Intelligenza artificiale, prospettive e rischi nell’Asia Pacifico

Un’opportunità per aumentare la produttività o un vaso di Pandora che, una volta scoperchiato, falcidierà milioni di posti di lavoro e cancellerà intere professioni? È l’interrogativo che si pone davanti allo sviluppo dell’Intelligenza artificiale (IA). Per avere un’idea di cosa aspettarsi in un futuro non troppo lontano, è utile dare un’occhiata a cosa sta succedendo in Asia, un continente da sempre precursore in materia di hi-tech. Dalla Cina al Giappone, dalla Corea del Sud all’India, quasi tutti i Paesi dell’area stanno cercando di sfruttare al meglio i vantaggi dell’IA. Secondo l’ultima Worldwide Artificial Intelligence Spending Guide dell’International Data Corporation, la spesa nell’Asia-Pacifico per l’intelligenza artificiale – inclusi software, servizi e hardware – crescerà fino a raggiungere la cifra di 49,2 miliardi di dollari nel 2026. Per la società di consulenza Detons, si tratta del mercato dell’IA in più rapida crescita al mondo. Escludendo il Giappone, si prevede inoltre che entro la fine del 2023 gli investimenti in nuove tecnologie rappresenteranno quasi il 40 per cento degli investimenti totali nell’informazione e nella comunicazione. Una tendenza che dovrebbe proseguire almeno per il prossimo decennio, mentre si stima che il resto del mondo si fermi a un tasso del 22 per cento. Ma per quale motivo il continente asiatico è così in vantaggio? E quali potrebbero essere le controindicazioni socio-economiche dell’IA?

Intelligenza artificiale, prospettive e rischi nell'Asia Pacifico
Il logo di ChatGpt (Getty Images).

Dall’agricoltura alle assicurazioni: le applicazioni dell’IA in Cina

Paesi come Cina, Giappone, Corea del Sud, India, Taiwan e Singapore hanno annunciato strategie nazionali sull’IA da svariati milioni di dollari per promuovere e regolamentare il settore. Analogamente altre nazioni, tra cui Australia, Thailandia e Indonesia, hanno stabilito programmi mirati. In particolare, la crescita della Cina è la più rilevante e, almeno in parte, può essere attribuita ai visionari del settore privato. Un esempio su tutti è Kai-Fu Lee, ex presidente di Google Cina considerato il guru dell’intelligenza artificiale che gestisce un fondo di investimento a doppia valuta da 1,7 miliardi di dollari e che ha supportato sette start-up diventate tutte “unicorni”. Parlando di esempi più concreti di applicazione dell’IA, non va poi dimenticato Alibaba, il gigante dell’e-commerce che nel 2018 ha lanciato piattaforma Agriculture Brain consentendo agli agricoltori di aumentare i raccolti e ridurre la perdita di profitti attraverso l’accesso a strumenti “intelligenti”. Il modello di apprendimento automatico della piattaforma elabora vari dati, comprese le immagini satellitari, prevede i disastri naturali e si affida al riconoscimento visivo e vocale per rilevare le malattie negli allevamenti. In altri settori, come quello delle assicurazioni, l’IA è sfruttata da conglomerati tcome Prudential Singapore e Sompo Japan che hanno entrambi automatizzato numerosi aspetti del ciclo di gestione dei sinistri, incorporando l’apprendimento automatico per rilevare e ridurre le frodi e semplificare le valutazioni.

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Il guru cinese dell’IA Kai-Fu Lee (Getty Images).

Con l’IA è possibile automatizzare le attività che oggi assorbono il 60-70 per cento dei dipendenti

Dietro le opportunità offerte dall’IA si nascondono però zone d’ombra. Secondo un rapporto McKinsey pubblicato lo scorso giugno l’IA generativa ha il potenziale per automatizzare le attività lavorative che oggi assorbono il 60-70 per cento del tempo dei dipendenti. Ciò significa che le attività individuali nel marketing o nel settore ricerca & sviluppo potranno essere automatizzate rendendo superfluo il lavoro umano. Molto più pessimista è il report dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: più di un quarto dei posti di lavoro dell’area Ocse si basa su competenze che potrebbero essere facilmente automatizzate nella prossima rivoluzione dell’intelligenza artificiale. In soldoni, lo sviluppo della tecnologia potrebbe portare a licenziamenti di massa. Tanto più in Asia. Da questo punto di vista, ha sottolineato il South China Morning Post, l’unica risposta a un cambiamento così radicale sarà consolidare il sistema educativo per formare i cittadini di domani. Il trucco, spiegano gli esperti, consiste insomma nell’anticipare quali settori e competenze richiederanno una riqualificazione. Per poi lasciare il resto nelle mani dell’IA.

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La World Artificial Intelligence Conference di Shanghai (Getty Images).

In Asia Pacifico entro il 2040 andranno persi 63 milioni di posti

Lo scenario non è dei più rassicuranti. Secondo uno studio di Forrester, in India, Cina, Corea del Sud, Australia e Giappone il rischio di perdere il lavoro a causa dell’automazione 4.0 è più alto che in Occidente. E questo nonostante le opportunità offerte dall’economia verde e dalle tlc. Si stima che entro il 2040, questi Paesi – con i dovuti distinguo – creeranno 28,5 milioni di nuovi posti di lavoro nelle rinnovabili, nell’edilizia sostenibile, nelle città e nelle infrastrutture intelligenti. Allo stesso tempo si prevede che 63 milioni di posti nella regione Asia-Pacifico andranno perduti a causa dell’automazione, con oltre 247 milioni di posti a rischio nell’edilizia e nell’agricoltura.

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