice non solo del pubblico ma soprattutto degli amministratori, rappresentata dagli Amici del Festival.
La difficoltà a riempire la sala e gli eccessi del Regietheater
Al contrasto specifico si è aggiunto un motivo di discussione nuovo e del tutto inedito per il festival wagneriano: a quanto pare, la leggendaria difficoltà di procurarsi i biglietti– anni di lista d’attesa a causa del perenne tutto esaurito – non esiste più. Anzi, ci sono spettacoli che non riempiono la sala. A differenza che in passato, adesso gli appassionati possono sperare di comperare i preziosi tagliandi al volo su Internet, registrandosi sul sito. Katharina Wagner non ha negato problemi, ma li ha addebitati a difficoltà organizzative, mentre autorevoli esponenti del mondo musicale tedesco, come ad esempio l’anziano ex sovrintendente dell’Opera di Vienna, Ioan Holender, hanno indicato una causa ben diversa: il pubblico sarebbe sempre più sconcertato dagli spettacoli che si vedono a Bayreuth e per questo sarebbe portato ad “astenersi”. Secondo questa tesi, la contrarietà agli eccessi del cosiddetto Regietheater – che pure vide la luce proprio nel teatro sulla Verde Collina, con l’innovativo Ring messo in scena nel 1976 da Patrice Chéreau – sarebbe passata dai discorsi più o meni accesi durante gli intervalli delle rappresentazioni, dalle contestazioni a fine spettacolo, dalle dispute sui social network, a una vera e propria forma di boicottaggio concreto. Al di là di quella che nel mondo dei melomani è ormai una vera e propria questione ideologica, i numeri a festival concluso diranno se la crisi dei biglietti è vera o solo presunta. Ma resta il fatto che il bilancio artistico di Katharina Wagner è tutt’altro che esaltante. E le sue scelte sono state spesso molto criticate specialmente per quanto riguarda la Tetralogia – costituita dalle opere L’oro del Reno, La Valchiria, Sigfrido e Il crepuscolo degli dèi, che sono affidate unitariamente alla stessa squadra teatrale e musicale. Il tema è centrale: il teatro di Bayreuth nacque proprio per realizzare la rappresentazione ravvicinata e coerente delle quattro opere che costituiscono L’anello del Nibelungo. Già nel 2013 un enorme clamore era stato suscitato dalla regia del tedesco Frank Castorf, oggi 72 anni, direttore per oltre un ventennio della Volksbühne di Berlino, invitato dalla pronipote di Wagner a “re-immaginare” l’epico ciclo dei Nibelunghi. Ne era uscito uno spettacolo in cui l’oro causa di tutto diventava petrolio e la storia si svolgeva fra il Texas e il Mar Caspio. Titolo della recensione pubblicata dal New York Times: “Le figlie del Reno della Route 66”. Allora, peraltro, solo l’autorevolezza del direttore d’orchestra Kirill Petrenko, debuttante a Bayreuth (è l’attuale direttore stabile dei Berliner, e averlo chiamato va a merito di Katharina Wagner), aveva bloccato il regista, che voleva mettere le mani sul testo poetico-musicale e inserire nella rappresentazione brani di altri compositori. Come aveva commentato il critico Anthony Tommasini, «chi si lamenta dello spettacolo pensi che poteva andare peggio».
Allestimenti criticati e prezzi dei biglietti esorbitanti
Il Ring successivo è quello pure molto controverso tuttora in produzione, firmato dal 34enne austriaco Valentin Schwarz, che doveva debuttare nel 2020 ma è stato bloccato per un anno dal Covid. Qui il racconto mitico e allegorico di Wagner, popolato di dei e guerrieri, nani e giganti, misteriose fanciulle che vivono nelle profondità del Reno, uccellini parlanti e draghi che sputano fuoco sparisce a favore di un immaginario legato alla più stretta attualità, con la rappresentazione di una fatua società con l’orrore di invecchiare. E la parabola sul potere e sull’oro causa di ogni male diventa eco della cronaca peggiore: l’anello che tutti bramano è in realtà un bambino rapito. Nessun elemento magico, assente la Natura. È questo allestimento che a quanto pare fatica a trovare chi compri i biglietti. Una tendenza nella quale l’aumento dei prezzi deve anche avere il suo ruolo: adesso i posti migliori nello scomodo ma carismatico anfiteatro wagneriano costano intorno ai 450 euro ciascuno. Quanto al Parsifal inaugurale di quest’anno, secondo l’Associated Press è stato contestato dal 5-10 per cento del pubblico e alla fine applaudito per un quarto d’ora, che per le abitudini tedesche non è neanche molto. Si sa che Wagner amava e inseguiva gli effetti speciali e rivoluzionò anche il modo di inscenare l’opera e di assistervi (oggi – solo per dire – il buio in sala è ovvio, ma quando il compositore tedesco lo impose nel 1876 era una novità assoluta), ma le prime recensioni sembrano revocare in dubbio che la realtà aumentata sia un elemento utile a rileggere questo complesso “dramma sacro”. La minuziosa descrizione che ne abbiamo letto lascia in effetti un po’ interdetti. Figure evanescenti che si dissolvono in fiamme, armi che fluttuano nell’aria, teschi sorridenti, immagini di uccelli o altri animali…Pare di capire che anche senza costosi visori (per il pubblico pagante, un centinaio di euro oltre al prezzo del biglietto) non si perda poi granché.
Katharina Wagner può anche vantare notevoli successi, naturalmente, come ad esempio i magnifici Maestri cantori di Norimberga in scena nel 2017 con la regia dell’innovativo regista australiano Barrie Kosky. Uno spettacolo che è piaciuto a tutti, ambientato all’inizio nella villa di Wagner e nell’ultimo atto nella cornice del processo di Norimberga. A dimostrazione che il teatro di regia non è negativo in quanto tale: quando funziona diventa rivelatorio molto più di uno spettacolo tradizionale. In ogni caso, il destino della direttrice artistica del teatro sulla Verde Collina si deciderà nei prossimi mesi. Secondo varie fonti tedesche, l’impegno finanziario degli Amici del Festival sarebbe destinato a ridursi, lasciando spazio a maggiori contributi da parte del libero Stato di Baviera, il cui ministro della Cultura sostiene la linea della continuità. Lei si proclama disposta a lasciare senza problemi, se necessario, ma intanto rilancia, parla della necessità di un lavoro massiccio sul marketing, di un’organizzazione diversa, di realizzare nel 2026 – a 150 anni dall’inaugurazione – la prima rappresentazione a Bayreuth del Rienzi, finora sempre escluso – come tutte le opere giovanili – dal “canone” del festival. Resta il fatto che pesa ancora la rottura con uno dei maggiori specialisti wagneriani, il direttore d’orchestra Christian Thielemann, mentre la qualità degli spettacoli, regnante la pronipote di Wagner, è spesso, se non sempre una scommessa. Di sicuro, un direttore artistico che dura più di 15 anni è una rarità dappertutto. Ma Bayreuth resta un altro mondo.