Incidente Casal Palocco, gli amici di Di Pietro: «Gli avevamo chiesto di rallentare»

Continuano a emergere dettagli sull’incidente, avvenuto a Casal Palocco, che ha causato la morte del piccolo Manuel, di soli 5 anni. Secondo le ultime rivelazioni diffuse dal Corriere, gli amici a bordo del Suv Lamborghini guidato da Matteo Di Pietro, gli avevano chiesto di rallentare, ma lui non aveva ascoltato le richieste del gruppo, arrivando a toccare i 124 chilometri all’ora prima di schiantarsi contro la Smart di Elena Uccello, come riportato nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Angela Gerardi ed eseguita dai carabinieri giovedì scorso.

Matteo Di Pietro (foto Facebook).

Caso TheBorderline, le parole del giudice «Unico fine, impressionare e catturare l’attenzione»

Il giudice non ha dubbi e, come riportato dal quotidiano, sottolinea che Di Pietro avrebbe noleggiato la Lamborghini «con l’unico ed evidente fine di impressionare e catturare l’attenzione di giovani visitatori del web per aumentare i guadagni della pubblicità, a scapito della sicurezza e della responsabilità e di conseguenza a procedere ad una velocità superiore ai limiti indicati. Tanto più che alcuni dei passeggeri presenti all’interno della Lamborghini (Vito Loiacono, Simone Dutti, Marco Ciaffaroni e Gaia Nota) avevano più volte invitato a ridurre la velocità».

Gli altri youtuber prendono le distanze da Di Pietro

La ricostruzione degli ultimi momenti prima dello schianto, secondo la quale le altre persone a bordo del suv avrebbero richiesto ripetutamente al giovane alla guida dell’auto di rallentare, è stata possibile proprio grazie alle dichiarazioni degli indagati. Intanto la polizia locale, dopo aver ricostruito gli spostamenti del Suv con il sistema gps, ha rilevato che, dopo l’imbocco di via di Macchia Saponara, il suv aveva raggiunto «in soli 14 secondi i 124 km/h», esattamente prima dell’impatto. Sull’asfalto, nessuna traccia di frenata. Di Pietro, la cui personalità è stata descritta come «non tranquillizzante», rischia ora una condanna da due a sette anni di carcere per il legame con il pericolo di inquinamento delle prove e della reiterazione del reato.

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