Israele stretto tra la volontà di annientare Hamas e il rischio di escalation nell’area

Dopo lo choc per l’attacco di Hamas, l’esercito israeliano sta bombardando incessantemente la Striscia di Gaza, dove si prepara a entrare da terra con i 300 mila riservisti richiamati nelle giro di poche ore. Man mano che vengono diffusi maggiori dettagli sull’azione dei terroristi islamici, nella popolazione dello Stato ebraico aumenta il senso di umiliazione e rabbia, perché i segnali di un attacco c’erano tutti ma sono stati ignorati – insieme al desiderio di vendetta. La riuscita dell’operazione di Hamas è stata totale. Un successo che non può essere perdonato. Perciò la risposta di Tel Aviv deve essere altamente aggressiva. Sì, ma fino a che punto si può spingere, se già le Nazioni Unite hanno definito «illegittimo» l’assedio di Gaza?

Per l’Idf la «massima priorità è eliminare i comandanti di Hamas»

Quasi ogni cittadino israeliano conosce qualche amico o conoscente coinvolto negli attacchi nel Sud del Paese. Da qui la volontà di mobilitarsi. Ai 300 mila riservisti richiamati dall’esercito si sono aggiunti numerosi  volontari. Come se il popolo israeliano volesse rimediare agli errori del suo governo. Israele però deve capire cosa fare. E come. Nell’ultima notte sono stati centrati 450 obiettivi dell’organizzazione paramilitare islamista e delle altre fazioni palestinesi. Solo a Beit Hanoun, nel nord della Striscia, sono stati 80 gli obiettivi colpiti, comprese due banche usate da Hamas, un tunnel e due centri operativi. Nella giornata del 10 ottobre le forze di difesa israeliane (Idf) hanno ucciso 18 miliziani palestinesi, «terroristi che non erano riusciti a rientrare a Gaza e che continuavano a nascondersi in posti vicino il confine». Sarebbe inoltre andato distrutto il sistema di rilevamento aereo di Hamas. «Stiamo andando verso un incremento degli attacchi verso la Striscia. La massima priorità è quella di eliminare i comandanti di Hamas», ha detto il portavoce militare Daniel Hagari. Fonti palestinesi affermano che i missili israeliani hanno distrutto a Gaza la casa della mente degli attacchi di Hamas a Israele, Mohammed Deif, uccidendo il fratello e membri della sua famiglia, compresi il figlio e la nipote. Dello stratega dell’assalto non si avrebbero però notizie.

I dubbi di Israele: cosa fare, davvero, con la Striscia di Gaza e Hamas? Il vero obiettivo di Tel Aviv non è ancora chiaro.
La devastazione di Gaza dopo i missili israeliani (Getty Images).

Il dramma dei civili palestinesi: l’assedio è appena iniziato

Va da sé che, compiendo attacchi in aree densamente popolate allo scopo di eliminare i comandanti, Israele continuerà a uccidere civili innocenti. Bambini compresi. Il bilancio nella Striscia è già salito a oltre mille vittime. E questo potrebbe causare problemi in futuro sulla scena internazionale. Bisogna aggiungere che Hamas ha minacciato di giustiziare un ostaggio per ogni bombardamento israeliano su abitazioni civili a Gaza senza preavviso. In realtà, scrive Haaretz, lo scopo dell’operazione militare israeliana potrebbe essere tuttora indefinito. Lo Stato ebraico vuole mettere in atto una “semplice” rappresaglia o eradicare una volte per tutte Hamas da Gaza? Il secondo obiettivo richiederebbe l’occupazione della Striscia, che fino a pochi giorni fa non era certamente nei piani. Sempre secondo quanto riporta il quotidiano israeliano, si avverte il consenso, nella politica e nella maggior parte dei media, sul fatto che non ci sia altra scelta che bombardare a tappeto Gaza, per poi andare casa per casa. Una prospettiva che fa rabbrividire. Anche perché i 2,2 milioni di palestinesi che vivono nella Striscia sono in trappola. Per questo gli Usa stanno lavorando per creare corridoi umanitari per civili, feriti e medicine. Anche perché a Gaza è in vigore il blocco totale del rifornimento di energia elettrica, acqua e cibo, mentre gli sfollati interni, ha fatto sapere l’Onu, si avvicinano a 200 mila.

I dubbi di Israele: cosa fare, davvero, con la Striscia di Gaza e Hamas? Il vero obiettivo di Tel Aviv non è ancora chiaro.
Palestinesi in fuga dalla Città di Gaza (Getty Images).

Il rischio di un allargamento del conflitto e il ruolo degli Usa

C’è poi la questione del possibile allargamento del conflitto. Da nord, Hezbollah continua a lanciare razzi su Israele, in risposta ai colpi di artiglieria sparati da Tel Aviv in Libano a ridosso della Linea Blu che segna la demarcazione tra i due Paesi. Nel breve periodo, lo spostamento di diverse divisioni al comando settentrionale dovrebbe ridurre la possibilità di un attacco a sorpresa da Beirut, come avvenuto con Hamas nel sud del Paese.  L’esercito israeliano ha inoltre reso noto di aver individuato il lancio di cinque razzi dalla Siria e di aver risposto attaccando le postazioni nemiche. Sullo sfondo c’è poi l’Iran, che potrebbe aver fornito ad Hamas appoggio militare. E qui entrano in gioco  gli Stati Uniti. Washington ha deciso di rafforzare la sua presenza militare in Medio Oriente, sia aerea che navale, spostando due portaerei vicino alle coste di Israele. Più che per Gaza, un messaggio per Teheran. Per la cronaca, il 10 ottobre Hadi al Amiri, uno degli esponenti più agguerriti del jihadismo sciita iracheno, ha dichiarato: «Se gli americani interverranno, noi li prenderemo di mira», riferendosi alle truppe statunitensi dispiegate in Iraq. Insomma, l’Idf non avrebbe reali problemi nel condurre una campagna prolungata nella Striscia di Gaza. La grande difficoltà risiederebbe in una guerra su più fronti, nella quale sarebbe necessario un aiuto reale da parte degli americani. Con tutte le conseguenze del caso. In tutto questo,  temendo una rivolta araba, il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben Gvir, ha detto che «occorre distribuire armi ai cittadini».

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I dubbi di Israele: cosa fare, davvero, con la Striscia di Gaza e Hamas? Il vero obiettivo di Tel Aviv non è ancora chiaro.
La barriera al confine tra Israele e Libano (Ansa).

I negoziati non sono una possibilità: Netanyahu pronto al pugno duro

Per Benjamin Netanyahu Hamas ha agito con «una ferocia mai vista dai tempi della Shoah». Definendo l’operazione Diluvio di Al-Aqsa  l’11 settembre israeliano. La narrativa di Bibi, a cui è stato affidato il compito di formare un governo di unità nazionale, è che una democrazia che si difende dopo un attacco criminale di questo tipo sia legittimata ad adottare misure molto più dure. Soprattutto perché le violenze perpetrate nelle comunità al confine di Gaza non sono l’espressione di una lotta per la liberazione nazionale, ma un attacco terroristico da parte di un’organizzazione fondamentalista, che ha evidenziato di non aver alcuna intenzione di avviare negoziati con Israele. Questo, scrive Haaretz, richiederà un nuovo modo di pensare da parte della sinistra sionista israeliana che sperava che le intenzioni bellicose di Hamas potessero essere frenate. Per Israele è stato un colpo duro, durissimo, destinato a influire sulla stabilità della regione. E Hamas ha confermato di essere il peggior nemico della causa palestinese: è questa, al momento, l’unica certezza.

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