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La crescita di Bcc Pay evidenzia le difficoltà di Nexi
Banco Bpm martedì 11 giugno ha annunciato di aver concesso l’esclusiva a Bcc Pay – società detenuta al 60 per cento da Fsi-Fondo strategico italiano, la Sgr guidata da Maurizio Tamagnini – per l’avvio del progetto per la valorizzazione del business della monetica, cioè l’insieme dei trattamenti elettronici, informatici e telematici che servono alla gestione dei pagamenti tramite carte di credito e simili. Per il settore italiano è una rivoluzione, ma soprattutto è una metafora: Davide che sconfigge Golia. Infatti, gli altri pretendenti della gara per aggiudicarsi il business della banca milanese erano due colossi della taglia della francese Wordline e soprattutto dell’italiana Nexi, forti rispettivamente di un fatturato di oltre 4,3 e 3,2 miliardi di euro. Bcc Pay invece fa poco meno di 100 milioni.
Il ruolo centrale di Tamagnini e Arrighetti, manager di lungo corso
Il mix vincente per Davide-Bcc Pay è stata la flessibilità finanziaria e la credibilità tecnologica e manageriale degli attori in campo. Infatti, Banco Bpm rimarrà azionista nella joint venture che si andrà a costituire. Se tutto andrà come previsto, la nuova partnership porterà alla creazione del secondo operatore nazionale, per di più interamente controllato da istituzioni Italiane. Bcc Pay ha evidentemente intenzione di investire sulle piattaforme di monetica, integrando velocemente quella esistente, che ora serve il sistema delle 120 banche di credito cooperativo, con quella che andrà ad acquisire. Protagonisti dell’operazione alcune vecchie conoscenze della business community: Maurizio Tamagnini, azionista principale di Fsi, e Massimo Arrighetti, ora presidente di Bcc Pay, colui che ha costruito Sia, l’azienda dei pagamenti fusa nella stessa Nexi a fine 2021.
Brutto momento per Nexi, ai minimi in Borsa: titolo a 7 euro
Per Bcc Pay si aprono ora molte ipotesi di sviluppo. La prima ce l’ha già in casa: Fsi ha concluso a fine aprile 2023 un accordo per diventare azionista di minoranza di Bancomat, la società che gestisce 32 milioni di carte italiane di debito, attraverso un aumento di capitale da 100 milioni. Altri possibili clienti Bcc Pay se li cercherà tra le banche e le società dei pagamenti non soddisfatte del servizio dato da Nexi. Che di suo non sta passando certo un bel momento, come testimonia l’andamento del titolo in Borsa, fermo a 7 euro da un anno, e arrivato a toccare la fine del mese scorso i 6,9 euro, minimo storico da quando è stata quotata nell’aprile del 2019. In un mercato azionario cresciuto nell’ultimo anno del 28 per cento, Nexi è rimasta ferma al palo, anzi è calata un po’. Mentre nel momento migliore, a luglio del 2021, aveva raggiunto i 19 euro.
L’uscita di Intesa Sanpaolo dall’azionariato è stata pesante
Il vertice aziendale, ossia l’amministratore delegato Paolo Bertoluzzo e il fedele direttore finanziario Bernardo Mingrone, ostenta tranquillità e addebita il cattivo andamento del titolo a cause esogene. La prima è l’uscita “inaspettata” e pesante dall’azionariato di Intesa Sanpaolo, che a metà novembre del 2022 ha venduto 67 milioni di titoli Nexi con un accelerated bookbuilding al prezzo di 8,7 euro per azione (a sconto del 10,8 per cento sul prezzo di chiusura del 14 novembre e con una minusvalenza di circa 100 milioni) per un incasso di 584 milioni di euro. Secondo i manager di Nexi, che non ne erano a conoscenza, la vendita ha indirettamente comunicato al mercato la sfiducia di un grande azionista zavorrando il titolo, sceso il giorno dopo del 9 per cento.
Scarso appeal del titolo, investitori e compratori alla larga
La seconda è che il settore dei pagamenti di tutta Europa e dell’high tech in generale non sono più al centro delle attenzioni degli investitori, e quindi i multipli sono calati drasticamente: ai tempi d’oro, tra il 2015 e il 2018, erano vicini a 15 volte l’ebitda, ora Nexi è valutata circa 8,5 volte. La terza causa, sempre secondo il management della società, è legata alla tipologia dei suoi principali azionisti, cioè fondi di private equity stranieri (Bain, Advent, H&F, Gic, Ab Europe, e altri), Cassa depositi e prestiti e Poste italiane. Un mix, sostengono in Nexi, che porta a un deprezzamento del titolo poiché da una parte i fondi vorrebbero velocemente vendere con la solita logica di far girare le partecipazioni, cosa che però avrebbe come conseguenza negativa di inondare il mercato di azioni; dall’altra Cdp è un socio che può facilmente richiedere al governo, cioè al suo azionista, l’applicazione del golden power per preservarne l’italianità. L’effetto delle tre cause combinate è di tener lontani da Nexi possibili nuovi investitori o compratori, azzerando così ogni appeal speculativo sul titolo.
Per Nexi una serie di débâcle iniziate già nel 2018
Non è la prima volta che Nexi soffre di queste débâcle. Anche appena ammessa al listino di Borsa, nel 2018, quando non si era fusa ancora con Sia e Nets, al prezzo di 9 euro, era caduta subito sfiorando gli 8. Per poi lentamente risalire ma solo grazie alla prospettata fusione con Sia, progetto che il governo grillino e l’ex amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, Fabrizio Palermo, vollero realizzare a tutti i costi per creare un colosso europeo dei pagamenti. Così dagli 8-9 euro il titolo sale nel 2020 quasi a 17 e poi spicca il volo sino ai 19 euro a metà del 2021 in prossimità degli accordi di fusione anche con Nets, la società danese dei pagamenti. Di lì in avanti il calo repentino sino agli attuali 7 euro.
Troppo alta la valutazione della società al momento della quotazione
Oltre a quello che i manager dicono, secondo gli analisti del settore sono tre i peccati originali della nascita che hanno portato Nexi a queste pessime performance. L’alta valutazione della società al momento della quotazione, imposta dagli azionisti di allora, principalmente i fondi Bain, Advent e Clessidra; Nexi è stata quotata a 9 euro e i principali investitori iniziali furono fondi speculativi che in poco tempo hanno venduto il titolo, tanto da portarlo agli 8 euro dopo poche settimane. L’alta valutazione di allora si è portata dietro anche i valori a cui poi sono state valutate Sia e Nets al momento della fusione con Nexi nel 2021.
L’acquisto di Nets e la creazione di un mostro a tre teste
Il secondo peccato è dato dall’acquisto di Nets che Bertoluzzo ha voluto a tutti i costi inserire nel deal tra Nexi e Sia, pur sapendo che era un problema. Il manager aveva l’obbiettivo di rendersi più indipendente da Cassa depositi e prestiti, mal vista in quanto emanazione dello Stato italiano. E con la fusione anche con Nets è riuscito così a diluire un po’ di più Cdp che ora detiene il 13,5 per cento del gruppo. Ma Bertoluzzo ha creato un mostro a tre teste che ora gli crea molti problemi, soprattutto derivanti da Nets che non riesce a inglobare dal punto di vista organizzativo. E ha impoverito il gioiello tecnologico Sia vendendone pezzi che lui ritiene non più strategici.
Bertoluzzo, un manager non proprio amato dai banchieri
Il terzo peccato di Nexi è aver voluto mettere assieme un fornitore, cioè Sia, e Nexi, cioè un cliente, integrando la catena del valore al fine di creare un colosso dei pagamenti italiano e in parte europeo. Era un pallino del fondo Bain per creare valore e poi dismettere con una ricca plusvalenza. Idea che hanno prima venduto all’ex ad di Cassa Palermo, e poi al governo grillino e in particolare a Riccardo Fraccaro, l’ex sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri. Da quest’ultimo viene fuori anche il forte appoggio alla nomina a capo della nuova Nexi di Bertoluzzo, un manager non proprio amato dai banchieri italiani che ne lamentano una certa arroganza, e che fino al 2016 si era occupato di vendere contratti telefonici come capo worldwide del commerciale di Vodafone.
Debito sostenibile ma comunque “monstre” di 5,4 miliardi
Alla fine il risultato è che Nexi quota a 7 euro, e ha un debito sostenibile ma comunque “monstre” di 5,4 miliardi di euro. Risultati che hanno costretto Cdp a svalutare la sua partecipazione nel bilancio 2022. E ora, con la crescita di Bcc Pay, Nexi ha un altro competitore italiano molto credibile, in aggiunta agli altri internazionali già presenti sul mercato. Alcuni manager del settore citano poi altri due particolarità negative di Nexi: la mono-cultura che Bertoluzzo ha instaurato mettendo a capo delle varie funzioni solo persone provenienti dalla vecchia Nexi, cioè suoi manager; e la lentezza con cui la società fa saving sulle innumerevoli piattaforme che gestiscono i pagamenti e che provengono dalle diverse acquisizioni fatte nel tempo. L’ultima quella dell’80 per cento del business merchant acquiring di Sabadell, banca spagnola, pagata (secondo il mercato eccessivamente) 280 milioni di euro.
I fondi temono che il governo Meloni suggerisca un manager a loro ostile
In questo momento i fondi Bain e Advent, pur capendo che la strategia di Nexi è sbagliata e valutando negativamente le performance del titolo e quindi del vertice della società, difendono ancora Bertoluzzo e Mingrone. I fondi non pongono il problema del cambio di vertice perché hanno timore che, attraverso Cassa depositi e prestiti, il governo Meloni suggerisca un manager a loro ostile. Il risultato è che in questo contesto per gli investitori non ci saranno ancora per molto tempo né dividendi né crescita del titolo. A meno di un drastico cambio di management e strategia.