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India, dalla Luna al Pil è il momento del gigante asiatico
È stato atteso per anni, profezia dopo profezia. All’alba degli Anni 2000 si parlava di “miracolo indiano” come pressoché imminente. Ci si aspettava che nel breve periodo il gigante asiatico risorgesse dalle ceneri del suo passato per imporsi come superpotenza globale. La realtà ha però visto la Cina spiccare il volo e l’India restare impantanata nelle sabbie mobili dei suoi gravi problemi strutturali, all’apparenza irrisolvibili. Adesso, con un po’ di ritardo sulla tabella di marcia, il momento dell’Elefante potrebbe finalmente essere arrivato. E il rinnovato successo coincide simbolicamente con la “passeggiata” sulla Luna realizzata dal rover Pragyan della missione Chandrayaan-3.

Dalla Luna all’atletica: i segnali della corsa indiana
L’India, quasi contro ogni pronostico, si è infatti iscritta al ristrettissimo club d’élite dei Paesi fin qui riusciti a raggiungere una simile impresa, assieme a Stati Uniti, Russia e Cina. Solo che lo ha fatto spendendo appena 74 milioni di dollari – un decimo della missione della Nasa Maven del 2013 – e diventando la prima potenza in assoluto ad allunare vicino al polo sud del nostro satellite. Ma l’impresa spaziale è solo la punta dell’iceberg. Ci sono tanti altri segnali di una potenziale stagione di successo in arrivo. In campo economico, i Ceo di decine di big tech e grandi aziende – da Alphabet Google a Ibm – hanno nazionalità indiana o sono comunque nati in India. Nello scacchiere geopolitico, Delhi sta inoltre assumendo un ruolo chiave, risultando sia un perno centrale della strategia statunitense nel contenimento alla Cina sia un membro di spicco del cosiddetto Sud del mondo. In altre parole, e dimostrando di saper maneggiare elevate dosi di pragmatismo, l’India fa parte del Quad così come dei Brics, a dimostrazione di come, prima o poi, le principali questioni mondiali potrebbero passare anche da Delhi. Persino nello sport si festeggia dalle parti di Rashtrapati Bhavan, sede della presidenza indiana. Ai campionati mondiali di atletica leggera di Budapest, Neeraj Chopra ha trionfato diventando il primo campione mondiale di giavellotto dell’India con un lancio di 88,17 metri.

La carica di Ceo di origini indiane alla guida dei colossi tech (e non solo)
In Asia è fin troppo comune ascoltare i “ruggiti delle Tigri”, Paesi in ascesa grazie a un rapido percorso di sviluppo. Da Taiwan alla Corea del Sud, fino al Giappone, tante nazioni hanno raggiunto il successo partendo da situazioni drammatiche. E ora potrebbe essere arrivato il momento dell’India. Delhi dovrà però prima gettare solide fondamenta sulle quali edificare il proprio miracolo. Il premier indiano Narendra Modi sarà chiamato, ad esempio, a trattenere i cervelli del Paese, tentati dalle sirene statunitensi della Silicon Valley, e, se possibile, a richiamare in patria chi ha accumulato esperienza all’estero. Per la cronaca, l’elenco di questi ultimi è impressionante. Pichai Sundararajan è Ceo di Alphabet Google, Satya Nadella di Microsoft, Neal Mohan di YouTube, Shantanu Narayen di Adobe, Arvind Krishna di Ibm, Vasant “Vas” Narasimhan di Novartis, Anjali Sud di Vimeo. Persino Starbucks è gestita da mani indiane, il Ceo è Laxman Narasimhan, così come Chanel guidata da Miss Leena Nair. Per non parlare di OnlyFans con Amrapali Gan. E la lista potrebbe continuare ancora. Se fin qui l’India ha offerto tante menti brillanti ad aziende e multinazionali straniere, e ben poco ha raccolto per il proprio sviluppo, questo lo si deve ad almeno tre fattori. Il primo chiama in causa l’inefficiente burocrazia, unita a un sistema politico lento e farraginoso. In secondo luogo va considerato che l’intero Paese è caratterizzato da enormi squilibri macro e micro economici, con un abisso evidente tra le grandi città e le aree rurali, in termini infrastrutturali ma anche di istruzione. Si arriva così al terzo punto critico: le spaccature religiose e culturali che in più frangenti hanno dato vita a violenze deprecabili da parte della maggioranza nazionalista indù contro le minoranze musulmane e cristiane.

Una crescita che sembra non conoscere freni
La Banca Mondiale – guidata tra l’altro dall’indiano naturalizzato statunitense Ajay Banga, ex presidente Exor – ha recentemente evidenziato come l’India con un Pil nel 2022 cresciuto del 7 per cento sia «meglio posizionata per navigare con venti globali contrari rispetto ad altre grandi economie emergenti». Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale quella indiana sarà l’economia in più rapida crescita al mondo nel 2023. Il suo Pil dovrebbe espandersi del 6,1 per cento, ben al di sopra della media dei mercati emergenti al 4 per cento, e cinque volte la media del mondo industrializzato ferma all’1,2 per cento. E nel 2024 toccare un +6,4 per cento. Per dare un’idea se la Cina nel 2023 conferma una crescita del Pil del 5,2 per cento, già nel 2024 si contrarrà intorno al 4,5. Last but not least, la popolazione indiana (che si sta avvicinando a 1,428 miliardi e presto supererà quella cinese) è formata per circa il 40 per cento da under 25. Si tratta di una risorsa preziosa in un mondo che invecchia. Modi si trova dunque a operare in un terreno favorevole. Non dovrà compiere errori e, allo stesso tempo, sarà chiamato a rendere l’India attraente. Agli occhi del mondo e degli investitori stranieri.